
Simone Pianigiani conosce la pressione che comporta l’allenare in un ambiente come quello dell’Olimpia Milano. Lo ha fatto per due anni tra il 2017 al 2019, vincendo due Supercoppe Italiane e uno Scudetto al primo tentativo. L'anno successivo è stato eliminato nelle semifinali playoff dalla Dinamo Sassari, subendo una netta sconfitta per 3-0. Alla fine di quella serie Livio Proli aveva rassicurato in merito a una sua permanenza sulla panchina dell'Olimpia, ma a una settimana di distanza era già ufficiale il grande botto di mercato: Ettore Messina avrebbe lasciato San Antonio per sposare la causa di Milano.
LA DISFATTA IN EUROLEGA
A quasi sei anni di distanza da quell’avvicendarsi dei tecnici con più Scudetti nella storia del campionato italiano (Messina 7, Pianigiani 6), al commento per DAZN del decisivo derby di EuroLega tra Virtus Bologna e Olimpia Milano Pianigiani spendeva parole speranzose per il suo vecchio club: «Milano deve mostrare a prescindere dal risultato una prova di carattere, perché è il momento della stagione in cui devi dimostrare quanto sei solido. Ha tutto per reagire, ed è un segnale che deve dare prima di tutto a se stessa».
Eravamo a pochi istanti dall'inizio del terzo quarto, con la Virtus già avanti 44-29.
A Milano sarebbe servita una rimonta, per mantenere viva la speranza di accedere ai play-in di EuroLega. E invece, in un batter d'occhio, la situazione è peggiorata: pronti via e il tappeto rosso srotolato per la penetrazione di Niccolò Mannion - accolto da qualche fischio dei suoi vecchi tifosi alla presentazione delle squadre - si trasforma in un’ingenua palla persa nell’angolo da Zach LeDay, servito con i tempi sbagliati.
Dall’altra parte, un semplicissimo blocco di Akele manda in confusione lo stesso Mannion, che va al raddoppio su Pajola lasciando libero il suo avversario di prendersi un comodo jumper. LeDay sembra impazzire, la frustrazione ormai non è più silenziosa e taciuta dall’orgoglio e dal pudore; l’ex Partizan si ritrova in possesso dalla punta, e ne consegue un’altra palla persa.
Spesso è difficile riassumere lo stato d’animo di un gruppo intero nella successione di pochi frame, ma i primi tre possessi (due offensivi e uno difensivo) di Milano sono emblematici dell’insicurezza e dell’instabilità psicologica di questa squadra. Uno stato d’animo che dovrebbe far risuonare più di qualche campanello d’allarme. Ma a cui ormai sembra ci si sia abituati, incapaci di tirare il freno a mano e ragionare a mente fredda.
Qualche giorno prima, nella conferenza stampa successiva alla sconfitta in campionato con Napoli, Ettore Messina non aveva lasciato spazio ad interpretazioni: «Purtroppo nei momenti di difficoltà non abbiamo leadership, è palese. Lo sappiamo, ne siamo coscienti, ma non abbiamo la cura giusta. In quei momenti, diventiamo indisciplinati e siamo fastidiosi. Tutto questo è inaccettabile per una squadra che avrebbe tutto per fare meglio».
I 20 punti di scarto (90-70) contro Bologna non hanno solamente rappresentato una sconfitta amara, dolorosa e bruciante in casa di un avversario senza più niente da chiedere a questa stagione europea, ma anche la certezza matematica del non poter competere oltre la Regular Season per la terza stagione consecutiva. Un primato al contrario, condiviso solo con ALBA Berlino e ASVEL - entrambe ben più esigue per budget, talento distribuito e ambizioni.
Achille Polonara si permette un cinque a Dan Ndoye prima della transizione difensiva.
L’ultima volta che l’Olimpia Milano ha disputato una partita di playoff in EuroLega, Tibor Pleiss aveva dominato con 37 di valutazione, Vasilije Micic e Shane Larkin duettavano, Ergin Ataman era l’allenatore dell’Efes, Gigi Datome, Chacho Rodriguez e Kyle Hines non si erano ancora ritirati e Jerian Grant aveva la 10 biancorossa sulle spalle.
Sono "solo" quattro anni, ma nel basket è un'era geologica: oggi l’Efes è allenato da Luca Banchi, Micic è in NBA (forse ancora per poco), Pleiss ha iniziato la stagione a Trapani e ora si trova ai margini delle rotazioni al Panathinaikos, allenato da Ergin Ataman e con Jerian Grant sugli scudi. Gigi Datome è il Coordinatore delle attività del Settore Squadre Nazionali maschili italiane, Kyle Hines è nel coaching staff dei Brooklyn Nets e le magie del Chacho sono solo un ricordo.
In quella stagione Milano era arrivata a una tripla dal giocarsi una finale europea che sembrava nel suo destino. E invece le successive tre stagioni, seppure con modalità diverse, l'Olimpia continua a mancare l'appuntamento con l'EuroLega d'aprile, quella che più conta e a cui dovrebbe puntare ogni stagione.
PROGRAMMAZIONE LATITANTE
Alla vigilia dell’inizio di questa stagione in EuroLega, avevo messo Nenad Dimitrijević in copertina di un listone di giocatori da seguire con interesse. Una decisione tutto sommato sensata, viste le due annate in costante crescita da protagonista con l’UNICS Kazan e il premio di MVP nella Supercoppa Italiana, vinta a Casalecchio di Reno proprio contro la Virtus Bologna.
All’interno di quel articolo, avevo riportato anche le parole di Ettore Messina, soddisfatto per la coppia di (ipotetici, a questo punto) portatori di palla della sua Milano. Per rinfrescarvi la memoria: «Nei miei sogni, c’era l’idea di provare a ricostruire una coppia come Rodriguez e Delaney. Uno più atletico, l’altro più distributore di palla, capaci di giocare insieme».
Se uno è Dimitrijević, l'altro doveva essere Leandro Bolmaro. Il sogno di Messina, però, è rimasto tale, ineffabile e inafferrabile: la decisione di affidare a due playmaker non puri la cabina di regia dei milanesi non ha pagato, e il rendimento dei due ne è l’emblematica testimonianza. In particolare, il macedone è sembrato un oggetto del mistero in più di un’occasione.
Fino alla sonora sconfitta contro l’ALBA Berlino di metà novembre, i 23.7 minuti di impiego a partita e il suo 30.2% di Usage (questo e i successivi dati sono di Hack a Stat) spiegavano da sé la fiducia del coaching staff nei suoi confronti; da quella partita in poi, però, il suo impiego è calato dal quarto all'undicesimo posto per minutaggio a partita (13.5 minuti a partita).
I suoi numeri? 7.6 punti, tirando con la seconda peggior percentuale dal campo della squadra (37.0% su 7.0 tentativi a partita), 2.9 assist e 1.5 palle perse a partita. Individualmente, ha il terzultimo Offensive Rating (103.6) e il peggior Difensive Rating (118.6) dell’intero roster di Milano. Con lui in campo, la squadra ha un Net Rating di -19.6; peggio di lui solo Ousmane Diop (-20.0, ma giocando 8.4 minuti a partita) e Josh Nebo (-37.1, ma con solo 4 presenze).
Se l’ambizione era trasformarlo in un distributore di palla che riportasse alla memoria il playmaking e le soluzioni a gioco rotto di Sergio Rodriguez, l’obiettivo non è stato raggiunto. Molto probabilmente, tanta della sua sicurezza è venuta a mancare dalla concorrenza sopraggiunta in seguito all’arrivo di Niccolò Mannion.
L’ex Virtus Bologna, reduce da un’annata 2023/24 decisamente positiva, aveva iniziato la stagione a Varese con il botto, viaggiando a 26.3 punti, 5.7 assist e 29.3 di valutazione nelle prime tre partite di campionato da capitano. A novembre, Luis Scola aveva accettato di ottenere un buyout da 300mila euro, e il Red Mamba si era spostato a Milano.
Nel filotto di vittorie inanellato da Milano tra la vittoria esterna con il Partizan Belgrado (15 novembre) del Round 10 e un altro successo in trasferta a Barcellona (13 dicembre), in un perfetto mese da 6-0 che aveva restituito una dimensione da Playoff alla squadra di Ettore Messina, l’impatto di Nico Mannion era stato da vero e proprio salvatore della patria.
In quel frangente, Mannion viaggiava a 10.3 punti, tirando con il 51.0% dal campo su 7.5 tentativi, e 6.0 assist a partita. Il 29.5% dei canestri di Milano arrivavano grazie a suoi assist, riuscendo ad influire solo in questo aspetto per un terzo dell’attacco; questa percentuale si alzava fino al 48.5% in caso di tiri da tre punti.
Quella in cui Mannion stava brillando era una Milano estremamente votata all’attacco, prima per Offensive Rating (128.8), seconda in tutta l’EuroLega per punti a partita (94.0), prima per percentuale ai liberi (87.0% su 23.7 tentativi) e seconda per conversione dei tiri dall’arco (42.0% su 27.2 tentativi). La sua capacità di attaccare il ferro dal palleggio legata ad una manovra decisamente più fluida sembravano aver risolto tanti grattacapi a Messina.
Una squadra bella da vedere, che anche in un’altra vittoria incoraggiante come quella del Round 8 contro il Real Madrid aveva provato a dimostrare come la convivenza tra il numero 1 e il numero 2 potesse davvero funzionare: in quell’occasione si è registrata la miglior prova stagionale (22 punti con 4/9 da tre) di Neno Dimitrijevic, accompagnata da un solido debutto (11 punti con 4/6 dal campo e 5 assist) dello stesso Mannion. Poi, il nulla.
A eccezione delle vittorie con Partizan e Barcellona, in quel filotto vincente era però mancato Leandro Bolmaro, che nel corso della stagione ha vissuto un rendimento decisamente migliore di Nenad Dimitrijevic (è terzo in tutto il roster per Net Rating a 109.2), non toccando i picchi di Nico Mannion ma al contempo soffrendo spesso cali fisici.
Escludendo uno sforzo da vero trascinatore a febbraio - 21 punti, 7 rimbalzi e 6 assist - su uno dei campi più difficili d’Europa, la Zalgirio Arena di Kaunas, con il passare delle settimane l’esuberanza offensiva di Mannion è andata a scontrarsi con un attacco sempre più prevedibile, con pochi movimenti lontano dalla palla e un costante affidamento alle giocate del trio LeDay-Mirotic-Shields.
L’equivoco in cabina di regia, che ha portato la dirigenza a tornare sul mercato ad appena un mese dall’inizio della Regular Season, è solo uno dei tanti problemi della sessione estiva di questa Milano, vista a posteriori. Come accaduto anche nelle due fallimentari stagioni precedenti, molti dei volti nuovi non hanno impattato come ci si attendeva.
Armoni Brooks, tiratore solido tra NBA e G-League, e colui che in teoria avrebbe potuto ripercorrere le orme di Billy Baron, era stato annunciato in pompa magna a pochi giorni dallo Scudetto, salvo poi essere stato utilizzato con il contagocce in EuroLega (14.4 minuti a partita) nonostante risposte a tratti soddisfacenti. Ha tirato con il 45.6% da due, con il 40% da tre - su 3.7 tentativi a partita, il secondo dato più alto della squadra - e il 96.3% ai liberi.
David McCormack, lungo che aveva iniziato la carriera europea in Turchia tra Besiktas, Darussafaka e Galatasaray, era arrivato insieme a Ousmane Diop per giocarsi il posto di ricambio per Josh Nebo. Nonostante la lungodegenza che ha tenuto fuori per la stragrande maggioranza della stagione il centro ex Maccabi, tanto a McCormack (oggi all’ALBA Berlino) quanto all’ex Sassari non sono mai state date grosse opportunità.
A eccezione di Nico Mannion, arrivato però a stagione in corso, le chance concesse ai giocatori italiani a roster di potersi esprimere in EuroLega sono state ridotte all’osso. Se Stefano Tonut e il co-capitano Giampaolo Ricci hanno risposto presente dalla panchina; Ousmane Diop, Giordano Bortolani, Guglielmo Caruso e Diego Flaccadori non hanno praticamente avuto spazio nelle rotazioni europee di Messina.
Anche in campionato, però, le cose non cambiano, nonostante la Regular Season della Serie A possa concedere più flessibilità. Ettore Messina non sembra fidarsi di risorse che, in una stagione così condensata di impegni ravvicinati, potrebbero far riposare i giocatori migliori di Milano. Al contrario, in questa stagione l'Olimpia si è affidata totalmente ai tre giocatori più importanti della squadra. A lungo andare, però, LeDay, Mirotic e Shields non hanno retto il peso dello sforzo che gli è stato chiesto.
I TRE TENORI HANNO PERSO LA VOCE
Dando un’occhiata ai minutaggi delle squadre in EuroLega, sono appena 18 i giocatori che passano almeno 27 minuti in campo a partita. La stragrande maggioranza delle squadre non ha nemmeno un giocatore in questa lista ristretta, alcune ne hanno due come il Panathinaikos (Kendrick Nunn e Juancho Hernangomez), la Virtus Bologna (Will Clyburn e Toko Shengelia), il Maccabi Tel Aviv (Jaylen Hoard e Levi Randolph).
Solo una squadra ha tre giocatori con almeno 27 minuti in campo a partita: l’Olimpia Milano, con Zach LeDay (27:36), Nikola Mirotic (27:35) e Shavon Shields (27:33). Se da un certo punto di vista questo può rappresentare un vanto e un aiuto, stabilendo determinate gerarchie fin dall’inizio e dando la netta impressione di puntare su questo trio, con il passare del tempo la dipendenza della squadra di Ettore Messina dai suoi tre tenori è diventata dannosa.
Prima di tutto per il tipo di gioco che ha mostrato in campo Milano in questa stagione, in netta continuità con le altre due deludenti campagne europee. Rispetto a un ecosistema nel quale si privilegia sempre più la ricerca della transizione offensiva, un gioco proiettato a tanti possessi e guardie a dir poco dinamiche - Parigi e il suo leader TJ Shorts l’hanno dimostrato, ma non solo -, l’Olimpia fin troppo spesso si è trovata costretta ad affidarsi a soluzioni a gioco rotto con palla in mano a Shields, o dal post basso con Mirotic o LeDay.
Badate bene: il rendimento di questi tre non si discute, tant’è che per buona parte della stagione non sarebbe stata un’eresia includere l’ex Barcellona o l’ex Partizan in una conversazione sull’MVP. Zach LeDay chiuderà la stagione 2024/25 con 15.5 punti a gara tirando con percentuali fuori dalla norma: 52.8% da due, 45.0% dall’arco e 92.0% in lunetta. Mirotic non è andato lontano dalla forma mostrata nella sua stagione da MVP, nel 2021-22.
Il problema sopraggiunge quando il talento si traduce in prevedibilità e facili letture da parte delle difese avversarie: guardare una partita di questa Olimpia Milano equivale a un interessante esercizio riassuntivo da parte dello spettatore, che in un quarto potrebbe aver già scandagliato un playbook intero. Inoltre, un utilizzo così ampio (tra Shields e Bolmaro, quarto per impiego, ci sono ben cinque minuti di scarto a partita) rischia di riempire l’infermeria.
«Di certo c’è che non abbiamo mai avuto la squadra al completo. Giocare così tanto con Mirotic e LeDay insieme lo puoi fare per un po’, ma non per 40 partite perché poi gli avversari si adeguano, alzano la pressione difensiva. Quello che magari funzionava a dicembre o gennaio, ad aprile non funziona più, anche se eravamo nella posizione di classifica giusta ad un certo punto», ha detto Messina dopo la sconfitta di Bologna.
E a ragion veduta: è un dato di fatto che la stagione di Milano sia stata condizionata dagli infortuni. Quello di Nebo, certamente, ma anche i continui acciacchi di Mirotic e Shields, la carta d’identità di Fabien Causeur (promosso a pieni voti nella sua prima stagione lontano da Madrid dal 2017) che dice 38 anni a giugno. Ma davvero non si sarebbero potute trovare delle soluzioni per sgravare i tre protagonisti da un’inevitabile carico di questo tipo?
La gestione del mercato estivo e soprattutto delle rotazioni da parte del coaching staff si sono tradotte in un’incostanza di risultati fin troppo evidente. Dopo la buona serie di vittorie di cui si è parlato in precedenza, l’Olimpia è incappata in tre sconfitte consecutive, seguite da altrettante vittorie. Da quel momento, non sono più arrivate più di due vittorie in fila, giungendo a un inaspettato 0-4 nel finale di stagione dopo la vittoria contro la Stella Rossa a Belgrado. Una squadra a cui è venuto il mal di testa.
Senza dimenticare l’architrave che ha sempre retto il progetto legato all’allenatore con esperienza pluridecennale negli ultimi anni di gestione meneghina: l’identità difensiva. Nel 2023/24, senza play-in o playoff, Milano era comunque sesta per Defensive Rating (111.5); nel 2022-23, senza playoff, Milano era la quarta migliore dell’intera EuroLeague per Defensive Rating (111.7).
Quest’anno, invece, è la quartultima miglior difesa dell’intera competizione (118.7). Contro l’ALBA Berlino, ultima per Offensive Rating (104.2) e terzultima per punti segnati (79.1) a partita, hanno perso 105-101 a metà novembre; in altre tre occasioni hanno subito 100 o più punti: contro il Panathinaikos (103-74) a metà dicembre, contro l’Efes a fine gennaio (110-66) e contro il Fenerbahce (76-100) a inizio marzo. La solidità difensiva è sparita.
Alla vigilia della partita contro il Baskonia, un ultimo appuntamento dell’anno tra due squadre che ormai non si giocano più nulla se non un risultato che possa rasserenare un momento complesso per entrambe, Ettore Messina ha riassunto la sconfortante Regular Season della sua squadra con toni forti, roboanti: «Siamo consapevoli di aver deluso i nostri tifosi, la nostra proprietà, ma soprattutto - credetemi - abbiamo deluso noi stessi».
Dopo la delusione, di solito, c’è una reazione data dal moto d’orgoglio, o l’appiattimento delle speranze. Per il terzo anno di fila, l’Olimpia Milano è stata capace di mettere in atto due spartiti dello stesso concerto, uno dalle note alte - a tratti altissime - e un altro risuonante un’atmosfera mesta. Finché non si è ritornati al punto di partenza, o forse di non ritorno.