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Daniele Manusia

Il lato mistico di Olivier Giroud

Con l'aiuto di Dio Giroud pare aver sconfitto la maledizione del numero 9.

Due cose è fondamentale sapere su Olivier Giroud. La prima è che è molto religioso – non ha accettato l’offerta dell’Everton, nel 2017, per un sogno profetico di una sua amica che ha preso come “segnale di Dio dal Paradiso”. La seconda è che, praticamente da quando ha lasciato Montpellier (dopo aver vinto la Ligue 1 del 2012, con 21 gol e il titolo di capocannoniere), è perennemente oggetto di critiche. In Nazionale soprattutto, dove per via del dualismo con Benzema squalificato ha avuto sì la fortuna di vincere un Mondiale, ma lo ha fatto senza segnare, rafforzando – almeno nei suoi critici – l’impressione che fosse l’intruso nella squadra nazionale più forte del mondo. Ma anche nel Chelsea, con il quale ha vinto una Champions League giocando meno di mezz’ora, in totale, dai quarti di finale in avanti – entrando ben due volte a un minuto dalla fine. 

 

Non che a lui sembri dare più di tanto fastidio. Quando Benzema, parlando della loro situazione, ha detto che non era giusto paragonare una Formula Uno a un go-kart, Giroud l’ha presa a ridere: «Mi sembra divertente». Quando Deschamps lo ha tagliato dalle convocazioni della Nazionale, dopo la delusione dell’Europeo e la rimonta ridicola – dal punto di vista francese – della Svizzera da 3-1 a 3-3 in dieci minuti, che resta per ora la sua ultima partita in nazionale, Giroud non ci è rimasto male: «Non penso che darò mai l’addio alla Nazionale. Se l’allenatore avrà bisogno di me, ci sarò».

 

E forse le due cose sono collegate. Nel senso: a Giroud non importa granché se lo criticano, se dubitano di lui, perché quello che conta davvero è il piano che Dio ha per lui. Un piano che lo ha portato ad avere una carriera che non avrebbe mai immaginato e che continua a manifestarsi anche oggi che ha 35 anni. Parlando dei suoi tatuaggi, tutti con un significato ben preciso (oltre a un salmo della bibbia il cui significato è autoevidente), Giroud ha detto che rappresentano «il suo lato mistico». 

 

Secondo me, però, sono i suoi gol a rappresentarlo meglio. Sono i suoi gol a mettere a tacere qualsiasi tipo di critica. Perché come si fa a criticare l’espressione di un disegno divino?

 

A tre quarti della stagione 2021/22, con il Milan primo in classifica, con una partita e due punti in più dell’Inter, Giroud ha già eguagliato la sua migliore stagione al Chelsea, sul piano realizzativo. Eppure confesso di aver pensato, quasi in ogni partita che gli ho visto giocare quest’anno, sempre appena prima che segnasse, che forse Pioli avrebbe fatto bene a toglierlo dal campo. 

 

Anche a posteriori non riesco a dire che Giroud abbia giocato bene contro il Napoli, contro l’Inter, o contro la Lazio in Coppa Italia – tre partite in cui ha segnato cinque gol. Riconosco l’utilità tattica dei suoi movimenti senza palla in profondità (che a differenza di quelli incontro di Ibra spingono le difese avversarie verso il basso creando un po’ di spazio per gli altri portatori di palla milanisti) e anche l’eleganza di certe sue sponde di prima, ma arriva sempre un momento in cui penso che sia troppo poco, che il suo contributo sia così minimalista che i suoi stessi compagni sembrano dimenticarsi di lui. 

 

E poi, un attimo dopo, Giroud ha segnato. 

 

(Mi sento meno solo quando i commentatori, in diretta, dopo il gol dicono una cosa tipo: «Si era visto poco», oppure: «Non stava giocando benissimo»)

 

 

Contro l’Inter ho pensato che andasse tolto dopo che ha gestito una palla di Tonali – che Tonali aveva fatto una fatica incredibile a fargli arrivare sul centro-destra, con un filtrante in diagonale difficile da vedere – controllandola a fatica e poi passandola a Barella. Non solo sembrava fosse fatto di legno, ma che giocasse con una strana fretta addosso che lo rendeva impreciso, come se il pallone scottasse, come se temesse che toccandolo più di due volte di seguito avrebbe potuto far arrabbiare la divinità che lo seguiva, intralciandone i piani. 

 

Passano due minuti e Giroud segna il gol del momentaneo 1-1, sbucando dietro a Romagnoli e Tonali, deviando in scivolata il tiro sbilenco di Brahim Diaz. E qui veniamo al suo lato mistico. Se mettete pausa nel momento in cui Brahim Diaz calcia, quando la palla si stacca dal suo piede anzi, vi accorgerete che non c’è uno spazio in cui potrebbe passare. Romangoli punta i piedi per non intercettarla ma la palla sembra diretta su Skriniar, che fa un movimento strano per provare a prenderla di tacco mentre, se fosse rimasto fermo, gli sarebbe sbattuta sulla gamba destra. Non c’era ragione per cui quel pallone passasse tra Skriniar e Romagnoli, e infatti Tonali, subito dietro, è colto di sorpresa, allunga il piede ma non ci arriva. Giroud invece riesce a coordinarsi alla perfezione, allungando il passo per arrivarci in scivolata e metterla in porta.

 

Come faceva Giroud a sapere che sarebbe passata? Lo sapeva, e basta.

 

 

Olivier Giroud ha un lato mistico ma anche uno strettamente tecnico. Per lui vale un po’ il discorso fatto in passato con Filippo Inzaghi – ci porta anche lui “sulla soglia dell’invisibile nel calcio” – bisogna quindi tirare in ballo l’accumulo di esperienza di anni vissuti in area di rigore e l’istinto di chi, come ha detto al Parisien ai tempi della sua prima convocazione in nazionale, è “ossessionato dal gol”. Il collegamento con Inzaghi va fatto anche perché Giroud è stato il primo numero 9 del Milan a segnare più di 10 gol in una stagione dal 2012 – dieci anni fa! – quando la 9 la indossava, appunto, Pippo Inzaghi.

 

Rispetto a Inzaghi, però, Giroud ha segnato un numero maggiore di gol belli. Dallo scorpione del 2017 con cui ha vinto il Puskas Award a questo missile incredibile segnato contro la Svezia: 

 

Jorge Valdano diceva, un po’ ingiustamente, che Inzaghi non avrebbe dribblato neanche una sedia; ci sono esempi invece di gol segnati da Giroud dopo dribbling piuttosto creativi. Tipo il secondo gol segnato all’Inter, in cui sorprende de Vrij con un controllo di tacco che gli apre lo spazio per il tiro che è semplicemente geniale. O come questo gol segnato con la maglia del Chelsea quattro anni fa, in cui taglia come delle forbici da sarto l’intera difesa del Southampton e poi segna cadendo come se stessi sugli sci:

 


Non bisogna farsi trarre in inganno dall’umiltà di Giroud. L’umiltà di un giocatore che prima di arrivare ad avere un profilo internazionale ha fatto la gavetta nella seconda divisione francese e, prima ancora, non era esattamente una giovane promessa; anzi, lui pensava di fare il professore di ginnastica dopo il liceo. 

 

L’umiltà che viene anche dal fatto che il fratello maggiore, Romain, che nelle nazionali giovanili ha giocato con Trezeguet e Henry prima di scontrarsi con il “sistema”, lo aveva messo in guardia sulla durezza del calcio di alto livello. L’umiltà di un ragazzo che, quando è stato rifiutato in uno dei suoi primi provini, ha considerato che forse era ancora «troppo buono, troppo cerebrale» mentre il calcio «è una giungla».

 

Forse anche per questo a inizio stagione ci si chiedeva se avrebbe accettato di fare la panchina a Zlatan Ibrahimovic e adesso ci sorprendiamo a constatare che Olivier Giroud sta avendo una parte da protagonista nella lotta scudetto del Milan. I sei punti con Inter e Napoli, che valgono dodici, in realtà, sono molto merito suo e della sua mistica. Della capacità di «farsi trovare al posto giusto al momento giusto», come ha detto dopo la partita. E di farcisi trovare pronto. 

 

Ovviamente anche con il Napoli dentro di me pensavo che Giroud stesse togliendo un uomo al Milan. Ma Zlatan proprio non può giocare, mi sono chiesto a un certo punto. E subito dopo Giroud ha segnato. Ancora una volta, facendola sembrare una casualità, come se davvero bastasse che la palla vada a sbattergli addosso. Ancora una volta, però, con un’intuizione… come dire… profetica? Sto parlando di quel passettino con cui si sfila dal fuorigioco che è anche un passettino con cui si sfila dalla presenza ingombrante di Koulibaly – che accompagna con un gesto di entrambe le mani verso destra, come per toglierlo dove lui sa che sta per passare il pallone. 

 

Il movimento con cui rientra dal fuorigioco è un tutt’uno con il movimento con cui si gira verso la porta e si coordina per deviare il tiro di Calabria, cambiando angolo alla traiettoria, di qualche grado appena, giusto per farlo scorrere verso il secondo palo dove Ospina non può arrivare. 

 

In un calcio in cui le qualità atletiche e tecniche dei giocatori d’élite sono semplicemente inimmaginabili per noi, e fare gol è spesso difficile anche per loro, anche per squadre piene di campioni con il 60% del possesso palla che passano quasi tutta la partita nella trequarti avversaria, a Olivier Giroud per fare gol basta deviare una palla che passa in area. Aspettare, cioè, che passi una palla in area e poi sfiorarla, accompagnarla in rete facendo il meno possibile. 

 

Come quello sketch di Buster Keaton in cui il vento stacca la facciata di una casa e lui, fermo, inconsapevole, si salva passando nello spazio di una finestra. Lo sketch di Buster Keaton, ovviamente, è coreografato al centimetro. Anche il calcio di Olivier Giroud, in alcuni momenti, e al di là di ogni possibile legame speciale col divino (chi siamo noi per negarlo), sembra una coreografia caotica in cui il solo giocatore a conoscere i passi esatti, quelli per fare gol, è lui. 

 

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Daniele Manusia, direttore e cofondatore dell'Ultimo Uomo. È nato a Roma (1981) dove vive e lavora. Ha scritto: "Cantona. Come è diventato leggenda" (Add, 2013) e "Daniele De Rossi o dell'amore reciproco" (66th & 2nd, 2020) e "Zlatan Ibrahimovic, una cosa irripetibile" (66th & 2nd, 2021).