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FantaJuventus
23 mag 2019
Cinque possibili allenatori per la panchina bianconera.
(articolo)
18 min
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José Mourinho

di Alfredo Giacobbe

Dite la verità: avreste mai immaginato, anche solo 15 giorni fa, di accostare il nome di José Mourinho alla panchina della Juventus? Il villain che aveva attirato vecchie e nuove antipatie solo 6 mesi fa, con le mani tese dietro le orecchie, al centro del prato dello Juventus Stadium, spinto via da quelli che ora dovrebbero diventare i suoi nuovi calciatori. L’allenatore che ha ribadito il suo amore per i colori nerazzurri, lo ha fatto ogni anno dalla notte di Madrid in avanti, che pure lo vide fuggire via dall’Inter su un'auto con targhe madridiste.

Eppure questa ipotesi è oggi plausibile, e lo è per una serie di motivi. La sostituzione di un vincente come Massimiliano Allegri impone alla Juventus la scelta di un allenatore con pedigree. Mourinho è, tra gli allenatori liberi, quello con il palmarés più ricco: solo grazie al trittico di trofei domestici - Premier League, FA Cup, Carabao Cup - Guardiola ha potuto superare il numero di coppe accumulate in carriera da Mourinho.

L’ha presa bene, José.

Mourinho inoltre è un manager che sposerebbe alla perfezione la ragion di stato bianconera: è uno per il quale, soprattutto nell’ultima fase della sua carriera, i mezzi per arrivare al successo sono passati in secondo piano rispetto al fine.

Mourinho, infine, condivide con Allegri una certa visione sull’importanza della difesa rispetto all’attacco. Allegri, nell’ultimo periodo in cui si è arroccato su certe posizioni, è arrivato a ribaltare completamente le prospettive, per cui il successo del Real Madrid a Cardiff è arrivato non per i 4 gol segnati, ma perché: «In quella partita il Real ha difeso meglio di noi».

Mourinho, all’inizio di ogni nuova esperienza, ha sempre preferito impostare una squadra più solida, più accorta alla fase difensiva. Durante questa prima fase, che potremmo definire di apprendimento, ha lasciato una certa libertà di coscienza ai suoi attaccanti per quanto riguarda l’organizzazione della fase offensiva. Che è un concetto espresso in modo simile anche da Guardiola, attraverso la testimonianza di Thierry Henry, attaccante del Barcellona dal 2007 al 2010: «Il mio lavoro è portarvi nell’ultimo terzo di campo, il vostro lavoro è concludere l’azione». Ma è un aspetto, quello della preparazione della fase offensiva in allenamento, che Eden Hazard ha avuto modo di criticare quando Mourinho è stato sollevato dall’incarico al Chelsea (per la verità, anche prima dell’esonero).

Come giocherebbe la Juventus di Mou? Probabilmente, il portoghese cambierebbe poco del pacchetto difensivo attuale: davanti a Szczesny, una linea a quattro formata da Cancelo, Bonucci, Chiellini e Alex Sandro. Davanti alla difesa, Mourinho sceglierebbe due mastini, due giocatori capaci sì di giocare la palla, ma forti fisicamente e adatti a coprire grosse porzioni di spazio alle spalle della batteria di trequartisti: due come Emre Can e Rodrigo Bentancur. Sulla linea successiva tre uomini veloci e versatili, bravi a ribaltare il fronte velocemente e capaci di leggere gli spazi. Tre come Bernardeschi, Ramsey e Douglas Costa. Davanti il solo Cristiano Ronaldo, al quale ogni allenatore in questa fase della sua carriera, al fenomeno portoghese dovrebbe assegnare un solo compito: fare gol.

Maurizio Sarri

di Marco D’Ottavi

Sarri alla Juventus: già solo scriverlo suona strano, come una contraddizione. Eppure non c’è nulla che possa davvero impedire questo matrimonio. Il calcio non è una guerra santa e il tecnico toscano non rappresenta un culto, sebbene l’intransigenza del termine sarrismo è in qualche modo affascinante. Se 5 anni fa era andato bene Allegri, nonostante le sue dichiarazioni verso la Juventus dopo il gol annullato a Muntari, oggi può andare benissimo Sarri, sebbene non sia sempre stato “istituzionale” nelle sue parole verso i bianconeri quando era sulla panchina del Napoli.

Se vogliamo escludere la suggestione Guardiola, Sarri sembra il candidato più vicino al profilo ideale che cerca la Juventus. Sarri è infatti in profonda discontinuità con Allegri, e se la Juventus ha mandato via Allegri è probabilmente la discontinuità che cerca. Senza entrare nella dicotomia bel gioco contro gioco vincente, Sarri rappresenta una ventata di aria fresca dopo 5 anni di moduli fluidi, equilibri millimetrici e di un calcio costruito sugli avversari. Anche gli stessi calciatori troverebbero nuovi stimoli da un allenatore che parla del calcio come di un “divertimento”, la cui filosofia si basa sulla creazione di un sistema codificato ma godibile, perfetto per rispondere alle critiche di chi in questi anni li ha accusati di essere “noiosi”, dei brutti vincenti.

Lo stesso Sarri non può non essere intrigato da una rosa di valore assoluto, già adatta al suo gioco, anche al netto del mercato che al momento non possiamo immaginare. In porta Szczesny è ottimo nel gioco coi piedi (il migliore in Italia nella precisione nel gioco lungo) e solidissimo tra i pali. La difesa a quattro, l’unico vero culto di Sarri, potrebbe avere dei problemi al centro: Bonucci, se da una parte è una garanzia in fase di costruzione, dall’altra non è a suo agio nel giocare in una linea alta che rimane a ridosso della metà campo, con 40 metri di campo alle spalle da difendere; mentre Chiellini inizia a mostrare le prime crepe fisiche. Sarri però potrebbe far rinascere Rugani, da lui allenato ad Empoli con profitto, e trasformare definitivamente Emre Can in un difensore. Sugli esterni poi, con Cancelo, Alex Sandro e Spinazzola, Sarri si sfregherebbe le mani.

A centrocampo Pjanic può agire alla Jorginho, anche se dovrebbe semplificare molto il suo gioco, con Bentancur e Ramsey ai fianchi perfettamente a loro agio nel palleggio richiesto dall’allenatore toscano. Davanti poi, avrebbe solo l’imbarazzo della scelta: se Ronaldo è il centravanti, Bernardeschi e Dybala sono due ali adatte al suo gioco. Se Dybala dovesse partire dal centro, Cristiano Ronaldo potrebbe essere letale nei tagli dall’esterno verso l’interno. Senza dimenticare che la Juventus ha ancora il cartellino di Higuain - feticcio di Sarri anche se in grave declino.

Certo, non è tutto rose e fiori: a livello comunicativo Sarri è un allenatore difficile da gestire, ma lo era anche Conte e in qualche modo lo è diventato anche Allegri. L’esperienza inglese, poi, avrà smussato alcuni limiti dell’allenatore e non sarebbe il primo a rientrare nei ranghi dopo aver scelto il bianconero. Il vero problema è che Sarri ha una gestione dello spogliatoio molto diversa da Allegri, in grado di costruire un rapporto perfetto con i senatori, anche chi giocava meno.

Sarri invece è più diretto e non si fa problemi a mettere da parte uomini non adatti al suo gioco o che non rispettano le sue direttive, come successo con Cahill al Chelsea e con diversi giovani nel Napoli. Alla Juventus vorrebbe dire far fuori - forse - giocatori come Mandzukic, Matuidi e Khedira, incompatibili con il gioco dell’allenatore, ma anche creare l'incognita del rapporto tra Sarri e Cristiano Ronaldo, sia dentro che fuori dal campo.

Per la Juventus lo spogliatoio è un elemento fondamentale e per questo ha sempre privilegiato allenatori “gestori”, ma dopotutto nessuna rivoluzione è un pranzo di gala.




Mauricio Pochettino

di Fabio Barcellona

Mauricio Pochettino ha esternato pubblicamente le sue perplessità a restare al Tottenham dopo una Champions League già oggi difficilmente ripetibile e per questo appare un candidato possibile per la panchina della Juventus della prossima stagione. La storia dell’allenatore argentino è abbastanza nota. Discepolo di Bielsa - scopritore, primo allenatore tra i professionisti al Newell’s Old Boys e mentore di Pochettino -, l’attuale tecnico del Tottenham non ha mai rinnegato i principi di gioco del suo maestro, riuscendo, con il progredire della carriera, a incorporarli all’interno di una flessibilità e di una certa dose di pragmaticità acquisita con il tempo.

I risultati lasciano pochi dubbi sul valore dell’allenatore. Lo "Sceriffo"ha fatto bene al suo esordio all’Espanyol, squadra in cui aveva terminato la carriera da capitano dopo oltre 300 partite nel club, si è messo in evidenza per il suo gioco al Southampton e, approdato al Tottenham, dopo il quinto posto al primo anno, ha raggiunto per 4 anni di fila la qualificazione in Champions League, risultato per niente banale in un torneo iper competitivo come quello inglese. Quest’anno, infine, la sua carriera pare avere trovato un’altra dimensione grazie al cammino in Europa che potrebbe addirittura regalare la Champions League agli "Spurs" e al suo allenatore.

Ma, al di là dell’indiscusso valore del tecnico e al netto della sua poca esperienza in Serie A, come potrebbe inserirsi Mauricio Pochettino, nel tessuto societario e tecnico della Juventus? Alcuni dei temi che hanno caratterizzato l’esperienza al Tottenham sembrano suggerire una buona sintonia tra lo "Sceriffo" e la società bianconera.

Pur all’interno di un mercato ricco come quello della Premier League, il Tottenham in questi anni è stato costretto a stare particolarmente attento ai suoi bilanci a causa della costruzione del New White Hart Lane.

Si è pertanto arrivati alla singolare situazione che, per due finestre di mercato consecutive, gli "Spurs" non hanno effettuato alcuna operazione né in entrata, né in uscita. All’interno di questa cornice Pochettino non si è troppo lamentato del confronto con le ingenti campagne acquisti degli avversari, supportando di fatto le politiche societarie, anche se, proprio le ultime affermazioni pubbliche e le indecisioni sul suo futuro, sembrano centrate sulle prospettive di crescita tecnica della squadra. Un profilo per certi versi aziendalista, particolarmente apprezzato a Torino, in cui la società vuole per sé gran parte delle responsabilità di mercato. L’inconsueta situazione del Tottenham ha amplificato la flessibilità di Pochettino che, obbligato ad allenare un parco giocatori non rinnovabile, ha forzatamente cercato le soluzioni ai problemi tecnici della squadra nella tattica e non nel player trading dei calciatori.

Il tecnico argentino, che vanta origini piemontesi, ha più volte dichiarato e dimostrato coi fatti che il suo è un calcio saldo nei principi, ma rispettoso delle caratteristiche dei giocatori. Per questo il Tottenham ha fatto della flessibilità dei moduli di gioco, anche nel singolo match e tra le due fasi principali di gioco, una caratteristica irrinunciabile per adattare il proprio schieramento alle caratteristiche dei propri giocatori e, perché no, a quelle degli avversari.

Pochettino ha indifferentemente utilizzato linee difensive a 3 o a 4; a centrocampo ha schierato due interni in linea o triangoli con il vertice alto o basso; in attacco ha giocato con due punte dietro un rombo di centrocampo, con tre attaccanti o con una linea di tre mezzepunte alle spalle di un centravanti. Il secondo tempo della partita di ritorno della semifinale contro l’Ajax è in un certo senso paradigmatica della flessibilità di Pochettino, coi i suoi continui rimescolamenti di uomini, moduli e posizioni, e della sua capacità di trovare soluzioni non convenzionali ai problemi della squadra, risolti in gran parte utilizzando il dominio aereo di Llorente, strategicamente piazzato lontano da De Ligt, nella zona di Daley Blind. La grande flessibilità è però gestita dai suoi calciatori in virtù di saldi principi di gioco che affondano le radici nel juego de posición del suo maestro Bielsa. Anche il pressing, un altro dei tratti distintivi del calcio di Pochettino, è diventanto progressivamente più duttile e modulabile, nell’intensità e nell’altezza, in virtù delle esigenze tattiche del match.

La capacità di Pochettino di giocare il proprio calcio senza la necessità assoluta di ottenere dal mercato giocatori con specifiche caratteristiche tecnico-tattiche lo rende potenzialmente adatto alla panchina della Juventus e a una rosa con giocatori dalle qualità piuttosto eterogenee e che il mercato non potrà certo stravolgere. A Torino potrebbe giocare sia con la difesa a tre che con quella a quattro, entrambe da tempo ormai patrimonio della squadra bianconera, utilizzare i tanti giocatori offensivi in rosa all’interno di un sistema fluido con tre trequartisti e un centravanti più volte sfruttato al Tottenham e scegliere varie configurazioni per il suo centrocampo. La fluidità del gioco offensivo di Pochettino dovrebbe rendere inoltre agevole e senza attriti l’inserimento di CR7, un enorme fattore per qualsiasi allenatore, all’interno del sistema di gioco prescelto.

L’eventuale arrivo di Pochettino sulla panchina della Juventus rappresenterebbe un passo della società bianconera verso un calcio maggiormente centrato su principi di gioco chiari, ma al contempo mitigati da una certa flessibilità e da un allenatore ormai esperto e di caratura internazionale. Chissà che la rivoluzione morbida che l’arrivo di Pochettino non possa essere la migliore scelta a disposizione di Nedved e Paratici. In fondo, l’ultima volta che la Juventus ha affidato il suo destino a uno straniero di origini piemontesi non era andata affatto male.




Simone Inzaghi

di Emanuele Atturo

La prima volta che si è parlato di Simone Inzaghi come possibile allenatore della Juventus era il settembre del 2017, la Lazio aveva battuto i bianconeri in finale di Supercoppa Italiana. Il tecnico della Lazio era al termine della sua prima, sorprendente stagione in biancoceleste, che tuttora viene ricordata da alcuni tifosi come la migliore del ciclo del tecnico. Interrogato in conferenza stampa post-partita Inzaghi non aveva escluso del tutto l’ipotesi: «Fa piacere, si vede che io e il mio staff stiamo lavorando bene ma per me la Lazio è casa mia, sono tifoso, i miei figli tifano Lazio e per me questo è il mio punto d’arrivo, poi nel calcio non si sa mai».

Come ormai ricordiamo tutti, Inzaghi arrivò sulla panchina della Lazio per caso, come ripiego del mancato arrivo di Bielsa. Era già d’accordo per allenare la Salernitana - altra squadra di Lotito - quando è stato richiamato dal presidente che aveva litigato con Bielsa persino sulla marca delle sagome da utilizzare in allenamento. È stato come trovare un milione di euro per strada. Inzaghi quell’anno ha mostrato un gioco brillante, ha rivalutato una rosa che non sembrava essere competitiva in Italia e ha centrato un quinto posto che prometteva molto per il futuro. E infatti la Lazio, pur soffrendo qualche alto e basso, ha trovato una continuità di risultati che è la vera novità dell’era Lotito - dove i biancocelesti hanno sempre sofferto l’alternanza di rendimento fra anni pari e dispari.

Lo scorso anno è ricordato con amarezza dai tifosi della Lazio, per la qualificazione in Champions sfumata all’ultima giornata e per l’eliminazione maturata in venti minuti fatali contro il Salisburgo. La sensazione di bruciare sempre tutto nei momenti più delicati. Forse anche per questo lo scorso anno non si è più parlato di panchine prestigiose per il tecnico della Lazio. Eppure quello tra Inzaghi e la Juventus sembra un matrimonio annunciato per tantissime ragioni.

Simone Inzaghi, fra i giovani tecnici italiani - De Zerbi, Gattuso, Di Francesco - è quello che più sembra portare avanti le caratteristiche della nostra scuola tattica: pragmatismo, flessibilità, poca inclinazione a prendersi rischi. In generale un’attenzione ai dettagli, all’equilibrio e ai principi più che agli schemi e all’organizzazione troppo codificata dei meccanismi di gioco. Inzaghi ha cambiato diversi moduli in questi anni, tenendo come punto fisso quasi sempre la difesa a tre, mescolando però spesso le carte sul modo con cui la squadra vuole attaccare.

Ha sperimentato un 3-5-2 che privilegiava passare per le catene laterali - con Felipe Anderson utilizzato da esterno a tutta fascia; poi al secondo anno ha creato una manovra più palleggiata, con un massiccio coinvolgimento dei trequartisti Milinkovic-Savic e Luis Alberto. La Lazio ha chiuso la stagione col miglior attacco della Serie A. Quest’anno compensare il calo di rendimento dei due è stato meno scontato di quanto si possa pensare, e Inzaghi è stato bravo a dare importanza a Correa. Un giocatore dal talento indiscutibile ma la cui efficacia - almeno fino a questa stagione - rimaneva indecifrabile. Quest’anno abbiamo visto quindi una Lazio più diretta e verticale, meno brillante ma cinica in molti aspetti. Si è parlato molto, giustamente, dei talenti della Lazio e ci dimentichiamo troppo spesso quanto questi, prima di Simone Inzaghi, erano riusciti poco o nulla ad esprimere il proprio potenziale.

Alla Juventus troverebbe un’ottima base, una squadra sempre a proprio agio con la difesa a tre e dove potrebbe comunque riproporre due trequartisti, magari portandosi dietro Milinkovic-Savic da affiancare a Dybala (o a Bernardeschi, se “La Joya” dovesse partire) dietro a Cristiano Ronaldo. Con Douglas Costa utilizzato sempre da supersub come ha già fatto con Felipe Anderson lo scorso anno e Correa in questo. Anche in certi dettagli Simone Inzaghi sembra il cosplayer di Allegri.

Inzaghi sarebbe quindi la scelta che assicurerebbe maggiore continuità. Un tecnico bravo a preparare tatticamente la partita, capace di cambiare spartito e con un pragmatismo irrinunciabile per l’identità juventina. Certo, a questo punto verrebbe da dire “Tanto valeva tenersi Allegri”. Inzaghi in fondo non assicura neanche lontanamente la competitività del tecnico livornese, specie in Europa, dove finora si è giocato sempre male le sue carte.

Ci sono però due cose da considerare. La prima è che non possiamo sapere se il ciclo di Allegri fosse esaurito anche all’interno dello spogliatoio bianconero (possiamo supporlo, la Juve non è mai stato un club autolesionista). La seconda è che questo è comunque il ciclo di Cristiano Ronaldo, e la Juve non può forse permettersi un allenatore troppo ingombrante dal punto di vista del gioco, che rivoluzioni l’identità profonda della squadra. Dovrà essere ancora una Juve che ruota attorno ai suoi giocatori migliori, attenta a minimizzare i rischi e a mantenere il proprio dominio nel contesto italiano, ancor prima di provare a vincere una Champions League che - quest’anno lo ha dimostrato - rimane una competizione non pianificabile.

Inzaghi può essere una scelta onesta per rinnovare gli stimoli pur nella continuità, magari in attesa che si liberi sul serio un allenatore in grado di rivoluzionare la Juventus, come in molti sembrano chiedere.




Pep Guardiola

di Dario Pergolizzi

Accostare il nome di Pep Guardiola a una qualsiasi squadra solletica le fantasie di qualsiasi ambiente, figuriamoci quello della Juventus, ormai sazia del proprio dominio domestico e relativamente ancora “fresca” dell’arrivo di CR7.

I margini dei benefici di un eventuale arrivo di Guardiola a Torino non sono ancora nemmeno decifrabili all’orizzonte. Sarebbe una rivoluzione culturale: un progetto che darebbe bianconeri un’identità tattica in netta discontinuità con quanto visto negli ultimi anni. Il Guardiola visto in Germania e Inghilterra si è dimostrato un allenatore fenomenale nel trasmettere i propri principi di gioco, al contempo accettando però la base culturale di riferimento: a Monaco abbiamo visto un gioco di posizione dalle forti sfumature tedesche, fatto di gegenpressing e ripartenze corte, mentre a Manchester ha dato spettacolo declinandolo all’inglese, con una verticalità ancora maggiore e un accento più pronunciato sul fattore “fisico” del gioco, mettendo in campo una squadra capace di accettare anche partite dai ritmi pugilistici. Nonostante passi per un allenatore “dogmatico”, Guardiola è fra i tecnici che ama rinnovarsi di più, scendendo anche a compromessi con le equazioni che il calcio in cui arriva gli pone davanti. Questo è l’aspetto più eccitante di un suo possibile sbarco in Italia.

La Juventus di Allegri non è mai stata una squadra verticale, e anzi è stata sempre attenta a non rischiare di perdere il possesso. La squadra di Allegri si è spesso presa delle vittorie contro squadre chiuse ribadendo con insistenza la propria superiorità, ad esempio crossando molto dalla trequarti e dal fondo fin quando l’enorme qualità dei mezzi a disposizione non aveva la meglio sulla strenua difesa avversaria. Raramente si è vista una variazione dei temi offensivi. Con Guardiola, la Juve potrebbe assumere tutt’altra identità, andando a riempire con tanti uomini i corridoi centrali e intermedi, sfruttando l’ampiezza in maniera più simmetrica, per allargare meglio gli avversari, compattando le distanze in fase offensiva per poter sfruttare meglio la riaggressione.

Ad avere un impatto enorme sulla qualità del gioco della Juventus non sarebbe però solo la nuova dimensione tattica. Guardiola, nel corso degli anni, si è confermato un fenomeno dello sviluppo dei singoli gesti tecnici, in particolare curando molto la qualità degli smarcamenti, delle ricezioni e dell’orientamento del corpo, basti pensare all’evoluzione incredibile di Sterling o Bernardo Silva. Una delle pecche di Allegri, in questo quinquennio straordinario appena concluso, è stata forse non riuscire a incidere molto sulla tendenza naturale dei propri giocatori a ricevere il pallone “sulla figura”, esasperando spesso il gioco a due tocchi.

La squadra sembrava essersi un po’ adagiata su questo atteggiamento, e anche i profili più abituati a ricercare la profondità (per esempio Ronaldo) finivano per essere poco premiati sotto questo aspetto. Con Guardiola saremmo tutti curiosi di studiare le evoluzioni nella ricezione nello spazio, se non di Dybala (dato per partente), quanto meno di Bernardeschi, che è sempre parso uno dei meno puliti nel controllo in situazioni di congestione, a scapito delle sue buone doti di trasmissione del pallone.

La Juventus avrebbe anche modo di rilanciare Douglas Costa, che con Guardiola ha vissuto la miglior stagione in carriera, di capire se Emre Can può esprimersi ad alti livelli come schermo difensivo alla Fernandinho, di sfruttare l’associatività di Cancelo e persino le corse in progressione con la palla di Chiellini. Per non parlare della combinazione potenzialmente devastante del “gol alla Guardiola” con le doti di finalizzazione di Cristiano Ronaldo.

L’arrivo di Guardiola a Torino non sembrerebbe avere nessuna controindicazione, e guardando alle conseguenze del suo arrivo in Inghilterra potrebbe essere un’occasione rivoluzionaria anche per il calcio italiano in generale.




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