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La squadra di una città che non esiste
13 gen 2025
Il Neom Sports Club è un simbolo del nuovo corso storico dell'Arabia Saudita.
(articolo)
12 min
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Foto tratta dal sito del progetto Neom
(copertina) Foto tratta dal sito del progetto Neom
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L'etimologia di Neom va ricercata in νέο (“nuovo" in greco) e in mustaqbal (“futuro in arabo”). È il nome di una città che ancora non esiste, se non sulla carta dei progetti. Dovrebbe comparire nel nord dell’Arabia Saudita nel 2025 e essere completata entro il 2039. I lavori al momento sono, secondo alcune indiscrezioni non confermate ufficialmente, ancora a una fase embrionale. L’intero progetto è supervisionato da una società posseduta dal Public Investment Fund, meglio noto come PIF, cioè il fondo sovrano dell’Arabia Saudita.

Si tratta di una città pensata per essere un simbolo, una vetrina dentro cui il mondo occidentale può osservare l'Arabia Saudita. È un paese in cui realtà e immaginazione sfumano l'uno dentro l'altra, e Neom sarà una grande utopia.

Come sappiamo il calcio - e lo sport in generale - sta avendo un ruolo strategico nella costruzione di una certa immagine per l'Arabia Saudita. E allora è fisiologico che anche Neom deve avere la propria squadra di calcio. La particolarità è che questa squadra è nata ancor prima della città.

UNA SQUADRA SENZA TIFOSI
Il 5 giugno del 2023 il Ministero dello Sport saudita annuncia l’acquisizione da parte della società Neom dell’Al-Suqor, squadra di terza divisione. Il 24 dicembre viene poi annunciato il cambio di nome in Neom Sports Club.

Questo il logo.

È un progetto che fa sul serio fin dall’inizio: come amministratore delegato del club viene nominato Moaath Alohali, che solo pochi mesi era riuscito a portare Steven Gerrard e Jordan Henderson nell’Al Ettifaq. I soldi investiti nella squadra si fanno subito sentire: già nella stagione 2023/24 il Neom vince la terza divisione con 21 vittorie in 30 partite. Il mercato dell’estate 2024 è faraonico: dalla prima divisione saudita, e in particolare dai quattro club del gruppo PIF (Al Nassr, Al Hilal, Al Ahli e Al Ittihad), arrivano giocatori come il senegalese Mbaye Diagne, l’egiziano Ahmed Hegazi, il guineense Alfa Semedo, i brasiliani Carlos Junior e Romarinho e i nazionali sauditi Al-Breik e Al-Hassan. Come allenatore viene ingaggiato il brasiliano Péricles Chamusca, ormai reduce da un’esperienza quasi decennale nella Saudi Pro League.

A dimostrazione della serietà del progetto ci sono alcune statistiche: se consideriamo tutto il sistema calcistico saudita, nell’estate 2024 Neom è stata la seconda squadra con il bilancio entrate/uscite più oneroso (17.11 milioni di euro di uscite e nessuna entrata), dietro solo all’Al-Hilal e davanti a tutte le altre pur militando nella serie cadetta.

L’acquisto più costoso di quest’estate è stato quello del terzino ventenne Abdulmalik Al-Oyayari, comprato dall’Al-Tawouun per una cifra superiore agli otto milioni di euro. Numerosissimi (sedici su venti) sono stati inoltre gli acquisti in prestito o a titolo gratuito, verosimilmente facilitati dal fatto che le squadre saudite siano tutte strettamente collegate tra loro da una gestione centralizzata a livello statale.

Insomma, in un modo o nell’altro, la rosa del Neom è arrivata a valere, secondo Transfermarkt, 17.63 milioni di euro, cioè quasi tre volte la seconda squadra più preziosa della seconda divisione (l’Al-Tai, che vale 6.48 milioni di euro). Almeno sul piano finanziario, nessuna squadra della Saudi First Division potrebbe dunque ragionevolmente pensare di poter competere con Neom.

Tutto questo lavoro in sede di mercato sta dando i suoi frutti sul campo, perché Neom attualmente è primo nella seconda divisione con nove vittorie in quattordici partite e una differenza reti di +17, numeri che lo rendono candidato di diritto a una facile promozione in massima serie - anche considerando che salgono le prime due più un’altra dai playoff.

Il fenomeno è Romarinho, arrivato al Neom quest’estate dopo sei anni trascorsi all’Al-Ittihad e oggi capocannoniere del campionato con dieci gol all’attivo. Oltre alla sezione calcistica maschile, il Neom Sports Club presenta anche una squadra calcistica femminile - che è già in prima divisione saudita - e le sezioni di altri dodici sport, tra cui basket, pallavolo e ping pong. Molte di esse stanno già iniziando a ottenere risultati rilevanti su scala nazionale: insomma, la promozione di Neom passerà anche dallo sport, chiamato a dare alla futura città un’immagine vincente.

La natura stessa del progetto presenta però un’ovvia criticità, che probabilmente già vi sarete posti: ma se non hanno una città, chi li tifa?


La risposta è facile, anche se potrebbe deludervi: nessuno. In attesa del completamento della città pianificata, Neom è andata a giocare nel King Khalid Sport City Stadium di Tabuk, città non lontana dal confine con la Giordania e vicina a dove dovrebbe sorgere Neom, la città. A giudicare dai video caricati sui social network gli spalti dello stadio, che potrebbe contenere fino a 12.000 spettatori, rimangono sempre vuoti o quasi. Perfino in occasione della festa per la promozione in seconda divisione nello stadio non era presente che una quantità ridotta di spettatori, che sono andati a occupare solo una parte dell’unica tribuna messa a disposizione. Insomma, il progetto non scalda più di tanto i quasi 600.000 cittadini di Tabuk. Il rischio di una “squadra di plastica” è concreto, ma questo non sembra preoccupare più di tanto gli appassionati sauditi, comprensibilmente meno attenti di noi europei a certe questioni di etica sportiva.


Lo sviluppo del Neom Sports Club, in ogni caso, è da inquadrarsi in un disegno più ampio, che vede le autorità calcistiche saudite impegnate a cercare di rendere sempre più alta la competitività del proprio campionato. Durante l’estate 2023 vi sarete probabilmente accorti che il boom della Saudi Pro League altro non era, a ben vedere, che il boom delle quattro squadre detenute dal fondo PIF, cioè Al-Hilal, Al-Nassr, Al-Ittihad e Al-Ahli, che si sono prese la maggior parte dei giocatori europei di alto livello lasciando gli avanzi ad Al-Shabab e Al-Ettifaq e le briciole a tutte le altre.

Già quest’estate però qualcosa è cambiato e lo abbiamo visto con i forti investimenti effettuati dal neo-promosso Al-Qadisiyah, cioè la squadra della compagnia nazionale petrolifera Aramco. Se il nome non vi è nuovo è perché è la squadra che ad agosto scorso è andata vicina ad acquistare Paulo Dybala dalla Roma, in quella che sarebbe stata la ciliegina sulla torta di un mercato che aveva già visto arrivare giocatori come Casteels, Nacho e Aubameyang. Anche Neom si inserisce nella stessa direzione e con questo andazzo è possibile che si aggiungerà alla lista delle “grandi” del calcio saudita.

In Arabia Saudita il calcio ha un’impronta fortemente statalista: tra le principali squadre, quattro appartengono al fondo sovrano, un’altra appartiene alla principale compagnia petrolifera del paese e - come abbiamo visto - se ne sta affacciando una ulteriore di una città pianificata la cui realizzazione è supervisionata anch’essa dal fondo sovrano. Molte altre, poi, sono sotto il controllo diretto o indiretto del Ministero dello Sport. Insomma, una situazione quasi paragonabile a quella del calcio sovietico, quando c’erano il CSKA Mosca che era la squadra dell’Armata Rossa, la Lokomotiv Mosca che era la squadra del Ministero dei Trasporti, la Dinamo Mosca che era la squadra del Ministero dell’Interno e così via. Anche se ci sono stati, ultimamente, degli sforzi per provare a privatizzare il calcio saudita: la scorsa estate il Ministero dello Sport ha messo ufficialmente in vendita sei squadre, di cui tre della massima serie, per renderle appetibili per investitori sauditi e stranieri.


VISION 2030
Se il Neom sta ricevendo tanti finanziamenti è anche perché calza a pennello con i progetti delle autorità saudite, dal momento che concilia il desiderio di creare una Saudi Pro League competitiva per più squadre con uno dei simboli della Vision 2030.

Ma cos’è, esattamente, questa Vision 2030?


Volendo semplificare, potremmo dire che è la mano invisibile dietro quell’insieme che raggruppa una serie di cose che sono successe in Arabia Saudita apparentemente distanti tra loro come la concessione di maggiori diritti alle donne, gli accordi di Abramo, il programma nucleare che sta venendo sviluppato e i tentativi di mediazione del governo di Mohammed Bin Salman nel conflitto tra Russia e Ucraina, ma anche l’Expo 2030 a Riyadh, il Six Kings Slam, la possibile nascita di un nuovo Masters 1000, la creazione di un Gran Premio di Formula 1 a Gedda, l’acquisizione del Newcastle da parte del fondo PIF e l’ingaggio di Roberto Mancini come commissario tecnico della Nazionale di calcio.


Se invece volessimo dare una risposta più precisa, diremmo che è il programma strategico varato nel 2016 dal principe ereditario Mohammed Bin Salman per diversificare l’economia dell’Arabia Saudita e ridurne la dipendenza del petrolio. Si tratta di un progetto ambizioso e variegato, che include il tentativo di affermarsi come un’oasi di pace e diplomazia all’interno del caos geopolitico del Medio Oriente, quello di entrare con forza nell’economia occidentale tramite massicci investimenti e quello di ripulire agli occhi del mondo esterno la propria immagine, sporcata dalle innumerevoli violazioni dei diritti umani, tramite l’intrattenimento. Andando sul drastico, potremmo dire che è l’ambiziosissima scommessa su se stessa della famiglia Saud, che per conservare il proprio potere senza stravolgimenti dovrà permettere agli abitanti del regno di mantenere lo stesso benessere anche quando il petrolio finirà. Cosa inevitabilmente destinata a succedere.


La sezione della Vision 2030 più comunicata è quella sportiva, ma la parte finanziaria non è certo stata presa meno in considerazione da Riyadh: tra le compagnie di cui PIF detiene delle azioni figurano Uber, Blackstone, Eni, Boeing, Facebook, Pfizer, Booking.com e Starbucks. E non è da meno quella geopolitica: se l’Arabia Saudita sta facendo grandi sforzi diplomatici per tenere un piede in due scarpe sia nel conflitto tra Russia e Ucraina sia in quello tra Israele e Hamas - e quindi tra Israele e Iran - è per cercare di mantenere buoni rapporti con tutte le potenze in gioco, sia regionali sia mondiali, e allo stesso tempo dipingersi come un paese sicuro, tranquillo e amico di tutti.

L'UTOPIA
Ora dovrebbe essere più chiaro come si inserisce in questo quadro il progetto di Neom. La città pianificata nei pressi del confine con l’Egitto, il cui progetto è stato varato nel 2017, è il perfetto simbolo di come l’Arabia Saudita vuole raccontarsi al mondo: intrigante, avvincente, futuristica anche a costo di scadere nell’eccesso. Le caratteristiche fondamentali di questa città, o almeno quelle che il governo di Riyadh ha comunicato, sono presto elencate: una città lineare (quindi che si estenda in una sorta di linea retta) totalmente ecosostenibile da inaugurare nel 2025 e da completare definitivamente nel 2039, che dovrebbe costare 1500 miliardi di dollari, ospitare 300.000 persone (inizialmente sarebbero dovute essere 1.5 milioni, poi il numero è andato ridimensionandosi) ed estendersi su 26.500 chilometri quadrati, cioè poco più dell’area totale della Sicilia. Neom dovrebbe creare 460.000 nuovi posti di lavoro e aggiungere 48 miliardi di dollari al PIL dell’Arabia Saudita.

Proprio la promessa di rendere Neom un capolavoro di urbanistica è stato tra le colonne portanti del processo di candidatura di Riyadh per Expo 2030, di cui, non a caso, il tema principale è “guardiamo insieme al futuro”. Saranno quattro le principali micro-regioni all’interno dell’area di Neom: The Line, Oxagon, Trojena e Sindalah. The Line, il vero cuore di Neom, sarà una città lunga 170 chilometri e larga 200 metri pensata per non avere macchine e strade al fine di ridurre le emissioni di carbonio, in cui tutti i servizi saranno al massimo a cinque minuti a piedi da ogni posto; Oxygen sarà un complesso industriale galleggiante in cui tutte le aziende opereranno esclusivamente con energia rinnovabile; Trojena sarà una località di turismo montano nel quale, non a caso, è previsto che si disputino i Giochi Asiatici invernali del 2029; Sindalah sarà un’isola extra-lusso nella quale verranno accolti turisti da ogni dove.

Come potrete immaginare, comunque, i problemi ci sono. Neom non sorge nel nulla, bensì in un’area storicamente abitata dalla tribù nomade Huwaytat, che ebbe, tra l’altro, un ruolo rilevante nella rivolta degli arabi contro l’Impero ottomano nel corso della prima guerra mondiale. Il 13 aprile 2020 Abdul Rahim al-Huwaiti mostra tramite dei video sui social i tentativi violenti da parte delle autorità saudite di far sloggiare lui e i membri della sua tribù dalla zona del nord dell’Arabia Saudita destinata alla costruzione di Neom, spiegando che si opporrà allo sfratto. Pochi giorni dopo verrà annunciata la sua morte, ufficialmente perché avrebbe aperto il fuoco contro le autorità militari saudite. Verosimilmente non è stato l’unico della sua tribù ad aver fatto questa fine. Pochi mesi dopo, nel giugno 2020, Mohammed Bin Salman firma un contratto da 1.7 milioni di dollari con la società statunitense di lobbying Ruder Finn per bloccare sul nascere qualsiasi polemica su Neom. Arriva il 2022 e arrivano altre polemiche, perché la Corte Criminale Specializzata, un tribinale che giudica sospetti terroristi e attivisti per i diritti umani, condanna a morte tre membri della tribù Howeitat che nel 2020 aveva provato a resistere allo sfratto. Sempre su questo tema, è di pochi mesi fa la rivelazione dell’ex membro dei servizi segreti sauditi Rabih Alenezi secondo cui le forze saudite avrebbero addirittura avuto il permesso di “usare forza letale” nei confronti di chiunque avesse fatto opposizione a quanto necessario per liberare la zona della futura Neom senza intoppi.

Va ricordato poi quanto successo nel 2018, quando in seguito al tristemente celebre assassinio nel consolato saudita a Istanbul del giornalista Jamal Khashoggi arrivarono le dimissioni dal progetto Neom del manager statunitense Daniel L. Doctoroff e dell’architetto inglese Norman Foster, entrambi coinvolti nei lavori. Non solo: sono sorte forti preoccupazioni sull’impatto ambientale che potranno avere i già citati Giochi Asiatici invernali del 2029, che vedranno la costruzione di impianti sportivi praticamente da zero, e ci sono state delle polemiche anche sulla cultura del lavoro tossica imposta dal capo del progetto, Nadhmi Al-Nasr, accusato di maltrattare i dipendenti tra molestie e minacce. Sono anche circolate voci secondo cui nell’ambito del progetto per The Line si siano spiati i telefoni cellulari dei cittadini sauditi affinché si possano capire al meglio le loro esigenze per la nuova città da costruire, voci a cui il Ministero saudita delle Comunicazioni ha preferito non rispondere.

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