Se c’era un momento per vedere Vincenzo Nibali in maglia gialla, quel momento era ora. Una breve crono, una tappa ventosa con un sacco di insidie, il Muro di Huy, sul quale ci vuole tempismo quanto ci vogliono gambe, il pavé sul quale ha dimostrato di essere il più forte. Qui Nibali avrebbe potuto sfruttare le sue migliori qualità, la concentrazione, la capacità di leggere l’evoluzione della corsa, la maggiore esperienza nelle classiche rispetto agi avversari. Probabilmente non sarebbe bastato per vincere il Tour, ma era il suo terreno.
La buona prestazione nella crono iniziale, poi, sembra aver confermato un’impressione pericolosa: che Nibali sia in anticipo di condizione, col rischio di pagare questo errore di preparazione nelle salite dell’ultima settimana. Tanto più che quest’anno in salita non è mai stato all’altezza degli avversarî e nelle ultime corse era sembrato quasi risparmiarsi. Fosse anche un’impressione sbagliata, questa prima settimana di corsa era fatta per premiare la capacità di guidare la bici, in cui Nibali è maestro, più che lo stato di forma.
D’ora in poi sarà dura per Nibali guadagnare tempo sugli avversari: c’è la cronosquadre in cui la sua Astana rischia di perdere terreno, così come rischia di aiutarlo poco in salita, a confronto con altre squadre meglio assortite. E sulle salite sarà dura: lì le tappe adatte più a Nibali che agli altri saranno, forse, un paio. Un attacco sulla discesa che porta a Gap all’undicesima, se va bene uno su quella del Col d’Allos, difficilmente un tentativo su quella del Tourmalet, con 40 km e 10 tappe ancora da fare.
Alla base del Muro di Huy sono tutti lì: Froome davanti, Contador appiccicato dietro a lui. Nibali e Quintana poco dietro. Froome corre da leader, resta sempre davanti ed è l’unico a riuscire a rispondere al cambio di ritmo di Rodríguez. Nibali e Quintana recuperano nel finale, Contador è quello che fatica di più.
Nibali
Come detto, arrivare qui con un abbondante minuto e mezzo di vantaggio su Froome non sarebbe probabilmente bastato per vincere, invece Nibali ci arriva con un abbondante minuto e mezzo di ritardo, per quanto in gran parte colpa di una foratura alla seconda tappa. È vero che anche Quintana ha due minuti di ritardo, e questo lo forzerà a provare a far saltare il banco ogni volta che è possibile, con potenziale beneficio di Nibali. Ma è un dato di fatto: nelle sfide in salita fra i quattro favoriti di questo Tour, Nibali non è mai uscito vincitore, cosa che neppure il Tour dell’anno scorso aveva smentito:
«Se in questi giorni avete letto la stampa italiana è probabile che abbiate la percezione che Nibali vincerà facilmente i prossimi tre Tour de France. Non è così. Già dal prossimo anno sarà dura, con tre avversari che hanno almeno le stesse possibilità di vincere: Froome, Contador e Quintana. Nibali non è il migliore. Nel senso che non è il migliore scalatore, non è il miglior cronoman. Non è neanche quello che recupera meglio o che va meglio sugli strappi brevi. Però è il più completo di tutti: se vogliamo fare un paragone calcistico, è Vidal, non è Messi. Ha anche un significativo controllo della corsa, e negli anni ha maturato un ottimo tempismo. Ha un’agilità notevole, e una padronanza delle proprie forze e della bici fuori dal comune: non è certo un caso che su 12 grandi giri a cui ha partecipato non ha mai avuto una vera crisi o un ritiro. È una statistica molto rara, ha sempre concluso la corsa, e sempre fra i primi 20».
Così scrivevo lo scorso anno per raccontare la straordinaria vittoria al Tour de France. Nibali è tornato al Tour per provare a bissare quel successo. L’ultimo a vincere due Tour di fila è stato Miguel Indurain, ormai vent’anni fa. È strano, perché gli anni '90 erano cominciati col sembrare l’era della perfezione tecnica e agonistica, della preparazione impeccabile e dei corridori robot. Quindi l’era dei grandi dominî senza sbavature, dei monopolî del singolo imbattibile corridore: quello di Indurain, primo corridore ad aver vinto cinque Tour di fila; quello potenziale di Ullrich, che vincendo il suo primo Tour a 24 anni, con 9 minuti di vantaggio sul secondo, aveva quasi detto: «I prossimi anni saranno miei», salvo poi mostrare un carattere e una assenza di disciplina più umana, non all’altezza delle sue portentose doti atletiche; quello spietato e impeccabile dell’automa Armstrong, finito poi a chiedere pietà per le proprie pecche; quello soltanto teorico dell’erede designato, Alberto Contador, vincitore del Tour a 25 anni, tecnicamente più forte degli altri, ma interrotto più volte da squalifiche e revoche.
Negli anni di Armstrong la domanda che ci si faceva sempre era: «Possibile che non abbia mai avuto una crisi? Una caduta? Un brufolo sulle chiappe?». Va bene che è perfetto nella preparazione, va bene che è un computer che calcola ogni cosa, ma gli imprevisti, quelli che sono il sale del ciclismo, dove sono? Possibile che vinca sempre, sempre il favorito? Invece è tornata a essere l’era degli imprevisti, degli outsider.
Anche l’anno scorso Nibali aveva avuto difficoltà alla seconda tappa, ma a baciare la miss che gli consegnava la maglia gialla.
Nell’albo d’oro degli ultimi dieci anni ci sono nove corridori diversi e—complici le crisi, le cadute, le squalifiche per doping, e anche le fughe bidone—nessuno di questi, alla partenza, era il favorito. L’ultimo di questi vincitori imprevisti è stato Vincenzo Nibali, lo scorso anno. Nibali ha tutto per essere un vincitore imprevisto: ha un’innata capacità di controllare la bicicletta, che lo favorisce nell’evitare le cadute e gli altri accidenti; corre spesso all’attacco, sacrificandosi in azioni dispendiose che non riescono quasi mai (ma quando riescono…); è forte in discesa, e ha una notevole capacità di recupero, due qualità che gli permettono di rintuzzare o evitare le crisi. Anche caratterialmente Nibali non ha quella glaciale alterigia dei corridori perfetti. Nibali è sempre lì. Anche quando non è il più forte, ed è la qualità che gli ha permesso di vincere il Tour dell’anno scorso.
Il problema è che quest’anno sono tanti i corridori che dovrebbero avere degli imprevisti, dei cali di forma, perché lui possa vincere: Froome, Quintana, Contador. E quando gli avversarî sono tanti, la continuità diventa una qualità meno importante. Per questo viene da dire che è molto probabile che Nibali ottenga un posto sul podio, ma è molto difficile che ottenga la vittoria: qualcuno degli altri tre—Froome, Quintana e Contador—sovraperformerà, qualcun altro sottoperformerà, ma è difficile che tutti e tre facciano peggio delle loro possibilità.
Qui Froome si fa buttare fuori strada e rischia grosso, rientrando poi a spallate. Nonostente ciò che dice il titolo del video, Nibali—che viene chiuso all’esterno ben più di Froome—non rischia la caduta, al massimo una foratura sullo sporco.
Froome
Froome è quello che, in anni recenti, ha più rammarichi per non aver vinto due Tour di fila. Sono tre anni che ci arriva come il più forte in salita e ha finito per vincere solo nel 2013. Nel 2012 non ha potuto provare di essere il più forte per ordini di squadra, e ha vinto il suo compagno Wiggins. Nel 2014 non ha potuto provare di essere il più forte per la caduta che l’ha costretto a ritirarsi, e ha vinto Nibali.
Ha un’incredibile e inconfondibile frequenza di pedalata, sembra un frullatore, una caratteristica in genere più associata agli scalatori puri che a un corridore alto 1.85 m come lui (Quintana è 20 cm meno). Gli sarebbe certamente piaciuto un percorso con più chilometri a cronometro, che gli avrebbero dato un certo vantaggio su Nibali e soprattutto su Quintana. Sulla carta è comunque il più forte, in strada ha sempre battuto tutti gli altri avversari, faticando soltanto sulle pendenze più ripide dall’incostante Quintana. Ha vinto il Giro del Delfinato, la breve corsa a tappe che accompagna molti corridori al Tour, come aveva fatto due anni fa, prima della sua vittoria nella Grande Boucle. E nelle previsioni della vigilia ha la squadra più forte.
Nella mini-crono iniziale ha un po’ deluso, ma nelle altre tre tappe di questa prima settimana si è dimostrato sempre pronto: prima a ritrovarsi nel gruppetto davanti, quando un ventaglio (e una foratura) hanno condannato Nibali e Quintana a un minuto e mezzo di ritardo; sul Muro di Huy, primo istantaneo arrivo in salita, è stato l’unico ad andare dietro allo specialista Purito Rodríguez, dimostrando subito una buona gamba e un’ottima concentrazione; nella tappa in pavé, che l’anno scorso l’aveva condannato ancora prima di arrivare sull’acciottolato, ha risposto bene agli attacchi di Nibali, e alla fine dell’ultimo settore ha addirittura provato ad attaccare. Certo, tutto può succedere—quella sbandata ai 25 dall’arrivo poteva pagarla cara—ma sembra aver imparato a correre da dominatore, come nella scelta di lasciare la maglia a Tony Martin, anche quando occorre uscire dal seminato e improvvisare.
L’unica volta che si è visto il vero Quintana quest’anno: lo scatto sul Terminillo alla Tirreno-Adriatico. Sono passati quattro mesi.
Quintana
Nonostante abbia la faccia di un cinquantenne che ha lavorato tutta la vita in miniera è il più giovane dei quattro favoriti. È l’unico sotto i trent’anni, ed è effettivamente l’unico di un’altra generazione, tanto che ancora quest’anno gareggerà per (e vincerà) la maglia bianca della classifica dei giovani. Da ventitreenne ha debuttato al Tour, e ha ottenuto il secondo posto, unico a mettere in difficoltà Froome sulle ultime salite. L’anno dopo è andato al Giro, che ha vinto anche se senza dominare in salita come ci si sarebbe potuti aspettare. A vedere i soli risultati ha il pedigree perfetto del corridore delle grandi corse a tappe, e quest’anno punta alla vittoria al Tour. Poi ci punterà nuovamente per chissà quanti anni.
Però Quintana non è un corridore da grandi corse a tappe, è uno scalatore. È quello capace di far saltare il banco, ma anche il più potenzialmente discontinuo. Non è abituato a correre da leader, al Giro dell’anno scorso ha rocambolescamente preso la maglia rosa solo alla sedicesima tappa, ed è abituato a venire fuori alla distanza. Sicuramente è molto avvantaggiato dal percorso di quest’anno: tanta montagna vera, sparsa in molte tappe di montagna—quindi molte giornate in cui provare a fare qualcosa—ma che cominciano nella seconda metà del Tour. Pochi km a cronometro, e per più due terzi di cronosquadre (nella quale la sua squadra, la Movistar, è una delle meglio attrezzate).
Il suo livello di forma è un’incognita. Nibali l’ha addirittura accusato di essere sparito, di non avere notizie di lui, generando una polemica che è andata anche oltre al proprio intento. In gergo ciclistico si direbbe: «È un colombiano».
Dopo aver vinto bene la Tirreno-Adriatico, ha fatto qualche anonimo piazzamento al giro dei Paesi baschi e al Romandia. Nell’ultima corsa prima del Tour, l’anonima Route du Sud, è arrivato dietro a Contador. A occhio sembrerebbe in ritardo di condizione, e—come ci si aspettava—nella prima settimana ha faticato: dietro a crono, dietro in Olanda, dietro in Belgio. È rimasto attaccato con i denti al gruppo dei migliori sul pavé, e ora ha 2 minuti di ritardo da Froome. Però ora comincia il suo Tour: se ha la testa, ha la forma, e la giornata giusta, è quello che può fare più male attaccando.
I compagni di Contador sanno di dover inventare qualcosa, e alla seconda tappa provano a creare dei ventagli, come avevano fatto con successo ai danni di Froome due anni fa. Questa volta a rimanere intrappolati dietro sono Nibali e Quintana.
Contador
Lui a vincere due Tour di fila c’era anche riuscito, prima che gli venisse revocato il secondo. È il corridore più controverso degli ultimi anni, ha dovuto saltare o è stato squalificato a posteriori in diverse corse. Dei suoi nove grandi giri vinti, tre ciascuno, gliene sono stati revocati due, un Giro e un Tour. Complici queste vicende, sono ormai cinque anni che non arriva neanche sul podio al Tour de France, nonostante sia sempre tra i migliori corridori per le corse a tappe. Quest’anno ha deciso di provare il colpo grosso, considerato praticamente impossibile nel ciclismo contemporaneo: la doppietta Giro d’Italia/Tour de France. Prima di partecipare al Giro ha detto di sapere bene che già vincere il Tour sarebbe stato difficile, ma che un’altra vittoria in un grande giro non avrebbe modificato granché il modo in cui verrà ricordato. Riuscire in una doppietta, invece, sì. È andato al Giro e ha vinto. Ora si presenta al Tour.
Quando al Giro del 1994 lo sconosciuto russo Evgeni Berzin riuscì a battere l’invincibile Indurain—quello che aveva vinto i due Giri precedenti e avrebbe dominato tutti Tour di quegli anni—fu chiaro che il ciclismo stava entrando in una nuova epoca, in cui la preparazione e i picchi di forma sarebbero stati determinanti. Da quel momento nessun corridore è mai riuscito a vincere Giro e Tour o Tour e Vuelta nello stesso anno (chi conosce il ciclismo sa che, in questo sport, qualunque generalizzazione va intesa con la postilla “a eccezione di Pantani”). Anzi, si sono corsi 62 grandi giri, e nessuno ne ha mai vinti due di fila, neanche in anni differenti. Ci è riuscito solo Contador quest’anno, abbastanza in sordina, dopo aver vinto la scorsa Vuelta e questo Giro. Vincere il Tour, e così tre Grandi Giri di fila, lo consacrerebbe.
Però, nella loro condizione migliore, Contador è inferiore sia a Froome che a Quintana. In questo senso è simile a Nibali, e come lui deve affidarsi alla sua migliore gestione degli imprevisti. È con l’esperienza che ha vinto la scorsa Vuelta, che non aveva in programma di fare, battendo un Froome nella stessa situazione. Complice la fatica del Giro, difficilmente riuscirà a rimanere con Froome e Quintana su tutte le salite, probabilmente anche Nibali oggi è più forte. Ha cominciato discretamente, riuscendo a stare sempre abbastanza davanti, e ora è il più vicino a Froome. Ma è nella terza settimana che dovrà difendersi davvero, e sarà dura.
Il pronostico brutale
Froome domina la corsa, Quintana prova ad attaccarlo, ma ottiene solo vittorie di tappa e solo qualche manciata di secondi. Nibali nelle tappe meno dure riesce a inserirsi fra i due, ma nelle altre perde ulteriore terreno. Contador ci mette tanta buona volontà, ma sulle salite non ha le gambe degli altri. Primo Froome, secondo Quintana, terzo Nibali. Contador probabilmente dietro anche a qualcuno degli altri, van Garderen, Rodríguez o Valverde. I francesi deludono ancora.