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Ho visto Maradonjic
01 set 2022
Una delle sorprese più divertenti di questo inizio di campionato.
(articolo)
11 min
(copertina)
Alessandro Sabattini/Getty Images
(copertina) Alessandro Sabattini/Getty Images
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Si dice che i nostri tempi ci abbiano assuefatto all’imponderabile, ma anche il più disincantato di noi avrebbe fatto fatica a immaginare che nell’estate del 2022 avrebbe letto della rinascita di Nemanja Radonjic. 26 anni, la barba rada, le sopracciglia luciferine da cattivo dei fumetti, Radonjic non è troppo diverso da quando a nemmeno 18 anni arrivò per la prima volta in Italia. Sul suo talento ci aveva scommesso oltre quattro milioni di euro l’unica persona con l’incoscienza per farlo, Walter Sabatini. Al suo arrivo l'ex DS della Roma, con il solito gusto per l’esagerazione, invitò i giornalisti a cercarlo in futuro se si fosse sbagliato su di lui: «Ha un talento immenso». In questi giorni, dopo le prime buone prestazioni con la maglia del Torino, qualcuno effettivamente è andato a cercarlo e lui non si è fatto pregare per ricordare a tutti che effettivamente non si sbagliava: «Certo che ricordo Radonjic. Un talento fantastico, giocatore eccezionale. Un esterno offensivo velocissimo e con grande tecnica. Furono proprio queste doti a colpirmi, perché un conto è essere veloci e basta. Un’altra cosa è fare sempre le cose giuste su ritmi altissimi».

Negli otto anni che intercorrono tra le due dichiarazioni di Sabatini, però, il tempo non sembra essersi mosso di un passo perché, nonostante nel frattempo sia diventato un giocatore adulto cambiando la bellezza di sei squadre, Radonjic deve ancora dimostrare tutto. Arrivato a Roma all’inizio del 2014, infatti, la situazione non era poi così diversa. Nonostante la giovanissima età, Radonjic aveva già cambiato diverse squadre lasciandosi alle spalle una scia di irrequietezza e la nomea di essere uno dei talenti balcanici più brillanti della sua generazione. In Serbia, da tifoso della Stella Rossa, si era rifiutato di firmare il suo primo contratto da professionista con il Partizan Belgrado, dove era cresciuto, e di lì a poco aveva quindi deciso di trasferirsi all’Academia Hagi, in Romania (per questa decisione il presidente del Partizan lo accusò di avere problemi mentali). Da lì il trasferimento alla Roma e l’inizio della sua personale via crucis nel mondo dei professionisti del calcio europeo. Gli inizi nella Primavera giallorossa, l’illusorio gol nel torneo di Viareggio, e la sparizione, le voci chissà quanto fondate su una presunta vita dissoluta, sulle fughe da Trigoria. “Una specie di fantasma” lo definisce il Messaggero in quel periodo. Poi l’ininfluente passaggio all’Empoli in prestito e il ritorno in Serbia. Il passaggio al Cukaricki e il ritorno da professionista alla Stella Rossa, dove avviene la prima apparente rinascita. Nella stagione 2017/18 mette a segno 7 gol e 8 assist in tutte le competizioni, poi all’inizio di quella successiva trascina quasi letteralmente la squadra serba in Champions League segnando quattro gol nei quattro turni dei playoff. È abbastanza per convincere il Marsiglia, che lo riporta nell’élite del calcio europeo.

In Francia Radonijc ritrova Rudi Garcia, che al suo arrivo ammette di non ricordarsi di lui (forse sarebbe stato strano il contrario). Il tecnico francese però sembra apprezzarlo, soprattutto per una qualità che i nostri pregiudizi farebbero fatica a riconoscergli. «Credo che abbia infranto i record di chilometri percorsi in una partita in tutta la storia del calcio mondiale», dice dopo una vittoria contro il Nizza a inizio stagione. Dopo quella partita, però, Radonijc il campo lo vede poco, e per lo più da subentrato. Le cose sembrano cambiare leggermente con l’arrivo di Villas Boas, con cui non gioca molto di più ma perlomeno vive un momento di lucentezza. Tra il novembre e il dicembre del 2019 segna quattro gol in cinque partite consecutive, subentrando sempre dalla panchina.

Contro lo Stade Brestoise raggiunge l’ideale a cui aspira il suo talento. All’89esimo, una manciata di secondi dopo il pareggio avversario e l’uscita dal campo di Dimitri Payet, che siede torvo in panchina, Radonijc riceve palla sull’esterno sinistro e punta l’area correndo sulle punte. Quando corre palla al piede l’ala serba sembra in equilibrio su un filo, sempre sul punto di cadere da una parte o dall’altra. In questo caso sterza a destra appena entrato in area e poi mette il pallone a giro dalla parte opposta mirando al palo più lontano. Villas Boas ha il sorriso di chi sta realizzando di aver avuto un colpo di fortuna, Payet è completamente trasfigurato e sta abbracciando tutti i membri della panchina uno per uno come se gli fosse appena nato un figlio, lo stadio sembra ribollire sugli spalti. Radonijc però non conosce un modo non polemico per esultare e sembra sempre avercela con qualcuno dentro o fuori dal campo, a cui in questo caso mostra le orecchie. Lo senti come impazziscono per me? Sembra dirgli.

È il periodo in cui il soprannome NR7 (che ancora campeggia in cima al suo profilo Instagram) esce dalla sua bolla ironico-mitomane ed entra nella realtà. Villas Boas lo definisce un "supersub", Damien Le Tallec, suo ex compagno alla Stella Rossa allora al Montpellier, un «piccolo genio». Sembra l’inizio di una nuova storia, ma in realtà è un’altra via senza uscita. La storia di Radonijc in qualche modo assomiglia al suo gioco, fatto di pause ricorrenti e accelerazioni fulminanti. Dopo questo periodo di primavera infatti continua a giocare poco, nonostante Villas-Boas continui a definirsi un suo estimatore. Stremato dalle panchine, circa un anno dopo, Radonijc decide di trasferirsi all’Hertha Berlino pochi giorni dopo aver dichiarato che sarebbe rimasto a Marsiglia fino alla fine di quella stagione. Fino a quel momento aveva giocato nemmeno 400 minuti in campionato, eppure la sua cessione e la sua sostituzione con Olivier Ntcham fa precipitare le cose. Villas-Boas, che dichiara di non essere stato nemmeno informato della sua partenza, si dimette in polemica con la società. Ancora una volta, dopo aver lasciato le macerie, Radonijc però sparisce: all’Hertha Berlino gioca una manciata di minuti segnando un solo gol, al Benfica (dove viene ceduto in prestito la stagione successiva) il suo passaggio è ancora meno rilevante.

Radonijc è così, sembra fatto per sparire e riapparire. Dopo poco più di mille minuti giocati in due stagioni è ricomparso in Italia nell’unico modo in cui avrebbe potuto farlo. E cioè anticipato da una scia di entusiasmo per i suoi gol in precampionato come la carovana di macchine al Giro d’Italia, e con il gol più Radonijc possibile al suo esordio ufficiale in Coppa Italia, contro il Palermo. Il trequartista serbo è entrato in area attaccando il secondo palo e con un colpo di testa senza alcuna convinzione ha piegato le mani non fermissime del portiere avversario. Poi, correndo verso la bandierina, ha dedicato il gol all’arbitro con cui era in polemica già da prima, venendo ammonito mentre si abbracciava con i suoi compagni.

La riapparizione è durata di più di una sudata partita d’estate. Radonijc ha continuato a mostrare la versione migliore di se stesso anche nelle prime tre partite di campionato, contro Monza, Lazio e Cremonese. In questo piccolo scampolo di campionato l’ala serba è stato il giocatore della Serie A che ha tentato più volte il dribbling (26, di cui 9 riusciti) donando un po’ di dolcezza al gioco satanico di Juric.

Le prestazioni di Radonijc sono riuscite a far dimenticare la difficile estate del Torino, che ha perso i due suoi giocatori migliori e ha visto il proprio allenatore venire alle mani con il suo direttore sportivo. La cessione di Bremer e il mancato rinnovo di Belotti hanno creato un buco nero emotivo che ha oscurato anche altre perdite, meno evidenti ma non meno importanti. In particolare, rispetto allo scorso anno, la squadra di Juric ha perso due dei giocatori più influenti sulla trequarti, e cioè Praet (che a quanto pare il Torino sta provando a riprendere) e soprattutto Brekalo, una delle più belle sorprese della scorsa Serie A. Il trequartista croato è un giocatore che riesce a coniugare intensità e visione di gioco, e prima dell’inizio di questo campionato ci si chiedeva se almeno uno dei nuovi arrivati a Torino potesse effettivamente colmare il suo vuoto. Cosa bisognava aspettarsi da Vlasic e Radonjic, due talenti balcanici finiti nel limbo del calcio europeo?

Radonjic è un giocatore molto diverso da Brekalo. È meno a suo agio nel giocare tra le linee e con i compagni, e non sempre la tecnica riesce a soddisfare l’ambizione della sua visione di gioco, di certo meno cerebrale di quella del trequartista croato. Radonjic gioca per puntare l’avversario, preferibilmente partendo in conduzione dall’esterno del campo. In questo senso, la sua presenza rende il Torino ancora più diretto e verticale di quanto non lo sia già, perché la sua pausa non è mai diretta a immaginare una linea di passaggio o a far riordinare i suoi compagni, ma quasi sempre a illudere il difensore avversario. In queste prime apparizioni abbiamo visto la caratteristica che ha fatto innamorare gli scout e i direttori sportivi che hanno continuato a puntare su di lui. Una leggerezza nella falcata che sembra farlo volare a qualche centimetro da terra, come se levitasse sul campo più che correre. D’altra parte, lo stesso Radonjic non ha certo mai nascosto che sia questo il suo punto forte. All’arrivo all’Hertha Berlino dichiarò di aver raggiunto i 37 chilometri orari con la maglia del Marsiglia. Se credete ai titoli dei video YouTube questa cifra può arrivare fino ai 55 chilometri orari, ma al di là dei numeri vi sarà bastato vedere un giocatore rapidissimo come Lazzari in difficoltà contro di lui per toccare con mano la sua velocità.

Come ha fatto notare anche Sabatini, però, Radonjic non è solo un giocatore veloce. Soprattutto è un giocatore imprevedibile. Radonjic può puntare l’avversario rientrando con l’esterno del destro (la sua soluzione preferita) ma anche lanciandosi la palla lungo linea e cercando il cross con il sinistro. È tutto fuorché un giocatore monocorde e per i difensori è difficile capire prima cosa farà. A volte sembra essere lui stesso a non sapere quale sarà la sua prossima mossa. Quando corre in conduzione gli può succedere di perdere il controllo del pallone e il suo dribbling è così spettacolare (quando funziona) perché nella sua preparazione lascia sempre l’impressione all’avversario di poter intervenire facilmente. In questo modo, quando riesce a superare l’uomo, Radonjic lo fa senza appello, lasciando l’avversario confuso e il nostro occhio nel regno dell’inaspettato. Vederlo giocare nei giorni di buona significa chiedersi spesso che cosa è successo, domanda che ritornerà utile con un’altra sfumatura di significato anche quando magari le cose inizieranno a incrinarsi. Credo sia per questo che, nonostante sia un giocatore ancora meno solido e meno maturo di Brekalo, ci abbia messo meno di quattro partite a creare un culto intorno a sé e a far spuntare sugli spalti dello stadio Olimpico di Torino uno striscione con scritto: “Ho visto MaRadonjic”. Cosa si segue a fare il calcio, un sport quasi sempre noioso, se non per illudersi di fronte a giocate come questa?

In queste prime apparizioni Radonjic ha ballato sul confine tra la leggerezza e l’inconsistenza, e se dovesse sparire di nuovo nelle prossime settimane potremmo tornare indietro a guardare quello striscione per convincerci che non sia stata tutta un’allucinazione. Ad essere ottimisti c’è da dire che il trequartista serbo ha messo in mostra anche qualità meno evidenti ma più mature, per esempio un’ottima lettura degli spazi nel decidere quando e dove ricevere, se sull’esterno o nel mezzo spazio, e una freddezza su cosa fare in spazi stretti che denota una maturità che facciamo fatica a riconoscergli. Il suo gol alla Cremonese, in questo senso, è un trailer di tutte le qualità migliori: la conduzione sull’esterno e il tacco perfetto a liberare Vojvoda, certo, ma anche il movimento senza palla ad attaccare il primo palo, che lo porta a battere a rete a pochi metri dalla linea di porta. È questo il vero Radonjic o quello che pochi minuti prima aveva aperto la strada verso la porta a Linetty con una finta di assist esultando ancora prima che il suo compagno sparasse il pallone sui piedi di Radu?

Queste prime partite ci fanno chiedere se Radonjic non sia finalmente pronto ad uscire dallo stereotipo che lui stesso si è impegnato a costruire ostinatamente in questi anni. Non sarà facile in quella che si preannuncia essere una delle stagioni più impegnative di sempre, con un Mondiale in mezzo a cui Radonjic dovrebbe essere convocato. Già per la partita di stasera, contro l’Atalanta, non è detto che ce la faccia perché, come ha detto Juric nella conferenza pre-partita, «non ha giocato per anni e ha dolori, anche ieri non si è allenato». Certo è difficile capire la sincerità di un allenatore che si lamenta praticamente sempre, ma è vero che dopo questa sbornia di entusiasmo è difficile capire cosa verrà dopo. «Non sappiamo cosa possa fare Radonjic», ha detto Juric dopo la partita vinta con la Cremonese «Magari esplode domani o chissà».

Forse siamo di fronte a una nuova pagina della sua storia, forse non conosceremo mai i limiti del talento di questo giocatore che sembra fatto per sedurci e abbandonarci per sempre. Alla fine, pensandoci bene, sarebbe bello anche così, almeno per noi.

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