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Ngannou è tornato ed è stato emozionante
21 ott 2024
Nel suo primo incontro in PFL ha confermato tutta la sua straordinarietà.
(articolo)
8 min
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Riad è diventata una delle location più appetibili per gli sport da combattimento (e non solo) negli ultimi tempi. PFL è la promotion che, a suo tempo, raccolse le ceneri della World Series of Fighting e che più di recente ha acquisito Bellator, considerata fino a quel momento la seconda organizzazione più importante di incontri di MMA.

Nel suo ultimo evento, andato in scena sabato notte in Arabia Saudita, appunto, la PFL ha messo in mostra i propri gioielli, con stelle del calibro di Johnny Eblen e Fabian Edwards - che hanno combattuto per il titolo dei pesi medi, vinto da Eblen - e Cris Cyborg, che si è laureata campionessa. Il vero trascinatore dell’evento però, presentato come “Battle of the Giants”, è stato l’incontro con protagonista uno dei pesi massimi più forti in assoluto, Francis Ngannou, l’attuale campione lineare, se si vuole seguire la logica della boxe.

Riassunto delle puntate precedenti

PFL aveva approfittato dell’impossibilità di trovare un punto di incontro tra Ngannou e la UFC, inserendosi in una trattativa complicata che aveva visto Ngannou chiedere diverse garanzie per accettare il nuovo contratto (tra queste, l’istituzione di un “sindacato” dei fighter e la libertà di organizzare combattimenti di boxe per conto proprio), mentre dall’altra parte Dana White si fingeva - o forse sinceramente lo era - poco preoccupato all’idea di lasciar andare il suo campione dei pesi massimi. Come a dire: dove potrà mai andare?

Da quando si è separato con la UFC, Ngannou ha combattuto due volte con i guantoni da boxe, contro due campioni come Tyson Fury (facendo un’ottima figura e, secondo alcuni, meritando la vittoria che non gli è stata concessa) e Anthony Joshua (andando KO per la prima volta in carriera). Per quanto in termini economici si sia trattato di un clamoroso successo, in termini sportivi la sconfitta con Joshua è stata una caduta fragorosa che, per quanto prevedibile, aveva incrinato qualcosa nella percezione del pubblico. Da mostro con la dinamite nelle mani, a essere umano fragile, il passo è stato breve.

Francis Ngannou sembrava diventato gestibile, persino battibile. Anthony Joshua aveva scoperchiato il vaso di Pandora, e se è certo che lo avesse fatto esclusivamente nel pugilato, è vero alla stessa maniera che l’impatto psicologico di quel KO avrebbe potuto cambiare tante cose. Dopo la sconfitta Ngannou ha annunciato di voler tornare alle MMA, il suo habitat naturale, ma come sarebbe tornato? In fin dei conti, ha pur sempre 38 anni e il suo percorso ormai sembrava pressoché concluso.

Poco più di un mese dopo la sconfitta per mano di Joshua, Ngannou e la sua famiglia hanno dovuto affrontare una tragedia vera, di vita, non sportiva. Suo figlio Kobe, di appena 15 mesi, è morto a causa di una malformazione al cervello. Nelle interviste in cui ne ha parlato Ngannou sembrava legittimamente col cuore spezzato, ha parlato di come, pur non pensando di togliersi la vita, il pensiero della morte non lo spaventava più, immaginando di poter rivedere quel giorno il proprio figlio. Insomma, ci sono altre priorità nella vita, anche per uno sportivo di alto livello.

La “Battaglia dei giganti” è stata organizzata in questo contesto. Ngannou ha detto di aver deciso di tornare a combattere proprio per Kobe, per rimettersi in piedi dopo quella tragedia. Mancava dall’ottagono da due anni ormai, da quando nella sua ultima apparizione in UFC aveva gestito prima e domato poi al suolo Ciryl Gane, suo ex compagno di palestra a Parigi. Fu una sorpresa, allora, vedere Ngannou, dopo qualche tentativo di raggiungere Gane coi suoi pericolosi colpi di braccia, tentare ed ottenere diversi takedown, prima di portare il match a casa ai punti, unanimemente. La sua crescita in gabbia aveva segnato un altro step: solo dieci mesi prima, in un rematch contro Stipe Miocic, aveva ottenuto il titolo di campione dei massimi UFC difendendo benissimo i tentativi di atterramento del pompiere di Cleveland e mettendolo KO dopo un furioso scambio in piedi durante il quale aveva anche incassato colpi pesanti, rispondendo in maniera tenace ed ottenendo la vittoria.

Si poteva pensare, nonostante ciò, che l’esperienza nella boxe di Ngannou lo avesse convinto a scambiare in piedi, a tornare alle sue basi, colpendo di rimessa ma anche prendendo l’iniziativa, forte di una nuova linfa data dalle conoscenze acquisite. Il suo avversario sabato notte era il brasiliano Renan Ferreira: 34 anni, 2 metri e 3 centimetri di altezza, con un allungo che di centimetri ne vede 216, reduce da quattro vittorie consecutive tutte per KO o TKO - l’ultima delle quali arrivata contro l’ex doppio campione Bellator Ryan Bader, unificando le cinture dei massimi delle due promotion e laureandosi campione.

Ferreira è un freak naturale, enorme fisicamente, a stento rientrante nei limiti di categoria per quanto riguarda il peso (e parliamo di pesi massimi), visibilmente più alto e grosso persino di Ngannou. Sulla potenza di Ngannou non si può ovviamente discutere, ma la domanda più frequente tra gli osservatori più o meno casuali che avevano rimosso il match contro Gane (e che magari scommettevano sullo sviluppo delle doti pugilistiche di Francis) era se l’allungo di Ngannou gli potesse consentire di entrare nella guardia di Ferreira, colpire e uscire indenne dall’azione.

Come è andato il match

Quando il match inizia, Ngannou si tiene a distanza e lo stesso fa Ferreira, forte di un allungo che gli avrebbe consentito di rientrare dopo aver schivato con un notevole vantaggio dimensionale e di occupazione dello spazio. Entrambi i fighter hanno preso le misure con devastanti leg kick, colpendosi reciprocamente per comprendere le reazioni. Al primo scambio violento di braccia, il quale ha visto entrambi sfiorare un colpo d’apertura che avrebbe pure potuto essere risolutore (ma che invece è andato a vuoto), Ngannou ha capito che anche dalle distanze c’era parecchio da rischiare.

Al secondo tentativo del brasiliano di attaccare il bersaglio piccolo, Ngannou ha cambiato livello, effettuato un double-leg takedown e ha accettato di entrare nella guardia di Ferreira per provare a colpire in ground and pound, dopo però averlo spostato fisicamente da una direzione che puntava il centro della gabbia alla sua parete. Sono sembrati lunghissimi (specie per Ferreira) i secondi durante i quali il brasiliano è riuscito a coprirsi afferrando il braccio sinistro di Ngannou, che stava cercando di stabilizzare la posizione prima di scatenarsi. Ferreira ha anche tentato di mettere i presupposti per una kimura prima e per un triangolo di gambe poco dopo, tutte soluzioni che Ngannou è riuscito a disinnescare, guadagnando una posizione vantaggiosa e coprendo la schiena del brasiliano. Trovatosi con la schiena verso il suo avversario, Ferreira non ha potuto far altro che coprirsi, ma è qui che la furia di Ngannou si è scatenata.

Riuscendo ad imprigionare Ferreira contro la parete, facendo pressione, Ngannou ha cominciato a caricare in ground and pound e non sono stati pochi i pugni che hanno fatto pensare alla disconnessione immediata di Ferreira. I colpi sono arrivati quasi tutti alla zona temporale, e l’arbitro Dan Miragliotta non ha interrotto l’azione quando, dopo uno o due colpi che hanno colpito la nuca di Ferreira, il brasiliano sembrava incapace di rispondere. Un ultimo, potente colpo tra tempia e zona frontale ha alla fine convinto Miragliotta ad interrompere il match al primo round, dopo poco più di tre minuti. Il verdetto ha visto Ngannou vincere per KO, luci spente.

È stato qui che Ngannou, prima ancora che entrassero secondi ed ufficiali in gabbia, è scoppiato in un pianto antico, in una forma di catarsi nella quale è davvero impossibile immedesimarsi per chi non ha provato il più grande dei dolori umani. «Non dimenticate Kobe, questo match è per lui. Non so nemmeno come mi sento, non so dirlo», ha detto Ngannou in lacrime, ai microfoni.

È impossibile descrivere l’abisso nel quale Ngannou deve essersi trovato, il turbine di emozioni sia negative che positive che lo hanno attraversato, lo stato d’animo con cui ha affrontato l’incontro. Per il carico emotivo, ma anche per ragioni che in confronto possono sembrare irrisorie, come il cambio di promotion, per le aspettative che si erano create su di lui, questo match rimane un unicum.

Quello che è certo, sportivamente, oggi, è che Francis Ngannou rimane il campione lineare dei pesi massimi nelle MMA. Jon Jones ha raccolto il testimone sfidando Ciryl Gane e battendolo in brevissimo tempo, ma non ha mai affrontato il fenomeno camerunese, facendo suo un titolo che era in quel momento vacante. In UFC, Jones affronterà Stipe Miocic, battuto nel rematch proprio da Ngannou, a UFC 309, il 16 novembre. Dovesse vincere Jones, il what if si farebbe ancora più forte, così come forte rimane la curiosità di vedere Ngannou contro il campione ad interim (più simile a un campione indiscusso) dei massimi UFC, l’inglese Tom Aspinall, la nuova grande rivelazione tra i giganti dello sport.

Tutto questo però, con forte probabilità, rimarrà una suggestione, data l’impossibilità di trovare un accordo tra due “concorrenti” come UFC e PFL. L’augurio per lo sport è che PFL proponga a Ngannou degli avversari d’eccezione, che possano mettere alla prova le capacità del colosso camerunese. Ma Ngannou potrebbe anche mollare e non cambierebbe nulla alla sua storia, all’incredibile successo figlio della sua ostinazione e della sua passione, con cui ha superato ostacoli che piegherebbero le gambe e la schiena di qualsiasi altro uomo. L’augurio è che possa ritrovare la serenità che merita.

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