Gilles Lipovetsky è un vecchio filosofo francese che ha teorizzato e coniato il termine “ipermodernità”, superamento dell’ideologia postmoderna degli anni Settanta e Ottanta. Il postmoderno, diceva, non è adatto per descrivere le società contemporanee perché suggerisce un superamento rispetto alla fase precedente che non è davvero avvenuto. In realtà, a pensarci, abbiamo a che fare con società dai tratti ancora tipicamente moderni, dunque avrebbe più senso parlare di una nuova evoluzione della modernità, che viene portata all’eccesso con un processo di accelerazione continua, anche e soprattutto attraverso le nuove tecnologie e tutto ciò che ruota attorno a Internet e ai social network.
Nel suo saggio L’era del vuoto, il buon Lipovetsky dedica un capitolo intero alla società umoristica ipermoderna, spiegando come ogni cultura, fin dall’alba dell’uomo, abbia sviluppato un proprio schema comico. Nel Medioevo la cultura comica popolare era profondamente legata alle festività carnevalesche, brevi momenti ritagliati durante l’anno che costituivano una sorta di sacca di resistenza alla normalità, dove vigeva la regola del contrario: il buffone era considerato re, i maschi si vestivano da femmine e finti sacerdoti e vescovi lanciavano escrementi sul popolo che li affiancava nelle loro processioni. E tutti giù a ridere, sporchi ma felici.
A partire dal Seicento, invece, la comicità viene depurata da tali grossolanità scatologiche, irregimentata nella letteratura e nel teatro e trasformata in qualcosa di critico, più che simbolico: si civilizza. Non è più manifestazione pubblica e collettiva ma piacere individuale e soggettivo, in cui l’individuo si tiene ben lontano dall’oggetto del suo scherno, costruendo il proprio senso dell’umorismo proprio a partire da questa distanza. Come dire: rido di te, dei tuoi costumi o del tuo accento ma non ti rido in faccia, me la tengo per me, sogghignando educatamente nel buio della mia cameretta.
Nella nostra società contemporanea e ipermoderna, stiamo assistendo a un nuovo singolare processo di dissoluzione dell’antitesi tra serio e non serio, che sfuma a vantaggio di un generale clima umoristico. Poco ormai fa solo ridere, ma quasi tutto fa ridere almeno un po’. Per dirla con Boris: ci stiamo riferendo alla famigerata linea comica. Questa linea comica è dappertutto, sembra non si possa più farne a meno: la comicità non è più simbolo né critica ma, in qualche modo, la materia stessa con cui sono fatti i discorsi. L’umorismo è diventato cool ma, soprattutto, è diventato uncool non esercitarlo.
Dunque, se è vero che l’umorismo permea qualsiasi attività umana, dovrà per forza farlo anche con la mia attività umana preferita, cioè la pallacanestro NBA. E un luogo, forse IL luogo deputato per osservare questa dinamica al suo meglio - e farsi quattro risate - è Twitter. Nel libro di Ethan Sherwood Strauss sui Golden State Warriors, l’autore cita una dichiarazione di TJ Adeshola, il responsabile di Twitter per le partnership con le leghe sportive, che dice: «L’NBA Twitter ha una connettività semplicemente unica. E rispecchia il tentativo della lega di essere innovativa in generale, e di dare ai suoi giocatori questo livello di autenticità e di connettività. Un aspetto relativamente inedito nel mondo dello sport, che ha portato a un matrimonio perfetto con la piattaforma di Twitter».
A questo proposito, proprio il social network di San Francisco ha pubblicato alcuni dati a riguardo che mostrano come ci siano al momento oltre ventiquattro milioni di account che parlano di sport (abbastanza persone per riempire la Crypto.com Arena 1.217 volte), e il 42% sono legati direttamente alla pallacanestro. Insomma: dopo la bolla di Orlando Twitter sta tornando agli antichi fasti, e tutti hanno una gran voglia di parlare di NBA. Per ricordare ai lettori più giovani quali fossero gli antichi fasti, ecco una breve selezione di tweet indimenticabili di una decina di anni fa:
Segnaliamo soprattutto la perla di Brodie che twitta semplicemente il suo nome e lo ritwittano in ventimila.
I nuovi re dell’NBA Twitter
Dopo gli anni pandemici, Twitter è tornato a essere una parte formativa dell’esperienza NBA ipermoderna. Non a caso, pochi mesi fa la NBA ha annunciato un’importante estensione dell’accordo di collaborazione con Twitter, continuando un rapporto che, dal 2009, ha costruito una delle community più grandi al mondo, e la creazione di quaranta nuovi Twitter Spaces (in poche parole una specie di Clubhouse - ve lo ricordate Clubhouse? - dove gli utenti possono parlare e discutere tra loro, con tutti gli altri che ascoltano).
Il primo aspetto da notare, anche solo con una breve scorsa alla nostra timeline di nerd a spicchi, sono i protagonisti di questo continuo gioco di rimandi, meme, battute e divertimenti. In prima fila ci sono come sempre i giocatori, seguiti dalle franchigie e dai giornalisti - tra l’altro, proprio come sosteneva Lipovetsky, anche la maggior parte dei tweet teoricamente “seri” o di servizio, come quelli di Adrian Wojnarowski o di Shams Charania, contengono spesso una venatura umoristica più o meno sotterranea. Oltre a loro, tuttavia, sta crescendo esponenzialmente una schiera di utenti che, partendo dal nulla, si sono costruiti un’enorme fan base anche tra gli atleti che vanno in campo, postando contenuti umoristici attorno alla NBA.
L’MVP votato all’unanimità tra gli account Twitter umoristici è @KingJosiah54, al secolo Josiah Johnson, a cui il New York Times ha recentemente dedicato un ampio profilo. Johnson ha 39 anni ed è figlio d’arte: suo padre, Marques, è stato un’ala piccola di due metri scarsi reclutata da John Wooden nella UCLA degli anni Settanta e scelto al Draft dal venerabile Don Nelson a Milwaukee, per poi concludere la carriera ai Clippers e agli Warriors. Fun fact: pare che sia stato proprio Marques a coniare il termine “point forward” durante i playoff del 1984, quando il coach strutturò l’attacco di modo che la palla passasse sempre dalle sue mani per avviare l’azione.
Anche il figlio Josiah è stato un Bruin all’inizio degli anni 2000 e condivideva lo spogliatoio con gente del calibro di Trevor Ariza, Matt Barnes e l’indimenticabile (almeno per me) Jason Kapono, detto anche Jason KapOH NO! ogni volta che metteva la palla a terra. Poi la strada della pallacanestro non ha funzionato e Josiah si è buttato nella produzione di contenuti sportivi con FOX e NFL Network, portando avanti in parallelo il suo account Twitter dove, tra meme creati in tempo reale e riferimenti a film e serie della cultura pop, allieta le timeline dei suoi quasi 200.000 follower durante le partite. Il botto vero l’ha fatto nel 2019 quando, in seguito a un tweet sul primo incontro tra Antonio Brown e Josh Gordon dei Patriots, è stato ritwittato dall’attore, produttore e regista Jordan Peele:
Citazione azzeccatissima e molto divertente del primo grande successo cinematografico di Peele, Get Out. Tra l’altro, da poco ne ha postato un altro molto simile sull’avvicendamento tra Luke Walton e Alvin Gentry sulla panchina dei Kings di qualche tempo fa:
Poi è arrivato anche LeBron che l’ha ufficialmente incoronato GOAT dell’NBA Twitter:
Ed ecco il nostro Josiah con il vero e unico GOAT:
Ma il suo non è certo l’unico account che merita di essere seguito: in una breve carrellata mi sento di consigliare anche Jason Concepcion (@Netw3rk), Trey Kerby (@treykerby), Ian Karmel (@IanKarmel), Trill Withers (@TylerIAM), il leggendario e misterioso Dragonfly Jonez (@DragonflyJonez) e James Holas (@SnottieDrippen), che una volta ha obbligato un tizio a guidare fino a Temecula, California, per litigare su un tweet contro Kobe Bryant.
Bene: adesso dobbiamo chiederci che cosa ci fa ridere esattamente di questi tweet. Perché, ad esempio, ridiamo guardando questo?
Sappiamo bene che le cose di cui ridiamo cambiano radicalmente a seconda del contesto socioculturale e dell’epoca storica di riferimento: ciò che suscitava ilarità anche solo duecento anni fa - come assistere a un’esecuzione pubblica o prendere in giro i poveri pazienti di un manicomio - nel nostro qui e ora non funziona più. È altrettanto vero, tuttavia, che le strutture di base della comicità sono sempre le stesse, e valgono fin dagli antichi romani. Come dire: si ride sempre di cose diverse, ma si ride sempre allo stesso modo. Nonostante moltissimi pensatori del passato si siano accapigliati sulla validità delle loro teorie, possiamo individuare quattro strutture comiche universali che, messe a sistema, riescono a coprire tutto lo scibile umoristico, tutto ciò che solletica e sollecita il nostro senso dell’umorismo. Vediamo quali sono attraverso l’NBA Twitter.
Teoria della superiorità
Il 24 novembre dell’anno scorso, nella partita tra Clippers e Mavericks, Reggie Jackson è riuscito in un’impresa quasi impossibile, qualcosa che statisticamente dovrebbe succedere circa una volta ogni ventotto milioni: due wedgie consecutivi durante l’overtime. I wedgie sono quando la palla si incastra tra ferro e tabellone e lì rimane, episodio che succede molto raramente preso da solo, figuriamoci in sequenza. Poi i Clippers hanno pure perso la partita e l’NBA Twitter si è scatenato contro il povero Wedgie Jackson.
Qualcuno ha fatto pure il disegnino usando l’altro significato del termine, e cioè la mutandata dei bulli stile Nelson Muntz dei Simpson.
E addirittura la gag è tracimata nell’offline, quando il pubblico di Milwaukee, durante una partita contro Detroit, intonava questo coro:
La risata, da Aristotele fino almeno all’Illuminismo, è sempre stata considerata come affermazione di superiorità e, dunque, molto mal vista. Si ride per la canzonatura, per sberleffo, per scherno, comunque si ride sempre di qualcuno o qualcosa. L’umorismo sembra avere molto a che vedere con la nostra naturale inclinazione a sbeffeggiare chi consideriamo inferiore in una data situazione o contingenza. Nessuno di noi vorrebbe perdere una partita all’overtime con due wedgie, e il fatto che la malasorte sia toccata a Jackson ci scatena il riso, a suo discapito. Ancora di più succede quando l’oggetto del nostro ridere è smaccatamente migliore di noi, almeno nel gioco del basket.
Poi, quando non ci si può aggrappare alla sfortuna, ci sono sempre i difetti e le stranezze fisiche, come ad esempio le inquietanti caviglie di KD:
E il favoloso riferimento al povero Sam di Game of Thrones:
La superiorità insita nella risata non si applica solo a personaggi e situazioni irraggiungibili per noi comuni mortali delle minors ma anche con chi commette un errore banale o, peggio, un gesto che oscilla tra l’incomprensibilità e il disgusto, e cioè il modo in cui Charles Barkley si pulisce gli occhiali.
Dopo aver assistito a tale inglorioso spettacolo, l’NBA Twitter si è scatenato, assicurandosi in ogni modo di far arrivare il messaggio al buon Chuck:
Paragonandolo ad altri evidentemente peggio di lui:
O, infine, minacciando di fare la spia e dirlo a LeBron, che ci pensi lui come al solito:
La superiorità, presunta o effettiva, rispetto a uno scivolone fatto da qualcuno che consideriamo meglio di noi, ci sollecita l’umorismo, e costituisce un filone pressoché infinito di divertimenti e prese in giro. Ma non è finita certo qui.
Teoria dell’incongruenza
L’indimenticabile J.R. Smith, idolo assoluto di molti, dopo essersi ritirato si è finalmente iscritto al college e sta usando Twitter per raccontare nel dettaglio la sua nuova esperienza:
Perché sono così divertenti? Perché ridiamo per tweet del genere, che sarebbero relativamente normali se a scriverli fosse un qualsiasi studente di North Carolina A&T? Mettiamola così: l’esperienza umana funziona per modelli appresi nel tempo: ciò di cui abbiamo fatto esperienza in passato - le mille storie pazze di J.R. e del suo imprevedibile carattere - ci forma e ci prepara a quello che incontreremo in futuro, evitandoci troppi sforzi cognitivi di reinterpretazione del mondo. A volte, però, succede qualcosa che viola i nostri schemi mentali, che contraddice le aspettative: l’incongruo. Persino Immanuel Kant sosteneva che il riso è causato dallo shock provocato da qualcosa di incongruo, avvertito al posto di tutt’altra cosa. Molte barzellette funzionano così, a pensarci, e anche le punch line delle battute degli stand-up comedian operano spesso un rovesciamento delle nostre credenze.
Dunque J.R. è l’esempio perfetto: nel tempo ci siamo creati delle aspettative su di lui, a partire dalle sue azioni e dai suoi comportamenti che, in qualche modo, stridono con l’immagine da studente modello che va in sbattimento per la consegna di un paper. Ed è proprio questo sfasamento, questo slittamento cognitivo, che solletica il nostro umorismo e ci fa ridere.
La stessa cosa vale per la recente vittoria di Iman Shumpert a Ballando con le Stelle, e il concetto di incongruo viene illustrato perfettamente da questa immagine, che non ha bisogno di spiegazioni:
Ora proviamo a complicare un po’ le cose. L’incongruo forza la logica e le aspettative che ne derivano, ma rimane sempre al suo interno, nei binari di ciò che possiamo concepire. Pensate a Sharknado: per quanto sembri strano farsi mangiare da uno squalo durante una passeggiata per le strade della downtown di Los Angeles, è una cosa che tecnicamente può succedere, anche se con bassissime probabilità - come il double wedgie di Reggie Jackson. Esiste però un sottoinsieme dell’incongruo, portato alla ribalta dal teatro dell’assurdo da Ionesco in poi: l’eteroclito, che non forza la logica ma cerca direttamente di crearne un’altra, di aprirsi a un mondo che non segue le regole del nostro. E tutto questo pippone è riassunto perfettamente da questo tweet:
Il fatto che i Blazers sprechino sempre il vantaggio e perdano molte partite al fotofinish è incongruo, visto che solitamente ci si aspetta che la squadra avanti tendi a vincere la partita. Ma se a pochi minuti dalla sirena dobbiamo addirittura preoccuparci che Portland possa perdere la partita nel quinto quarto, allora la nostra logica si sballa completamente e veniamo proiettati in un universo comico eteroclito in cui le partite durano fino a che i Blazers non vengono raggiunti e superati nel punteggio.
Teoria del sollievo
C’è una storiella che raccontava sempre Mark Twain: quando suo fratello lavorava in un cantiere di costruzioni stradali, un carico di dinamite esplose all’improvviso, scaraventandolo via con violenza. Dato che il povero infortunato era stato catapultato molto lontano dal luogo in cui stava operando, i padroni decisero di detrargli metà della paga perché si era allontanato dal posto di lavoro. Cosa succede nella nostra testa mentre leggiamo un racconto del genere? Inizialmente proviamo empatia per il povero sfortunato, che sarebbe anche potuto rimanere molto offeso; arrivati al finale, però, scopriamo che è tutto uno scherzo e quell’energia che stavamo usando per provare empatia non serve più e viene rilasciata improvvisamente attraverso la risata.
Bene, prendiamo adesso tre esempi che hanno messo e stanno ancora mettendo l’NBA Twitter in subbuglio: Kyrie Irving e la vaccinazione, la brutta situazione dei Lakers con Russell Westbrook che non funziona e un povero tifoso violato da LeBron James. Astraendoci un attimo dalle nostre conoscenze pregresse, ci viene da preoccuparci per loro.
Kyrie Irving è in un momento psicologico molto difficile ormai da un pezzo: cerca di mantenere saldi i suoi principi con sofferenza e sacrifici, mentre la gente gli dà del complottista e del terrapiattista scemo e il suo datore di lavoro prima gli impedisce di allenarsi e poi lo richiama in squadra per le partite in trasferta. Solo che, quando Kyrie prova a spiegare le sue posizioni, gli rispondono così:
(Piccola parentesi nerd: il tizio nella foto è l’attore comico Damon Wayans quando, nella sketch comedy degli anni Novanta In Living Color interpretava la parte di Oswald Bates, una specie di predicatore che teneva lunghi discorsi senza senso, usando paroloni a caso, senza avere idea di quello che stesse dicendo. Questo un suo divertente best of, che inizia con la storica “First of all, we must internalize the inflatulation”).
Questione Lakers-Westbrook-LeBron. Sappiamo tutti che l’influenza di King James sulle operazioni di mercato della squadra è gargantuesca, come sappiamo, ormai, che l’inserimento di Broadie nel sistema di Frank Vogel non sta dando i risultati sperati, per usare un eufemismo. Povero Russ, verrebbe da dire, alla fine si sapeva fin dall’inizio ciò che poteva dare, e con quelle spaziature lì non c’era molto da stare allegri. E povero LeBron, alla fine ci ha messo la faccia e guarda come si è ridotto:
Poi, certo, Westbrook stesso ha i suoi inghippi, che si porta dietro ormai da molto tempo, come la sua difficoltà nel jump shot:
O, ancora di più, nei tiri da lontano:
Infine, l’incredibile storia di San Valentino, quando LeBron, in una partita contro i Blazers, dopo aver subito un colpo in testa, decide di ciondolare fuori dal campo proprio dietro al suo ferro e lasciarsi cadere teneramente sulle ginocchia di un ignaro spettatore nelle prime file. È chiaro che, in altri contesti, se un armadio di 113 kg ti si butta addosso potresti finire davvero male. E invece il povero tifoso non ha riportato danni seri, e l’NBA Twitter ha potuto divertirsi alle loro spalle:
Tutti questi tweet fanno ridere proprio perché ci permettono di non prenderci troppo male per le storie di Kyrie, Westbrook e dell’anonimo tifoso; per dirla con Freud, mettono a tacere il nostro censore interiore, quella vocina che ci ammonisce di non prendere per il culo il prossimo, e ci dicono che sì, possiamo scherzarci sopra. In un certo senso ci liberano, e la risata sgorga naturalmente dallo scioglimento della tensione. Poi, intendiamoci: stiamo parlando di dinamiche inconsce e profonde, non è che alla gente viene davvero l’ansia e si sveglia nel cuore della notte pensando a Kyrie che non si vuole vaccinare. Tuttavia il meccanismo che ci sta sotto funziona proprio così.
Teoria del ribaltamento
Quest’anno i Rockets non vincono proprio mai, e ogni vittoria sul referto finale è accolta con un misto di stupore ed esaltazione, con una consapevolezza sotterranea dell’eccezionalità del fatto e la rassegnazione di un futuro prossimo con poche soddisfazioni, tranne forse per Christian Wood e Jalen Green. Infatti il 24 novembre scorso, durante la partita contro i lanciatissimi Bulls, nessuno si immaginava il risultato finale, nemmeno i Rockets stessi che hanno subito twittato:
Ecco, Houston che batte Chicago in questo momento storico è l’esempio perfetto del ribaltamento, del buffone che diventa re, del povero che si ritrova ricco, un po’ come succede durante il Carnevale. E la cosa ci fa ridere proprio per il suo ribaltamento, perché nessuno si aspettava quel risultato e alla fine è arrivato, tanto da far dire alla squadra: “I repeat. Rockets win”, come se non ci credessero nemmeno loro.
La stessa cosa accade per l’inaspettata convocazione come titolare all’All Star Game di Andrew Wiggins, giocatore pregevolissimo (soprattutto per chi scrive) ma, certamente, non al livello di quel parterre:
Il mondo alla rovescia, signora mia, dove Wiggins va all’ASG e Doncic e Booker rimangono a casa:
Un’altra finezza è la rappresentazione rovesciata di Myles Turner e Rudy Gobert che non stanno davvero litigando e mettendosi le mani addosso ma, più teneramente, abbracciandosi.
Questo esempio funziona ancora meglio perché ribalta anche la narrazione contemporanea sulla mascolinità sana, opposta a quella tossica, nel mondo dello sport. E come spesso accade con la teoria del ribaltamento, ci fa ridere e ci fa anche pensare.
E infine, ecco il capolavoro:
Qui il ribaltamento è ancora più sofisticato perché fa il giro completo e torna alla base. Se dovessi rispondere io alla domanda direi, senza nessun dubbio, la stoppata di Hakim Warrick che ha consegnato il titolo a Syracuse nel 2003, l’anno prima che Melo approdasse in NBA. E invece, con un colpo di coda da comedian navigato, Zach Harper di The Athletic ribalta il tavolo scrivendo la cosa più naturale e semplice possibile, la tautologia secondo cui la prima cosa che mi fa venire in mente un’immagine di Carmelo Anthony è, ovviamente, Carmelo Anthony.
Come abbiamo appena visto, la vena umoristica che percorre ed elettrizza la comunità NBA su Twitter è onnipresente e puntella le conversazioni online di tutti gli attori coinvolti, dai giocatori di prima grandezza fino a normali utenti appassionati. Il meccanismo funziona perfettamente e corrobora se stesso in una specie di moto umoristico perpetuo, rendendo i contenuti attorno alla pallacanestro, e allo sport in generale, sempre più piacevoli, relatable e condivisibili e, giocoforza, innalzando la NBA a lega globale anche attraverso i meme e le spiritosaggini disseminate ovunque e ovunque incoraggiate dalla Lega stessa. Il mercato è sempre più in crescita, la NBA continuerà i suoi rapporti commerciali con Twitter e con le altre piattaforme social fino a, magari, un plausibile sbarco nell’ormai famigerato metaverso dove, se hai qualcosa da dire a Charles Barkley, puoi dirla direttamente in faccia al suo avatar.