Il problema è Carlo Tavecchio. Non lui in quanto tale (e pure, ci sarebbe da dire), quanto la realtà che rappresenta, quel calcio ostaggio di troppi interessi politici—che poi diventano economici e infine rifanno il giro da capo—che si sente in grado di passare sopra tutto. Tavecchio è al vertice di quel mondo che ha abbandonato anche le briciole di buonsenso e che si esprime senza freni inibitori.
Quando il suo presidente arriva a dire che «i diritti tv in questo momento sono l’unica possibilità affinché in calcio sussista in Italia» il calcio inizia a non dare una bella immagine di sé: un numero limitato di parole che mostra tutta la fragilità di un sistema che non si emancipa, che non deve certo slegarsi dai milioni (quasi miliardi) delle televisioni, ma che finché dipende esclusivamente da questi si presta alle manipolazioni dei più furbi. Furbi che da questa dipendenza traggono vantaggi e riempiono di fango il terreno di gioco.
«I diritti tv in questo momento sono l’unica possibilità affinché in calcio sussista in Italia» è il punto di partenza di un discorso quasi osceno. Una frase propedeutica alla sua continuazione, decisamente più grave della sottintesa ammissione di incapacità manageriale del pallone di casa nostra. Tavecchio, infatti, proseguendo nel concetto è andato oltre: «Noi come Federcalcio siamo rispettosi dell’Autorità e dell’Antitrust, ma intervenire sull’unica fonte di denaro nel nostro calcio sarebbe come crearsi in casa il problema più importante. Inutile girarci intorno: se viene a mancare il miliardo e duecento milioni di euro proveniente dai diritti tv qui salta il banco».
Il pallone oggi è questo: quello che di fronte a un’indagine serissima è capace di dire che è meglio lasciar perdere, perché da lì arrivano i soldi e senza non si può stare. Che a chi si sta domandando se tutto quanto accaduto è regolare chiede di soprassedere, perché scoprirlo crea un problema. Quello che senza giustizia ordinaria non si accorgerebbe nemmeno delle partite vendute (o comprate) da presidenti reo confessi e che chiede di essere lasciato in pace mentre produce il suo spettacolo artificiale.
Il calcio ha evidentemente esagerato del suo potere di autogoverno fino a pensarsi al di sopra di tutto. E ha bisogno di essere sorvegliato: questa frase del presidente federale basterebbe per un commissariamento ex abrupto, ma nel frattempo le indagini stanno raccontando la verità che a Tavecchio (e al centro di potere che rappresenta) non piace. Con i tempi delle indagini, è chiaro, ma adesso stanno mettendo gli occhi sul ruolo di Infront nel calcio italiano, più di un anno fa raccontato come un vero e proprio controllore di quasi tutte le società che ha agito anche come collante nell’elezione di Beretta a capo della Lega di Serie A e in quella di Tavecchio al vertice della FIGC.
L'unione Lega Serie A-Infront.
Infront e l’asta per i diritti tv: su cosa si indaga
Su cosa indaga la Guardia di Finanza? Venerdì 9 ottobre ci sono state delle perquisizioni e qui c’è uno snodo cruciale. Lasciamo stare per un attimo la seconda tranche dell’inchiesta.
La prima, quella sull’asta per i diritti tv 2015-2018 ha portato la Finanza nelle sedi di Mediaset, Infront, Lega di A e nelle abitazioni di alcuni indagati. Si legge, nel decreto di perquisizione pubblicato da Repubblica, che «il management di Infront, nello svolgimento dell’iter di assegnazione delle licenze dei diritti audiovisivi relativi agli eventi sportivi, colludendo con i dirigenti Rti, ha turbato i relativi bandi e il corretto e imparziale svolgimento delle gare, in particolare violando i canoni di trasparenza e leale concorrenza in favore del competitor Rti (Mediaset)». Tradotto: dice la Finanza che Infront ha favorito Mediaset nella spartizione dei diritti tv.
Su quell’asta i riflettori sono accesi da maggio e ballano troppe domande ancora senza risposta. Sky presentò l’offerta più alta per trasmettere le otto migliori squadre sia sul satellitare che sul digitale terrestre e Mediaset per le altre dodici squadre. L’esito formale fu questo, l’esito finale fu un altro: a Sky tutte le venti squadre sul satellite, a Mediaset le migliori otto sul digitale. Un accordo, promosso da Infront, diverso dalle risultanze dell’asta. Prima domanda: perché Infront, che dovrebbe essere arbitro, diventa improvvisamente giocatore in questa partita?
Poi: l’esito dell’asta avrebbe portato nelle casse della Lega quasi 1,1 miliardi di euro (1.085 milioni, per l’esattezza). Invece l’accordo ne porta 944 milioni, cifra inferiore anche alla base d’asta (che era di 956 milioni di euro). Seconda domanda: perché la Lega e Infront accettano di guadagnare di meno? In nome di cosa?
A questo punto partono Antitrust e Guardia di Finanza. Vogliono capirci qualcosa, ma va detto che non ricevono molti aiuti. Claudio Lotito, l’uomo che sui rapporti con Infront ha costruito la sua ragnatela di potere e ha “gestito” le elezioni di Beretta e Tavecchio, ad esempio il 2 ottobre non si è presentato all’audizione prevista per l’istruttoria dell’Antitrust, mandando al suo posto Marco Canigiani, responsabile marketing della Lazio. L’imprenditore romano era convocato per la famosa telefonata all’ex d.g. dell’Ischia Giuseppe Iodice, nella quale vantava di essere uno dei promotori dell’accordo tra Murdoch e Berlusconi: mandando un altro al suo posto ha reso l’audizione inutile.
Ma la caccia alla verità non è certo sospesa perché Lotito dribbla le risposte e Tavecchio dice che non andrebbe infastidito chi porta i soldi. Continua e, in questa fase, tra gli indagati ci sono persone che non sono casuali: Infront dice di non essere sotto inchiesta, ma tra gli indagati ci sono Marco Bogarelli, presidente di Infront Italy, Andrea Locatelli, vice presidente, e Giuseppe Ciocchetti, direttore generale. Il gotha è nel mirino degli inquirenti e i tempi sono coincidenti (casualmente o no: si parla solo di tempistica) con l’arresto (con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio di denaro di provenienza illecita) del fiscalista Andrea Baroni, consulente di Infront. Secondo il Corriere della Sera indagando su lui e sulle sue operazioni la Procura di Milano avrebbe deciso di mettere sotto inchiesta anche Bogarelli. Da lì, a cascata. Lo stesso giorno dell'arresto (venerdì), le perquisizioni.
Quanto contano i diritti tv
Certo Tavecchio ha ragione: senza i soldi dei diritti tv il calcio muore. Ma la composizione della frase è furba: mira al sentimento di chi vuole che il pallone rotoli, usa come leva lo sport che secondo l’ultima indagine Demos coinvolge il 52 per cento della popolazione e che è rimasto come la più forte forma di appartenenza del nostro paese.
Ma il ragionamento nasconde le vere colpe: quelle del calcio di rendersi non indipendente dai diritti tv (sarebbe impossibile), ma non esclusivamente vincolato a questi. Perché fino a quando i diritti tv (garantiti da Infront) copriranno almeno il 60 per cento dei ricavi dei club nessuno potrà liberarsi in modo agevole dei voleri di chi quei soldi li porta. E nei casi (dodici su venti nella sola Serie A) in cui Infront ha con le società anche accordi per i ricavi di tipo commerciale esiste di fatto un terzo che garantisce ai club tutti i ricavi, tranne quelli da stadio (che sono ancora un parte ridotta, nei bilanci). Un terzo che poi agisce in Lega e in Federazione.
La difficoltà a sciogliere questo nodo appare però studiata, perché se i club si dovessero dotare di un management capace e cominciare a investire non ci sarebbe più la dipendenza. E senza dipendenza non ci sarebbe più il potere politico. Sembra il motivo di fondo per cui Tavecchio invita i presidenti delle società a non pensare a nuovi stadi, tra le altre cose. E sembra la ragione per cui il calcio appare irriformabile: non è conveniente a chi mira a conservare lo status quo (infatti Tavecchio sta pensando di ricandidarsi per la prossima estate, quando scadranno i due anni di mandato).
Non è un caso che le due società a capo dell’opposizione, che faticosamente stanno cercando di creare un’alleanza indipendente da Infront e dal sistema di potere della FIGC, siano Juve e Roma, le due che stanno provando a vedere i diritti tv come un arricchimento notevole, ma non come l’unica forma di sopravvivenza. E che per lanciare il proprio messaggio di sfida hanno rescisso contemporaneamente il contratto con Infront per i diritti d'archivio a marzo scorso, con tre anni di anticipo rispetto alla scadenza naturale e togliendo anche questa piccola parte dalle grinfie del colosso che del calcio italiano vorrebbe tutto (infatti i diritti d'archivio, che sono le immagini storiche delle società, sono suoi per quindici società su venti nell'attuale Serie A).
Quei soldi "clandestini" ai club
Invece la gran parte delle società arranca. Ha problemi a chiudere i bilanci e qui spunta un altro aspetto dell’inchiesta, quello che ha portato alle perquisizioni delle sedi di Genoa e Bari. Sono due società che secondo i pm avrebbero ricevuto soldi da Infront per mettere a posto i bilanci e evitare guai con la Covisoc, l’organismo di vigilanza della FIGC.
Preziosi, ad esempio, avrebbe ricevuto su un conto estero a suo nome 15 milioni di euro in tre tranche da 5 per sistemare il bilancio del Genoa. Da chi? Da Riccardo Silva, ex socio di Bogarelli e patron di MP & Silva, società che detiene i diritti tv del campionato di serie A per l’estero. Secondo il Sole 24 Ore questi soldi messi a disposizione da Silva arrivano «tramite altre strutture estere riferibili a Infront e gestite da T & F».
Ora occorre spiegare che la T & F è la Tax & Finance, una società fiduciaria di Lugano di cui è socio Andrea Baroni, il fiscalista (e consulente di Infront) arrestato. Il Bari, invece, ha ricevuto direttamente da Infront 470mila euro, ufficialmente come sponsorizzazione della seconda maglia, utili a evitare penalizzazioni per mancati pagamenti. Dei rapporti tra Infront e Paparesta peraltro si è abbondantemente parlato, perché l’ex arbitro avrebbe comprato il Bari dall’asta fallimentare già grazie alle anticipazioni sulla fiducia—di cui in realtà sarebbe stato garante Lotito—di Infront e Mp & Silva sui diritti tv.
Preziosi e Paparesta si sono difesi in nome della trasparenza, ma di fatto questa è un’incursione in piena partita, due clienti privilegiati che hanno scampato la scure dei controlli grazie all’intervento di chi è advisor-partner-tutto del calcio italiano, che secondo gli inquirenti «favorisce diverse società di calcio attraverso finanziamenti clandestini». Che potrebbe aver fatto la stessa operazione con altri, che sta diventando una sorta di bancomat del pallone in crisi economica e politica. E che secondo Tavecchio (sempre inteso come riferimento di un agglomerato di potere) dovrebbe poter operare indisturbato altrimenti «qui salta il banco».
Il conflitto di interessi accontenta molti, su questo si è costruito il gruppo dirigente attuale. Non è un caso che Andrea Abodi, presidente della Lega di Serie B prossimo a candidarsi per quella di A, abbia già annunciato che la sua Lega non rinnoverà il contratto con Infront e lo delibererà nei prossimi giorni. È la strada per proporsi come alternativa, il segnale per dire che «io non c'entro». Per ora possono dirlo in pochi. Il resto non è da disturbare, nemmeno dall'Antitrust.