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Martinenghi ha vinto l'oro credendo nelle sue scelte
29 lug 2024
29 lug 2024
Un trionfo inaspettato.
(foto)
IMAGO / Bildbyran
(foto) IMAGO / Bildbyran
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«Non so veramente cosa dire, forse sarà la prima intervista in cui farò scena muta, ma mi devo ancora rendere conto di cosa ho fatto». Ancora bagnato, con il fiatone e la cuffia in mano, Nicolò Martinenghi si presenta un po' spaesato ai microfoni della RAI, qualche secondo dopo essere diventato il quinto italiano di sempre a vincere un oro Olimpico nel nuoto. Prima di lui ci erano riusciti solamente Domenico Fioravanti, Massimiliano Rosolino, Federica Pellegrini e Gregorio Paltrinieri, un piccolo club che rappresenta bene la storia del nostro nuoto.


Poco dopo la premiazione, però, Martinenghi ritrova il filo del discorso: «Ora sono qui, con la medaglia d’oro più importante al collo, e so che ce l’ho fatta. Vivo per questi momenti, per sentire l’inno in silenzio e godermi l’attimo». Lo dice dopo aver fatto un giro di stadio lunghissimo, essersi preso un bagno di folla quasi surreale per un italiano in mezzo ai francesi, aver abbracciato tutti, i compagni di squadra, i genitori, il fratello, la fidanzata e l’allenatore. Non è solo questione di simpatia: con lui si sono complimentati proprio tutti, anche i rivali battuti, come se la sua vittoria avesse in qualche modo messo d’accordo un parterre di nuotatori che, alla vigilia, era alle prese con una situazione strana.

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Una vasca lenta

Non sono passati nemmeno due giorni di gare a La Defense Arena di Parigi, ma la voce gira già molto insistente tra atleti e addetti ai lavori: la vasca olimpica è lenta. È un modo di dire che sta a significare che la piscina dove si disputano le gare di nuoto, costruita appositamente per l’occasione, come ormai sempre succede nelle manifestazioni come Mondiali e Olimpiadi, non ha la scorrevolezza che ci si aspettava, e quindi i nuotatori faticano ad andare forte.

Com'è possibile? La cosa è strana, se si pensa appunto che è una piscina che serve solo alle gare dei Giochi Olimpici e che verrà resa pubblica al termine di queste settimane. Non si capisce se sia un problema di profondità - è 2.15 metri, 80 centimetri meno rispetto a Tokyo 2021 - oppure proprio di conformazione - sembra che ci sia un piccolo scalino lungo i bordi che potrebbe riflettere le onde - ma già dal primo giorno molti atleti, soprattutto velocisti, hanno esternato questa strana e preoccupante sensazione.


Le prove ci arrivano soprattutto nelle gare dei 100 rana: tra le donne, nessuna è scesa sotto l’1.05, e nelle semifinali abbiamo assistito a controprestazioni importanti sia dalla cinese Tang Quanting, solo 1.05.83, che da Ruta Meilutyte, una delle favorite addirittura fuori dalle otto finaliste. Anche Benedetta Pilato ha nuotato lontano dal suo record italiano, stabilito nemmeno un mese fa al Trofeo Settecolli, e ha confermato tra le righe la sensazione di tutti. Tra gli uomini, che avevano svolto batterie e semifinali nella giornata inaugurale di gare, la preoccupazione era la stessa: il cinese Qin Haiyang, dominatore dell’ultimo anno, dalla nuotata potente ma fluida, sembrava irriconoscibile in acqua, macchinoso e poco efficace, e anche il due volte campione Olimpico Adam Peaty non macinava metri come suo solito. Tutti sono sembrati rigidi, nessuno ha dato la sensazione di essere superiore agli altri. E questo ha aumentato l’incertezza di una finale che alla vigilia sembrava molto più chiusa di quanto poi non sia stata.


In questa situazione particolare, Nicolò Martinenghi ha confermato in vasca le sensazioni del gruppo, nuotando una batteria abbastanza tranquilla in 59.39 e una semifinale non brillantissima, sesto in 59.29, non così lontano dai primi. Dopo la semifinale aveva detto che «non è una questione di tempo ma di sensazioni: sono dove volevo essere, in finale Olimpica, e domani me la giocherò».

Insomma, guardando esclusivamente i tempi non c'era grande fiducia a un oro, o addirittura riguardo a un podio. Eppure lui sembrava tranquillo, sorridente ai microfoni della Rai, come se sapesse qualcosa. Quel «venderò cara la pelle» con cui aveva chiuso l’intervista suonava come una frase fatta. A quanto pare non lo era del tutto.


L’occasione giusta

La finale Olimpica dei 100 rana è arrivata pochi minuti dopo la semifinale dei 100 dorso nella quale Thomas Ceccon, l’uomo più atteso del nuoto a italiano a Parigi, ha finalmente scoperto le sue carte dimostrando di essere in ottima condizione di forma (52.58, secondo tempo dietro solo al cinese Xu). Ceccon stava ancora parlando con Elisabetta Caporale quando Nicolò Martinenghi ha fatto il suo ingresso sul piano vasca, cuffia nera e qualche ciuffo di capelli biondo platino ai lati, a fare pendant con i brillanti dei suoi orecchini. Il suo sesto tempo di qualificazione lo ha assegnato alla corsia 7, non una delle centrali - quelle dei favoriti - ma nemmeno una troppo laterale. Accanto a lui, andando verso il centro della vasca, ci sono Nic Fink, Qin Haiyang e Adam Peaty, il probabile podio se si considerano valori assoluti e tempi nuotati in semifinale.

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Ma la finale olimpica, lo dicono gli atleti stessi, è una gara strana, completamente diversa dalle altre, nella quale contano diversi fattori. Non solo la condizione fisica, ma anche la capacità di applicare la tattica di gara giusta, di controllare le emozioni e di saper sfruttare l’occasione. E Nicolò Martinenghi è stato perfetto sotto tutti questi punti di vista.


Ha avuto indubbiamente la condizione fisica giusta: nonostante la sua annata sia stata costellata da piccoli fastidi, soprattutto all’adduttore, i suoi muscoli hanno retto alla grande. Martinenghi ha staccato il pass olimpico a dicembre del 2023, ha potuto programmare tutta la stagione con calma e lungimiranza e con il suo tecnico Marco Pedoja ha aggiustato ogni scelta per arrivare a Parigi al picco di forma. La tattica di gara era chiara: passare ai 50 metri vicino agli avversari per poi sfruttare il suo allungo nel finale, dote che spesso gli ha regalato grandi soddisfazioni. A metà gara, Martinenghi era terzo, a 31 centesimi di distacco dalla coppia Qin-Peaty, perfettamente posizionato per sferrare l’attacco giusto negli ultimi 25 metri.


Proprio in quel momento di gara, ha saputo controllare le emozioni e sfruttare l’occasione che si stava presentando. Con la coda dell’occhio, ha potuto vedere che la linea dei suoi rivali era simile alla sua, che non c’era nessuno in fuga solitaria, e che la gara si sarebbe decisa al tocco della piastra. C’è stato un momento della finale di ieri sera, intorno agli 80 metri, in cui si vede Martinenghi incrementare il ritmo del suo ciclo di nuotata, in cui braccia e gambe arrivano quasi a sovrapporsi nei movimenti, in cui l’acqua intorno a lui si fa più bianca e agitata. È in quel momento che deve aver sentito che l’occasione stava per presentarsi, che il famoso “treno che passa una volta sola” era a portata di mano ed andava assolutamente preso. Al tocco della piastra, il cronometro ha segnato 59.03, sicuramente non il tempo che si aspettava né quello che sperava di poter fare, ma francamente non è così importante (almeno per noi che ci interessiamo alle medaglie; per gli ossessionati dei tempi e dei record come Michael Phelps le cose stanno un po' diversamente).


Importanti sono stati, piuttosto, quei 2 centesimi che gli hanno permesso di vincere davanti a Peaty e Fink, argento ex-aequo, o gli 8 che hanno messo dietro il tedesco Imoudu, o i 47 che hanno staccato il favorito Qin. È stata una finale lenta e nervosa, con tutti gli atleti in 95 centesimi, che ha confermato quelle sensazioni sulla lentezza della vasca vissute soprattutto dai ranisti, ma che non toglie nessun merito a chi ha saputo vincerla mettendo la mano davanti. Anzi, forse ne aggiunge.

Alla vigilia, Martinenghi sembrava in lizza per il bronzo e invece ha preceduto tutti entrando definitivamente nella storia del nuoto: contando solo la vasca lunga, tra Mondiali, Europei e Olimpiadi, questa è la sua ventesima medaglia.


L’oro della continuità

Nella giornata delle semifinali, alla Gazzetta dello Sport, Martinenghi aveva detto che «mi piace pensare che la continuità sia il mio marchio di fabbrica, è una qualità che paga», e in effetti è stato così.

Martinenghi ha iniziato a vincere da giovanissimo, tra il 2015 e il 2017 ha collezionato nove ori tra Europei e Mondiali junior, stabilendo anche il primato mondiale della categoria. Nel 2018 ha esordito in Nazionale maggiore e nel 2019 ha migliorato il record italiano dei 100 rana, infrangendo per primo la barriera dei 59 secondi. Ma è nel 2021 che è iniziata la sua personale e incredibile striscia di risultati nei 100 rana, gara nella quale non è più sceso dal podio: bronzo olimpico a Tokyo 2021, oro mondiale ed europeo nel 2022, argento mondiale nel 2023 e nel 2024. La sua non è solo una continuità di risultati ma anche di scelte.


Martinenghi è nato a Varese il 1 agosto del 1999, ha iniziato a nuotare da piccolo per emulare le gesta del fratello maggiore e poi si è scoperto forte e talentuoso nella rana. Il tecnico che per primo ha individuato questa sua qualità è anche quello che tuttora lo allena, Marco Pedoja, e che lui ringrazia dicendo che «oggi era lui a crederci più di tutti, forse anche più di me, prima della gara mi ha detto che di tutti ranisti ero quello che stava nuotando meglio. Ne abbiamo passate tante insieme e questo oro è il coronamento di tutti gli sforzi». L’importanza di avere un tecnico che ti conosce così profondamente si è rivelata determinante anche nella singola gara di ieri. Pedoja, al sito della Federnuoto, ha rivelato quanto minuziosa sia stata la preparazione a questa gara: «Abbiamo corretto la posizione della testa spostandola un centimetro più avanti, per non perdere energia. Per battere Peaty questo dettaglio è stato determinante».


In Italia, un campione di nuoto che viene dalla provincia fa, ad un certo punto della sua carriera, scelte solitamente molto radicali e si sposta verso le grandi città del nuoto come Roma (Paltrinieri), Verona (Pellegrini, Ceccon) o Torino (Pilato). Sono scelte consapevoli e dettate dalla grande possibilità tecniche e di strutture che solitamente queste realtà forniscono, avvicinando gli atleti tra loro in gruppi medio grandi di allenamento e dando la spinta necessaria per salire di livello. Martinenghi, invece, ha sempre scelto di rimanere a casa sua: negli anni la sua base quotidiana si è spostata solo da Brebbia a Busto Arsizio, sempre in provincia di Varese, sempre a pochi chilometri da famiglia e affetti. Le occasioni per andarsene non gli sono certo mancate, ma di contro ha di volta in volta attirato nel suo gruppo di lavoro altri nuotatori di livello italiano, per stimolarsi e darsi un obiettivo giornaliero, e non ha mai cambiato il team intorno a lui, dicendo spesso che «la dimensione giusta per me è questa, mi dà serenità e tranquillità».


Ventiquattro anni dopo la magica estate di Sydney 2000 e di Domenico Fioravanti, l’Italia torna a vincere i 100 rana alle Olimpiadi, e Martinenghi è l’espressione massima di una scuola che da tempo sforna talenti in questa specialità. A lui va anche il merito di essere il primo oro dell’Italia a Parigi 2024, in una giornata che sembrava quasi stregata per i colori azzurri, soprattutto per le strane gare di scherma, judo e pugilato, costellate di polemiche. Il nuoto sale a quota due nel medagliere, dopo il bronzo nella giornata inaugurale della staffetta 4x100 stile libero (Miressi, Ceccon, Conte Bonin, Frigo) che, proprio come Martinenghi, non scende dai podi che contano da Tokyo 2021. Tra qualche giorno, quando tornerà in acqua per le staffette miste, Martinenghi avrà compiuto 25 anni e nuoterà da campione olimpico in carica.


«A Tokyo non me la sono goduta, quasi non mi ricordo quello che ho provato su quel podio», ha detto dopo aver messo le mani sull'oro «Qui a Parigi ho sentito tutto».

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