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La NFL sta scippando il Natale alla NBA
29 nov 2024
L'halftime show di Beyoncé nella partita del 25 dicembre è un grosso cambiamento nel mercato sportivo statunitense.
(articolo)
14 min
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La notizia è arrivata qualche giorno fa: Beyoncé canterà all’intervallo di una partita NFL. No, non sarà il Super Bowl, ma “solo” la partita di Natale tra Baltimore Ravens e Houston Texans, squadra della città natale della popstar. Non solo la Lega di Roger Goodell proporrà una partita di cartello nella giornata ufficiosamente dedicata alle partite NBA, ma lo farà con un contorno di spettacolo che definire contorno è riduttivo.

La domanda, come di dice, sorge spontanea: la NFL si prenderà il Natale degli americani davanti alla tv? La risposta breve è che in realtà ha già iniziato a farlo. La risposta lunga la trovate qui sotto.

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IL FOOTBALL VENDE SEMPRE
Partiamo dicendo che il campionato di football ha scelto bene le partite da mandare in onda il giorno di Natale. Prima di quella tra Ravens e Texans, infatti, andrà in scena un’altra sfida di lusso, quella tra i Chiefs e gli Steelers che, oltre a essere due delle migliori squadre del campionato, portano con sé anche fanbase enormi. Per quanto riguarda il concerto di Queen Bey, l’unicità sta anche e soprattutto nel fatto che a trasmettere l’evento sarà Netflix.

Tramite il sito, la piattaforma di streaming ha comunicato che trasmetterà in esclusiva sia le partite (farà lo stesso anche nel 2025 e 2026, come da contratto), sia ovviamente lo show dell’intervallo: una novità a cui dobbiamo abituarci al più presto. Del resto, i siti di streaming ormai offrono contenuti che vanno al di là di film e serie tv; Amazon Prime è dal 2017 la casa della miglior partita del mercoledì sera di Champions League, mentre Netflix ha trasmesso in esclusiva il controverso combattimento tra Mike Tyson e Jake Paul. Amazon, inoltre, ha recentemente siglato un accordo di 11 anni con la NBA per trasmettere in esclusiva nel mondo 66 partite a stagione della lega di basket americana. Insomma, dopo le docuserie dedicate a quarterback e ricevitori (chiamate, senza grossi sforzi di fantasia, Quarterback e Receiver), Netflix ha deciso di investire ancora nell’intrattenimento legato al mondo dello sport.

Le partite natalizie non sono necessariamente una trovata moderna della NFL, ma è anche vero che il 25 dicembre e il football non sono mai andati troppo d’accordo. Dopo la partita del 1971, prima assoluta, la Lega evitò di riproporre partite nel giorno di Natale, anche quando questo cadeva di domenica. Come racconta The Athletic ciò è accaduto nel 1977, nel 1983 e nel 1988, e nonostante questo la NFL evitò di far giocare partite il 25 dicembre, per evitare di interferire con i festeggiamenti degli americani.

Con l’arrivo di Roger Goodell come commissioner della NFL nel 2006, però, il numero di partite natalizie è aumentato esponenzialmente: 18 delle 30 partite natalizie nella storia del campionato sono infatti state giocate da quell'anno a oggi. Negli ultimi 3 anni, i risultati hanno effettivamente dato ragione a Goodell. Packers-Browns di Natale 2021 fu vista da quasi 29 milioni di spettatori tra Fox e NFL Network, un aumento del 42% degli spettatori rispetto a Vikings-Saints, unica partita nel 2020. Fu uno scontro impari quello con la NBA, che storicamente ha dominato il giorno di Natale. Quell’anno, però, la lega americana di basket dovette scontrarsi con la pandemia di Covid-19, che costrinse moltissime squadre ad attingere a piene mani dalle proprie affiliate di G League per evitare di dover rimandare le partite. Atlanta giocò al Garden senza Trae Young, che solo qualche mese prima ai playoff aveva fatto ammattire i tifosi dei Knicks; i Warriors affrontarono i Suns senza 3 dei primi 4 realizzatori e i Nets vinsero contro una delle peggiori edizioni moderne dei Lakers pur senza Kevin Durant e Kyrie Irving.

Trasmessa in prima serata, quella gara tra Nets e Lakers fu vista da poco meno di 6 milioni di persone: la più seguita di quella tornata di partite, ma anche la partita natalizia trasmessa in prime time con meno spettatori dal 2017. Guarda caso anche quell’anno il football era in campo durante le feste.

Grandi numeri furono registrati anche l’anno successivo. Packers e Dolphins scesero in campo per prime, portando con sé storia e tradizione, ma anche record mediocri (7-8 Green Bay, 8-7 Miami): i 25.9 milioni di spettatori rappresentarono un record per la NFL a Natale, record battuto poi l’anno successivo dai 31.5 milioni di spettatori di Miami-Dallas.

Il sorpasso alla NBA era già avvenuto, ma con Rams-Broncos la NFL arrivò addirittura a doppiare il basket. Quasi 23 milioni di persone guardarono una partita finita 51-14 per L.A. tra due squadre che a fine anno avrebbero vinto 9 partite combinate e con una marea di infortunati. I Rams erano senza, tra gli altri, Stafford, il quarterback titolare, Cooper Kupp, uno dei migliori ricevitori della Lega, e Aaron Donald, uno dei difensori più forti nella storia del gioco.

A proposito degli infortuni, visto che incidono sulla qualità finale dello spettacolo e di conseguenza anche sulle performance televisive (qualcosa di cui ci si dovrebbe ricordare anche in Europa, quando si parla di calendari), vale la pena fare una digressione. Negli ultimi anni la NFL ha inasprito le regole per tutelare la salute dei giocatori. Questo si è tradotto in un gioco che penalizza molto i difensori a favore degli attaccanti, un discorso che peraltro può essere esteso anche ad altri sport (quante volte abbiamo sentito ex difensori di calcio lamentarsi e dire che in questa epoca il loro lavoro sarebbe stato più complicato?).

Questa scelta ha due scopi. Da una parte ridurre il numero di infortuni gravi, soprattutto alla testa: le commozioni cerebrali, come ormai è noto, rischiano di avere effetti devastanti sulla salute degli atleti con l’avanzare dell’età. Dall'altra, però, queste misure servono anche a tutelare i migliori giocatori, evitando di esporli a infortuni seri che possano danneggiare non solo le rispettive squadre ma anche lo spettacolo offerto. Certo, i loro effetti non sono stati del tutto soddisfacenti. Se nel 2023 i giocatori hanno saltato addirittura 700 partite in meno rispetto al 2022, diverso è il discorso per le concussion, calate rispetto agli anni scorsi ma ormai costanti di stagione in stagione.

In questo discorso è centrale anche il ruolo del quarterback. I grandi passatori sono quelli che fanno numeri dentro e fuori dal campo, e i tifosi si collegano anche e soprattutto per vederli all’opera: ecco perché, secondo il metro arbitrale odierno, sono intoccabili. Senza entrare in tatticismi, il quarterback è colui che fa girare tutto l’attacco; avere una riserva al suo posto vuol dire, nella stragrande maggioranza dei casi, azzoppare il reparto e consegnare alle TV un prodotto meno “guadabile”. Poi certo, il caso di Denver-Los Angeles di cui sopra ci fa capire che, alla fine, anche al netto degli infortuni, l’importante è che in tv ci sia il football. Quella sera a dirigere le operazioni per i Broncos c’erano Russell Wilson, autore di due pessime stagioni nella Mile High City, e Brett Rypien, giocatore senz’arte né parte, mentre dietro al centro per i Rams c’era Baker Mayfield, ora rinato ai Buccaneers ma che due anni fa stava attraversando un momento particolarmente complicato della propria carriera. E a quanto pare a 23 milioni di americani tutto questo stava bene.

Dalla sua, la NFL ha anche l'assenza di competitor sportivi per larghi tratti della stagione. La stagione di baseball termina a fine ottobre, lasciando il football a battagliare con la NHL - la più debole delle quattro principali leghe americane - e la NBA, che, come detto, ha i suoi problemi.

Attualmente, quindi, l’unica lega che può provare a rivaleggiare con il football è la MLB, essendo il baseball il “passatempo nazionale” per gli americani. Almeno storicamente, perché anche da questo punto di vista le cose stanno cambiando. Fino agli anni ’90, infatti, le World Series rappresentavano un evento clou per gli appassionati di sport, mentre in anni recenti anch’esse hanno dovuto abdicare a favore della palla ovale. Tra il 2020 e il 2023, la serie finale del campionato di baseball ha generato una media di 9.1 milioni di spettatori a gara, e addirittura nel 2022 si scelse di non giocare le World Series di domenica per evitare di interferire con le partite di football.

Le finali di quest’anno hanno rappresentano un ritorno al passato, dal momento che si sfidavano le squadre dei due mercati più grandi d’America, Yankees (New York, primo) e Dodgers (Los Angeles, secondo). E infatti Gara 3 è riuscita nell’impresa di scalzare per una sera il nuovo passatempo nazionale: Yankees-Dodgers ha riunito davanti alla tv una media di 13.6 milioni di persone contro le 13.4 di Steelers-Giants. Vittoria importante per la Lega di Rob Manfred, ma quella di Roger Goodell può consolarsi con 17.3 milioni di spettatori di media in questa stagione. Come riportato da NFL Media, tra l’altro, 47 dei primi 50 programmi più visti dagli americani da settembre 2024 sono partite di football. E di avversari credibili e costanti all’orizzonte per ora non se ne vedono.

LA NFL NON PERDONA
Ovviamente questo non significa che quello che offre la NFL sia un prodotto perfetto (ma esiste il prodotto perfetto?). Spesso sui social scherza con l’acronimo e si parla di NFL come di "No Fun League" e viene criticata molto la propensione della lega a reprimere qualunque tipo di forma di creatività. Dal 2017, per esempio, esiste una policy molto stringente per quanto riguarda le calzature, che devono essere sempre bianche, nere o di un colore che rimanda a quello della squadra di appartenenza, pena multe. L’unica eccezione riguarda le settimane in cui la lega celebra cause speciali come la lotta ai tumori al seno o il ringraziamento delle forze armate.

Per via di questa norma, negli anni i giocatori si sono visti respingere tante calzature con disegni speciali. Per il Super Bowl del 2017, il wide receiver Julio Jones aveva in serbo un paio di scarpe a tema Migos, gruppo rap della città, Atlanta, e tifosi dei Falcons, usciti da poco con l’album Culture. DeAndre Hopkins, all’epoca ai Texans, fu multato di seimila dollari per avere indossato un paio di Adidas Yeezy da gioco. E lo stesso avvenne per le scarpe di Antonio Brown, ex stella degli Steelers, in onore di Muhammad Ali.

C’è poi la questione delle esultanze, anch’esse represse dalla Lega tramite penalità sul campo e/o pene pecuniarie. Esultare troppo può costare penalità da 15 yard, le più severe, e le solite multe al di fuori. Questo avviene anche quando si esulta schernendo l’avversario dopo un semplice placcaggio, e da qualche anno i difensori sono costretti a frenare gli entusiasmi esultando solo con i propri compagni: non sempre semplice in uno sport che ha come obiettivo quello di buttare a terra gente di 120 kg.

Lo stesso avviene per le celebrazioni post touchdown, che non devono essere sopra le righe o richiamare a una qualunque forma di violenza. In questa stagione sono già state comminate multe salate a Malik Nabers e Darius Slayton dei Giants e Allen Lazard dei Jets per avere esultato fingendo di premere un grilletto. Non si parla solo di armi da fuoco, argomento scottante negli Stati Uniti, ma anche di armi rudimentali, come arco e frecce. La NFL ha proibito persino questo festeggiamento, che a Andre Iosivas è costato ben 5.300 dollari. Brandin Cooks, wide receiver dei Cowboys, ha festeggiato i touchdown in questo modo per tutta una carriera, ma ormai è stato costretto a trovare una nuova esultanza.

COME SE LA PASSA LA NBA?
Al di là di queste norme, comunque, la competizione tra NFL e NBA non sembra avere molta storia. Ovviamente non è una questione di talento, dato che non è mai stato così alto nella lega di basket. Lo stesso vale per la competitività: sei squadre diverse hanno vinto gli ultimi sei anelli. I motivi di questa disparità, che non permette alla NBA di fare il salto definitivo, sono molti.

Il primo riguarda i volti che la lega di Adam Silver usa per sponsorizzare il proprio prodotto. Le facce più riconoscibili sono quelli di giocatori come LeBron James, Stephen Curry e Kevin Durant, ancora al vertice della NBA ma sempre più vicini al ritiro; come confermato indirettamente ai piani alti, il campionato di basket sta faticando a trovare alternative valide, e soprattutto giovani, ai grandi vecchi. Nikola Jokić e Giannis Antetokounmpo non scaldano il pubblico americano tanto quanto quello europeo. Anthony Edwards è una boccata d’aria fresca, ma i problemi extra-campo di Ja Morant - un must watch quando gioca - e quelli fisici di Zion Williamson stanno privando la lega di due atleti americani che giocano con la spregiudicatezza e il gusto per l’highlight di cui ha disperatamente bisogno.

Su X, che nel bene e nel male dà sfogo ai sentimenti di pancia, in molti si dicono annoiati dal gioco moderno tutto triple e dalla mancanza di difesa nelle partite di stagione regolare. Discorso che vale fino a un certo punto, visto che uno dei raggi di sole per la NBA in termini di visibilità è ancora Steph Curry, 37 anni tra pochi mesi ma sempre tra i preferiti di chi ama il basket americano. Interpellato a riguardo, Adam Silver ha dichiarato che il calo dei rating tv in questo inizio di stagione è stato una conseguenza delle World Series e delle elezioni americane, che hanno polarizzato gli spettatori. Magari avrà ragione, ma va detto che il crollo degli spettatori anche sulle reti nazionali è netto e non è una novità di quest’anno.

Una delle spiegazioni più plausibili e sensate è arrivata da un personaggio che non ha paura di risultare impopolare, con la stessa spregiudicatezza che usava in campo. Nel proprio show, Gilbert Arenas ha sollevato un problema ben noto agli appassionati americani di basket: guardare le partite della propria squadra per un tifoso è molto complicato. A differenza della NFL, che da anni ha abolito questa pratica, per le partite di basket vige ancora la regola del ‘blackout’; ciò significa che non tutti gli americani hanno la possibilità di vedere tutte le partite che possiamo vedere noi, ad esempio attraverso il League Pass, essendo molte gare soggette a restrizioni televisive. Queste restrizioni sono fatte principalmente per tutelare le reti regionali, che spesso sono le uniche a poter trasmettere le partite (per esempio, MSG per quelle dei Knicks, Spectrum Sportsnet quelle dei Lakers, e così via). Quando sono le reti locali a poter mandare in onda le partite, però, non possono essere viste in diretta da nessuna parte, nemmeno sul League Pass: i tifosi di New York fuori dalla Grande Mela o quelli di Los Angeles fuori dalla Città degli Angeli devono dunque aspettare alcune ore per potere avere la partita sui dispositivi portatili. Al contrario, quando sono i grandi network a trasmettere le partite in diretta nazionale, sarà di conseguenza proibito alle reti locali di mandarle in onda. Per ovviare a questa scelta, che rende davvero difficile per gli appassionati anche solo trovare un modo per guardare la propria squadra, ci sono i servizi di streaming via cavo in abbonamento, che comunque possono rappresentare un costo mensile notevole per le famiglie.

Un problema che si aggiunge a quello delle tante partite, per qualcuno anche troppe. In NBA ci sono 30 squadre che giocano 82 incontri in un periodo relativamente breve, e con l'aumento del ritmo sono aumentati anche gli infortuni. Soprattutto quelli alle stelle sono un problema, ma Silver ha fatto capire che la riduzione del numero di partite, chiesta in maniera più o meno esplicita da una parte della lega, non è la soluzione, visto che è proprio la quantità a fare della NBA quello che è, con la vendita dei biglietti e, soprattutto dei diritti televisivi.

E, infatti, se anche per questi motivi la NBA rimane uno sport relativamente di nicchia, almeno nel contesto del gigantesco mercato americano, tutto ciò non ha impedito alla lega di firmare il contratto televisivo da record con ABC, ESPN, Peacock e Amazon da circa 76 miliardi in 11 anni. Il problema, però, rimane.

D'altra parte, anche la NFL, alcuni anni fa, si ritrovava nella posizione in cui è ora la NBA. Nel 2016 il calo degli spettatori rispetto all’anno precedente fu dell’8%, mentre nel 2017 fu addirittura di 9.7 rispetto al 2016. Se nel primo caso le elezioni ebbero un loro peso, l’anno successivo le cose andarono diversamente. Forse pesarono le proteste dei giocatori in risposta alle azioni della polizia nei confronti degli afroamericani, o più probabilmente il fatto che la partita del giovedì, trasmessa in diretta nazionale non avesse una casa definita, mandata in onda a settimane alterne da NFL Network, CBS, NBC e Amazon Prime. Ora invece è in esclusiva per Prime Video.

La questione delle proteste razziali legate alla vicenda Kaepernick è interessante, perché dimostra come la politica, soprattutto per uno sport "molto bianco" come il football, abbia ancora un peso significativo. Come ha sottolineato al Los Angeles Times Mike Mulvihill, executive vice president for research, league operations and strategy di Fox Sports, nelle giornate 2-10, quando l’onda delle proteste - e delle conseguenti reazioni - era più alta, il calo è stato più evidente: -8% rispetto all’anno precedente. Dalla giornata 11 alla 17, la situazione si è stabilizzata, con un calo solamente del 2%. Una situazione forse dovuta anche all'aumento di partite, che ha riguardato (anche se in misura minore rispetto ad altri sport, a partire proprio dalla NBA) anche il football americano, che ha optato per spalmare gli incontri in giorni e orari diversi annacquando gli ascolti.

Insomma, come vediamo, le ragioni come sempre sono molte. La notizia che rimane, però, è che la NFL è tornata ad avere un ruolo predominante nel panorama sportivo americano, evidenziato dal grande show che Netflix ha in serbo, in esclusiva per i suoi abbonati, nel giorno di Natale. Con buona pace della NBA.

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