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Ode al tiro da fuori di Fabian Ruiz
01 mar 2022
Nessuno tira dalla distanza come lui.
(articolo)
8 min
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Lo Stadio Olimpico stava ancora gridando «Pedro! Pedro! Pedro!» mentre il Napoli riprendeva il gioco e, nel tentativo di resistere alla pressione di Milinkovic-Savic, Koulibaly lanciava lungo in direzione di Insigne, sul lato sinistro del campo. La difesa laziale aveva respinto la palla vicina al fallo laterale, e dopo un contrasto tra Mario Rui e Marusic se l’era ritrovata tra i piedi Fabian Ruiz. Provando a mettere calma, rallentare e resistere alla pressione di Pedro che arrivava da dietro, Fabian aveva ruotato sul posto, girandosi all’indietro, trovandosi così davanti Sergej Milinkovic-Savic (il giocatore a cui, quando è arrivato in Italia, è stato paragonato). Senza andare nel panico, Fabian Ruiz esce da quella situazione complicata con un gesto istintivo e imprevedibile: dribbla Milinkovic-Savic con un tunnel. Lo spagnolo passa la palla all’indietro e il serbo alza la testa al cielo in segno di disappunto.

Pedro aveva festeggiato l’1-1 (uno splendido tiro al volo di sinistro, teso e veloce, su cui Ospina era arrivato ma senza riuscire a far altro che deviarlo nell’angolino basso) come si conviene per un gol che non solo riportava la Lazio a pari punti con Roma e Atalanta, le tre squadre al momento in lotta per un posto in Europa League e uno in Conference League, ma che avrebbe vendicato il 4-0 dell’andata e impedito un’altra sconfitta con una squadra di vertice dopo quelle recenti con Milan e Inter. Scavalcando i cartelloni pubblicitari e attraversando la pista d'atletica per arrivare sotto alla Curva Nord. Dopo pochi secondi, però, si è girato e ha chiamato i suoi compagni per farli tornare in campo e provare a vincere la partita.

Nei pochi minuti che mancavano alla fine, però, il Napoli ha mostrato che il pareggio stava stretto anche a lui, costruendosi già un’occasione con Osimhen prima del definitivo 2-1. Arrivato a venti secondi dalla fine della partita con un tiro da fuori proprio di Fabian Ruiz.

Adesso, quello segnato alla Lazio è stato il sesto gol di Fabian in stagione, il sesto gol segnato da fuori area. Nessuno in Serie A ne ha segnati tanti quanto lui da fuori area - anche se Malinovski (5) e Calhanoglu (4) non sono così lontani. Lo scorso anno Fabian ne aveva segnati la metà (il leader in questa classifica era stato Insigne con 7) pur tirando più o meno con la stessa frequenza da fuori (1.1 volte nella stagione 2021-22; 1.3 in questa corrente, secondo Whoscored). È cambiata, di molto, la sua precisione.

Lo scorso anno il rapporto tra tiri tentati e gol era di 0.07 (un dato simile a quello delle stagioni ancora precedenti), il che significa che gli ci volevano più di 10 tiri per ricavarsi un gol, quest’anno il rapporto è di 0.21, un gol ogni cinque tiri, più o meno. Già la passata stagione i gol eccedevano, seppur di poco, gli Expected Goals, con un’overperformance di +0.4, in questa però il dato è schizzato a +4.9 (in questo caso i dati sono quelli di Statsbomb).

Se avete vissuto su Marte negli ultimi dieci-quindici anni, vi do una notizia: nel calcio contemporaneo il tiro da fuori area è ormai proibito. Fuori moda. Un tempo si seguiva il centrocampista che portava palla dopo la metà campo e si sentiva crescere il rumore di fondo che gli intimava di tirare - «tiraaaaaaaaaa» - oggi calciare spesso da fuori area è diventato cattivo segno per una squadra, indice di una scarsa qualità nel gioco offensivo. È sconveniente dal punto di vista statistico, sono conclusioni con un basso coefficiente di pericolosità.

Eppure, nei cinque principali campionati europei, si continua a segnare circa un gol a partita da fuori area (1.18, per la precisione). Le ragioni per cui, per quanto poco consigliabile, i calciatori continuino a provarci e a segnare da lontano è autoevidente, basta guardare il gol di Fabian segnato alla Lazio: i calciatori di alto livello tirano benissimo, anche in situazioni “mediamente” difficili.

Dei grandi attaccanti si dice che a tu per tu con il portiere avversario è come se calciassero a porta vuota, per giocatori come Fabian Ruiz lo stesso discorso vale dal limite dell’area. Certo, più ci si allontana, più può capitare di incontrare un ostacolo nel tragitto che la palla deve compiere per arrivare in porta. Nell’inquadratura da dietro la porta di Strakosha il gol di Fabian Ruiz sembra quasi impossibile. Se mettete pausa nel momento in cui la palla si avvicina al suo piede sinistro c’è un blocco di maglie azzurre formato da Milinkovic-Savic, che si era gettato di schiena provando a intercettare il tiro, e Luis Felipe che, con le mani dietro la schiena, sta subito dietro di lui. Alla loro sinistra sta arrivando Acerbi in scivolata e dietro, ovviamente, c’è Strakosha leggermente spostato verso il primo palo. Con il fermo immagine, se non avete visto il gol o non ci avete fatto caso, difficilmente riuscireste a dire dove è passato il pallone.

«In arte la delicatezza non è necessariamente l’opposto della forza», scriveva John Berger a proposito degli acquerelli di Jean-Antoine Watteau. Anche nel calcio, a dir la verità, si può essere delicati e forti al tempo stesso. La differenza tra il sinistro di Fabian Ruiz e quello di Malinovskyi, ad esempio, sta tutta qui: l’ucraino calcia con una tale forza che la palla entra in porta prima che il cervello dei portieri riesca a comunicare con i loro muscoli, con traiettorie imprevedibili perché la palla a contatto col suo piede si deforma come quella di Holly e Benji. Fabian, invece, colpisce con potenza ma per far seguire alla palla una linea, un disegno (immaginate la punta di una matita che traccia il profilo di un volto, la curva della fronte e poi del naso), che ha già pensato.

In questo caso, la palla passa esterna, uscendo dal palo (sempre nell’inquadratura da dietro), girando intorno a Milinkovic-Savic e Luis Felipe, e poi entra precisa all’angolino, dove Strakosha non può arrivare.

Per quanto eccezionale, la precisione e l’efficacia di Fabian Ruiz in questa stagione non sono casuali. Piuttosto, derivano dal perfezionamento di un gesto atletico, tecnico e intellettuale che ripete dai tempi del Betis, ogni volta che è in zona - all’altezza della lunetta - e che ormai è “suo”. Fabian cerca quella porzione di campo e i suoi compagni, quando si trova lì, cercano lui. Se guardate con attenzione vedrete che Insigne stava caricando il suo classico tiro a giro, prima di accorgersi dell’arrivo compassato ma deciso, di Fabian, e quando se ne accorge gli appoggia la palla come se fosse una punizione indiretta. E se guardate ancora meglio, vedrete Dries Mertens a bordo campo, con la pettorina gialla, alzare le braccia esultando prima ancora che Fabian calci in porta.

Se Fabian è in lunetta, e non ci sono difensori abbastanza vicini per contrastarlo, il gol è quasi certo. Poche settimane fa, in un’intervista con il quotidiano spagnolo AS, lui ha ringraziato il gioco di Spalletti e i suoi compagni di reparto, Anguissa e Lobotka, che gli permettono di avvicinarsi maggiormente all’area di rigore. Contro il Sassuolo aveva alzato la posizione per pressare Maxim Lopez e quando Zielinski ha recuperato palla all’altezza dell’area Fabian era già nella “sua” zona: ha avuto il tempo di controllare, guardare il portiere e il difensore che aveva davanti, Chiriches, e poi calciare con il collo sinistro a incrociare sul palo a destra.

Di solito però calcia sul palo alla sua sinistra, con una meccanica di tiro talmente simile ogni volta che ormai è diventata quasi una “signature move”. Fabian si piega sul suo piede sinistro, con la schiena incurvata come un arco, sembra quasi sporgersi per vedere cosa c’è oltre l’angolo di un muro. Calcia incrociando i piedi, il destro scivola sotto al sinistro, in diagonale sul terreno come la ruota di una moto da curva in curva, mentre le braccia leggermente aperte sembrano tenere un remo immaginario in mano.

Dare la palla a Fabian Ruiz da sedici, diciotto, venti metri, a pochi secondi dalla fine, è come dare la palla a Lebron James sulla sirena. Per lui è una questione di freddezza e davvero come un giocatore di basket sembra essere solo una questione di traiettoria - anche se i piedi non sono le mani, è bene ricordarlo, e ogni tanto persino gente come Fabian non riesce a colpire la palla con la precisione voluta. Sempre contro la Lazio, lo scorso novembre, Fabian ha calciato da molto lontano, con centrocampo e difesa laziale davanti, anticipando la pressione di Lucas Leiva e facendo passare la palla nello spazio tra Petagna e il palo alla destra di Pepe Reina. Non ha calciato fortissimo, non serviva, il punto era far arrivare il pallone nell’angolo basso più lontano.

A volte sembra stia giocando a bowling, e gli sia rimasto solo il birillo 7 da mandare giù. A settembre 2021, contro la Samp - un altro assist di Insigne che, spalle alla porta, lo vede arrivare e gli lascia il tiro proprio come si fa con quelli forti da tre - la principale difficoltà per Fabian Ruiz non sembra battere Audero, quanto evitare di colpire Candreva che gli salta davanti: per questo calcia basso, con la palla che rimbalza come un sasso piatto sulla superficie d’acqua e arriva nel solito angolo in basso a sinistra.

Non c’è un numero infinito di traiettorie possibili da dare alla palla. Il sinistro di Malinovskyi o quello di Dybala forse hanno possibilità più sorprendenti, ma quello di Fabian è indubbiamente più elegante e raffinato. Richiede più pensiero. L’occhio di Fabian misura lo spazio a disposizione, la distanza, calcola il movimento dei giocatori che ha davanti e comunica al piede dove far passare la palla. I suoi movimenti da giunco mosso dal vento, la pulizia con cui colpisce la palla fanno sembrare che il calcio sia sul serio - per lui - un esercizio estetico. E l’eleganza delle linee disegnate dai suoi palloni ricorda quella del tratto di Pablo Picasso, andaluso come lui.

Ok sto esagerando, ma tirare da fuori area sembra quasi sempre un tentativo un po’ casuale, l’importante è “prendere la porta” ed essere magari fortunati, mentre per Fabian è una questione più molto specifica e personale. Calciare dalla lunetta è una ricerca, un lavoro in serie.

Fabian sembra al di là del confine che separa l’ossessione dai tiri a giro di Insigne dalla consistenza dei tiri “alla Del Piero”, e chissà che prima o poi anche il tiro a giro nell’angolino basso a sinistra non prenda il suo nome. “Tiro alla Fabian”. Suona bene.

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