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Perché Ngannou rischia di non combattere più in UFC
07 feb 2022
Il controverso rapporto tra il campione dei pesi massimi e l'UFC.
(articolo)
10 min
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Poco più di due settimane fa Francis “The Predator” Ngannou ha riunificato il titolo del mondo UFC dei pesi massimi battendo il suo ex compagno di team, il francese Ciryl Gane. Quando la voce di Bruce Buffer ha annunciato la sua vittoria per decisione unanime non c’era il Presidente di UFC Dana White a stringergli la cintura da campione sulla vita. Eppure è una ritualità consolidata fino all'incontro precedente, quando ha premiato Deivenson Figueiredo. Accanto a Ngannou c'era invece il matchmaker della promotion, una figura secondaria. White non ha neanche partecipato alla consueta conferenza stampa post-evento. Una doppia assenza che non è passata inosservata, e di cui Ngannou ha detto di ignorare le motivazioni: «Non so perché non ci fosse a consegnarmi la cintura, dovete chiederlo a lui. È stata una decisione di UFC».

A sinistra la reazione divertita di Ngannou quando gli chiedono dell’assenza di White nell’ottagono. A destra invece scopre con stupore della mancata presenza del Presidente in conferenza stampa.

Interpellato in seguito, White ha sbottato: «Avevo delle faccende da sbrigare nel backstage. Qualcuno pensa che sia stata una mancanza di rispetto nei confronti di Ngannou. Ho visto Francis per tutta la settimana, idioti, salutandolo e stringendogli la mano». È molto difficile immaginare il Presidente della promotion realmente impegnato dietro le quinte nel momento clou di una card numerata con un match così importante come main event. È ancora più difficile farlo alla luce degli attuali, tesissimi rapporti tra Ngannou e White. Un conflitto che parte da lontano, da giochi di potere, interessi contrastanti, visioni diverse.

Non è neanche una situazione inedita, considerando che White ha spesso discusso, anche aspramente, con le superstar della sua promotion: Conor McGregor, Jon Jones, Jorge Masvidal, Georges St-Pierre. Sempre per motivi contrattuali ed economici molto simili a quelli che lo contrappongono al campione africano.

La stampa statunitense ha spesso definito Dana White giudice e giuria dei combattenti.

Si erano tanto amati

Nel periodo di ascesa di Ngannou in UFC tra il 2015 e il 2017, con le sei vittorie consecutive coronate dal brutale KO ai danni di Alistair Overeem, il fighter camerunense vive una luna di miele con White, che si coccola un atleta con una storia incredibile alle spalle, un peso massimo capace di sprigionare una potenza devastante e risolutiva, un personaggio a suo agio sotto i riflettori.

A gennaio 2018 Ngannou tenta l’assalto al titolo ma perde per decisione unanime contro il campione in carica Stipe Miocic. Sei mesi dopo “The Predator” torna in azione contro il pericoloso Derrick Lewis in quello che viene considerato come uno dei match più noiosi nella storia di UFC. Ngannou ne esce ancora sconfitto, sempre ai punti, e White indica come causa l'ego ormai fuori controllo di "The Predator". Intanto Ngannou si lecca le ferite, cambia team e torna a vincere, inanellando quattro successi per TKO al primo round. E così a marzo 2021 va in scena il rematch contro Miocic, nuovamente detentore della cintura; lo surclassa, laureandosi campione del mondo dei pesi massimi. È a questo punto che nascono problemi grossi con White.

Dopo l’incontro con Miocic, Ngannou e Jon Jones, campione dei pesi massimi leggeri disposto a salire di una divisione di peso per l’occasione, dichiarano di volersi affrontare in un incontro che avrebbe appassionato milioni di fan e creato un notevole giro d’affari (e che potrebbe tornare attuale adesso, ha dichiarato White).

Un’ipotesi che allora il Presidente di UFC scarta quando Jones dichiara di volere 30 milioni di dollari di borsa, proponendo quindi a Ngannou di difendere il titolo dopo soli tre mesi in un rematch contro Derrick Lewis. Ma il camerunense rifiuta l’offerta, è risentito: vuole Jones, sia per il prestigio della sfida che per le potenzialità da money fight. C'è anche un infortunio di mezzo. White allora mette in palio una cintura ad interim dei pesi massimi tra Ciryl Gane (arrivato al culmine di una portentosa scalata in UFC) e lo stesso Lewis, siamo nell'agosto del 2021. È un match che Gane si aggiudica grazie a un bel TKO al terzo round.

Ngannou resta deluso dal comportamento della promotion, tanto da dichiarare: «Mi stanno mancando di rispetto, non sono nemmeno sicuro di essere davvero io il campione. UFC sta badando solo agli affari, le decisioni dei suoi dirigenti sono basate sul nulla». È stufo, non si sente valorizzato (dal 2020 UFC lo fa combattere una sola volta all’anno) e realizza di venire retribuito meno di quanto meriti, e anche rispetto a uno sport come la boxe, in cui da giovane immaginava di potersi costruire un futuro. L’aspetto salariale è un tema che riemerge ciclicamente nel dibattito intorno a UFC e di cui ci siamo già occupati, approfondendo anche i tentativi dei fighter di creare un sindacato, arenatisi davanti a diverse difficoltà, e intervistando un importante manager di MMA italiano per analizzare l’altro lato della medaglia, ovvero la complessità della gestione degli atleti, che hanno personalità forti e dominanti.

Il ruolo di Endeavor, la “madre” di UFC

Nelle MMA ci sono problemi strutturali che ostacolano la realizzazione effettiva di un sindacato. Le Mixed Martial Arts sono uno sport individuale, in cui i fighter sono in competizione tra loro, per cui sarebbe difficile metterli d’accordo. Inoltre UFC ha sotto contratto atleti provenienti da tutto il mondo, perciò sarebbe complicato coordinare culture molto diverse, ognuna con esigenze proprie. In più non è realistico ipotizzare che i fighter più influenti, le star dell’organizzazione, vogliano spendersi per la causa comune, mettendo a rischio i propri privilegi.

Dal punto di vista del dibattito intorno alla retribuzione dei combattenti, qualche tempo fa aveva fatto scalpore notare come le spese derivate dal compenso degli atleti pesassero pochissimo sul totale delle entrate di UFC (il 32% in meno di altre organizzazioni sportive come la NBA, che però si basa sull’idea che ai giocatori spetti la fetta più grande, ovvero il 51% degli introiti). È stato anche dimostrato che UFC gode finanziariamente di ottima salute, per cui teoricamente avrebbe le risorse per incrementare le borse dei fighter. Tuttavia, prima della quotazione in borsa, Endeavor (il colosso mediatico proprietario della promotion) ricavava dall’organizzazione di MMA un flusso di denaro da oltre 200 milioni di dollari annuali, utili a risanare le casse di una società che nel 2019 aveva un debito da 4.6 miliardi di dollari. Anche oggi, dopo lo sbarco a Wall Street, Endeavor ha tutto l’interesse a mantenere lo status quo, anche perché eventuali aperture per un atleta particolare rischiano di innescare un effetto a catena sugli altri.

Riprendendo il filo degli eventi, la questione tra White e Ngannou si fa sempre più complicata con l’avvicinarsi del match contro Gane, valido per la riunificazione del titolo, organizzato quindi per gennaio 2022 sia per la richiesta dell’atleta francese di potersi prendere un periodo di riposo dopo aver combattuto tre volte in un anno, sia per la divergenza di intenzioni con Ngannou. Si intravedono le avvisaglie di una bomba pronta a esplodere proprio in questi giorni, dopo il successo del camerunense, ora campione indiscusso della divisione.

La libertà non ha prezzo

Il contratto con UFC di Ngannou è scaduto dopo la sfida con Gane, lo aveva sottoscritto nel 2017 per otto match complessivi. I contratti UFC però tutelano l’organizzazione, permettendole di mantenere vincolati i campioni in carica a certe condizioni, a prescindere dal numero di incontri per cui hanno firmato. Questa clausola (chiamata champion’s clause), che qui verrebbe utilizzata per la prima volta nella storia della promotion, consentirebbe quindi a UFC di trattenere ancora Ngannou, che sarebbe stato svincolato solo in caso di sconfitta nel match con Gane.

Il cavillo stabilisce che se un campione in carica continua a vincere difendendo il titolo, UFC può farlo combattere anche senza la firma di un rinnovo per un massimo di tre incontri, lungo un anno. Ma la situazione di Ngannou è diversa perché il suo attuale contratto ha una durata complessiva di cinque anni, scadenza introdotta proprio da UFC negli accordi con i fighter a partire dal 2017 (come detto, l’anno in cui Ngannou aveva firmato il rinnovo con la promotion, entrato in vigore nel 2018, e che perciò scadrà a gennaio 2023, rendendolo automaticamente free agent).

La sua intenzione quindi è di non rientrare più nell’ottagono senza prima aver trovato un accordo con White per un eventuale rinnovo (a dicembre il suo management ha fatto sapere di non avere contatti con UFC da sei mesi): se ciò non dovesse accadere, Ngannou farà scadere i termini in modo da non rientrare nella gabbia di UFC mai più. Peraltro si opererà a breve al ginocchio destro a causa dell’infortunio accusato poco prima dell’ultimo match, con un tempo di recupero previsto di circa nove mesi.

Al di là del dettaglio dei termini contrattuali, Ngannou ha guadagnato una borsa di 600.000 dollari per entrare in gabbia con Gane (che ne ha incassati 500.000). Il campione di boxe Tyson Fury, che recentemente lo ha invitato a salire sul ring contro di lui, ha messo in banca 30 milioni di dollari dopo il suo ultimo match. Il monte ingaggi totale dei fighter per la card in cui ha combattuto Ngannou si attesta sotto ai due milioni di dollari. Insomma, che il business della boxe sia molto diverso da quello delle MMA è evidente e risaputo, anche se White solitamente ribatte a queste osservazioni spiegando come nel pugilato siano in pochissimi a guadagnare molto, e per il resto dei pugili rimangono solo briciole, mentre in UFC anche i fighter di livello più basso vengono retribuiti adeguatamente.

Per Ngannou però non è solo una questione di soldi. Il fighter camerunense ha spiegato come UFC tratti gli atleti da liberi professionisti quando in realtà, grazie al suo regime contrattuale restrittivo, non lo sono affatto. E questa situazione non porta poi alcun privilegio (come per esempio il diritto a un’assicurazione sanitaria) dell’essere ufficialmente dei dipendenti. «Voglio solo essere libero» ha dichiarato Ngannou. «Teoricamente noi fighter siamo liberi professionisti, quindi lavoratori autonomi. Invece con UFC non hai diritti, il contratto è unilaterale. Ecco perché bisogna cambiare, ed è ciò per cui sto combattendo. Loro possono distruggerti appena rifiuti qualche proposta, non ti danno nessuna garanzia. Nel corso della mia carriera ho perso almeno 7 milioni di dollari nelle discussioni con UFC. Anche se non è un problema di soldi, perché la libertà non la danno i soldi».

Scontro tra giganti

Non è finita qui. Ngannou ha rivelato un retroscena inaspettato: poco prima che entrasse in gabbia contro Gane, UFC ha minacciato con un’email di citare in giudizio il suo entourage (su cui spicca il manager Marquel Martin) per aver parlato con il manager del pugile e influencer Jake Paul Nakisa Bidarian, in passato direttore finanziario di UFC che ha fatto parte dell’operazione di cessione della promotion a Endeavor. Proprio Paul di recente è stato molto critico verso UFC, accusata anche da lui di pagare poco gli atleti e di non tutelarli, tanto da spingerlo a investire in Endeavor con la promessa di perorare la causa dei fighter.

Il management di Ngannou, rappresentato da Martin, è la Creative Artists Agency (CAA), competitor diretta di Endeavor nel suo core business, le grandi agenzie che gestiscono talent - e infatti White non era stato contento della scelta di Ngannou quando era uscita la notizia della sua firma con CAA, criticandolo pubblicamente. UFC sospetta che Martin stia tramando con i soci di Jake Paul per portare Ngannou nella boxe, da qui l’invio della mail da parte della promotion. Alla luce di questi collegamenti, probabilmente dietro alla presa di posizione di Ngannou c’è il tentativo di CAA di mettere sotto pressione White (che potrebbe giocarsi un bel pezzo del suo futuro in questa partita), UFC e il suo sistema, per cercare di destabilizzare Endeavor. Lo stesso Martin, sempre prima del match del suo assistito, ha ricevuto un messaggio di minacce e insulti, anche razzisti, da un numero sconosciuto per via della presa di posizione di Ngannou contro UFC.

Marquel Martin (al centro) con Ngannou e il pugile Ryan Garcia (Credits: @marquel_martin via Instagram).

A 35 anni Ngannou potrebbe quindi cimentarsi nella boxe sfidando qualche grosso nome e incassando cifre da capogiro, anche se Fury ora sembra indirizzato verso un match contro Dillian Whyte; oppure potrebbe rinnovare con la promotion (a nuove condizioni) continuando a difendere la cintura, magari vedendo soddisfatto il suo desiderio di affrontare Jones. Eppure oggi Ngannou e White, quindi UFC, appaiono sempre più lontani. In attesa di nuovi colpi di scena.

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