Se per la Eastern Conference è piuttosto semplice suddividere le squadre in fasce, o quantomeno individuare in Brooklyn e Milwaukee le due nette favorite a prendersi i primi due posti, a Ovest i contorni sono molto più sfumati. Non c’è nessuna squadra al vertice che possa essere sicura di avere il fattore campo al primo turno, e con un infortunio sbagliato al momento sbagliato basterebbe davvero poco per ritrovarsi ingarbugliati nelle posizioni dalla 7 alla 10 che costringono a guadagnarsi il posto ai playoff attraverso le Scilla e Cariddi del torneo Play-In.
Il lato positivo, almeno per noi che guardiamo da fuori, è che la corsa ai primi sei posti della conference dovrebbe mantenersi viva fino al termine, e che ogni scontro diretto potrebbe finire per avere risvolti molto importanti a fine regular season, dando ancora maggior valore a partite che solitamente valgono (relativamente) poco. Tra conferme della scorsa stagione e infortuni che già da ora limitano il potenziale di alcune squadre, andiamo alla scoperta delle 15 franchigie della Western Conference alla vigilia della stagione 2021-22.
1. Utah Jazz
Verrebbe da dire “squadra che vince non si cambia”, ma a Salt Lake City potrebbero esserci dei cambiamenti in vista. I Jazz hanno dominato la scorsa regular season con unaformula a prova di bomba: difendere convogliando gli avversari verso le braccia sterminate di Rudy Gobert togliendo le conclusioni da tre punti, mentre in attacco prendono più triple e le segnano con percentuali migliori, riuscendo anche a catturare carrellate di rimbalzi offensivi. Una formula che quasi da sola ti fa partire da un vantaggio di 10-0, ma che si è poi rivelata fallace nei playoff — anche per gli infortuni di Donovan Mitchell, Jordan Clarkson e Mike Conley, tutti e tre acciaccati contro i Clippers (a cui però mancava Kawhi Leonard nelle ultime due partite). Con quattro eliminazioni cocenti ai playoff subite negli ultimi anni, coach Quin Snyder potrebbe ritrovarsi nella stessa situazione di Budenholzer un anno fa: “sacrificare” la regular season per sperimentare quintetti e soluzioni in vista dei playoff, specialmente con Rudy Gay — il nuovo acquisto più importante dell’estate — da 5 in quintetti piccoli senza il totem Gobert. Ad ogni modo, rimangono una squadra tosta, profonda, testata e con un Donovan Mitchell in rampa di lancio: i punti di domanda su di loro sono legittimamente più legati alla post-season che non alla stagione regolare, e dovrebbero confermarsi in vetta alla conference anche per le mancanze delle avversarie.
2. Phoenix Suns
Se si parla di solidità, i Suns di Monty Williams non sono secondi a nessuno. Le gerarchie sono cristalline, il sistema è eseguito alla perfezione tanto in attacco quanto in difesa e il quintetto base formato da Paul-Booker-Bridges-Crowder-Ayton è talmente ben amalgamato da valere da solo una cinquantina di vittorie. Dal mercato sono poi arrivati anche Landry Shamet e JaVale McGee per stabilizzare un po’ la rotazione delle guardie e dei lunghi, coprendo due falle dello scorso anno, e ci si aspetta che il sophomore Jalen Smith dimostri di meritarsi la decima scelta assoluta spesa su di lui un anno fa al Draft (davanti a uno come Tyrese Haliburton). Per ripetere la stagione passata, oltre a un Chris Paul di nuovo a quei livelli, ci sarà bisogno della stessa fortuna che li ha accompagnati un anno fa, con pochissimi infortuni di impatto nel corso della regular season. In più, ora come ora non hanno trovato gli accordi per estendere i contratti di Mikal Bridges e soprattutto Deandre Ayton (c’è tempo fino alla opening night): entrambi saranno disponibili a fare il “lavoro sporco” mentre CP3 e Booker si prendono i riflettori, come fatto egregiamente lo scorso anno, senza la sicurezza economica di un contratto a lungo termine?
3. Dallas Mavericks
Jazz e Suns sono le squadre che offrono maggiori garanzie a livello di sistema e gerarchie, ma i Mavericks potrebbero avere tra le mani una formula ancora non del tutto esplorata per accumulare vittorie su vittorie. Ormai è chiaro a tutti che circondare Luka Doncic di tiratori equivale ad avere un attacco pressoché inarrestabile (basti vedere dove è arrivata la Slovenia nelle ultime Olimpiadi), e i tempi sembrano maturi affinché Doncic — forte dell’estensione di contratto da 200 e passa milioni già firmata — faccia il balzo fino al rango di perenne candidato MVP, elevando un roster magari non perfetto, ma che se baciato da percentuali sopra media da tre punti può risultare ingestibile da buona parte della lega. Certo, le incertezze abbondano: Kristaps Porzingis deve essere rimesso in piedi, quasi più difensivamente (dove lo scorso anno è stato brutalizzato, tanto da costringere i Mavs a schierarsi a zona nei playoff coi Clippers) che offensivamente; il ruolo di secondo creatore offensivo al fianco di Doncic non è stato colmato, a meno che non si pensi che Jalen Brunson possa andare ancora meglio della buonissima regular season passata; il downgrade da Rick Carlisle a Jason Kidd in panchina è indiscutibile. Eppure, in un Ovest così aperto, una stagione calibro-MVP di Doncic potrebbe portarli fino al fattore campo al primo turno — e anche di più.
4. Los Angeles Lakers
Occhi addosso ne avranno tanti, per non dire tutti. Prendendo Russell Westbrook i Lakers hanno ribaltato di nuovo tutto il roster, arrivato alla quarta rivoluzione in altrettanti anni di LeBron James in città. La squadra della scorsa stagione non è riuscita a ripetersi per motivi di salute, di chimica di spogliatoio e di tiro perimetrale: se sotto il primo aspetto la dirigenza può intervenire solo fino a un certo punto, sul secondo si spera che la lunghissima serie di veterani presi al minimo salariale possano creare il giusto ambiente quando arriveranno le inevitabili difficoltà che questo gruppo si appresta ad affrontare. Lo scorso anno hanno chiuso al 24° posto per rating offensivo (!) e al primo per quello difensivo: le nuove aggiunte dovranno aiutare a migliorare il primo dato senza che il secondo ne risenta troppo, sperando che Frank Vogel riesca di nuovo a mettere assieme una difesa competente anche con Westbrook e Carmelo Anthony in rotazione con minutaggi consistenti (auguri). Poi, per tutto il resto, tocca a LeBron James e Anthony Davis dimostrare di avere ancora la fame della stagione 2020 culminata con il titolo: se sono in salute ai playoff, non c’è ancora stata una squadra in grado di batterli (ok, per una sola post-season, ma tant’è).
5. Golden State Warriors
Gli Warriors vogliono tutto e lo vogliono subito. Vogliono dare ai loro veterani un’altra chance di vincere il titolo NBA, uscendo dal limbo in cui sono finiti nell’ultimo biennio (e non solamente per il Covid-19); e allo stesso tempo vogliono far crescere gli Warriors del futuro con James Wiseman (fuori per infortunio a inizio stagione), Jonathan Kuminga e Moses Moody, facendo imparare loro dai maestri Jedi del lustro d’oro 2014-2019 tra i quali è tornato anche Andre Iguodala. La storia della NBA — e, per quello che vale, anche Draymond Green — ci insegna che raramente un mix del genere funziona ai livelli più alti, e per risalire nelle classifiche della Western Conference la squadra di coach Kerr avrà bisogno di numerosi miglioramenti rispetto alla stagione passata, nella quale nonostante uno Steph Curry a livelli MVP la squadra ha chiuso al 20° posto per rating offensivo. Il ritorno di Klay Thompson, ancora avvolto nel mistero, non sembra bastare da solo a colmare quel gap, anche se il Jordan Poole visto nella preseason fa ben sperare per non soccombere nei minuti senza Curry in campo, che negli ultimi anni sono quasi sempre equivalsi a una sentenza mortale. Ultimo appunto: la sola tassa di lusso di questa squadra (quindi senza considerare gli stipendi) costringerà il proprietario Joe Lacob a staccare un assegno di 180 milioni di dollari, cioè più di tutto il monte salari dei Brooklyn Nets messi assieme. Sicuri che il gioco continui a valere la candela ancora per molto?
6. Denver Nuggets
A proposito di limbo. Dopo la rottura del legamento crociato di Jamal Murray i Denver Nuggets sono condannati a un anno di transizione, anche se con le estensioni di Aaron Gordon e Michael Porter Jr. hanno indicato chiaramente di volerci provare con questo gruppo di giocatori attorno a Nikola Jokic. L’MVP in carica avrà di nuovo il compito di tenere la barra della squadra dritta mentre attraversa la tempesta di una regular season a cui si affacciano con una rotazione di guardie di livello nettamente più basso rispetto alle dirette concorrenti (Monte Morris, onestissimo giocatore di pallacanestro, potrebbe essere la peggior point guard titolare della conference). La presenza di Mike Malone e di Jokic dovrebbe mantenerli sopra la soglia di sicurezza evitando il Play-In, ma lo scorso anno hanno potuto contare su una stagione forse irripetibile del serbo (presente in 71 partite su 72 e terzo per minuti in tutta la NBA) e, dopotutto, la stagione in cui dare il massimo per giocarsi il titolo sembra proprio essere la prossima.
7. Portland Trail Blazers
La scorsa stagione sono stati la squadra più Dr. Jekyll e Mr. Hyde della lega: eccellenti in attacco (addirittura secondi dietro gli imprendibili Nets) e orribili in difesa (penultimi dietro gli altrettanto ineffabili Kings), riuscendo in qualche modo a tirare fuori un record positivo nonostante le lunghe assenze di CJ McCollum e Jusuf Nurkic grazie ai fenomenali quarti periodi di Damian Lillard. Invece di rivoluzionare la squadra, la dirigenza guidata da Neil Olshey ha deciso di lavorare ai margini, addossando le colpe interamente all’ex allenatore Terry Stotts e assumendo Chauncey Billups al suo posto, a cui è stato dato una panchina senza più buchi neri difensivi (dove c’erano Carmelo Anthony e Enes Kanter ora ci sono Larry Nance e Cody Zeller) ma anche zero profondità dietro l’ottimo quintetto base (+13.5 di Net Rating nella scorsa stagione, +47 in 112 minuti nella serie persa con Denver). Rimane abbastanza improbabile che la situazione Lillard esploda a stagione in corso, ma se i Blazers finiranno nel torneo Play-In è lecito chiedersi quanto ancora possa portare pazienza il leader della squadra prima di voler giocare davvero per il titolo.
8. L.A. Clippers
Nello stesso limbo dei Nuggets ci sono anche i Clippers, che non hanno idea di quando Kawhi Leonard tornerà (anche se qualche speranza di vederlo in campo entro la fine della stagione c’è, complice anche l’estensione di contratto da 3+1 firmata in estate) e quindi si ritrovano a navigare acque turbolente. Paul George è atteso a una stagione simil-MVP per poterli tenere in piedi e tutti gli altri — a partire da Reggie Jackson fino a Terance Mann — dovranno confermare quanto di buono visto durante i playoff, dove la loro strutturazione “small” ha dato filo da torcere anche ai Suns al completo, ma che è più difficile da reggere per 82 partite. Lo scorso anno hanno cavalcato una stagione forse irripetibile al tiro da tre (41% di squadra) e la rotazione sembra un po’ più corta rispetto a quella degli ultimi anni, chiedendo minuti sostanziosi a Luke Kennard che lo scorso anno praticamente non veniva utilizzato. La squadra peraltro costa 85 milioni di dollari di luxury tax in un’annata in cui probabilmente non potranno giocarsi il titolo: se le cose dovessero andare male, anche loro potrebbero cominciare in fretta a pensare al 2023 (e magari farsi un giro in Lottery, perché no).
9. Memphis Grizzlies
Con le mosse estive (via Jonas Valanciunas, Grayson Allen e Justise Winslow, dentro Steven Adams, Jarrett Culver e Ziaire Williams) è come se la dirigenza avesse deciso di riportare indietro le lancette dell’orologio di questa squadra di almeno un anno, dopo che nella stagione passata erano riusciti a raggiungere i playoff superando l’ultima sfida del torneo Play-In. I limiti di Valanciunas erano emersi nella post-season ma era stato fondamentale nel corso della stagione per stabilizzare l’affannoso attacco a metà campo della squadra: ci si aspetta che Jaren Jackson Jr. ritorni ai livelli pre-infortunio e dimostri di poter essere la spalla ideale per un Ja Morant pronto a staccare la testa a qualsiasi difensore provi a frapporsi fra lui e il ferro. L’impressione è che questo gruppo non abbia ancora raggiunto la sua forma definitiva (e che il rookie Ziaire Williams determinerà moltissimo delle fortune future di questo gruppo), ma non lascerà per strada niente di intentato e ogni squadra dovrà sudarsi la vittoria contro di loro fino all’ultimo secondo.
10. Minnesota Timberwolves
La scorsa stagione è andata male molto in fretta, ma guardando nei fondi della tazzina della seconda metà si possono intravedere gli incoraggianti miglioramenti di Anthony Edwards e la salute (si spera) ritrovata di Karl-Anthony Towns e D’Angelo Russell. Con loro tre assieme hanno segnato quasi 121 punti su 100 possessi, un numero superiore a quello di qualsiasi attacco della passata stagione: la sfida sta nel rendere sostenibile anche l’emorragia di punti che hanno concesso in difesa, che lo scorso anno ha chiuso al 28° posto. Rimangono la squadra con maggiore urgenza di prendere Ben Simmons, anche se quasi nessuno dei suoi asset è davvero interessante per i 76ers e quindi avrebbero bisogno di una terza squadra per concludere l’accordo. Aver ribaltato completamente il front office a pochi giorni dall’inizio del training camp non aiuta, ma il prodotto in campo sotto la cura di coach Finch dovrebbe essere quantomeno godibile rispetto agli ultimi anni. Altrimenti l’Occhio di Sauron delle altre 29 franchigie comincerà a posarsi intensamente su Minneapolis e sulla situazione di Towns.
11. New Orleans Pelicans
Per molti versi sono gli anti-Grizzlies: una squadra dal talento medio indiscutibile che per qualche motivo (specialmente difensivo) finisce per non mettere mai assieme pranzo e cena. Nonostante gli annunci del training camp Zion Williamson è ben lontano dal ritorno in campo, e coach Willie Green si ritrova una rotazione tutta da inventare con pochi giocatori in grado di fornire uguale sostegno nelle due metà campo. Al netto dell’esperienza portata da Valanciunas, Satoransky e Temple, i giovani lasciati a marinare nelle ultime stagioni (Nickeil Alexander-Walker, Kira Lewis Jr., Jaxson Hayes) devono prendersi stabilmente il posto in rotazione, nella quale sembra essersi già ben affermato il rookie Trey Murphy dopo una preseason molto interessante. Mancare i playoff, o almeno il Play-In, anche quest’anno farebbe nascere giustificati dubbi nella testa di Williamson.
12. Sacramento Kings
Anche in una regular season come quella passata in cui numerose squadre come OKC, Houston, Orlando e Cleveland a un certo punto non avevano davvero più niente per cui giocare, i Sacramento Kings — che invece avevano qualcosa per cui giocare, visto che mancano i playoff da 15 anni — sono riusciti comunque ad avere ampiamente la peggior difesa della lega. Avere probabilmente il peggior allenatore della NBA aiuta, con Luke Walton che non è stato ancora licenziato più per motivi economici (ha ancora tre anni di contratto) che tecnici. Davion Mitchell è una belva, ma si inserisce in una rotazione in cui i due migliori giocatori della squadra giocano nel suo stesso ruolo. Buddy Hield e (the Baffling Kings took) Bagley (over Luka) hanno il cartello “VENDESI” appiccicato direttamente sulla maglietta, e cederli aiuterebbe a riequilibrare un roster che in questo momento è pieno di guardie (anche Terence Davis gradirebbe minuti) e di centri (con l’inspiegabile mostro a tre teste formato da Tristan Thompson-Alex Len-Damian Jones dietro il confermato Richaun Holmes), ma drammaticamente sprovvisto di ali, specie di quelle che sappiano difendere.
13. San Antonio Spurs
Il rispetto che impone la presenza di Gregg Popovich li suggerirebbe più alto, ma a guardare il momento storico in cui si trova la franchigia viene da chiedersi se non sia arrivato il momento di fari un giro serio in Lottery. Perché aggiungere una vera prima opzione offensiva (o ancora meglio due) permetterebbe al resto dei giovani a disposizione di scalare di un gradino nella scala gerarchica e ricoprire un ruolo più consono alle proprie qualità, dando senso compiuto a una rotazione profonda ma senza picchi, specialmente nella metà campo offensiva dove comunque faticheranno. L’orgoglio di Popovich — per il quale potrebbe anche non essere l’ultima stagione della carriera, pur essendo a 26 vittorie dal record ogni epoca per un allenatore in NBA — potrebbe finire per far vincere loro più partite di quelle che dovrebbero, galleggiando attorno all’ultima posizione utile per il torneo Play-In — anche perché la concorrenza, seppur con picchi di talento superiori, non appare proprio insuperabile.
14. Houston Rockets
Probabilmente il roster più “spaccato in due” dell’intera NBA. Da una parte una serie di giovani aitanti con tanta voglia di palleggiare, tirare e scheggiare il ferro capitanato da Kevin Porter Jr. e Jalen Green (che almeno in una manciata di partite daranno l’impressione di poter diventare una coppia di guardie meritevole di un soprannome catchy) e dall’altro una serie di veterani in piena modalità “qualcuno venga a salvarmi”, a partire da John Wall che è già fuori squadra in attesa di una destinazione futura. A lui si aggiungono anche Eric Gordon e Danuel House, ma anche Daniel Theis e forse pure Christian Wood potrebbero finire la loro stagione con un’altra maglia — specie se faranno vincere a questa squadra qualche partita di troppo portando via spazio e minuti ad Alperen Sengun e Usman Garuba.
15. Oklahoma City Thunder
Decifrare la Stele di Rosetta è impresa più semplice rispetto alla loro rotazione, così come ricordarsi più di cinque giocatori presenti nel roster. È nettamente la squadra che ha meno voglia di vincere della lega, visto che — dopo essere usciti dallo scorso Draft solamente con la sesta scelta assoluta, seppur trasformata nell’interessante Josh Giddey — hanno estremo interesse a mettere le mani su una delle prime tre scelte del prossimo anno. Se siete dei veri appassionati del sottobosco NBA, rimangono però curiosi da vedere: il ritmo sincopato di Shai Gilgeous-Alexander è unico nel suo genere, Giddey promette di regalare almeno un paio di passaggi illuminanti a partita, Lu Dort è un poltergeist che insegue i suoi avversari anche nel sonno e Aleksej Pokusevski è come la scatola di cioccolatini di Forrest Gump — non sai mai quello che ti capita.