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Djokovic fa eccezione
05 gen 2022
L'ennesimo momento controverso per il tennista serbo.
(articolo)
16 min
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Dei migliori cento esseri umani al mondo a giocare a tennis, novantacinque sono vaccinati. Almeno stando alle fonti che conosciamo, solo cinque di loro hanno rifiutato il vaccino, e solo uno di loro potrà giocare gli Australian Open senza restrizioni: Novak Djokovic.

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Un post condiviso da Novak Djokovic (@djokernole)

Ieri Djokovic ha pubblicato una foto sorridente sul proprio profilo Instagram, valigie e attrezzatura pronta per prendere il volo per Melbourne. Nel post annunciava di aver ricevuto un’esenzione medica che gli permetterà di partecipare al torneo. Una notizia sorprendente. Mesi fa Tennis Australia aveva annunciato il divieto per i non vaccinati di prendere parte al primo torneo dello Slam della stagione senza prima un isolamento di quindici giorni. I tennisti senza vaccino, dunque, avrebbero dovuto seguire il protocollo medico già previsto nella scorsa edizione del torneo, quando tennisti e tenniste sono rimasti chiusi in minuscole stanze di hotel a palleggiare contro il muro e a fare flessioni sul letto. Condizioni estreme che Djokovic aveva accettato con grande riluttanza, scrivendo anche all'organizzazione di allentare le regole della quarantena. Da quando si è diffusa la notizia il giocatore serbo aveva messo in dubbio la sua partecipazione: «Trovo terrificante che la società ti giudichi in base a un vaccino. Non voglio partecipare a una guerra che stanno fomentando i media. Pertanto non rivelerò se sono vaccinato o meno. verità è che non so se giocherò, la situazione non è affatto buona. Tra due o tre settimane verrà presa una decisione definitiva. Questa è una situazione difficile, non so quanti viaggeranno a Melbourne questa volta».

Un mese dopo queste dichiarazioni, a dicembre, comincia a circolare la voce che l’organizzazione di Melbourne aveva aperto alla possibilità di concedere un’esenzione ai tennisti non vaccinati in base al loro ranking. Una possibilità cinica, difficile da credere in un paese finora estremamente rigoroso nell’applicazione dei regolamenti sanitari. In Australia, fra il 2020 e il 2021, c’è stato il lockdown più lungo della storia, durato 262 giorni e per l’edizione 2020 del torneo le norme erano state applicate con una severità tale da rendere l’evento una competizione estrema. Tuttavia l’eventualità di esenzioni sembrava tramontata, fino a qualche giorno fa. Lo stato australiano di Victoria aveva escluso la possibilità di accordi con atleti non vaccinati; e ancora prima, Dan Andrews, governatore dello Stato, era stato ancora più eloquente: «Al virus non importa quale sia la tua classifica e quanti Slam hai vinto. E se anche i non vaccinati dovessero ottenere un visto, dovrebbero probabilmente essere messi in quarantena per due settimane, quando nessun altro giocatore dovrebbe farlo». Nella dichiarazione c’è quindi un riferimento più o meno esplicito a Djokovic. A novembre Kyrgios ha definito “immorale” la possibilità che tennisti non vaccinati potessero giocare gli AO.

Mentre l’edizione 2020 si è svolta all’interno di uno scenario da quasi zero casi registrati, oggi il paese è al picco storico. Il primo gennaio sono stati accertati più di 35mila nuovi casi. Il sistema sanitario è in difficoltà e da qualche settimana il governo ha limitato la disponibilità di tamponi gratuiti. Nello stato di Victoria una persona su cinque risulta positiva ai test. Grazie anche al buon tasso di vaccinazioni (circa il 79% con ciclo completo), però, le ospedalizzazioni e i decessi rimangono contenuti. È di qualche giorno fa la notizia della rinuncia di Djokovic alla convocazione per la ATP Cup, che si sta svolgendo a Sidney con protocolli sanitari simili a quelli che ci saranno a Melbourne. Sembrava il segno definitivo che Djokovic non avrebbe partecipato agli AO.

Da dove spunta l’esenzione?

In questo contesto, l’esenzione medica spuntata fuori ieri per Djokovic è una sorpresa. Vale la pena specificare che Djokovic non ha, nei fatti, violato le regole, visto che l’esenzione medica è prevista dal regolamento. L’esenzione è stata concessa, per esempio, verosimilmente anche ai tennisti russi o est-europei vaccinati con Sputnik, un vaccino non riconosciuto dalle autorità (resta il caso di Natalia Vikhlyantseva, vaccinata con Sputnik e che prima di Natale ha dato forfait per questa ragione). La TGA riconosce come vaccini validi AstraZeneca, Janssen, Johnson & Johnson, Moderna e Pfizer. Ma si può viaggiare anche con Sinovac, Sinopharm China e Bharat Biotech. Tennis Australia ha specificato che non si occupa di prendere decisioni sulle eventuali esenzioni, e ha rimesso tutto in mano all’autorità governativa dello stato di Victoria. Ha anche rigettato tutte le speculazioni sul fatto che stesse cercando delle scappatoie per permettere a Djokovic di ottenere l’esenzione: «I giocatori di tennis sono nelle stesse condizioni di chiunque voglia entrare nello stato di Victoria o in Australia» ha detto Craig Tiley, presidente di Tennis Australia. Nel suo comunicato ufficiale il governo di Victoria ha sottolineato l’indipendenza e il rigore del processo decisionale che porta a concedere l’esenzione. Non ha però ancora specificato le motivazioni per quello di Djokovic, sostenendo però che i tennisti che hanno richiesto l’esenzione è perché hanno contratto il Covid-19 negli ultimi sei mesi. Non dovrebbe essere il caso di Djokovic, visto che conosciamo la cartella clinica dei principali sportivi di alto livello e Nole dovrebbe aver contratto il virus a giugno 2020, dopo l’Adria Tour. Qualcuno ipotizza che possa averlo avuto anche fra i Giochi Olimpici e gli US Open, che renderebbe completamente legittima l'esenzione, ma allora perché non dirlo prima e non scegliere una comunicazione meno opaca? Finché nessuno parla è difficile non speculare.

Il pubblico ha interpretato l’esenzione come un gesto politico di compromesso da parte di Tennis Australia, che può nascondere dietro un certificato medico la necessità di avere nel proprio torneo il miglior tennista al mondo, nove volte vincitore del torneo. Se è vero che ci sono state altre esenzioni, come detto da Craig Tiley (ma quali, vaccinati Sputnik a parte?), Djokovic è l’unico che fa notizia perché l’unico che aveva portato questi temi sui media con un intento politico. Secondo Ben Rothenberg, Tennys Sandgren - che nelle scorse settimane ha assunto feroci posizioni anti-vacciniste - non ha richiesto l’esenzione perché le sue condizioni non rispettavano nessuno dei criteri richiesti. Dopo l’esclusione uscirà dalle prime cento posizioni al mondo. Anche Pierre-Hugues Herbert ha dovuto rinunciare a viaggiare in Australia in quanto non vaccinato. È quindi, come sempre, tutta una questione di soldi?

La gallina dalle uova d’oro

È difficile quantificare l’eventuale perdita economica degli Australian Open per l’assenza di Djokovic, ma sappiamo che il torneo nell’ultimo anno ha registrato circa 80 milioni di dollari di perdite a causa del Covid. E sappiamo che nessuno sport è legato commercialmente ai propri atleti quanto il tennis, e in nessuno sport i diritti e il potere, politico ed economico, sono tanto sbilanciati in favore degli atleti. Il tennis a volte sembra davvero un circo itinerante il cui fascino è tenuto in vita dai giocatori in grado di creare la magia.

La ATP, il principale circuito mondiale di tennis maschile, è sostanzialmente un’organizzazione sindacale controllata in buona parte dai tennisti stessi. Nell’universo della ATP successi sportivi e potere politico sono abbastanza proporzionati. Rafael Nadal e Roger Federer, le due “galline dalle uova d’oro” del tennis (definizione di John McEnroe), sono una presenza fissa del concilio dei giocatori, e mantengono un potere immenso nonostante siano sportivamente sempre più defilati. Un esempio: la ATP ha sfruttato la pausa per il Covid-19 per modificare il funzionamento del ranking e ammorbidire così il rientro di Roger Federer alle competizioni. Nessun giocatore ha protestato, perché tutti riconoscono l'importanza di Federer per il movimento. I tornei dello Slam sgomitano per assicurarsi la presenza dei migliori giocatori, gli assicurano contratti remunerativi, gli garantiscono i migliori orari e i migliori campi durante gli eventi. Un meccanismo sofferto anche da Djokovic negli anni passati, quando l’organizzazione di Melbourne riservava a Roger Federer gli orari più freschi in cui giocare. Sulla possibilità che Djokovic non fosse presente, persino un nemico storico e un giacobino come Nick Kyrgios, facendosi i conti, ha avuto parole angosciate: «Onestamente non conosco perfettamente la situazione di Novak. Se in Australia quest’anno non ci fossero né lui, né Nadal, né Federer sarebbe un vero e proprio disastro per i tifosi e per tutto ciò che ruota attorno al torneo». Quando Rafa Nadal ha pubblicato la sua foto sui campi australiani e la didascalia «Non ditelo a nessuno» hanno tutti tirato un sospiro di sollievo. Nadal era risultato positivo al Covid-19 poche settimane fa, ma è riuscito a negativizzarsi nel frattempo. La sua presenza ha dato respiro a un circuito che ha bisogno di una transizione più dolce verso le nuove generazioni.

Tutto lo sport contemporaneo è piramidale, ma nessuno lo è tanto sfacciatamente quanto il tennis. L’esenzione per Djokovic sembra un’altra manifestazione sgargiante di questa struttura di privilegio. Al contempo, rappresenta solo l’ultimo capitolo della saga di Novak Djokovic contro il Covid.

Djokovic non è contro il vaccino ma contro l’idea che qualcuno possa farglielo contro la sua volontà

Le posizioni di Djokovic sul vaccino sono risapute, ma comunque equivoche. Cominciamo col dire che fino all'esenzione non sapevamo se Djokovic fosse vaccinato o meno, visto che ha sempre rifiutato di divulgare quest'informazione. L'altra cosa che dobbiamo dire è che Djokovic non è formalmente contrario al vaccino. In un’intervista di agosto a Christopher Clarey ci ha tenuto a specificare la sua posizione: «Ho visto che i media internazionali hanno preso fuori contesto le mie dichiarazioni, dicendo che sono contro i vaccini di qualsiasi tipo. Il mio problema con i vaccini è solo se qualcuno mi costringe a mettere qualcosa del mio corpo che io non voglio. Per me questo è inaccettabile». Riassumendo anche altre dichiarazioni, e parafrasandole, Djokovic crede che questo vaccino sia stato poco sperimentato e non se ne conoscono ancora tutti gli effetti collaterali. Non rifiuta l’idea del vaccino in sé, ma non vuole farselo e soprattutto non vuole che gli venga imposto l’obbligo di farselo per viaggiare, giocare i tornei e, in sostanza, praticare la sua professione. Ad aprile del 2020 aveva precisato queste idee in una lettera inviata al New York Times: «Personalmente, sono contrario alla vaccinazione contro il Covid-19 per poter viaggiare. Ma se diventerà obbligatorio, dovrò prendere una decisione. Questa è la mia sensazione attuale e non so se cambierà, ma influenza davvero la mia professione. (…) Il mio lavoro richiede molti viaggi. Alcuni dicono che, per noi che viaggiamo, dovremmo fare un vaccino che però non è ancora stato sviluppato. Pertanto, vorrei ripetere e notare che, al momento, non disponiamo di informazioni adeguate».

C’è un altro passaggio significativo della lettera, ed è quando Djokovic dice: «Sono un appassionato di benessere e passerò la mia vita a conoscere il mio corpo e consentire al mio metabolismo di essere nella migliore forma di difesa contro “impostori” come il virus Covid-19». Poi aggiunge di non essere un esperto, ma di voler avere la possibilità di scegliere per sé stesso. Djokovic è un noto appassionato di teorie olistiche e durante il lockdown si è preso tutto il tempo per divulgarle, con strampalate dirette Instagram intitolate “The Self-Mastery Project”. Una serie a puntate in cui Djokovic discuteva di salute, fenomenologia e paradigmi esistenziali con Chervin Jafarieh, una specie di guru della medicina alternativa. Fra le varie cose incredibili dette, la più discussa è stata quella secondo cui saremmo in grado di modificare le molecole dell’acqua attraverso il pensiero. Qualche mese fa era comparso sul profilo Instagram della moglie un video in cui si suggeriva una relazione tra la diffusione del Covid-19 e il 5G (video successivamente rimosso). Sono tutte cose note, che ho provato a riassumere in questo lungo articolo di qualche mese fa, quando la visione mistica di Djokovic si è scontrata con le norme sanitarie internazionali in corrispondenza dell’Adria Tour. Un torneo di tennis organizzato da lui a porte aperte, in presenza di pubblico e assenza di mascherine, finito in disastro, tra feste in discoteca, polemiche diplomatiche e un focolaio di contagiati, fra cui Djokovic e la moglie.

Mi rendo conto che citare questi episodi in articolo simile può suonare pretestuoso, ma è solo per sottolineare che la posizione di Djokovic è più complessa di quanto vogliamo credere. Non è la posizione di un pazzo che pensa cose estemporanee, ma di un uomo che ha riflettuto a lungo su questi temi, e che ha sviluppato una propria filosofia molto personale. Con la forza di queste idee, è arrivato a essere l’unico tennista di alto livello a non essersi vaccinato prima di questi Australian Open. Oltre che per il fatto che credeva, a questo punto a ragione, di poterla passare liscia.

Limbo all'Adria Tour.

E gli altri tennisti come potrebbero prenderla?

Durante le prime fasi della pandemia, la reazione di alcuni tennisti alle posizioni di Djokovic sul Covid-19 sono state molto dure. In particolare quelle di Nick Kyrgios e di Rafa Nadal, che un anno fa tagliò corto «Deve vaccinarsi se vuole giocare».

Queste posizioni sono però rimaste minoritarie nel circuito, non solo perché nessuno ha l’autorità di Nadal o la faccia tosta di Kyrgios per criticare Djokovic, ma perché tutto sommato non ci sono molti tennisti in disaccordo con Nole. Matteo Berrettini è stato tra i pochi a definire «giustissimo» l’obbligo vaccinale agli Australian Open; a lui si aggiunge Rublev, che ha dichiarato che il vaccino è importante e in Australia ci dovrebbe essere il 100% di giocatori vaccinati. A ottobre il tasso di vaccinati fra i giocatori della ATP si aggirava attorno al 65%. È stato proprio l’obbligo imposto dagli Australian Open, ad avvicinare la percentuale al 100%. Stefanos Tsitsipas, per esempio, aveva detto di non vedere il motivo di vaccinarsi alla sua età, dopo essere stato testimonial della campagna vaccinale del governo greco. Alla fine ha ceduto e se lo è fatto «Per condurre una vita normale», e quindi per partecipare agli AO. Riguardo Djokovic ha detto «È una sua scelta, la rispetto. Ognuno ha la libertà di decidere. La questione vaccini l'ha presa in piena libertà». Sacha Zverev è un altro scettico («Credo che ognuno debba fare quello che ritiene essere più opportuno per sé stesso») e dopo le ATP Finals di Torino era stato il primo a chiedere pubblicamente l’esenzione per Djokovic a Melbourne: «È il numero uno». Daniil Medvedev, che invece è il numero due, l’ha buttata sul machiavellico: «Il tennis è uno sport individuale e non vorrò mai divulgare informazioni mediche perché i miei rivali avrebbero informazioni sulle mie possibili debolezze» elogiando la decisione di Djokovic di non dire se avesse fatto o meno il vaccino. Rublev, prima dell’obbligo degli Australian Open, faceva parte degli scettici: «Non ti concede alcun vantaggio. Sei comunque costretto a isolarti nella bolla. Se mi chiedi di scegliere e ho l’opzione di non farmi somministrare il vaccino, non lo farò». Schwartzmann è stato più deciso: «Non è una priorità per me. Non credo lo farò» (anche lui ha infine ceduto). Jannik Sinner ha dichiarato di essersi vaccinato per non avere restrizioni per i viaggi; Hubert Hurkacz aveva detto di non avere tempo di farselo; John Isner, figuriamoci, non ci ha pensato pensato nemmeno un secondo a farselo. In questo thread Lorenzo Picardi ha raccolto la maggior parte delle posizioni dei tennisti sulla vaccinazione. Tutti loro, in un modo o nell’altro, hanno accettato di vaccinarsi, almeno per rispetto delle regole. Tutti tranne Djokovic. Non possiamo sapere qual è l’umore dei tennisti sull’esenzione concessa a Nole, ma di sicuro non credono che la sua posizione sia folle o pericolosa, e lo rispettano troppo, e riconoscono bene la sua importanza nel circuito, per dare qualche segno di protesta - almeno per ora. Se c'è qualcuno che può passare sopra la legge, molti di loro pensano, è lui.

Decidere di non cedere al compromesso della vaccinazione, anche in una situazione di pressione così estrema, è per Djokovic un atto politico e una dimostrazione di potere, come lo era stato l’Adria Tour. Dimostra il suo desiderio di agire in una dimensione pubblica e politica, e di avere tutto il potere per farlo. L’Adria Tour ha avuto un esito grottesco e deprimente, ma rimane il fatto che in piena pandemia Nole era riuscito a organizzare un torneo senza restrizioni con alcuni dei migliori tennisti al mondo. Era finita male, ma ci era riuscito. L’esenzione al vaccino per gli Australian Open è un un’altra grande dimostrazione della sua forza politica, e della sua volontà di esercitarla senza compromessi.

Ma se Djokovic non dovrebbe avere troppi problemi fra i suoi colleghi, è più difficile che l’opinione pubblica gliela faccia passare liscia. In attesa di ulteriori informazioni, la condanna dei media internazionali è piuttosto aspra. In Italia Mauro Berruto (come Paolo Condò) ha chiesto ai giocatori di non scendere in campo contro di lui, e ha iniziato il suo pezzo su La Stampa scrivendo: «Mi piacerebbe trovare un approccio all’affaire Djokovic che non parta da indignazione o disgusto, ma per quanto mi sforzi, proprio non ci riesco»; questa invece è una trasmissione inviperita della tv australiana.

Duro.

La saga potrebbe non essere ancora finita, visto che la ministra per gli affari interni Karen Andrews ha suggerito la possibilità che il governo federale torni sulla decisione, fermando Djokovic alla frontiera; ha parlato anche il primo ministro Scott Morrison, e ha usato toni duri: «Deve dimostrare di avere motivi validi per l'esenzione oppure sarà sul prossimo aereo per tornare a casa». Preparate i pop corn.

Nel frattempo resta difficile capire perché Novak Djokovic abbia accettato di mettersi in una posizione così scomoda. Se è vero che in Serbia, e nel mondo balcanico in generale, la percezione sul vaccino è molto diversa dalla nostra (siamo sotto al 60% di vaccinati), Djokovic è sempre sembrato interessato a costruirsi una credibilità internazionale da affiancare al successo nazionale. Una reputazione spendibile fuori dal tennis. Se anche avesse voluto rimanere sulla propria posizione, per convinzioni personali o per tenere il punto, non avrebbe fatto meglio a rinunciare alla partecipazione? In che modo per un uomo con evidenti mire politiche - dentro e fuori dal tennis - può essere utile mostrarsi così apertamente al di sopra della legge? (Ripeto: è chiaro che l’esenzione non lo pone, nei fatti, al di sopra della legge, ma l’episodio è stato interpretato così per tutto il contesto che abbiamo ricostruito). È davvero un atto politico, magari per rafforzare la sua immagine di uomo forte nel mondo est-europeo, oppure sta solo inseguendo la propria ossessione per i titoli e i record? Forse ha semplicemente pensato, a 34 anni, di non potersi permettere l'assenza in uno Slam che può vincere?

Nessuno sportivo ha vissuto uno squilibrio tanto drammatico tra successo e disamore del pubblico. È un tema arcinoto e di cui spesso si parla a sproposito. È interessante, però, e molto nel suo personaggio, che Djokovic potrebbe riuscire nel sorpasso di titoli dello Slam su Federer e Nadal nel momento di minore popolarità globale per lui, pochi mesi dopo la riconciliazione metaforica nello stadio di Flushing Meadows. Il pianto liberatorio con cui Djokovic si era mostrato fragile e perdente ne aveva scoperto un’umanità inattesa. Sembrava l’inizio di una nuova fase, ma quest’episodio è un altro danno di immagine che si aggiunge ai tanti accumulati nell’ultimo periodo: le dirette su Instagram, le controversie anti-scientifiche, la pallettata alla giudice di linea durante gli US Open, l’Adria Tour con annesse foto in discoteca, le foto pubblicate che lo hanno ritratto in compagnia di un criminale di guerra (ne ho scritto qui). Ancora una volta, persino nel torneo in cui ha costruito la reputazione più solida e gloriosa, Djokovic potrebbe tornare in campo circondato da odio e fischi. È sempre stato il suo habitat naturale, non è detto che non ci si trovi bene.

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