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La prima di Paolo Banchero al Madison Square Garden
10 nov 2021
Siamo stati all'esordio in maglia Duke del talento italo-americano.
(articolo)
7 min
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La palla arriva in post medio, all’altezza del gomito. Automatico, scatta il raddoppio. Paolo Banchero lo sa, lo aspetta. Appena è il momento giusto si fionda dalla parte opposta, verso la linea di fondo. Un palleggio forte, di sinistro. Poi si alza e tira, con il peso che lo porta fuori dal campo. Canestro, per l’incanto di tutti. I tifosi di Duke producono l’urlo più forte della serata. Qualcuno, nella piccionaia del Madison Square Garden, si scambia sguardi interdetti. È il momento preciso in cui ci si rende conto del perché l’esordio di Banchero era atteso con una trepidazione del genere.

Il nativo di Seattle, nonché ufficialmente convocabile dalla nostra Nazionale, chiuderà con 22 punti, 7/11 al tiro, 7 rimbalzi, 7 falli subiti. Una prestazione convincente, che regala ai Blue Devils una vittoria di spessore contro gli acerrimi nemici di Kentucky, nel torneo del Madison Square Garden che ha dato il via alla stagione NCAA. «Sembrava una partita come tutte le altre: il riscaldamento, la palla a due, le solite cose. Poi, quando i tifosi hanno iniziato a fare un rumore assordante, mi sono reso conto che no, non era una partita come tutte le altre» dirà Banchero alla fine della partita. Bombardato dalla selva di domande che solo un candidato alla prima scelta del Draft NBA è destinato a subire.

Siamo a novembre. È la prima partita dell’anno, ma fuori dal Madison Square Garden si respira una strana aria da inizio aprile, tipica del weekend della Final Four, quando si conclude la pazzia di marzo del basket collegiale. Un po’ è dovuto al clima mite, atipico per questo periodo dell’anno nella Grande Mela, un po’ però è dovuto alla concentrazione di talento di un torneo che mette in mostra quattro nobili assolute del college basketball — oltre a Duke e Kentucky, anche Kansas e Michigan State. E un po’ sono gli stormi di felponi blu oceano dei tifosi di Kentucky che pascolano con noncuranza lungo la 7th Avenue, facendo lo slalom tra turisti e uomini d’affari. Una scena tipica di qualsiasi evento che veda la presenza degli Wildcats, che ci si trovi a New York o a Salt Lake City. Utile a ricordarci come la tifoseria di questa università sia tanto chiassosa quanto refrattaria a preoccupazioni di stile.

E così, verrebbe da pensare di essere veramente alle porte della primavera, se negli occhi non fosse ancora molto vivida la memoria del fogliame novembrino che colora la cintura urbana del New Jersey, appena fuori dalla città. Un campionario di tonalità arancioni che avviluppa città diversamente popolari come Rawhay, Elizabeth, Edison — luoghi sacri per gli appassionati dei Sopranos, e la cui aria decadente soccombe per pochi giorni all’anno alla dittatura imperante del foliage autunnale. Offrendo un avvicinamento alla stagione del college basketball talmente bucolico da sembrare un’allucinazione.

Per Banchero è difficile immaginare un palcoscenico più suggestivo per fare il proprio esordio. E non solo per l’alone di mito che il Madison Square Garden inevitabilmente porta con sé. Anche se si giocasse in mezzo ai ghiacci dell’Alaska, Duke-Kentucky rimane infatti l’espressione di una rivalità torrida, storica — decisamente la più sentita del college basketball, tra quelle che coinvolgono squadre di stati diversi. Uno scontro che al torneo NCAA manca dal 1998, ma che ogni volta evoca nomi gloriosi e momenti drammatici. Su tutti The Shot, il tiro sulla sirena con cui Christian Laettner castigò Kentucky ricevendo un passaggio a tutto campo di Grant Hill, in quello che forse rimane il canestro più famoso dell’intera storia del basket collegiale. E così, trent’anni dopo, l’elettricità è rimasta intatta. La si legge sulla maglietta I still hate Christian Laettner di un tifoso di Kentucky, prontamente inquadrato sul tabellone luminoso. E la si respira nei boooo di disprezzo che accompagnano l’annuncio di John Calipari, coach di Kentucky. Figura divisiva per eccellenza ma si potrebbe tranquillamente dire detestata — sulla scena del college basketball. In un tale clima da battaglia, che potrebbe perfettamente essere quello di una partita del torneo NCAA, Banchero si cala nella parte senza mostrare il minimo tentennamento. Anzi, tiene sin dall’inizio un atteggiamento da veterano, adeguandosi all’andamento della partita, e forzando pochissimo.

Banchero parte in quintetto, come da copione. La prima penetrazione, appena toccata palla, si infrange contro la difesa. Ma i timori di un esordio deludente vengono spazzati via subito. Il primo canestro è un morbido tiro in sospensione. Segue una schiacciata su uno scarico, poi due liberi. Poi ancora il tiro in sospensione. Poi ancora liberi. Senza accorgersene è già a quota 12 dopo il primo tempo, miglior marcatore dei suoi. L’unico momento di preoccupazione arriva a inizio ripresa. Dopo un paio di movimenti innaturali chiede il cambio, sparisce negli spogliatoi. Si tocca la coscia. Si teme un infortunio muscolare, ma si tratta semplicemente di crampi. Una flebo e un massaggio, ed è di nuovo in campo, pronto per la volata finale. Segna un altro tiro dalla media, poi arriva la prodezza descritta in apertura.

https://twitter.com/espn/status/1458293266219032580

Costretta a tamponare i suoi isolamenti, la difesa di Kentucky concede corridoi ai suoi compagni. Con gli spazi ridotti al lumicino, Banchero racimola un canestro e fallo da una rimessa dal fondo. Fino al recupero nel finale che regala alla folla l’ultimo urlo della serata, un pallone strappato al palleggiatore grazie a un perfetto posizionamento sulla linea di penetrazione, che mette il sigillo definitivo sulle sorti dell’incontro.

Al netto delle sensazioni, rimane difficile mettere a fuoco pregi e difetti dopo una serata singola. È però bastata questa partita per farsi un’idea della mostruosa versatilità di Banchero e di quanto Krzyzewski intenda sfruttarla. Schierato prevalentemente da ala forte, al fianco di un centro a forte vocazione interna come l’imponente Mark Williams, Banchero si è reso partecipe in modi diversi. Attaccando fronte a canestro dal perimetro, ricevendo palla in post medio, e conducendo spesso in prima persona la transizione offensiva. Dopo un recupero o un rimbalzo difensivo, o come portatore di palla secondario per attaccare il pressing di Kentucky, soprattutto nel finale di partita. A difesa schierata, l’arma più efficace è stato il suo fulmineo tiro da 6 metri dopo un palleggio di allontanamento - un gesto tecnico che contro i difensori di Kentucky ha eseguito con la stessa facilità che mostrava al liceo, e che pare pronto a essere esportato con efficacia in NBA sin da subito. Altrettanto promettente, seppur meno appariscente negli highlights in circolazione, è la propensione a trasformare i contatti in falli subiti. Sia andando verso il canestro che tirando da fermo. I 9 liberi conquistati, di cui 8 su effettiva azione di tiro, ne sono la prova più importante.

Anche nella metà campo difensiva ha dato prova di apprezzabile flessibilità. Pur occupandosi di avversari non particolarmente pericolosi — Jacob Toppin e Keion Brooks Jr. — ha concesso solo 5 punti all’avversario diretto in tutta la partita — una dormita su un taglio e una chiusura pigra su un tiro da tre. Per il resto si è fatto trovare generalmente pronto, sia in aiuto che in occasione di alcuni cambi di emergenza lontano dal canestro. «Migliora ogni giorno. È migliorato tantissimo rispetto a come giocava un mese fa» dirà a fine partita coach K. «L’unica cosa che non mi è piaciuta sono i palleggi di troppo» ha spiegato subito dopo riferendosi a un frangente del primo tempo in cui Banchero ha indugiato con i palleggi sul posto, perdendo il ritmo e finendo per commettere uno sfondamento. Da rivedere anche il tiro da tre: la difesa glielo ha concesso e lui ha sbagliato tutti e tre i tentativi, senza particolare convinzione. Ma il bilancio resta ampiamente positivo. Soprattutto per un giocatore il cui istinto è quello di scatenarsi in campo aperto, e che anche in una partita fisica, giocata prevalentemente a metà campo, è riuscito a fare la differenza. «A volte si nota troppo poco, vorrei parlasse di più. Ha una grande capacità di pensare sempre la cosa giusta. Deve imparare a comunicarlo anche ai compagni», con queste parole ha chiuso i suoi consigli a Banchero il suo allenatore.

Terminate le lodi per il suo pupillo, Krzyzewski si gode la prima tappa della sua passerella finale. Dopo 41 stagioni alla guida dei Blue Devils, si ritirerà infatti al termine di questa stagione con cinque titoli NCAA in bacheca, svariati ori con la Nazionale USA, e un posto inamovibile tra coloro che hanno fatto la storia di questo gioco. Prima della palla a due aveva inaugurato il suo farewell tour in maniera sobria, ricevendo una targa di ESPN davanti a un Madison Square Garden ancora semivuoto. Incassati gli applausi dei presenti con un saluto frettoloso, aveva però mostrato un’evidente premura di raggiungere la squadra, ancora chiaramente calato a pieno nel suo presente di allenatore. Dalla panchina è stato il solito coach K.: un continuo sbracciarsi, spesso in sintonia con Jon Scheyer, l’ex giocatore che ne raccoglierà l’eredità sulla panchina a fine anno. «It just felt so good» dirà alla fine, come se avesse allenato la sua prima partita. E a sentirsi bene, questa sera, sono in tanti. È novembre, c’è ancora un’intera stagione davanti. E per Banchero, un’intera carriera.

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