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Come hanno preso in Argentina le convocazioni di Mancini
04 apr 2023
La convocazione di Retegui non ha lasciato indifferente il Paese sudamericano.
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6 min
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IMAGO / Buzzi
(copertina) IMAGO / Buzzi
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La convocazione di Mateo Retegui è stata come un acquazzone estivo: arrivata all’improvviso, senza che nessuno avesse il tempo di prendere l’ombrello o mettersi al riparo, ed un momento dopo eravamo tutti inzuppati. L’8 marzo le prime indiscrezioni dall’Argentina, il 17 le convocazioni ufficiali, il 23 contro l’Inghilterra ed il 26 contro Malta i primi due gol in Azzurro: nemmeno il tempo di capire chi fosse questo Retegui, cos’avesse fatto per meritarsi la chiamata e se giocasse nel Tigre o nel Tigres (ed è una lettera che fa tutta la differenza del mondo), che il temporale era già passato e non rimaneva altro da fare che asciugarsi i vestiti.

Se chiedi al pessimista, ti risponderà che la pioggia, guarda caso, viene solo nel weekend in cui lui aveva programmato una gita fuori porta; l’ottimista, da par suo, dirà che la pioggia gli piace perché porta con sé un arcobaleno; il realista, ai limiti del cinismo, si limiterà a rispondere che la pioggia “serve”. E, ad essere realisti, a noi Mateo Retegui è servito come il pane: in un periodo in cui la siccità meteorologica sembra essersi riflessa anche in ambito calcistico, in un reparto avanzato decimato da infortuni e scarsa forma, l’epifania del "Chapita" è stata più simile alla “pioggia miracolosa” narrata nella colonna di Marco Aurelio che alla nuvola fantozziana che molti temevano.

Ma, come la pioggia estiva poi risveglia la calura, l’exploit del nuovo oriundo ha risvegliato tutta una serie di pregiudizi nei confronti del mondo esterno, riflessi nel caso specifico in invettive sulla genealogia del giocatore o sulla sua performance canora dell’inno in playback. Considerazioni che non hanno nulla a che fare col campo ma che soprattutto hanno deliberatamente ignorato il fatto che un debuttante con 2 gol alle prime 2 partite ufficiali non si vedeva da 50 anni.

Ciò che è più interessante è che la convocazione di Retegui, e la sua decisione di accettarla, ha suscitato discussioni aspre anche nella natia Argentina, con uno spettro di sentimenti piuttosto ampio nel corso della prima tappa italiana della sua carriera.

I più entusiasti, senz’altro, sono stati i tifosi del Tigre, che non vedevano un loro giocatore convocato ed impiegato da una Nazionale in partite ufficiali dai tempi di Fernando Gianserra (4 partite con l’Argentina tra 1956 e 1957). Hanno seguito minuto per minuto la vestizione azzurra di Retegui, animati dall’orgoglio ma anche dalla prospettiva di una ricca vendita nella prossima sessione di mercato. Il loro ottimismo ha contagiato tanti, tifosi e non, che si sono chiesti se non fosse il caso di rivalutare il prestigio del campionato locale: “Smettiamola di bistrattare il nostro torneo, non è inferiore ai campionati europei se l’Italia è venuta a prendersi Retegui!”, questo in sostanza il succo del discorso. Di contro, però, hanno fatto da contraltare voci più disfattiste: “Pensate quanto dev’essere ridotta male l’Italia per finire a chiamare un giocatore di una modesta squadra in Argentina”.

Ci sono state anche reazioni a noi più familiari, come quelli di chi ha accusato Retegui semplicemente di essere un traditore per aver accettato la chiamata di una Nazionale diversa da quella che rappresenta il suo Paese di nascita. Questo account YouTube ha per esempio ricaricato un servizio televisivo sulla notizia realizzato da Canal 26 ponendo già nel titolo del video la domanda sibillina: Retegui traidor?

Il gol all’Inghilterra ha aperto ancora di più le crepe nell’opinione pubblica argentina. “Abbiamo perso il goleador del campionato perché il nostro CT non ti guarda se non sei di Boca o River. Mateo è tanto più scarso di Simeone e Correa?”. La reazione degli Scalonisti non si è fatta attendere. “L’Argentina ha attaccanti talmente tanto forti che i nostri scarti li prendono le tanto celebrate nazioni europee!”. Ma è stato dopo la rete a Malta che una sorta di fronda giacobina si è scatenata sui social, specie nella sezione commenti delle pagine sportive argentine che celebravano il secondo gol del "Chapita": “Basta parlare di Retegui, ha tradito la sua Patria per andare a giocare con l’Italia che ha fallito la qualificazione agli ultimi due Mondiali! Non ce ne frega nulla di lui”. Una reazione simile al rifiuto dopo un grave lutto.

Nella frenesia generale, alcune voci si sono stagliate come una profezia funesta. Sono state quelle di alcuni giornalisti sportivi argentini di lungo corso secondo cui l’Italia arriverà presto a prendersi altri giocatori argentini. D'altra parte, Roberto Mancini non ci ha messo molto a dare sostanza ai timori del popolo albiceleste, confermando nelle proprie dichiarazioni che Retegui potrebbe non essere l’ultimo e che quella degli oriundi è una pista che la Nazionale ha intenzione di continuare a battere.

Apriti cielo, da entrambe le parti dell’Oceano: in Italia sono partite le ipotesi su chi saranno i prossimi calciatori che la FIGC proverà a convincere ad “italianizzarsi” (lo abbiamo fatto anche noi), mentre in Argentina si invoca addirittura un cambio alle norme FIFA che non permettano di rappresentare un Paese diverso da quello in cui si è nati, con buona pace di chi fa notare che il wonderkid argentino Garnacho è in realtà nato in Spagna. Se n'è parlato in maniera molto seria anche nel programma Pelota Parada, sul network TNT Sports.

Pablo Gravellone è un giornalista del network di notizie argentino Todo Noticias.

Ma questa nouvelle vague di oriundi italiani non è una trovata improvvisata da un CT buontempone, bensì la naturale conseguenza in ambito sportivo di un fenomeno in crescita costante, una tendenza dilagante in Sud America. Come ha fatto sapere la Farnesina nei giorni scorsi, in America Latina i richiedenti passaporto italiano sono migliaia, i potenziali tali addirittura decine di milioni. Ciò che spinge soprattutto argentini e brasiliani a riscoprire le origini italiani, anche lontane, per procurarsi un secondo passaporto è l’endemica instabilità del continente latinoamericano, zavorrato da un’inflazione inarrestabile (che in Argentina vedono proiettata oltre il 100% a fine 2023) e sballottato in un ottovolante politico che troppo spesso risulta essere gattopardesco nel suo cambiare tutto e non cambiare nulla.

In questo contesto il passaporto italiano, abbastanza facile da ottenere a quelle latitudini, può essere il viatico per il trasferimento in pianta stabile in Europa, dove gli scenari in ambito lavorativo, educativo e sanitario sono senz’altro migliori e la prospettiva futura è più incoraggiante. Certo, il prezzo da pagare è alto: si abbandonano casa, amici, luoghi del cuore e si intraprende un salto nel vuoto alla ricerca di un avvenire migliore.

Non sono esenti da queste dinamiche i calciatori, specie se giovani: la trafila delle Inferiores è lunga e tortuosa, spesso le infrastrutture sono deficitarie ed il supporto pressoché inesistente, anche in club importanti. E se in passato era sufficiente riuscire ad arrivare a giocare stabilmente la Libertadores per costruirsi una carriera e mantenere sé stessi e la famiglia in maniera più che dignitosa, oggi a malapena sfondare nel Boca o nel River può consentire di “sistemarsi”.

“Immaginati di vivere nel Conurbano, una delle zone più povere di Buenos Aires, all’improvviso viene Mancini e ti dice: ‘Cognome italiano?’, ‘Giochi a calcio da Dio?’, ‘Vuoi vestire l’azzurro?’”.

Questo tweet, scritto con intento palesemente provocatorio, spiega molto: per molti calciatori, come per quasi tutti gli altri lavoratori, la cittadinanza italiana significa innanzitutto prospettive migliori. D'altra parte, per lo stesso Retegui la convocazione italiana non ha significato solo polemiche e gol, ma anche diverse manifestazioni d'interesse da parte dei club di Serie A. E se si può discutere sul livello tecnico-tattico del nostro campionato, e forse anche su quello argentino, di sicuro le differenti prospettive di guadagno sono fuori discussione.

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