Se ci pensate bene, la NBA non è poi così distante dallo scenario ipotizzato in Pacific Rim.
Negli ultimi anni il mondo della pallacanestro è stato invaso dai Kaiju, lunghi di dimensioni spropositate ed eredi diretti dei dinosauri (aka i centri classici) che - pur non sapendo tirare da fuori, mettere palla per terra e fare tutti quei movimenti da highlight da esterni -, vogliono riprendersi il Gioco utilizzando la loro forza bruta e il superiore atletismo. Per contrastare la loro devastazione dei ferri di tutto il mondo, l’umanità si ritrova costretta a schierare in campo il massimo della propria evoluzione cestistica, ovverosia gli Unicorni, giocatori universali in grado di fare tutto su un campo da basket grazie a una completezza tecnica superiore, pur avendo la stazza in grado di pareggiare quella dei Kaiju. Questo scontro sotto canestro ha determinato e soprattutto determinerà le sorti del basket del futuro.
Per questo nella redazione de l’Ultimo Uomo ci siamo chiesti: se sette lunghi-Kaiju invadessero la Terra sfidando l’umanità in una serie al meglio delle sette contro gli Unicorni, chi uscirebbe vincente da una partita “a 11” in cui tutti possono picchiare tutti senza falli? Quello che segue è ciò che è uscito dalle nostre menti malate di grandi fan di Guillermo del Toro.
DeAndre Jordan vs Joel Embiid
di Dario Vismara
Quando l’umanità ha visto emergere dalle acque del secondo giro del Draft un portento fisico come DeAndre Jordan, l’impressione di tutti è stata che un lungo così atletico non si fosse mai visto. Come si può contrastare tutta quella forza, quella esplosività e quella verticalità in un corpo di 211 centimetri per 120 chili senza un filo di grasso, in grado di distruggere qualsiasi cosa provi ad opporsi alle sue escursioni sopra il ferro?
I poveri abitanti di Brandon Knightlandia sono state le prime vittime del mostro di DeAndre.
Per pareggiare una minaccia del genere serve come minimo uno che possa sostenerne l’impatto fisico, e per questo non poteva che essere messo subito in campo uno dei migliori esponenti del gruppo degli Unicorni, ovverosia Joel Embiid. Dotato di un telaio di altissimo profilo sia per tonnellaggio che per carenatura, il camerunense è uno dei pochi in grado di non arretrare neanche di un passo davanti ai Kaiju quando la sfida viene spostata sul piano fisico. Allo stesso tempo, però, possiede la varietà tecnica per mandare in crisi qualsiasi avversario in uno contro uno, mettendo palla per terra o portandolo fuori dal pitturato per una conclusione da fuori.
La sfida tra i due, per la verità dura molto poco: quando il Kaiju prende palla rivela tutti i suoi limiti nel gioco uno contro uno, riuscendo a raccattare qualcosa solo per qualche rimbalzo fortunoso sul tabellone; per Embiid invece è un gioco da ragazzi batterlo mettendo palla per terra, usando il suo arsenale di finte, controfinte e tiro da fuori per farlo impazzire e girare da una parte e dall’altra. Il camerunense riesce così a difendere la Terra e portare il primo punto in favore degli umani, i quali però si sono giocati subito uno dei loro migliori guardiani, come le squadre di calcio che mandano i migliori rigoristi per primi sul dischetto dei cinque rigori. D’altronde si sa che l’autonomia di Embiid è limitata.
Unicorni 1 - Kaiju 0
Clint Capela vs Kristaps Porzingis
Di Dario Vismara
Contrariamente a quanto si possa pensare, i Kaiju non sono una forma di vita stupida, tutt’altro. La loro forza sta non solo nell’avere dimensioni gargantuesche, ma anche nel sapersi adattare ad ogni ambiente, trovando nuovi modi per sconfiggere il proprio avversario e colonizzare i mondi. Allo stesso modo, i centri Kaiju hanno dovuto adattarsi in fretta al cambiamento del basket contemporaneo: i dinosauri in post basso sono ormai in via d’estinzione, incapaci di reggere il campo quando la battaglia si fa più dura. Per questo servono lunghi più mobili, più rapidi, più svelti e con maggiore velocità di esecuzione, pur non avendo il Gancio Cielo più pulito del mondo o i fondamentali che profumano di torta della nonna.
Clint Capela è la quintessenza del Kaiju: sbucato fuori letteralmente dal nulla, ha reso sempre più chiaro di essere infinitamente più utile di un Kaiju-che-voleva-essere-Dinosauro come Dwight Howard, soppiantandolo in fretta del posto da titolare. Al contrario di Howard, Capela ha sempre avuto l’umiltà di capire cosa è, come deve giocare e cosa gli è richiesto per avere successo, mostrando un’intelligenza ben superiore rispetto a quella del suo predecessore, accettando il suo ruolo di “Decoy” e ricevendo in cambio un contratto che in estate si preannuncia ricchissimo.
In campo, Capela non dovrebbe essere in grado di competere con il più etereo degli Unicorni, Kristaps Porzingis. Specialmente perché si tratta di una sfida uno-contro-uno, e nei 20 isolamenti giocati quest’anno i risultati sono stati ridicoli. Capela ha però dalla sua una rapidità decisamente superiore a quella dell’avversario e un’integrità fisica che il lettone si sogna. Sfruttando questi due fattori a suo vantaggio, il Kaiju più sveglio di tutti escogita questo piano: prima riempie di colpi il costato del suo avversario ogni volta che questi si alza per uno dei suoi amatissimi tiri dalla media distanza, limitando di molto la portata delle sue braccia visto che dopo tutte quelle botte a malapena riesce ad alzarle sopra le spalle. Poi, una volta riconquistato il pallone, simula la presenza di un alley-oop alzatogli da James Harden o da Chris Paul buttando il pallone fortissimo a terra e andando a riprenderselo in aria, dove Porzingis non riesce ad arrivare per i colpi subiti prima. Infine, per la chiusura finale finta il palleggio e la lancia direttamente al tabellone, andando a schiacciare una spettacolare remix in onore di Tracy McGrady. A Porzingis, piagato nel fisico e nell’animo, se ne torna in panchina a mettere like sulle foto di Jen Selter.
Unicorni 1 - Kaiju 1
Steven Adams vs DeMarcus Cousins
Di Lorenzo Bottini
Inquadratura in piano medio sulla lussureggiante vegetazione che galleggia nel Bayou della Louisiana. All’improvviso entra in campo l’impronta del piedone dell’Unicorno in questione. Voce fuori campo: “Fuck you, fucking bitch!”
“STOOOOP!”.
“Questo è un PG-13. No, non un Paul George. È un film che possono vedere anche i preadolescenti, quindi basta con le imprecazioni” strilla il regista ex-machina, che poi in questo caso sarei io.
“Se erano queste le premesse potevate dirlo prima, così mi sarei risparmiato tutta questa umidità che ora con st’operazioncina la sento tutta”.
DeMarcus Cousins è un giocatore di cristallino talento, capace di spostare il suo esoscheletro cromato con la leggerezza di un androide corazzato. Nel suo arsenale ha tutti le armi per sferrare un attacco implacabile: può lasciare andare testate nucleari da tre punti, sottometterti nello scontro corpo a corpo e ridicolizzarti con la palla in mano, finché non ti vergogni così tanto di te stesso e della tua vita che vuoi fare la fine di Shia LeBeouf. Ma questo è un’altro film di robottoni.
Boogie ha tutto per essere l’Unicorno totale e definitivo, ma ha un singolo, piccolissimo problema: è l’unico Unicorno che soffre della sindrome di Tourette, e per questo è molto difficile farci un film insieme, come abbiamo visto in precedenza (o anche giocarci insieme, come ha capito metà NBA).
L’avversario al quale era riferito l’epiteto di cui sopra non era una bionda in seconda fila, ma un nemico altrettanto pericoloso e con i capelli lunghi mossi dal vento. Steven Adams è stato scelto direttamente dall’altro emisfero, seguendo la moda che va molto oggigiorno per i supereroi. È una perfetta sovrapposizione tra Jason Momoa e un blocco di marmo, un caratterista che negli ultimi anni si è affermato come uno dei migliori aiutanti dell’eroe di turno che si possa trovare in circolazione. Con il suo atteggiamento positivo da lavoratore infaticabile, sempre pronto a fare il tagliafuori giusto o l’hustle play per aiutare il compagno, Adams piace a tutti, come il McDonalds. Purtroppo per i cuori puri questo non è un film dove vincono i buoni.
Dopo uno stallo incorniciato da un bel campo lungo a mostrare i due colossi (e il CGI che c’abbiamo speso) inizia una lotta senza esclusione di colpi.
I due non si amano e non fanno nulla per mascherarlo. Dopo un inizio infuocato è Cousins a prendere il comando dell’incontro. La sua versatilità offensiva è stupefacente: prima colpisce con un preciso palleggio arresto e tiro, poi sfrutta lo spazio concessogli per arrivare forte al ferro con la mano sinistra. E ancora, quando Adams gli riconsegna la palla facendola rotolare lemme lemme tra la fanghiglia insultandogli ogni membro della famiglia, vivente o passato a miglior vita, DeMarcus sistema i piedi in una frazione di fotogramma e lascia andare una pennellata che vale tre. Ogni cosa sembra scivolare nel verso giusto per Boogie, che finalmente in uno scenario da lotta greco romana dove può esprimersi al massimo senza arbitri a censurare le sue emozioni. Destro, sinistro, jab e crossover: tutta l’abnegazione difensiva e la passione di Adams si sbriciolava davanti ai colpi di Cousins. Ma come abbiamo già evidenziato, il suo tallone d’Achille è la tenuta mentale.
Nel momento in cui Dick Bavetta entra in scena in un cameo alla Stan Lee, Boogie impazzisce, si becca due tecnici in trenta secondi e viene cacciato dal campo. Adams comincia a ridersela sotto i baffoni a manubrio, si gira verso un Cousins avvelenato e gli dice: “Ehi Boogie ma non lo avevi letto il copione?”.
Unicorni 1 - Kaiju 2
Andre Drummond vs Nikola Jokic
Di Daniele V. Morrone
Emerso come l’ultima evoluzione della specie, come il centro da corsa in grado di mangiarsi in tre falcate il campo in attacco e poi in difesa, Andre Drummond sembra il centro fatto apposta per il basket veloce del futuro. Il futuro, però, va da un’altra parte: il futuro è veloce, ma richiede tecnica, efficienza, e di correre anche per non dire soprattutto soprattutto per gli altri. Drummond può correre e sovrastare tutti saltando più in alto: ha imparato ad usare il piede perno e segnare con facilità sotto canestro, ma non basta. Neanche imparare a passare la palla in un’estate ha soddisfatto noi meri umani, e questo l’ha fatto uscire di matto. Drummond è un Kaiju che voleva essere un Unicorno, e quando non ci è riuscito tutta quella potenza si è trasformata in distruzione. L’unica speranza per contrastarlo è qualcuno che sia l’esatto opposto di Drummond, qualcuno che riesca a essere unicornesco senza neanche provarci: Nikola Jokic, la point-guard cresciuta tutta insieme e che ora è grande come una montagna. Lui che naturalmente riesce a fare quello che Drummond vorrebbe ma non può.
Jokic non parla neanche, non incrocia lo sguardo con Drummond. Lo punta mettendosi spalle a canestro da fuori l’area: troppo facile così. Drummond si muove tutto, sbraccia troppo, non ha mai la sensazione di padroneggiare un corpo che dimostra come la potenza sia nulla senza il controllo. A Jokic basta avere i piedi ben piantati mentre palleggia per vederlo infrangersi contro la sua schiena neanche troppo definita per via di quei chiletti di troppo che non riesce a buttare giù, anche se in questo caso lo aiutano a far riverberare l’urto diminuendone l’effetto. Due-tre palleggi e Drummond è già fuori posizione con le braccia storte; Jokic si gira sul piede perno e va di mezzo gancio. La palla non entra, ma il rimbalzo è vicino al ferro e basta continuare il movimento per prenderlo e appoggiare la palla dentro. Un movimento continuo e neanche troppo veloce.
Veramente troppo facile, non c’è gusto così. Senza sfida perché sforzarsi?
Al possesso successivo neanche si mette spalle a canestro: si posiziona lateralmente con il braccio a 90 gradi con la mano larga che tiene ferma la palla. Drummond rimane interdetto, basta un attimo di esitazione e Jokic gira il corpo tirando con la sola mano da tre. Entra. Drummond ridacchia, ma non ci pensa proprio a mollare. Prova a dare più spazio a Jokic, lo sfida a penetrare frontalmente. Jokic non alza neanche la testa, tira su la palla con i piedi fuori dalla linea e gli sbatte in faccia tre punti. Drummond è imbufalito, non capisce perché non ha neanche toccato il pallone ed è già grondante di sudore. «Questa volta non si passa» ripete ad alta voce, puntando a caricarlo a testa bassa. In due falcate si mangia lo spazio che li separa e salta sul secondo tentativo da tre consecutivo di Jokic. Solo che era una finta di tiro: Jokic può abbassare il pallone e partire verso canestro mentre Drummond scende a terra guardandolo andare via, disperato. Non può finire così: con un scatto di reni fa forza sul piede d’appoggio e si butta addosso alla schiena di Jokic mandando fuori la palla.
Finalmente l’occasione per Drummond di far vedere di cosa è capace è arrivata: punta il post avanzando in palleggio per girarsi tutta la sua forza e andare a canestro. Jokic, con le braccia basse, neanche ci prova a contrastarlo, lasciando entrare la palla. L’azione si ripete identica per altre due volte, nonostante alla seconda ci sia bisogno di un rimbalzo offensivo. Ecco cosa può fare un corpo del genere che impara i movimenti in post: Jokic non riesce a tenere Drummond, si limita a reggere botta sul primo impatto e seguire con la testa la traiettoria alta del pallone che poi si infila. Con quella furbizia tipicamente serba, Jokic non si sbatte ma aspetta il momento propizio: fortuna vuole che all’ennesimo tentativo le braccia abbassate di Jokic portino Drummond a sbagliare il movimento e far volare fuori la palla troppo alta. Il possesso torna a Jokic, la sfida ora è interessante. Decide di impegnarsi: tre canestri consecutivi tecnicamente perfetti spalle a canestro, Drummond è battuto.
Unicorni 2 - Kaiju 2
Hassan Whiteside vs Anthony Davis
Di Nicolò Ciuppani
Un tempo Hassan Whiteside era un Unicorno, uno dei primi su cui gli umani misero gli occhi: egli stesso si definì infatti “Hakeem Olajuwon con il tiro da 3”. Ma l’umanità non era ancora pronta ad una rivoluzione del genere: il suo atteggiamento peggiorò le cose e il wannabe-Unicorno Whiteside venne spedito in esilio nel deserto del Libano, dove giocò per due anni. Fu allora che Pat Riley, un uomo senza scrupoli e con la capacità di irretire anche l’anello di Sauron al suo volere, andò a ricercare Whiteside dal suo esilio forzato e lo riportò in azione - non più come un Unicorno, ma come uno dei più terrificanti Kaiju.
Quando si gioca contro Riley non è mai consentito fare passi falsi e gli umani decidono di far sfidare una forza così potente con l’unico che da solo è in grado di trascinare una franchigia ai playoff: l’uber-Unicorno Anthony Davis. “AD” è stato uno dei più puri: cresciuto come un esterno qualunque ma diventato un centro quando il suo corpo è cresciuto improvvisamente di 11 centimetri in una singola estate, già quando era un cucciolo di unicorno coach Calipari decise di sfruttarlo per un anno, costruendo attorno di lui la Kentucky che è riuscita a portargli un titolo, cosa che fino a quel momento gli era mancata.
Da quel giorno Davis è passato ai New Orleans prima Hornets e poi Pelicans, una franchigia che ha avuto difficoltà a renderlo felice. La sua potenza è sempre stata impressionante e la sua capacità di fare da solo le fortune di un attacco erano imprescindibili: nessuno come lui è in grado di trasformare una palla lanciata in aria vicino al canestro in un assist, o fare sempre da sparring partner ideale in un pick & pop. Ma la sua franchigia lo sta lasciando di nuovo solo: DeMarcus Cousins, che lo ha affiancato in questo anno, ha subito un grave infortunio, e perfino il proprietario della squadra è scomparso pochi giorni fa. Anthony Davis lotta, ma si batte con la pesantezza e la tristezza di chi combatte contro i mulini a vento.
Whiteside salta ad ogni finta del Monociglio e Davis riesce a trovare spazi dove buttarsi per scavare il solco. Quando poi le energie di entrambi calano, la lotta a sportellate sotto canestro si sposta lentamente verso l’esterno: Whiteside prova a scavare nel suo passato da Unicorno ma non si trova più a suo agio dalla lunga distanza come diceva di essere; Davis invece è sempre letale anche quando le energie sembrano mancargli, e le sue ultime long 2 mettono fine alla lotta. Davis, stremato, si allontana con lo sguardo basso di chi non può sopportare ancora per lungo questi sforzi da solo. Dall’ombra della palestra invece emerge lo sguardo imperscrutabile di Riley: il suo Kaiju sconfitto gli giace davanti, ma i suoi occhi brillano puntando l’Unicorno col monociglio che si allontana. “Forse c’è un modo per avere un Kaiju ancora più potente” pensa tra sé e sé, mentre quello che sembra l’accenno di un sorriso gli contorce il volto.
Unicorni 3 - Kaiju 2
Rudy Gobert vs Karl-Anthony Towns
Di Daniele V. Morrone
Si dice che abbia piegato la Torre Eiffel per diletto prendendola dal pennone; si dice che dorma in piedi dentro un grattacielo di Manhattan intero dopo averlo svuotato dei piani; c’è anche chi dice che Rudy Gobert abbia percorso con cinque sole falcate tutto il deserto di sale dello Utah. Non c’è scampo contro un mostro così lungo, dalle braccia infinite, ma in pieno controllo di ogni suo più piccolo muscolo: sempre in equilibrio nonostante una sua caduta, si dice, possa spostare l’intero asse terrestre. L’unica speranza per l’umanità è tirare fuori un giocatore della stessa stazza ma progettato per essere ancora più agile e ancora più bravo nel controllare il corpo, in grado pure di tirare da fuori per allontanare Gobert dalla sua zona di caccia preferita.
La risposta era stata trovata in Africa, ma Joel Embiid è ancora fuori uso dopo il suo scontro con DeAndre Jordan, e allora la tecnologia ha tirato fuori dai Caraibi un portento come Karl-Anthony Towns. I test preliminari hanno mostrato come Towns sia in grado di fare tutto quello sperato: “Il suo limite è sconosciuto, ditegli cosa volete che faccia e lui lo eseguirà”. Sotto canestro non c’è storia, perché neanche prendendo in mano le petroliere si può pensare di impensierire la lunghezza delle braccia del Kaiju. Bisogna portarlo fuori dal centro abitato, lontano dalla popolazione, invitarlo oltre la linea e batterlo da lì - sperando che la sua stessa altezza che lo rende invincibile in area sia la debolezza in grado di sconfiggerlo su un altro terreno. Così viene istruito Towns, e come promesso così esegue perfettamente: Gobert vede la traiettoria del pallone superare le sue lunghissime braccia quando la tripla di Towns lo scavalca per infilarsi nel canestro. Forse la risposta era veramente così facile: Gobert ha contestato il tiro, ma non si è azzardato ad allontanarsi dal pitturato.
Purtroppo però a volte neanche la scienza può nulla contro la forza dirompente della Natura. Le braccia di Gobert sono realmente tendenti all’infinito e il primo canestro di Towns serviva al mostro per leggere la traiettoria: nel possesso successivo avanza di un passo nel momento esatto in cui Towns si alza per tirare dopo un palleggio in avvicinamento e con le due braccia alzate blocca la palla. L’incapacità poi di Towns di reggere in difesa Gobert si dimostra fatale: gli scienziati avevano detto che Towns avrebbe fatto tutto quello che gli si diceva di fare, ma nel poco tempo a disposizione si erano concentrati solo sul modo di segnare contro Gobert, senza capire come difenderlo. Il mostro in attacco non ha la varietà tecnica di Towns, ma grazie alla totale padronanza del corpo si porta spalle a canestro nel pitturato e segna più o meno un canestro su due, avanzando inesorabilmente verso la vittoria. Dall’altra parte invece i tre punti iniziali sono gli unici messi a segno da Towns, che per ogni nuovo modo di andare a canestro che trova si vede arrivare davanti la figura immensa del mostro. Sfinito, all’ennesimo tentativo andato a vuoto, Towns si accascia sconfitto: la difesa questa volta ha vinto contro l’attacco.
Unicorni 3 - Kaiju 3
Ben Simmons vs Giannis Antetokounmpo
Di Dario Ronzulli
L’arma finale dell’esercito dei Kaiju appare all’improvviso a bordo campo. Gli Unicorni avevano sentito parlare del mostro uscito da Down Under, ma le storie attorno a lui sembravano più leggende che realtà. Si narrava, infatti, che fosse stato tenuto nascosto un anno nel laboratorio segreto dello scienziato pazzo Hinkie, uno dei rari umani schierati dalla parte dei Kaiju, per trasformarlo in qualcosa di mai visto prima. Quando si presenta davanti agli Unicorni, Ben Simmons urla: “Sono qui per sfidare Giannis! Datemi Giannis! Voglio lui!”.
Giannis è un Unicorno acqua e sapone, ancora giovane ma destinato a prendere il comando in un futuro non tanto lontano. Da ragazzino era stato avvicinato da gente di malaffare che gli aveva promesso ricchezze a non finire, ma lui aveva un altro obiettivo: diventare il più completo di tutti, l’Unicorno Totale. Giannis si avvicina a Ben con il suo tipico fare da ragazzo per bene e propone al suo avversario una condizione: si gioca a tutto campo, non solo a metà. Ben sa di assumersi un rischio, ma anche che in questa fase della sua evoluzione non è in grado di mettere in difficoltà il suo avversario se non cercando di sfruttare la sua velocità e gli spazi in campo aperto.
Ciò nonostante, il combattimento dura comunque pochi possessi: Ben attacca il ferro con regolarità usando l’arma migliore del suo bagaglio, ovvero saper andare a destra come a sinistra, o ancora meglio da sinistra a destra passando dietro la schiena. Ma a Giannis basta poco per capire come si muove il suo avversario e gli copre lo spazio visivo solo allargando le lunghissime braccia: in questo modo fare canestro diventa durissima, anche perché nessuno copre il campo quanto l’Unicorno greco. Il Kaiju si rende subito conto che se sbaglia il tiro deve andare a rimbalzo d’attacco, e che se non riesce a catturarlo deve assistere impotente alla cavalcata trionfale del suo avversario chiusa da una schiacciata così potente da far sembrare il Krakatoa un gattino.
Regola principale: non lasciare mai uno spazio vuoto tra quello là e il canestro.
Il problema è che Giannis assomiglia davvero all’Unicorno Totale: se non stoppa prende il rimbalzo; se per puro caso Ben riesce a stargli davanti in transizione, ha comunque due piedi ben piantati in area e la velocità per raggiungere il ferro in un secondo; se si prende un tiro dalla media in allontanamento, cosa che Simmons non ha (e Antetokounmpo se ne accorge in fretta), ha un ulteriore vantaggio tattico; e se l’avversario lo prende a manate, lui rimane impassibile. È una mattanza, interrotta solo da qualche tiro forzato.
Ben è ferito e abbattuto, viene portato di peso dagli altri Kaiju perché si muove veramente a fatica. Nella sua testa la voglia di rivincita contro chi gli ha fatto tutto questo, la voglia di riprendere gli allenamenti nel laboratorio segreto per diventare più forte.
Ma c’è anche uno strano tarlo: forse lui non è un vero Kaiju.
Forse non è quello il suo destino.
Forse anche lui un giorno diventerà un Unicorno.
Unicorni battono Kaiju 4-3