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L'uomo che vuole comprare la F1
11 set 2024
Cosa significa l'ingaggio di Adrian Newey da parte della Aston Martin.
(articolo)
10 min
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Foto di IMAGO / Vladimir Rys
(copertina) Foto di IMAGO / Vladimir Rys
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Secondo Naomi Klein, autrice del bestseller No logo (Harper Collins, 2000), negli anni Novanta la casa di moda Tommy Hilfiger cambiò radicalmente il proprio modo di fare impresa. Non avrebbe più prodotto “cose” — in particolare capi d’abbigliamento di fascia alta, in un mercato già presidiato con successo da Lacoste e Ralph Lauren. Piuttosto avrebbe fabbricato “immagini”, dedicando tutte le risorse dell’azienda al marketing e alla crescita del marchio. È stata una strategia vincente: in dieci anni il valore dell’azienda è cresciuto da poche centinaia di milioni a 1,6 miliardi di dollari.

Uno degli uomini dietro alla rinascita del marchio Tommy Hilfiger era Lawrence Stroll, un nome che anni dopo gli appassionati di Formula 1 avrebbero imparato a conoscere. Stroll e i suoi soci hanno usato molte volte lo stesso meccanismo per arricchirsi — rilevare un’azienda promettente e in difficoltà economiche, rivalutarne il marchio attraverso una campagna di marketing aggressiva, rivendere a prezzo maggiorato. In molti, alla notizia dell’acquisizione del pacchetto di maggioranza dell’Aston Martin da parte di Stroll nel 2020, avranno pensato: ci risiamo.

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Aston Martin è un marchio storico e di lusso dell’automobilismo mondiale, che versava in gravi difficoltà finanziarie. Nel 2019 una trimestrale al di sotto delle previsioni aveva fatto crollare del 75% il valore delle azioni della casa inglese. L’azienda, la cui proprietà era passata di mano molte volte, si preparava all’ennesimo ribaltone e sembrava proprio che le condizioni per applicare la “ricetta Stroll” ci fossero tutte. Stavolta però c'erano due ingredienti assenti in tutte le precedenti avventure del tycoon canadese: la passione e il cuore.

Nel mondo degli affari, la passione di Lawrence Stroll per i motori è arcinota. Nel 2000 ha comprato il circuito di Mont-Tremblant, dove sul finire degli anni Sessanta la Formula 1 ha corso il Gran Premio del Canada in due occasioni. Oltre a ospitare gare di categorie minori, oggi Mont-Tremblant è anche il teatro delle personalissime uscite in pista di Lawrence Stroll. Sulla poderosa collezione di auto di Lawrence si è favoleggiato molto. Nessuno conosce l’esatta composizione del suo garage, e questo ha dato la stura alle più perverse ricostruzioni. Stroll possederebbe, tra le altre: una rarissima Ferrari 250 GTO da 70 milioni di dollari; una Ford GT di ispirazione lemansiana; una Valkyrie, l’hyper-car che Aston Martin ha progettato in collaborazione con Adrian Newey e la Red Bull.

È stata la passione di Lawrence ad aver spinto il figlio Lance nel mondo dei motori. Tutti giurano che non ci sia mai stata una qualche forma di imposizione, nessuna storia tesa come quelle avvenute sui campi da tennis tra Mike e Andre Agassi. Però è un fatto che Lawrence non abbia badato a spese per sostenere la carriera di Lance. Dall’ingresso nella Ferrari Driver Academy alle decine di ore di test privati su una Prema in Formula 3, Stroll senior avrebbe investito all’incirca 80 milioni di euro per costruire una carriera da pilota per Lance. Il sogno di diventare campione del mondo di Formula 1 sembra appartenere più al padre che al figlio.

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Un altro centinaio di milioni di euro sono serviti a Lawrence per acquisire la proprietà di una scuderia di Formula 1, l’indebitata Force India che nel 2019 è stata rinominata Racing Point. L’ingresso del marchio Aston Martin in Formula 1 è stato un approdo naturale, se consideriamo il modo di fare affari di Stroll senior. Non esiste nel mondo dell’automobilismo un mezzo di marketing più potente della classe regina delle competizioni a ruote scoperte. Alla Ferrari, che porta nelle corse il peso della storia del suo marchio, non serve neanche vincere in Formula 1 per vendere le proprie berlinette stradali: basta essere al via del Gran Premio ogni domenica. In questa intervista alla Bbc, Stroll dichiara che la percezione del marchio Aston Martin presso i clienti è cambiata radicalmente da quando hanno debuttato nel Mondiale.

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Promosso su un sedile di una monoposto in pianta stabile, Lance ha avuto un apprendistato difficile, soprattutto se si considera che ha dovuto sopportare confronti scomodi con i piloti dall’altra parte del garage: Sergio Perez, quando la scuderia si chiamava ancora Racing Point; Sebastian Vettel e Fernando Alonso, nell’era Aston Martin. Nonostante le molte difficoltà, Lance ha mostrato qui e lì momenti di brillantezza alla guida, di certo non è uno dei piloti più scarsi nel lotto dei venti. Ma non è neanche un talento generazionale alla Max Verstappen o alla Charles Leclerc, come forse suo padre avrebbe voluto che fosse.

Mettere sotto contratto piloti campioni del mondo rientra nella strategia di rivalutazione del marchio Aston Martin, ma può essere anche considerato come l’ennesimo, costosissimo tutoring per affinare la crescita di Lance come pilota. Come vedere allora la costruzione dei nuovi edifici del Technology Campus e della avveniristica galleria del vento? Fin dove può arrivare l’amore di un padre?

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L’ultimo regalo per l’Aston Martin da parte di Lawrence Stroll è Adrian Newey, l’ingegnere aerodinamico che ha vinto titoli a raffica ovunque sia andato. Newey ha dichiarato di aver scelto l’Aston Martin perché secondo lui Lawrence Stroll è l’ultimo dei proprietari vecchia maniera rimasti in griglia, un tipo alla Frank Williams o Ron Dennis, gente capace di indebitarsi fino al collo, o di rischiare la galera, pur di mettere la propria monoposto davanti a tutte le altre.

L’ingaggio di Newey in Aston Martin era scontato solo in apparenza. In primis per l’esborso economico che Lawrence Stroll ha deciso di accollarsi: trenta milioni di sterline l’anno, per almeno tre stagioni, tra parte fissa e bonus. In pratica, uno stipendio da pilota campione del mondo per il decano dei progettisti. Secondo The Athletic, Newey ha ricevuto come contropartita anche un numero consistente di azioni dell’Aston Martin, da qui l’appellativo di “partner” nella qualifica comparsa nell’annuncio ufficiale. In pratica, ora è sia un dipendente che un comproprietario del team.

In secondo luogo era difficile che gli altri team fossero disposti a cedere sulle garanzie che Newey chiedeva. Pare che alla Ferrari avesse chiesto di avere, tra le altre cose, il diritto di veto sulle decisioni strategiche e l’assoluta autonomia nella composizione della squadra degli aerodinamici. Per accontentarlo, il team principal Frederic Vasseur avrebbe dovuto cedere una parte delle proprie deleghe, di fatto creando in Ferrari un duumvirato (o un triumvirato, se all’equazione aggiungiamo l’amministratore delegato Benedetto Vigna). Secondo i bene informati, le ragioni dell’uscita di Newey dalla Red Bull (oltre che dalla Williams e dalla McLaren in passato) riguardano le leve di potere all’interno del team. Leve che presto o tardi Newey ha chiesto di avere per sé. In Aston Martin sembrano disposti ad accontentarlo.

Come si amalgamerà con il resto del team, è troppo presto per dirlo. Newey sarà una sorta di super consulente, esterno al team di sviluppo delle monoposto vero e proprio, o avrà le mani in pasta fin da subito? Nelle parole scelte da Lawrence Stroll ieri, Newey ha la possibilità di muoversi come meglio crede e in totale autonomia: «Sarà al vertice dell’organizzazione». Enrico Cardile, transfugo dalla Ferrari per assumere il ruolo di capo dell’ufficio tecnico, forse dovrà rivedere al ribasso le proprie aspirazioni. Potrebbe accadere qualcosa di simile a Andy Cowell, fino all’altro giorno papà dei motori Mercedes e oggi direttore esecutivo in Aston Martin. Per non parlare della lunga lista di figure di alto livello già incamerate nei quadri della scuderia negli anni scorsi: il team principal Mike Krack, l’aerodinamico Dan Fallows, il capo degli ingegneri Luca Furbatto, solo per citarne alcuni. L’ingresso di un gigante come Newey inevitabilmente turberà gli equilibri all’interno del team.

I tecnici della verdona hanno iniziato a mettere la mani avanti, fin da prima dell’annuncio. Quando gli è stato chiesto che impatto potesse avere l’ingresso di Newey nel team, Mike Krack ha dichiarato: «Non è come una volta, oggi è più uno sport di squadra. I team di sviluppo sono composti da molti uomini che lavorano insieme. Dire che impatto avrà (Newey) sarebbe come tirare a indovinare». È un discorso che ricalca le parole di Christian Horner e Pierre Waché, quando hanno cercato di ridimensionare l’uscita di Newey dalla Red Bull. Oggi, a distanza di cinque mesi dall’annuncio, l’involuzione delle monoposto con il toro rosso sulle fiancate è sotto gli occhi di tutti.

Adrian Newey è quindi un fattore determinante, un uomo ancora in grado di costruire un’auto da titolo quasi da solo? La storia suggerirebbe di sì. Nel 1991, nel 1997 e nel 2006, gli anni in cui Newey si è trasferito alla Williams, alla McLaren, e infine alla Red Bull, sono stati degli spartiacque tra un’era e l’altra della Formula 1. Solo la Ferrari di Michael Schumacher e Jean Todt e la Mercedes di Lewis Hamilton e Toto Wolff hanno saputo mettere un freno alle ambizioni di Newey. Il 2026 è però un anno particolare, nel quale le Formula 1 cambieranno radicalmente e i motori prevarranno sull’aerodinamica. Newey riuscirà a trovare margini di creatività nelle pieghe di un regolamento tecnico sempre più restrittivo? Adrian si è definito simpaticamente un dinosauro: l’ultimo dei tecnici al tecnigrafo in mezzo a una marea di progettisti seduti ai loro computer. E in Red Bull gli ingegneri al cad lo hanno via via estromesso dalla partita.

Ci sono altri dubbi che accompagnano il passaggio di Newey in Aston Martin. Come fa il team di Lawrence Stroll a permettersi di rifare il centro tecnico, costruire una nuova galleria del vento e, al contempo, dotarsi di un dream team di ingegneri, con i limiti imposti dal budget cup? Newey ha dichiarato di rimettersi in gioco in Formula 1 dopo il disimpegno iniziato nel 2022, ma la realtà è diversa. Per lavorare fuori dai margini del limite di spesa, molte scuderie hanno iniziato a impegnare i propri tecnici in progetti esterni alla Formula 1. L’hyper-car Valkyrie era uno di questi. È un trucco contabile per considerare come voce di costo solo il numero di ore effettive spese da ogni tecnico sulla progettazione delle monoposto. Lawrence Stroll, da ieri, ha spinto questo meccanismo perverso ancora più in là. Ha trasformato una grossa parte dei compensi di Newey in azioni, qualcosa che nel mondo aziendale ai dirigenti di alto livello accade costantemente. Con una manovra come questa, però, Lawrence Stroll si fa beffe del budget cap, mostrando una spregiudicatezza inedita persino per il mondo di solito spietato della Formula 1. La Federazione Internazionale dell’Automobilismo è intervenuta, dal 2026 le squadre saranno costrette a mettere a budget l’intero importo dello stipendio degli ingegneri, quale che sia il loro tempo d’impiego. Si interverrà anche per dare l’alt alla pratica varata ieri da Stroll?

Esiste un limite alle ambizioni di Stroll senior? Deciderà di vendere, una volta che avrà rivalutato il marchio Aston Martin; o tenterà davvero di costruire una scuderia da Mondiale e iscrivere il nome del figlio nell’albo d’oro, tra quelli di Fangio, Lauda, Senna, Prost, Schumacher e Hamilton? Un’ipotesi di vendita del pacchetto di maggioranza, ora come ora, è lontana. Nell’ultimo anno il valore delle azioni di Aston Martin, nonostante gli sforzi di Stroll, si è pressoché dimezzato. Lawrence continua a cercare finanziatori e partner tecnici per la sua impresa sportiva. Aramco, la compagnia petrolifera saudita, versa 30 milioni di dollari l’anno nelle casse di Aston Martin in sponsorizzazioni. Honda, vincitrice di titoli mondiali con McLaren e Red Bull, fornirà i propulsori dal 2026. Nel corso dell’ultimo anno, Stroll ha ceduto piccoli pacchetti di azioni per soddisfare il suo costante bisogno di liquidità, ma ora sembra pronto a un passo più importante. Le società finanziarie Accel e Hps sono pronte a entrare in Aston Martin, pagando una cifra che si aggira intorno ai 2 miliardi di sterline per una quota della proprietà tra il 20% e il 25%. Al termine dell’operazione Lawrence Stroll risulterebbe ancora l’azionista di maggioranza, ma avrà la stessa libertà operativa avuta finora?

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