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La solitudine e la malinconia intorno a Victor Osimhen
02 set 2024
02 set 2024
È rimasto al Napoli dopo un'estate angosciante, e ora?
(foto)
Foto di IMAGO / Fotoagenzia
(foto) Foto di IMAGO / Fotoagenzia
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C’è un’azione di Victor Osimhen che non ho mai dimenticato. È successo quattro anni fa, e come certe cose passate che ci ricordiamo con un nitore spropositato non ha un significato preciso.

Ricordo che era un’amichevole di inizio settembre giocata tra le montagne abruzzesi. Si giocava alla frescura del tramonto, un triangolare sonnolento tra il Napoli e due squadre locali: Castel di Sangro e L’Aquila. L’inizio dei campionati era slittato a causa del COVID e intorno a quel raduno c’era un’aria frizzante: il calcio stava tornando a distrarci dai problemi, mentre in panchina gli staff tecnici nascondevano i volti dietro la pesantezza della mascherine.

Il Napoli si era impegnato, dopo la vittoria della Coppa Italia a maggio, a riscattare il settimo posto dell’anno prima spendendo quasi 80 milioni di euro per questo centravanti magrissimo e scoordinato arrivato dal Lille. Di Osimhen venivano raccontate molte cose: l’infanzia passata a vendere bottigliette d’acqua ai semafori a Lagos, il carattere provocatorio e tracotante, che a volte lo fa tracimare in campo e fuori, il fuoco con cui gioca a calcio che lo rende prono agli infortuni più disparati.

A Lille, l’anno prima, era stato uno dei migliori attaccanti del campionato prima che la Ligue 1 venisse sospesa: terzo nella classifica dei capocannonieri, a cinque gol dal duo Mbappé-Ben Yedder e a due da Moussa Dembelé. In Champions League aveva dato un breve assaggio delle sue qualità con un colpo di testa perentorio contro il Chelsea e una corsa in transizione violenta contro il Valencia.

La storia di Victor Osimhen parte dalla sua grandezza atletica, dalla dialettica che instaura tra il suo corpo e il pallone. E non c’è un'altra azione che me lo abbia fatto capire meglio di quel pomeriggio a Castel di Sangro. Osimhen scendeva in campo senza il nome sulla maglietta, e col numero quindici stampato sulla schiena perché il Napoli aveva ancora sotto contratto Llorente. Tutto sembrava provvisorio, balneare. Un debutto qualsiasi, come in una partitella tra amici. Osimhen con il ciuffo biondo platino da maranza, l'agonismo e l'eccessiva passionalità di un giocatore amatoriale.

A un certo punto riceve da Mertens un passaggio verticale poco oltre la metà campo avversaria, aggancia il pallone con il ventre e lo addomestica con il suo solito modo frugale, sia superficiale che famelico. Osimhen comincia a correre verso la porta e non si ferma, e dopotutto può bastargli questo: non deve dribblare o proteggere la palla, gli basta essere l'uomo più veloce tra i ventidue in campo, arrivare in area di rigore come se volasse e battere il portiere con un rasoterra incrociato. In sottofondo, come a rimarcare una visione prodigiosa, le urla dei tifosi che da un sibilo diventano un mormorio, poi un boato, infine gioia.

La stagione 2020/21 era la seconda senza mio padre, la prima che avrei vissuto insieme a mio fratello, rinnovando un rituale famigliare che muore e rinasce la domenica. Forse è anche per questo che ho cominciato a volere bene a Victor Osimhen quel pomeriggio, perché si è insinuato tra le pieghe dei miei ricordi condivisi. Tra le esultanze ridicole per un paio di gol in amichevole rivedevo in mio fratello, di tredici anni più grande di me, un entusiasmo nuovo. La vita stava ricominciando insieme alle sgasate di un attaccante che sembrava correre su un motorino.

Poco dopo ha incendiato ancora la fascia destra, e quelle corse dritto per dritto apparivano un’epifania ai tifosi del Napoli, dopo un’annata deludente: contenevano il messaggio del loro nuovo idolo. Non è un caso che già prima di quella partita, La Gazzetta dello Sport faceva notare che «gli obiettivi di reporter e semplici tifosi hanno cercato a più riprese il volto di Victor Osimhen» e di come lui fosse piuttosto «sorpreso dall’accoglienza ricevuta».

Dopo anni in cui il Napoli lottava e alla fine non vinceva mai niente, Osimhen era la promessa che stesse accadendo qualcosa di nuovo. Il sogno che anche noi potevamo tifare per una squadra con al suo interno un centravanti che volava tra gli avversari, che dominava fisicamente sui difensori.

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Inizia con una presa di coscienza: Victor Osimhen non giocherà più nel Napoli. Ne ero piuttosto sicuro, all'inizio di un'estate in cui vedevamo Osimhen allenarsi a parte nei ritiri, non partecipare alle partitelle. Dal dicembre 2023, da quando cioè ha firmato il rinnovo, è diventato un tesserato del Napoli a statuto speciale. Il rinnovo sembrava solo l'anticamera della cessione.

Che però non arrivava.

Tra luglio e agosto: un assopimento. Il Napoli ha preso Spinazzola, Marin e Buongiorno a inizio luglio, appena un mese dopo l’arrivo di Antonio Conte. Doveva essere l’antipasto di una scorpacciata rivoluzionaria. Il Napoli pronto a cambiare pelle e con 130 milioni, poco più poco meno, nelle tasche per autofinanziarsi.

Nel frattempo: chi prenderà Osimhen, e a che prezzo? Il 18 agosto il Napoli perde 3-0 a Verona, all’esordio del ciclo di Conte.

Dove stiamo andando? La rabbia repressa del crollo post-Scudetto non è ancora spenta, la paura di avere cambiato dimensione – scendendo di un gradino – non ha contro-argomentazioni. Si arriva così non solo a una brutta sconfitta, ma a un nodo inestricabile: Brescianini arriva, fa le visite mediche, torna a casa e firma con l’Atalanta; sembra che stia per arrivare Gilmour, ma invece no: servono i soldi di Osimhen, dove sono?

L’assenza di Osimhen è una presenza. Il Napoli comincia il campionato con Simeone e Raspadori come centravanti, nessuno in panchina a centrocampo, a eccezione dei primavera Iaccarino e Coli Saco. Pur essendo mentalmente e fisicamente lontano dalla squadra, Osimhen incide ancora sulle prospettive: nel bene o nel male.

Io ho amato Victor Osimhen, io odio Victor Osimhen. I tifosi del Napoli sembrano persi in questi due ondivaghi stati d’animo. Vedremo mai la squadra completa?

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Il primo gol ufficiale lo segna all’Atalanta, alla quarta giornata, dopo un inizio generoso in cui non riusciva a sbloccarsi. Alle spalle di Romero controlla con il petto il rinvio da fondo di Ospina e sbuccia un tiro in scivolata che prende in controtempo Sportiello. Si ripete qualche settimana più tardi, un bel colpo di testa al Bologna, da attaccante vero, poi si fa male alla spalla con la Nazionale e per i tifosi del Napoli è già un remake della storia di Arkadiusz Milik. Il Napoli arriva quinto a fine stagione, lui racimola 24 presenze e 10 gol in Serie A: troppo poco per essere considerato un centravanti d’élite, abbastanza per acuire i rimpianti per la sua fragilità fisica.

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L’11 agosto 2024, mentre il Napoli di Antonio Conte giocava in Coppa Italia contro il Modena, Osimhen è stato ripreso in un locale del centro da un tifoso. Il nigeriano gli si è avvicinato, provando a scippargli il telefono, gli ha urlato qualcosa e poi lo ha spintonato. Osimhen si allena da solo da settimane, e fino alla fine del calciomercato è rimasto in attesa dell’offerta giusta per andare via. A qualcuno non è andata giù la sua indifferenza verso il Napoli: mentre la squadra arrancava senza un centravanti di ruolo, prima dell’arrivo di Romelu Lukaku, Osimhen non sembra neanche essere stato sfiorato dall’idea di rimettersi gli scarpini e scendere in campo.

Secondo le ricostruzioni dei giornali il naufragio della trattativa con l’Al Ahli lo ha innervosito al punto da «prendere a pugni tavoli e mura» della stanza dove c’erano anche i dirigenti del Napoli. È stata sfiorata anche una rissa.

Non è più raro leggere tifosi del Napoli sui social, o intervistati dalle tv in ritiro, che riversano la propria esasperazione su questa vicenda. Ecco Osimhen che ogni anno per la Coppa d’Africa o per gli infortuni muscolari salta una decina di partite; Osimhen che è indisciplinato e ingestibile, come quando nel 2021 prese il COVID a una festa di compleanno in Nigeria mentre stava ancora recuperando dalla lussazione alla spalla; Osimhen che litiga con Spalletti nel ritiro estivo, e viene cacciato dall’allenamento; Osimhen che ha i piedi “storti” e forse è un one-season-wonder.

A Napoli non esistono mezze misure, in particolare quando si parla di calcio. Se da una parte del tifo Victor Osimhen è ancora quello struzzo delle prime amichevoli, bellissimo e scoordinato, o forse ancora più bello proprio perché scoordinato, l’eroe mascherato che i bambini vogliono essere a Carnevale, e l’uomo del terzo Scudetto, per un’altra frangia più estrema è un viziato, uno che ha bloccato il mercato del Napoli fino alla fine, provando a ricattare il club negli ultimi giorni a trattare a cifre inferiori, e che in qualche modo impedisce alla squadra di guardare al futuro.

Antonio Conte ha confermato la sua nevrosi per la situazione, dicendosi dispiaciuto per Victor, ma anche per sé stesso e per il Napoli. «Con i soldi della sua cessione avremmo completato la rosa» ha detto l’allenatore leccese. Come siamo arrivati a questo paradosso? A un Victor Osimhen antagonista e non più supereroe, il villain della storia d’amore dolce e ricambiata che lui stesso ha costruito con i tifosi.

Eppure anche nella stagione successiva allo Scudetto, avvelenata dagli addii cruciali di Luciano Spalletti e Kim Min-jae, il Napoli è rimasto a galla grazie all’istinto di Osimhen. A Udine, ad esempio, ha segnato il gol del momentaneo 0-1 svettando su Ferreira e Bijol – un movimento impetuoso che è ormai il suo marchio di fabbrica, reso iconico un anno prima, nella trasferta a La Spezia, dove Osimhen aveva raggiunto i 2.58 metri di altezza. Ogni pallone che arrivava in area Osimhen lo raccattava come dalla spazzatura, perché la manovra del Napoli si ingolfava ogni partita di più. Da uomo-dei-sogni Osimhen si era trasformato in uomo-della-sopravvivenza, uno dei pochi relitti di valore della nave affondata.

Nelle prime giornate i suoi strappi in verticale hanno fatto la differenza, permettendo al Napoli di mettere qualche punto in cascina. Ha segnato al Barcellona nell’andata degli ottavi di finale, alla Roma su rigore (uno degli ultimi gol che potevano valere una qualificazione europea), una tripletta al Sassuolo e una doppietta al Frosinone. Nulla di eclatante per un centravanti con la clausola da 120 milioni, a quanto pare: e nonostante questo fanno 15 gol in 25 presenze. Qualche volta è sembrato appannato, a Roma, ancora contro i giallorossi, si è fatto espellere e ha lasciato la squadra in 9.

Per ogni luce sembra esserci un’ombra, per ogni momento di felicità una depressione: è l’eterno ritorno nella carriera di Victor Osimhen.

Lui però fa di tutto per lasciare da parte i turbamenti e giocare con gioia. Accompagna con un sorriso ironico anche le reazioni stizzite alle decisioni arbitrali – un fallo fischiato contro, un rigore non dato – o i testa a testa con i difensori. Corre sempre per arrivare prima sulla palla, come un bambino al luna park.

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Nel 2021, a San Siro contro l’Inter, uno scontro faccia contro faccia con Milan Skriniar aveva rischiato di sfigurarlo o, ancora peggio, essergli fatale. «Ero molto spaventato» ha detto Osimhen in un’intervista, «ringrazio Dio per essere ancora vivo». Il medico che lo ha operato allo zigomo, Gianpaolo Tartaro, a sua volta ha dichiarato di averlo visto, dopo l’operazione, «ancora più determinato» nel suo modo di giocare. «Ha coraggio, sì. Non si risparmia mai».

Da allora la maschera ha assunto un ruolo nella narrazione che Osimhen vuole far uscire di sé stesso, specialmente se parliamo di estetica. Nell’essersi quasi maciullato la faccia ha trovato la sua brand identity, uno dei fattori che lo contraddistingue. Tanto che quando è subentrato a Raspadori a Bergamo, a novembre 2023, senza maschera i giornali si sono affrettati a ricamarci una notizia.

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A maggio 2023 il writer Paolo Deor gli ha dedicato un murales a Castel Volturno, meta di pellegrinaggio della comunità locale nigeriana, una delle più grandi in Europa. Vediamo la bocca aperta di Osimhen contorcersi in un urlo di esultanza: ha i pugni chiusi, le vene del collo e le rughe facciali che si gonfiano a sproposito. Victor Osimhen, in quel momento, è un campione che scoppia di salute. Il murales è dedicato alle sue origini – lo sfondo è un’ambiente brullo e caldo che ricorda la Savana – ma lo Scudetto sul lato e la faccia di Osimhen lo rendono più vicino a una celebrazione realista della sua grandezza. «Sicuramente il gigante del murale rappresenta per loro un momento di riscatto» ha detto Deor, «motivo di orgoglio nazionale reso ancora più forte dalla conquista dello Scudetto». Osimhen ha un legame saldo con le proprie origini, con il fatto di essere nero e nigeriano. Ha detto in più interviste di sentirsi «una leggenda non per i gol, ma perché con il calcio ho aiutato la mia famiglia».

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Il 26 settembre 2023 è andato allo scontro con il Napoli, dopo che il social media manager del club aveva postato un meme da lui ritenuto razzista su Tik Tok. Ha cancellato tutte le foto con la maglia del Napoli dai suoi social, ed è stato ripreso mentre entrava nella sede del ritiro senza salutare i compagni, preso dall’ira.

Anche per questo molti tifosi si sono sentiti legati a lui, e ancora non riescono a recidere il cordone ombelicale: Osimhen è stato il profeta dell’identificazione con la propria terra e i napoletani sono stati credenti perfetti.Ogni volta che parla della sua infanzia povera in Nigeria sembra un rapper che giustifica la sua street credibility: ricorda le sofferenze degli altri bambini, quelli che giocavano con lui e non ce l’hanno fatta. A giugno del 2024 ha donato 30mila euro alla Charity Champions Cup di Abuja, mentre a marzo dell’anno prima, quando era in ritiro con la Nazionale, aveva detto: «Voglio aiutare tutte le persone con disabilità non solo in Nigeria, ma in tutta l’Africa. Voglio fare tutto quanto è nelle mie possibilità».

Victor Osimhen come atleta si è formato in Europa, ma non ha mai messo in secondo piano le proprie radici. A costo di rinunciare alle presenze con il Napoli, e i club precedenti, non ha rifiutato la convocazione della Nigeria neanche per le amichevoli o le qualificazioni per la Coppa d’Africa – tranne a gennaio 2021, quando era ammalato di COVID. In un calcio sempre più eurocentrico, anche questo conta. Soprattutto se hai un presidente che proprio a causa dei tuoi infortuni in Nazionale dice di non voler più «comprare calciatori africani se poi vanno a giocare la Coppa a metà stagione».

Il suo amore per la Nigeria è parte dell'amore che i tifosi del Napoli gli tributano. Riconoscono quel genere di attaccamento. Si sono riconosciuti nel centravanti strambo e sempre polemico, nei suoi voli sulle teste dei difensori, ma anche nello spirito di appartenenza verso il posto in cui è nato. Non dimenticare sé stessi, le proprie tradizioni a Napoli più che in ogni altra parte del mondo è un vanto glorioso. Poteva essere il soggetto di una canzone di Pino Daniele: Osimhen che è innanzitutto un lazzaro felice, che a Napoli ha trovato un solco nel terreno per coltivare il suo bisogno d’amore.

Lui non si è sottratto a qualche dichiarazione smielata o a gesti populisti, come quando ha mimato il 5-1 ai tifosi della Juventus, che lo avevano fischiato durante l’ultima partita giocata a Torino. «È elettrizzante» ha detto Osimhen, «una città così grande che prende il calcio così seriamente e il modo in cui i tifosi supportano la squadra è veramente da non credere». I tifosi si ricordano dei suoi gol nella stagione dello Scudetto, alcuni bellissimi, che si sono goduti come ciliegine sulla loro torta preferita. I due capolavori contro la Roma – uno da angelo vendicatore, l’altro emozionante per il rapporto coordinazione/bellezza – o i colpi di testa in cielo, staccando i difensori di cinquanta centimetri come se avesse i trampoli.

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Lo abbiamo visto con una fascia legata sulla fronte, sull’autobus scoperto nella festa prima dello Scudetto, ad aprile 2023, perdersi tra la folla. E dopo scrivere un tweet che sembrava una bolla papale: «Cari napoletani, ora tocca a voi». Victor Osimhen che tiene la coppa dello Scudetto in mano, dopo l’ultima di campionato, la mordicchia, la guarda con soddisfazione e leggerezza.

Osimhen così ebbro, pazzo, felice. Osimhen che durante la festa dopo Napoli-Fiorentina prende Spalletti, appena entrato a prendersi l’applauso dei tifosi, e lo solleva di peso, guidando la squadra anche in quel contesto. Osimhen che pur non riuscendo a mettere insieme due frasi in italiano lancia i cori nello spogliatoio: «Siamo noi, siamo noi…i campioni dell’Italia siamo noi» e prende a toccare ogni compagno, ogni membro dello staff. Osimhen che vuole condividere l’energia e la felicità di quei momenti con ogni essere umano della terra.

Osimhen che si presenta in ritiro dopo la vittoria del campionato per mettere benzina sul fuoco: «Sono diventato dipendente dai trofei: dopo lo Scudetto sogno la Champions».

Sono ricordi che i tifosi non dimenticheranno. Così come i tagli profondi sul primo palo, ad attaccare la porta; i momenti telepatici con Kvaratskhelia; i due colpi di testa nello scontro diretto con la Juventus; il tiro velenoso da defilato contro il Sassuolo. Durante la marcia trionfale del Napoli Victor Osimhen sembrava irreprimibile, un’onda d’urto che distruggeva le montagne di difensori che gli si ponevano contro.

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A Napoli Antonio Conte vuole aprire un ciclo che alla nascita contiene la morte di quello precedente. In pochi mesi è passato dal lodare il percorso di crescita del Napoli di De Laurentiis ad abiurare qualsiasi legame con lo Scudetto. «L’anno scorso lo seguivo il Napoli» ha detto polemico prima della partita con il Bologna, «avevate l’ossessione di questo 4-3-3. E alla fine: decimo posto». Il tecnico ha speso al contrario parole dolci per Osimhen, definito nel giorno della presentazione a Palazzo Reale uno di quelli «contro cui non vuoi mai giocare». Dopo Napoli-Parma, a mercato chiuso, non ha però fatto un plissé quando gli è stato chiesto di un possibile reintegro di Victor: «Il club è stato coerente, e io apprezzo la coerenza, chi non rispetta le regole sta fuori». Per intenderci: Osimhen è ancora un giocatore del Napoli, ma nei fatti dobbiamo ritenere la sua esperienza italiana finita, una volta per tutte.

Da settimane il suo agente, Roberto Calenda, polemizza su Twitter con i giornalisti e con il Napoli stesso, parlando al posto di Victor, dando voce ai suoi pensieri e, forse, alla sua nevrosi. Osimhen è rimasto a Napoli un anno più di Edinson Cavani e Gonzalo Higuain, l’anno scorso ha accettato la decisione del club di non cederlo alle offerte saudite e – sembra – a qualche interesse della Premier League.

Per una strettissima feritoia di eventi il suo tempo a Napoli sembrava congelato: aveva condotto il Napoli allo Scudetto ad appena 24 anni, e grazie alla salute del bilancio del club la sua cessione non era una priorità. Per quanto tempo i tifosi del Napoli hanno immaginato di convivere con i gol di Victor Osimhen? Era lecito pensare che diventato un appuntamento domenicale classico della loro cultura? La maschera di Osimhen sulla faccia dei bambini una tradizione come a tavola la genovese.

Ormai lo sappiamo: la concentrazione dei migliori giocatori del mondo in un ristretto numero di squadre dal fatturato miliardario – o con fondi monarchici alle spalle – rende anche queste piccole utopie dei pericolosi vaneggiamenti. Osimhen non è stato un’eccezione alla regola: forse non ha mai neanche pensato di poterlo diventare. È stato però avvincente vederlo gioire con i napoletani sentendosi uno di loro, festeggiando come se la sua squadra del cuore non vincesse da 33 anni.

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Ho visto giocare più volte Osimhen dal vivo. La prima volta nel 2021: Napoli-Torino. Non andavo allo stadio da tre anni. Non era una partita che prometteva spettacolo e infatti era avviata a un grigio zero a zero fino all’ottantesimo. Victor Osimhen, per l’ennesima volta, salta talmente in alto da essere da solo con l’atmosfera. È il tipo di palloni che segnerebbe anche a occhi chiusi. Non sembra risentire della gravità quando riatterra, come un supereroe col mantello. Dopo il colpo di testa secco le persone davanti a me si sono alzate e non ho più visto niente.

Per un attimo ho ripensato a come stava esultando mio fratello, a come avremmo commentato sul divano di casa sua quel gol. Come avremmo sfottuto i tifosi che lo criticavano perché ha i piedi giganteschi e tozzi. Ancora oggi che ci vediamo poco, o almeno per quanto possibile, uno degli argomenti più affettuosi di cui parliamo riguarda il centravanti del Napoli. A entrambi ha scaldato il cuore l’ingresso di Lukaku, la sua spontanea teatralità mentre incitava i tifosi, ma forse ci vorrà solo un po’ di tempo per aprirgli definitivamente le porte del nostro cuore.

«Non permetterò a nessuno di mettersi tra di noi» aveva detto Osimhen in un’intervista poco dopo il caso diplomatico scoppiato per il Tik Tok del Napoli.

Nei prossimi mesi potremmo arrivare all’immagine kafkiana di Osimhen che si allena a Cercola con la Primavera, trattato dal Napoli come un uomo comune. Lui non parla, e questo non fa che inspessire la coltre di fumo intorno alla sua volontà. Cosa sta pensando Osimhen? Davvero ha cominciato a odiare la squadra che ha contribuito a far ritornare grande?

I tifosi accoglieranno il suo addio come un sollievo che porta respiro alle casse del club? Chi lo avrebbe mai detto: Osimhen trattato come un «pacco postale», per dirla con le parole del suo agente; Osimhen che da idolo diventa nemico pubblico.

Eppure a Napoli Victor Osimhen non sarà ricordato solo come un calciatore. La sua faccia mascherata è sui muri. La sua allegria pazza ha prodotto un affetto singolare, simile a una specie di tepore famigliare. I tifosi del Napoli tengono, e terranno, a Osimhen come a uno di famiglia.

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