“What seems to us as bitter trials are often blessings in disguise.”
Oscar Wilde
Fino a pochi giorni fa la stagione degli Washington Wizards stava precipitando. Non tanto a livello di risultati, perché se sei a una manciata di vittorie dal terzo posto della tua conference non te la passi poi tanto male, quanto a livello tattico e mentale. Gli Wizards erano bloccati in tutto e per tutto, una franchigia senza futuro e con un presente grigio. Il loro trio delle meraviglie, formato da John Wall, Bradley Beal e Otto Porter non stava girando come era solito l’anno scorso (e come non ha mai fatto, visto che i tre non sono comunque mai riusciti a produrre una stagione da 50 vittorie) e il supporting cast era quantomeno impalpabile, al netto di un atteggiamento aggressivo e “rissoso” mai del tutto spiegabile.
Washington si è legata mani e piedi ai salari dei suoi migliori giocatori, e salvo sorprese finirà col pagare oltre 98 milioni i suoi tre migliori giocatori nel 2021 (quasi il 90% del cap!). Data la sempiterna reputazione degli Wizards a non essere mai in grado di allestire un supporting cast decente, le cose sembravano dover deflagrare da un momento all’altro. Vuoi per le spese esagerate per giocatori non adeguati (si vedano i 35 milioni complessivi investiti su Marcin Gortat, Ian Mahinmi e Jason Smith) o prime scelte pagate per giocatori che non ti cambiano la vita (come quella investita nello scorso febbraio per il noleggio di Bojan Bogdanovic, scelta che è diventata Jarret Allen che al momento sembra una steal per i Brooklyn Nets), gli Wizards non sembrano mai pronti a fare il passo in avanti definitivo — specie se attorno alla miccia continuano a danzare le voci di frizioni tra Wall e Beal.
L’infortunio di Wall, costretto a saltare dalle 6 alle 8 settimane per un intervento di pulizia al ginocchio, è stato il battito d’ali che ha fatto scatenare il tornado. Ma invece di implodere su loro stessi, gli Wizards sembrano esserne usciti rivitalizzati e negli ultimi dieci giorni, anziché trasformarsi negli L.A. Clippers dell’Est, sono diventati i Golden State Warriors: la palla gira come mai aveva fatto nella capitale, e ci si è resi conto improvvisamente che avere buoni passatori e tiratori a roster può essere un buon modo per far funzionare l’attacco.
Se l’unica cosa certezza su Washington era la loro proverbiale incostanza, che li portava a segnare 120 punti un giorno contro le migliori squadre della lega e soli 75 due giorni dopo contro quelle in pieno tanking, la scossa emotiva provocata dalla perdita del loro leader tecnico ha fatto ripartire la squadra della capitale.
La stagione deludente di John Wall
Dopo la passata stagione sembrava quantomeno doveroso aspettarsi un’altra stagione esaltante da parte di John Wall, con Las Vegas che non lo dava nemmeno troppo lontano dal gruppo di potenziali MVP. La stagione di Wall però ha lasciato tutti scontenti, dai tifosi ai compagni di squadra.
Oltre a tirare col 42% dal campo, che sarebbe la percentuale peggiore di tutta la sua carriera esclusa la stagione da rookie, Wall ha anche aumentato sensibilmente il numero di soluzioni “pigre” dal campo, accontentandosi spesso di tiri dal palleggio contestati senza nemmeno provare a muovere la difesa. Quando accende e spinge sull’acceleratore Wall è ancora una delle point guard più devastanti della lega, capace di far collassare un’intera difesa e superarla con cambi di direzione fulminei. I contropiedi di Wall sono uno spettacolo per gli occhi: sembra di vedere un giocatore motorizzato mentre gli altri sono costretti a muoversi con la neve fino alle ginocchia. La sua capacità di far uscire il pallone con tempi e modi giusti, anche a metà del salto, ha spesso fatto le fortune dei suoi compagni.
Anche a metà campo, sebbene la mancanza di un tiro dalla lunga distanza sia un handicap che si porta dietro da sempre, non ha mai avuto problemi a scherzare gli avversari abbassando il baricentro durante il palleggio e zigzagare dietro ai blocchi per sparire e balzare fuori sotto al canestro, spesso chiudendo con l’amata mano mancina.
Queste però sono caratteristiche che richiedono un alto dispendio energetico e un coinvolgimento costante nella partita, due cose che il Wall di quest’anno però ha scelto accuratamente di NON fare. Wall ha speso il 77% del suo tempo passato sul campo a stare fermo sul posto o a camminare lentamente, la percentuale più alta di tutta la NBA secondo ESPN: l’unico che si è mosso di meno in campo finora è stato Dirk Nowitzki, che a 40 anni suonati a malapena decide di superare le linee del tiro libero.
Il fatto che Wall, uno dei giocatori più rapidi e atletici del mondo, abbia una gestione del suo corpo durante la gara simile a quella di un 40enne di oltre 213 centimetri dovrebbe far capire che la questione va al di là del mero calo fisico.
Wall sta letteralmente scioperando per interi possessi offensivi, specialmente in quelli in cui Beal ha la palla. In quest’azione sembra che qualcuno gli abbia messo le ganasce alle gambe impedendogli di fare qualsiasi movimento.
Se un giocatore come lui, che non può essere davvero considerato una minaccia temibile dall’arco, non prova nemmeno a tagliare mentre non ha la palla à la Dwyane Wade, ecco che lo spazio a disposizione dell’attacco si riduce drammaticamente. E se la maggior parte dei minuti che Wall spende in campo sono di fianco a Gortat - che sta subendo un tracollo fisico tale da fargli valutare l’idea del ritiro a fine contratto, nonché un possibile scambio da parte di Washington -, le problematiche degli Wizards si moltiplicano a dismisura.
A gettare benzina sul fuoco c’è pure le scelte che Wall fa con la palla in mano, che si sono riversate troppo verso la soluzione personale in palleggio con un volume molto maggiore rispetto al passato. Wall tira oltre sette volte a partita in pull-up con un atroce 31% di conversione. In pratica sono possessi da 0.63 punti ciascuno in una lega dove anche il peggior attacco in media realizza più di 1 punto per possesso. Questo non è solo un modo molto poco efficiente di condurre l’attacco, ma è anche il peggior uso possibile delle caratteristiche del miglior giocatore della squadra, il che comporta quindi una rapida uscita mentale dalla partita con ripercussioni significative sulla difesa.
Quando Wall esce dalla partita, cosa che in stagione è successa con allarmante frequenza, è solito restare immobile quando la palla è lontana da lui, rifiutandosi perfino di aiutare a rimbalzo mentre il tiro è in aria. Quando l’attacco avversario lo coinvolge accetta i blocchi con rassegnazione o cambia costantemente per evitare di dover inseguire il marcatore dietro ai blocchi, cercando di risparmiare il massimo delle energie. Non dico che sia una peculiarità esclusivamente sua, dato che moltissime stelle hanno comportamenti simili durante la stagione, ma la tendenza con cui Wall ricade in queste abitudini in stagione è stata allarmante.
A tutti i livelli di gioco le squadre sono solite ricalcare le abitudini del loro miglior giocatore come i cani assomigliano ai propri padroni, e già a gennaio le partite che gli Wizards hanno buttato via per mancanza di concentrazione o interesse sono state davvero troppe.
La vita senza Wall
Dopo l’infortunio di Wall la sensazione diffusa era che la squadra sarebbe dovuta sprofondare da un momento all’altro, ma al momento gli Wizards hanno inanellato un filotto da cinque vittorie consecutive mostrando il miglior basket corale della squadra dai tempi della Princeton offense di inizio 2000. In questa striscia di successi Washington ha totalizzato 32 assist di media a partita, il 33% in più della loro media stagionale - una dato ancora più strano visto che non potevano disporre del loro leader di squadra nella statistica. La filosofia di squadra è diventata velocemente “Everybody eats” come dichiarato da Bradley Beal, o “Everybody can share the wealth” come detto da Kelly Oubre jr.
Occorre però non cadere in un grossolano errore di valutazione: gli Wizards non stanno passandosi meglio il pallone o difendendo meglio perché non c’è Wall, ma lo fanno perché l’assenza di Wall li costringe a giocare così o a sprofondare. Senza Wall le possibilità di creare gioco sarebbero praticamente azzerate con il loro playbook usuale, dato che non c’è nessuno in grado di riempire il vuoto lasciato dall’ex Kentucky. Al momento Bradley Beal è l’unico giocatore a roster in grado di spezzare un raddoppio o di crearsi un proprio tiro; per tutti gli altri c’è un necessario e tangibile bisogno che la palla si muova per poter tenere il campo. Gli Wizards stanno quindi sfruttando il loro talento collettivo nel condividere il pallone per sopperire alle mancanze individuali.
Anche il maggior impegno difensivo è riconducibile alla mancanza di Wall: senza il giocatore in grado di toglierti le castagne dal fuoco quando l’attacco non ingrana, diventa di fondamentale importanza non concedere canestri facili agli avversari in ogni singolo possesso.
Occorre inoltre far presente che nelle cinque vittorie consecutive i Wizards hanno fatto lo scalpo agli Atlanta Hawks (aka la peggior squadra della NBA), gli Oklahoma City Thunder (reduci da tre sconfitte consecutive senza Andre Roberson), i Toronto Raptors (un’ottima squadra, ma con cui Washington storicamente si è sempre accoppiata molto bene), gli Orlando Magic (aka la seconda peggior squadra della NBA) e infine gli Indiana Pacers (che non hanno schierato né Darren Collison né Victor Oladipo).
Ci sono quindi solo poche indicazioni che si possono leggere da questo periodo. In primis che il resto della squadra, in particolare Otto Porter, deve essere più coinvolto nei giochi in attacco. Non è un caso che nella “nuova democrazia socialista” dell’attacco capitolino Porter sia tornato nella sua miglior versione possibile e che giocatori come Tomas Satoransky siano più propositivi nel muoversi senza palla. Spesso Wall e Beal si prendevano dei periodi di “tunnel vision” all’interno della partita (a volte persino contemporaneamente, facendo a turni come nelle gare di H.O.R.S.E.) che lasciavano Otto a marcire in un angolo.
In secondo luogo, occorre strappare una pagina direttamente dal manuale di Capitan Ovvio: se gli Wizards fossero stati concentrati durante la stagione come lo sono stati negli ultimi dieci giorni, avrebbero un record nettamente migliore a prescindere dalle prestazioni di Wall. Ovvio che tutto cominci dalla necessità che la stella col numero 2 sia molto più concentrata e attiva, sia quando ha la palla in mano sia - soprattutto - quando è lontano da essa. E le cose sicuramente cambieranno al suo rientro, un po’ perché gran parte della sua immobilità era dovuta all’infortunio (anche se nelle precedenti due partite alla sua esclusione ha giocato 41 minuti di media), sia perché storicamente Wall e Beal si esaltano in post-season.
Le giocate della stagione di Beal, la migliore della sua carriera finora.
Il calendario da ora in avanti non si farà più semplice: già contro Philadelphia è arrivata la prima sconfitta del periodo senza Wall e subito dietro l’angolo si prospetta una partita in casa coi Boston Celtics. Si può quindi affermare che i Wizards non sono meglio senza John Wall, e pensarlo a causa di un campione ristretto di partite è semplicemente ridicolo. Ma ora più che mai si ha la controprova che il loro approccio alla partita è la chiave più importante del loro fallimento finora.
Gestione della squadra
Ormai si conosce perfettamente il profilo dell’allenatore Scott Brooks: uno in grado di formare una squadra, far crescere i giovani al massimo del loro potenziale, creare un amalgama e una cultura di spogliatoio invidiabile. Tutte qualità che permettono di soprassedere al suo difetto più fragoroso: non è in grado di compiere decisioni tattiche vincenti in una partita o in una serie di playoff.
Quando a Brooks è stato offerto il ruolo della panchina degli Wizards era ben chiaro che la sua missione principale sarebbe dovuta essere quella di far convivere Wall e Beal, e di riflesso tutto il resto dello spogliatoio. L’anno scorso, dopo un avvio di stagione difficoltoso, si può dire che Brooks stava portando meritatamente a casa la pagnotta: per la prima volta dall’inizio della carriera Wall e Beal hanno iniziato ad avere numeri migliori quando giocavano assieme invece che quando uno dei due riposava (come era successo fino a quel momento); si è capito definitivamente come funziona l’oggetto misterioso Otto Porter; e il quintetto base, chiuso dal peggiore dei due fratelli Morris e da uno soprannominato “il martello polacco”, è diventato uno dei migliori al mondo.
Il problema è che quest’anno stiamo assistendo a un periodo di regressione di queste dinamiche, e dato che come già detto i contratti dei Big Three di Washington zavorrano la franchigia peggio che la pietra del trionfo del Sacro Ordine dei Tagliapietre, se la dirigenza ritenesse che qualche testa dovesse saltare per far cambiare le cose, è praticamente certo che il cranio a rotolare sarebbe quello dell’allenatore.
I segnali sono scoraggianti: Wall aveva ammesso in precedenza che era solito “provare dispiacere reciproco tra lui e Beal per il loro modo di giocare”, che mi sembra una cosa quantomeno imbarazzante da dire in pubblico - in particolar modo se come contorno all’affermazione viene aggiunto che “Voglio che sia tutto riguardo a me, anche se lo voglio al mio fianco. Io sono A, lui è A-1”. Durante la gestione Brooks, se non altro, il disgusto reciproco non sembra essere ancora traslato sul campo, o almeno non in maniera così irreparabile: quando Wall, Beal e Porter condividono il campo assieme hanno pur sempre un Net Rating positivo di oltre 10 punti (punteggio che puntualmente si inabissa nel disastroso quando entrano le riserve). Ma la frustrazione in spogliatoio è salita a dismisura in questi mesi.
Gli Wizards hanno anche avuto un meeting per soli giocatori che Beal ha definito “inutile”. Inoltre, quando cominciano a circolare rumors di trade vicino alla deadline come quelli che li vedevano interessati a Rudy Gobert, diventa difficile che lo spogliatoio resti impassibile. Dopo la prima vittoria senza Wall, Marcin Gortat ha twittato che si è trattato di una “Grande vittoria di ‘squadra’”, mettendo la parola squadra tra virgolette. Tweet a cui John Wall ha risposto con un sibillino “LOL” (da qualche parte nell’Ohio LeBron James ha sorriso compiaciuto alla prova dell’ennesima stella che usa i social con atteggiamento passivo-aggressivo). Il confronto tra i due a riguardo, arrivato qualche giorno dopo, non ha risolto per niente la questione e il rapporto tra i due - che in campo hanno invece un’intesa telepatica - è ai minimi storici.
Non esiste un modo certo per gli Wizards di migliorare la propria squadra senza cedere uno dei loro migliori tre giocatori. Kelly Oubre Jr. è probabilmente la cosa più simile ad un asset che hanno per le mani, ma trovare qualcuno disposto a scambiarlo per un’ala versatile o un lungo decente sembra un’impresa titanica. Anche muovere un’altra prima scelta sembra un’ipotesi azzardata, dopo che tre delle ultime quattro sono state cedute.
Il miglioramento degli Wizards deve obbligatoriamente arrivare dall’interno, sia a livello mentale che a livello di clima di squadra. Non è importante che i giocatori siano amici al di fuori del parquet, ma è necessario che si rispettino e che siano nella stessa lunghezza d’onda quando scendono in campo. Se Washington non è in grado di raddrizzare queste cose, che sono esattamente quelle per cui Scott Brooks è stato assunto, sarà facile prevedere una sostanziale rivoluzione nello staff tecnico della squadra.