A quattro mesi di vita sta viaggiando in macchina con i genitori, seduto sul seggiolino dietro. Un'auto entra nella fiancata dal lato del guidatore, il padre. L'impatto è violentissimo. Subito dopo i genitori non riescono a trovare il figlio. Disperati, lo cercano freneticamente, convinti sia stato sbalzato chissà dove. E poi, eccolo, sotto un sedile della macchina: coperto di sangue, ferito da un pezzo di vetro che gli ha aperto la fronte, ma illeso.
Molti anni dopo, un altro incidente. Stavolta alla guida c'è lui, che fa il calciatore e sta andando al centro sportivo del Barcellona per allenarsi. Va a sbattere sul guardrail. Anche stavolta ne esce illeso. L'auto è una Ferrari 458 Spider.
Il padre di Neymar si chiama Neymar anche lui. Per differenziarsi sono “Senior” e “Junior”, detto “Juninho” in famiglia. Il padre è stato calciatore, senza grande successo, nell'União Mogiano FC. Poi ha fatto l'operaio, il meccanico, il venditore ambulante. Da quando il figlio ha iniziato a giocare, è lui a curare i suoi interessi. Padre, agente, consigliere. Figura con cui fare di continuo i conti. “Sono andato contro il parere di mio padre” si sente in dovere di riconoscere, a commento del video su Instagram riguardo il passaggio al Paris Saint Germain.
La madre, Nadine, gli regala il primo pallone quando ha due anni. Juninho arriverà ad averne cinquanta dentro casa.
“Non sanno niente della mia vita, non sono mai stato mosso dai soldi. Non è mai stata la mia prima motivazione. Quello che cerco è la mia felicità e quella della mia famiglia”. Sono le sue prime parole ufficiali da giocatore del PSG. È appena stato acquistato per 222 milioni di euro, per un indotto ben più alto: un affare che evidentemente non riguarda solo il calcio. Nelle prossime stagioni guadagnerà trenta milioni all'anno, circa 85mila euro al giorno.
A molti quelle parole suonano ipocrite, fasulle.
Prima dell'affare più caro della storia del calcio, prima del controverso arrivo in Europa, prima di tutto, c'era un prodigio che veniva da una famiglia con qualche difficoltà economica. Un talento assoluto su cui chiunque era pronto a scommettere. Uno che ha dovuto reggere per anni all'urto con aspettative sempre più pesanti. Uno che neanche ventenne indossava la maglia del Santos, quella di Pelé, e sentiva dire a O Rei in persona: “È il mio erede. Anzi può diventare più forte di me”.
Il video che la madre ha caricato l'estate scorsa su Instagram, scegliendo queste parole per accompagnarlo: “Dio è con te, figlio. Sei già più che un vincitore in Gesù Cristo”.
Moleque è una parola portoghese che indica i ragazzini di strada. Lui è un ragazzino così quando viene notato da Betinho, l'osservatore che aveva scoperto il suo idolo. L'uomo che scrive in un report al Santos: “Ho trovato il nuovo Robinho”. L'uomo che convince il prestigioso Liceu São Paulo a dare a Neymar Jr una borsa di studio, fargli condividere tempo e spazio con gli studenti benestanti della città.
“Dio mi ha dato più di quello che sognavo” ha detto una volta Juninho. Può essere un dono più pesante di quanto non sembri.
Mogi das Cruzes, sobborgo ai margini orientali di San Paolo, fu fondato nel XVI secolo dagli esploratori portoghesi detti Bandeirantes. Neymar Jr nasce qui, il 5 gennaio 1992.
Per farsi accompagnare al reparto maternità dell'ospedale e farsi riportare a casa con la moglie e il neonato, il padre chiede il favore ad Atílio, fisioterapista del club in cui aveva giocato. È il suo unico amico che abbia un'automobile.
Juninho crescerà, di trasloco in trasloco, sempre a distanza dal cuore della metropoli paulista. Di trasloco in trasloco, prima appresso alla sua famiglia, poi con la famiglia appresso a lui.
Prima il Rodeio, appunto una parte di Mogi das Cruzes, modesta ma non stigmatizzata, un dormitorio per ceti medi. Poi a Jardim Glória, Praia Grande, che il padre descrive come una zona difficile, dove la loro casa era vicina a una discarica, un posto “dove la città butta la spazzatura”. Oggi accanto a quella casa c'è la sede dell'Instituto Projeto Neymar Jr, voluto dal ragazzo e dalla sua famiglia, orientato all'educazione e allo sport per i bambini.
Si trasferisce ancora, ma per giocare. Alla Portuguesa Santista di São Vicente, poi a Santos, due zone a ridosso di San Paolo. Per un periodo entrambi i genitori sono disoccupati e allora si divide tutti la stessa, unica stanza. Di recente Juninho ha affittato per le vacanze una villa di duemila mq, a Beverly Hills, con sette camere da letto e dodici bagni.
Senior e Junior.
In una partita ai tempi della Portuguesa Santista, indossa scarpini dorati in onore del suo idolo Robinho. Se li dipinge da solo. Due spray color oro, uno spray bianco. A fine gara il colore è andato via e gli scarpini sono tornati a essere neri.
Quell'oro è destinato a restargli ai piedi. Juninho si prenderà tutti i riflettori. Juninho ha qualcosa che gli altri non hanno. L'operatore tv ufficiale del Santos FC, che lo ha visto entrare nell'adolescenza con la maglia alvinegra, dirà: “Ricordo ogni suo gol, dal primo all'ultimo”.
Presto il padre inizia a gestire il ritorno economico di un talento acclarato. A quindici anni il ragazzo guadagna diecimila reais al mese, cioè quasi tremila euro. A diciassette firma il primo contratto da professionista ed entra nella prima squadra del Santos. A diciotto è titolare inamovibile dei Peixes ed esordisce in nazionale brasiliana.
Il Santos poteva essere un punto d'arrivo, anche considerando che lo porta nel nome: Neymar da Silva Santos Júnior. Invece è un punto di partenza.
Quello che lui stesso considera il punto di svolta avviene nel settembre 2010. È già un prodigio, rivelato al mondo come un futuro campione. Se in molti si perdono, da protagonisti di un'annunciazione, lui in quel bivio del settembre 2010 sceglie bene la strada.
Litiga furiosamente col suo allenatore del Santos, fa una scenata in campo, prosegue negli spogliatoi dove quasi vengono alle mani. Poi parla con la madre, che era allo stadio. Nadine gli dice che non è questo il figlio che ha cresciuto. Il giorno dopo Juninho piange tutto il giorno.
Non avrà più comportamenti sopra le righe. Diventerà un calciatore di grande equilibrio (valga il dato di 5 espulsioni in 397 presenze, tra club e nazionale) e verosimilmente un atleta serio fuori dal campo.
Quando era lui un bambino, racconta il padre, “voleva essere qualsiasi cosa: Superman, uno dei Power Rangers. Era iperattivo”. Voleva essere anche Batman, si direbbe. O almeno decise per il suo travestimento, insieme a Bruna-Catwoman.
A diciannove aveva già avuto un figlio. Con la madre si lasciano non molto tempo dopo. Juninho mantiene la donna con circa diecimila euro al mese e una casa di cinque stanze a Santos. Il bambino rimane a vivere con lui. Comunque la maturità o il senso di responsabilità non vengono mai associati a Neymar Jr.
Sembra un modello di invincibilità, un predestinato che può solo salire. Eppure è stato vicino a perdere tutto, quando già aveva mantenuto tutte le promesse e il mondo gli era devoto. Molto vicino: due centimetri. Quelli che sarebbero bastati a lasciarlo paralizzato durante il Mondiale 2014, in Brasile. Un tentato regicidio agli occhi del Paese, se il «Jornal do Brasil» parla di “prigione come minimo” per Zúñiga, l'autore del fallo che gli ha rotto una vertebra. Sarà l'ultima vittoria verdeoro, prima dell'umiliazione in semifinale con la Germania, nell'assenza della sua stella.
Prima dell'affare più caro della storia del calcio, prima del controverso arrivo in Europa, prima di tutto, c'era un ragazzino che aveva l'oro nei piedi e due genitori e una sorella che non avrebbero visto l'oro altrimenti. “Quella che cerco è la mia felicità e quella della mia famiglia”. Se fosse vero?