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Emanuele Atturo

Europei Random: Olanda-Repubblica Ceca 2-3 (2004)

Il racconto di una partita semplicemente assurda.

Questo racconto è uscito su Europei Random, una puntata speciale della newsletter Serie A Random, curata da Emanuele Atturo e riservata agli abbonati di Ultimo Uomo. Non sei abbonat*? Strano, puoi rimediare qui.

 

 

Qual è stato l’apice estetico toccato dal calcio che avete potuto vedere nella vostra vita?

 

Ognuno ha la propria risposta, determinata da ragioni anagrafiche, di gusto, e da memorie personali. Siamo affezionati a determinati Europei o Mondiali perché ci ricordano momenti più o meno felici, o comunque intensi e a loro modo indimenticabili.

 

Nell’estate del 2004 guardavo calcio per più ore possibili della mia vita. Quando non guardavo il calcio pensavo al calcio, e quando non pensavo al calcio giocavo al calcio. Avevo sviluppato piccoli feticismi inspiegabili: Fabrizio Miccoli coi calzettoni bassi, Fredrik Ljungberg con la cresta rossa e le corse senza palla. Per tutti quelli che indossavano gli scarpini Predator. Ricardo Kakà e Riccardo Montolivo, due dei miei giocatori preferiti, ne vestivano un paio rossi con dettagli neri che erano il massimo dell’eleganza. Li avevo acquistati a settembre 2004, inizio della stagione al campetto, in un magazzino che vendeva all’ingrosso che conoscevano in pochi.

 

Molti dei miei feticismi sono nati a Euro 2004. I capelli unti e i tocchi di suola di Rafael van der Vaart; i denti sporgenti di Milan Baros, le sue corse ingobbite dietro la difesa. L’aria malinconica di Tomas Rosicky, i suoi filtranti delicati. Il pallone argenteo con strisciate nere appuntite. La seconda partita del girone tra Olanda e Repubblica Ceca sfoggia una serie di mie fisse sviluppate in quel periodo. Alcuni giocano in Italia, altri – i miei preferiti – no: la loro fama è trasmessa dal sarcasmo di Mondo Gol, o dal punto sulla Bundesliga di Edoardo Grassi. Per i curiosi rimando alla pagina Facebook “L’amore per la BundesLIGA di Edoardo Grassi”.

 

Comunque, stiamo parlando dell’oro dell’Europeo. Due nazionali che offrono il meglio nelle rassegne continentali, specie la Repubblica Ceca, macchina tornei europei che in quell’edizione mette in campo probabilmente la crema della crema della propria generazione d’oro. Stiamo parlando di Pavel Nedved e Jan Koller, di Milan Baros e Thomas Rosicky, di Zdenek Grygera e Tomas Ujfalusi, Karel Poborsky e Vladimir Smicer. L’Olanda, d’altra parte, è in una fase transitoria tra quelle che ha fallito tragicamente Euro 2000 e quella che farà la finale dei Mondiali sei anni più tardi.

 

La Repubblica Ceca del maestro Karel Bruckner – aria da filosofo centro-europeo – è messa in campo col rombo, squadra di clamoroso dinamismo e raffinatezza tecnica, con due guardiani: Galasek davanti alla difesa e Cech in porta, ancora senza casco. L’Olanda, ovviamente, va col 4-3-3; squadra fantasmagorica benché fragile difensivamente. Le due ali sono van der Meyde e Robben, van Nistelrooy punta centrale. Centrocampo Davids, Cocu e Stam.

 

Dopo pochi secondi c’è un assist di Rosicky che ha la dolcezza di una pennellata del Tiepolo. Gli arriva una palla sulla trequarti e lui ci arriva in corsa, alza la testa e vede più di due metri di cristiano pelato che corre sul lato del difensore. Ci sono due opzioni di passaggio:

 

  • rasoterra di piatto sulla corsa, il più rischioso perché il difensore potrebbe tagliare la traiettoria,
  • Alto a cucchiaio, più sicuro ma più difficile poi per l’attaccante tirare.

 

Rosicky è un genio e quindi sceglie una terza soluzione: un cucchiaio colpito con l’interno a rientrare che prende un giro e va sulla corsa di Koller. Rivederlo da dietro è un’emozione. Purtroppo Koller è un mezzo attrezzo, a volte (in altre anche lui è un genio), e approccia questo pallone con una rigidità delittuosa: boom, tiro in tribuna.

 

Poco dopo l’Olanda passa in vantaggio. Robben, con alcuni detriti di capelli sulla testa, crossa sul secondo palo, dove Bouma – uno dei due centrali poverini degli Oranje – stacca i piedi da terra e si butta in tuffo sulla palla. Bouma giocatore nato come esterno offensivo, convertito in terzino, convertito in centrale. L’Olanda sfiora anche il 2-0 con una punizione di Seedorf calciata di interno sopra la barriera, ma con quella forza supplementare – imprevista – che avevano i suoi tiri. Cech nemmeno si muove, ma la palla tocca il palo. Seedorf è in una giornata un po’ sciroccata, a dire il vero. Advocaat lo ha mandato in campo a sorpresa al posto di van der Vaart e a un certo punto commette un fallo su Nedved brutto e fuori tempo. Di quelli spropositati che fanno i giocatori che non fanno mai fallo e non sanno come si fa e qualcuno gli ha detto “va e fai fallo”. La maglia dell’Olanda è estetica metà anni ’00 pura. La Nike ha cerchiato i numeri sullo sterno dei giocatori come ha fatto con la linea Total 90. Seedorf, servito da van Nistelrooy, prova un altro tiro. Esce fuori una roba brutta e strozzata, un colpo a salve. Si tira tanto da fuori, forse perché il pallone invita a farlo, ma forse anche perché ci sono giocatori con la nitroglicerina nei polpacci che fanno esplodere il pallone quando lo calciano – pur coordinandosi in tecniche diverse tra loro. La botta secca e ingobbita di Nedved, le detonazioni missilistiche di Seedorf, le parabole arcuate di mezzo esterno di Jankulovski, i calci dritti e lineari alla Koeman di Cocu, le parabole di fuga dei tiri d’interno di Robben. Ci provano tutti, come se fosse troppo bello tirare come gesto in sé.

 

Tutti presi in questa allucinazione, quando Davids carica il tiro da una distanza implausibile, ma la difesa ceca abbocca e resta ipnotizzata. Davis ritira tutto, si prende una pausa, e poi, guardando attraverso le sue lenti arancioni, offre un third pass delizioso per Robben che appoggia per van Nistelrooy che appoggia nella porta vuota. «Dopo il secondo gol, il mio primo pensiero è stato: “Spero che non finisca in maniera vergognosa, che non perderemo 6-0″» ha dichiarato il Gigante Koller  ad anni di distanza (a proposito: era più forte lui o Jancker? Pezzo storico di Ultimo Uomo).

 

Gli equilibri sembrano segnati, finché non arriva un eroe, e il suo sforzo titanico, a disfarli. Cocu gli regala palla e Milan Baros parte a testa bassa oltre il centrocampo, i capelli tenuti fermi da un cordino sottile. Porta palla a piccoli tocchi, rapido. È una seconda punta e in quell’epoca in cui via via stanno scomparendo non si capisce bene quale sia davvero il suo ruolo. È un finalizzatore, ma ama partire da lontano; non ha un gran tiro ma porta bene palla. Ad affrontarlo solo Stam, perché le difese quel giorno sono quelle che sono. Comunque, anche in campo aperto, Stam è un osso duro. Baros sembra corrergli addosso, il difensore gli nega il destro, lui rientra pigramente sul sinistro e a quel punto sembra chiuso. Invece ha un guizzo: tocca la palla all’improvviso con l’esterno piede, un rimpallo sembra mettergliela sulla corsa, ma lui perde il passo. Sembra più volte finita, ma Baros poi, cadendo, serve Koller la palla per l’1-2. Un gol strano ma tipicamente olandese per come è stato subito: un gol in contropiede mentre si è in vantaggio e alla ricerca del terzo gol. Un tifoso ceco è così felice che gli casca letteralmente la mascella.

 

 

Stam torna mesto verso il centrocampo col look da scagnozzo scemo di un film anni ’90 – di quelli che gliene capitano di ogni. Poi succede una cosa assurda che magari se guardiamo gli highlights distrattamente ci pare normale. Johnny Heitinga trova il tiro della vita: mette tutta la forza e la precisione possibili su una palla che si ritrova rimbalzante davanti. Il tiro sembra andare sotto all’incrocio dei pali, ma Cech sfodera una parata di quelle trascendentali che solo lui e Buffon in quel momento storico potevano permettersi. I piedi sono caldi e continuano a impazzare. Seedorf scaglia uno dei tiri più forti che abbia visto in vita mia, solo che finisce a lato di circa un metro. Avesse preso la porta sarebbe stato gol, avesse preso Cech sarebbe morto. La palla colpisce il palo di sostegno e rimbalza fino a centrocampo. Davids tira al volo una palla uscita dall’area, cerca di schiacciarla a terra facendole prendere velocità sui rimbalzi, con una tecnica da palla nuoto. Palo. La quantità di gesti tecnici notevoli che non sono diventati gol in questa partita sono notevoli e possono riguardare solamente una partita dell’Olanda.

 

In generale, la Cechia rischia. Non sembra avere l’organizzazione tattica per assorbire il talento olandese, e Bruckner toglie altro equilibrio inserendo Smicer per Grygera. Ma se c’è una squadra maledetta è l’Olanda. Siamo solo al primo tempo ma le squadre giocano con l’imprudenza degli ultimi minuti. Siamo già a una decina di tiri a testa.

 

Fra le altre cose, ci si mena. Falli brutti, sempre fuori tempo, soprattutto da parte dell’Olanda, che del resto ha una tradizione sottaciuta di partite violente nei grandi tornei. Robben prova a uccidere Rosicky, Galasek stende Davids e prende il giallo. È uguale a Rodrigo Taddei.

 

I due esterni dell’Olanda sono schierati a piede naturale, che è strano da immaginare per Robben, ma da quel lato i suoi cross per van Nistelrooy sono mortali. Su uno di questi il centravanti schiaccia di testa verso terra, e Cech gli chiude la porta con una parata strana, raggomitolandosi in tuffo. Al 55’ non si contano più le occasioni per il 3-1 dell’Olanda. Smicer ha la palla buona per il pareggio. In area, sul sinistro, angola il tiro senza forzare troppo la conclusione: van der Saar compie un miracolo senza senso, che sembra sigillare la vittoria dell’Olanda. Se non si prende gol nemmeno in un’occasione simile…

 

E invece a 20’ dalla fine la Cechia trova il pareggio. Nedved, portatore di palla inesauribile, si accentra e scucchiaia in area di rigore; Koller è grosso ma ha pensieri fini, e gioca di sponda per l’accorrente Baros. È una grande azione da fumetto, fantascientifica, di quelle che puoi immaginare nella tua testa ma che sono troppo difficili da eseguire davvero. Baros però fa il tiro dei nostri sogni: un collo pieno violentissimo che quasi manda ko van der Saar.

 

Il pareggio a quel punto sarebbe forse il risultato più giusto. A Nedved della giustizia frega zero, a prova a tirar giù la porta con un destro da 45 metri che sembra ricadere verso la porta ma finisce per prendere la traversa. L’inerzia è cambiata, chiaramente. Secondo Koller la chiave è stata tattica: «La chiave della svolta fu la reazione degli allenatori. Il nostro allenatore reagì bene e quello olandese male. Quando loro erano in vantaggio per 2-0, (Karel) Bruckner sostituì Zdenek Grygera, il nostro terzino destro, con Vladimir Smicer, passando all’attacco totale. L’allenatore olandese, invece, tolse Arjen Robben, che fino a quel momento era stato eccellente. È stato quello il momento in cui la partita cominciò a cambiare a nostro favore».

 

È però ancora un tiro da fuori a sbloccare un pareggio che sembrava ormai scritto. È ancora Heinz, uomo provvidenza con la Lettonia, che con una secca rasoterra che costringe van der Sar a una respinta corta. Su quella Poborsky arriva prima di tutti e mette in mezzo per Smicer, che segna il terzo gol della partita a porta vuota.

 

Un distillato di calcio semplicemente fantasmagorico: fenomeni, scaldabagni da fuori, dribbling, botte, tagli di capelli selvaggi. Il romanticismo con cui, tra vent’anni, guarderemo forse alle partite di questa Georgia.

 

 

Emanuele Atturo è nato a Roma (1988). Laureato in Semiotica, è caporedattore de l'Ultimo Uomo. Ha scritto "Roger Federer è esistito davvero" (66thand2nd, 2021) e "Visionari, la percezione alterata degli sportivi" (Einaudi, 2024).