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Non sarà un'avventura
07 ott 2016
L'Italia di Ventura sembra già di fronte a un primo muro.
(articolo)
10 min
(copertina)
Foto di Valerio Pennicini / Getty Images
(copertina) Foto di Valerio Pennicini / Getty Images
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101 giorni dopo l’ottavo di finale di Euro 2016, che rappresenta senza dubbio una delle migliori prestazioni della Nazionale italiana degli ultimi anni, Italia e Spagna si sono sfidate di nuovo per giocarsi una buona fetta di qualificazione ai Mondiali del 2018. Era soltanto la seconda partita del girone, ma nella prospettiva di un testa a testa tra azzurri e spagnoli per il primo posto, lo scontro diretto poteva già spostare gli equilibri in maniera importante, soprattutto se a vincere fosse stata la Spagna, che ha il vantaggio di giocare il ritorno in casa.

Il pareggio non cambia di molto le cose, e va bene così: l’Italia è riuscita a non allontanarsi dagli spagnoli nonostante una brutta partita, che ha messo chiaramente in evidenza la distanza che separa le due squadre, e può sperare di giocarsi le sue chance per il primo posto nella gara di ritorno, a patto ovviamente di non commettere passi falsi contro le più abbordabili Albania, Israele, Macedonia e Liechtenstein.

Quale distanza?

Dopo i segnali contrastanti dell’esordio, era anche l’occasione per valutare l’evoluzione dell’Italia di Giampiero Ventura, che ha cambiato solo due uomini rispetto alla formazione dell’ottavo di finale degli Europei: Alessio Romagnoli, all’esordio in Nazionale, ha preso il posto dello squalificato Giorgio Chiellini; Riccardo Montolivo invece ha sostituito Emanuele Giaccherini. Dei due è questo il cambio più significativo.

Ma al di là della formazione praticamente identica sono stati l’atteggiamento e lo stile di gioco a cambiare radicalmente: a giugno l’Italia aveva giocato una partita spavalda e tatticamente impeccabile, annullando il classico possesso palla spagnolo con una serie di uno contro uno a tutto campo, e aveva saputo sfruttare le incertezze difensive della “Roja” grazie alla sua manovra iper-strutturata. Allo Juventus Stadium, invece, per larghi tratti si è giocato in una sola metà campo, con l’Italia che ha rinunciato a pressare l’inizio azione della Spagna chiudendosi nel suo 5-3-2, incapace di trovare i riferimenti per provare quanto meno ad affacciarsi nella metà campo della Spagna. Difficoltà tradotte in un primo tempo senza nemmeno un tiro in porta, concedendo oltre il 70% di possesso palla alla “Roja”.

Le prime due partite della gestione Ventura avevano fatto emergere due macrotemi: la solidità difensiva, e quella è stata confermata anche ieri nonostante un atteggiamento più passivo e prudente; e la sterilità offensiva, soprattutto per la difficoltà a innescare la fase di rifinitura, a causa della mancanza di connessioni tra il rombo d’impostazione (i tre difensori centrali più il mediano) e il resto della squadra. Anche questo secondo aspetto, purtroppo, è stato confermato.

Italia (quasi) impenetrabile

Chi ha seguito Ventura negli ultimi anni di certo non sarà sorpreso dall’atteggiamento difensivo dell’Italia: così come il Torino, anche l’Italia preferisce concedere il primo possesso agli avversari per difendere schierata nella propria metà campo. La rinuncia a recuperare il pallone in zone più pericolose è comunque bilanciata da una solidità invidiabile, garantita dagli otto giocatori che proteggono il centro del campo: i tre difensori centrali, i tre centrocampisti e i due attaccanti.

Ed è proprio ai due giocatori più avanzati che spetta il compito iniziale di schermare il centro del campo, schierandosi in linea davanti ai difensori avversari per spingerli a giocare il pallone sulle fasce. Riuscire a riportare il pallone in mezzo al campo per penetrare un blocco così coperto al centro è estremamente difficile, anche se Ventura non sfrutta la situazione a suo vantaggio, sacrificando il recupero del pallone sull’altare della solidità, preferendo aspettare che siano gli avversari a consegnare la palla piuttosto che cercare di recuperarla in maniera attiva.

Le scalate previste sono tutte indirizzate ad annullare ogni possibilità di avanzamento avversario: la mezzala dal lato del pallone è la prima a uscire in pressione sul portatore di palla, mentre uno dei due attaccanti scherma la linea di passaggio in diagonale verso il centro del campo e l’esterno di fascia marca il giocatore che fornisce ampiezza alla squadra avversaria. Gli altri difensori scalano di conseguenza: il difensore laterale più vicino è il giocatore più aggressivo in assoluto: deve uscire dalla linea per marcare l’avversario nell’half-space, seguendolo anche in zone molto avanzate, mentre alle sue spalle gli altri due difensori scalano in copertura, gestendo in coppia il centravanti avversario, con l’esterno di fascia opposto sulla loro stessa linea a coprire il lato debole.

Un meccanismo difensivo teoricamente perfetto, che copre tutti gli spazi e concede solo scarico all’indietro, forzando la squadra avversaria a giocate complicate per tentare di avvicinarsi all’area di rigore. Un esempio dalla partita contro la Spagna:

Piquè sta iniziando l’azione, aiutato dall’abbassamento di Koke; Éder e Pellè coprono il centro del campo, Parolo è già pronto a uscire sul centrocampista dell’Atlético Madrid, mentre una volta che il pallone arriva a Carvajal, l’Italia scivola perfettamente da quel lato. Sul terzino spagnolo esce De Sciglio, Romagnoli marca Vitolo, coperto da Bonucci, con Parolo e De Rossi che impediscono di giocare il pallone verso il centro del campo. Carvajal non può far altro che tornare indietro e Koke a sua volta è costretto a cambiare lato: dall’altra parte la situazione è però identica.

L’Italia suona già a memoria questo spartito, pur in assenza di riferimenti fissi. I tre giocatori della Spagna incaricati di costruire l’azione e collegare i reparti, ovvero Koke, Iniesta e Silva, avevano infatti totale libertà di movimento, e gli azzurri sono stati bravi ad adattarsi e a mantenere la solidità del blocco pur in situazioni di volta in volta diverse: Silva, ad esempio, poteva dare ampiezza a sinistra e l’azione dopo trovarsi sulla destra a cucire il gioco tra Carvajal e Koke, Iniesta iniziava l’azione sul centro-sinistra e poi appariva in ogni zona del campo per dare continuità al possesso, e così via.

La montagna del possesso palla spagnolo del primo tempo ha così prodotto il topolino di appena due tiri in porta, uno dei quali letteralmente creato dal nulla da Iniesta.

Ma l’azione qui sopra chiarisce i rischi di un atteggiamento così prudente. Innanzitutto ci sono squadre che non si fanno problemi a conservare il possesso girando con pazienza il pallone da un lato all’altro del campo, e lasciare così a lungo il possesso a giocatori come Iniesta e Silva (le combinazioni tra Silva e Iniesta hanno rappresentato il flusso di gioco più ricorrente della partita) è un azzardo: i campioni prima o poi un’idea o una giocata per cambiare la partita la trovano.

Soprattutto, l’assenza di una strategia definita per il recupero del pallone finisce per schiacciare la squadra troppo indietro, impedendole di risalire il campo una volta recuperato il possesso ed esponendola così a giocare esclusivamente in difesa, esattamente quello che è successo per tutto il primo tempo contro la Spagna.

Italia (quasi) innocua

Il problema del recupero si collega al secondo macrotema individuato già dopo le partite contro Francia e Israele: è chiaro che una squadra così schiacciata all’indietro rinuncia soprattutto alla propria pericolosità, mancando oltretutto i riferimenti per far uscire il pallone dalla difesa e aggirare il pressing avversario. Per larghi tratti della partita con la Spagna l’unico riferimento è stato Pellé: ma senza una strategia per conquistare le seconde palle gli azzurri finivano soltanto per riconsegnare in fretta il pallone agli spagnoli.

L’Italia non ha rinunciato ad alcuni dei principi chiave della gestione Conte: la ricerca della superiorità in difesa per costruire l’azione dal basso; l’allargamento del gioco sulle fasce per aprire lo schieramento avversario e verticalizzare sui due attaccanti. Ma, a differenza del recente passato, si fatica a riportare il pallone al centro una volta giocato sulle fasce: le mezzali non hanno grandi responsabilità nella costruzione della manovra e il loro compito principale è di aprire i corridoi tagliando dal centro verso la fascia; in questo modo, però, se non è possibile raggiungere i due attaccanti direttamente manca lo scarico in orizzontale verso il centro, e l’esterno di fascia è costretto a tornare indietro dai difensori, cui forse vengono delegate eccessive responsabilità nell’impostare l’azione.

La prima manovra organizzata dell’Italia è merito di Bonucci, che lascia la propria posizione per fare le veci di De Rossi, fornendo un appoggio sicuro a Florenzi e tornando poi al centro del campo da Bonaventura.

L’alternativa è rappresentata dalle verticalizzazioni dirette dalla difesa ai due attaccanti: una giocata difficile e con percentuali di riuscita ridotte, anche se a disposizione hai uno dei migliori difensori al mondo a impostare l’azione (sempre Leonardo Bonucci). La Spagna non ha ripetuto l’errore commesso a giugno e la rotazione del triangolo di centrocampo, con Koke di fianco a Busquets e Iniesta più alto su De Rossi, era studiata apposta per tagliare questo collegamento.

Italia confusa

La volontà di reagire è stata evidente, ma senza grande chiarezza. La scelta di giocare l’ultimo quarto d’ora con tre attaccanti centrali, Belotti, Éder e Immobile, ha sicuramente messo in difficoltà la Spagna, indecisa su come reagire al nuovo schieramento azzurro, ma ovviamente non ha migliorato la fluidità della manovra. L’azione del rigore è nata su una splendida intuizione di Belotti, bravo a leggere in anticipo il colpo di testa di Ramos sul lancio lungo di De Rossi e a posizionarsi per controllare la respinta. Difficile costruire un sistema su queste situazioni.

Le zone in cui è necessario che Ventura intervenga sono diverse: ad esempio, l’organizzazione difensiva dell’Italia fuori dalla comfort zone della propria metà campo. Il gol di Vitolo è stato simile a quello subito da Martial contro la Francia: ancora una volta la linea difensiva era schierata male, con De Sciglio staccato dai compagni per seguire Vitolo. Non si può ovviamente nascondere l’errore grave di Buffon, ma la difesa italiana si è fatta sorprendere pochi minuti dopo, su un altro inserimento di Vitolo. Il problema, insomma, è strutturale: quali sono i riferimenti quando gli azzurri difendono in avanti?

D’altra parte è necessario migliorare la fluidità del gioco con la palla e togliere ai difensori almeno parte delle responsabilità nella costruzione della manovra. Esiste anche un problema di uomini: ancora una volta Ventura non ha potuto contare su Marco Verratti, la stella della squadra, nonché il centrocampista più a suo agio a gestire la pressione e prendersi responsabilità (più di Parolo sicuramente, ma anche di De Rossi, Bonaventura o Montolivo). Il suo ritorno a tempo pieno nella formazione titolare, così come quello di Marchisio, è il margine di miglioramento più grande sul quale può contare Ventura, che però dovrà anche metterli nelle condizione di convivere ed esprimere al meglio le loro caratteristiche. Il che significa anzitutto cambiare la disposizione del centrocampo o i movimenti, per far passare il gioco dai loro piedi e non da quelli degli esterni o dei difensori.

Dopo aver lasciato in maniera evidente la propria impronta dal punto di vista tattico, è probabilmente arrivata l’ora per Ventura di staccarsi da Conte anche nella scelta degli uomini: sfruttando il periodo di forma di Immobile e Belotti, entrambi decisivi nel cambiare la partita con la Spagna e con alle spalle il bagaglio d’esperienza maturato proprio nel Torino di Ventura per imporsi come coppia affidabile anche in Nazionale. In attesa, prima o poi, di vedere Berardi e gli altri esterni offensivi che renderebbero il mazzo da cui Ventura sceglie le proprie carte decisamente più imprevedibile. Ma in questo caso, forse, mi sto spingendo troppo in là con l’immaginazione.

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