Così come lo scorso anno, anche all’inizio di questa stagione ci siamo chiesti se Alejandro “El Papu” Gomez non fosse in declino. Se non ci dovessimo cominciare ad abituare a una versione più normale di uno dei giocatori più unici del nostro campionato, forse fra quelli che più definiscono l’identità della Serie A.
Ce lo siamo chiesti forse perché ha cominciato a far parlare di sé più fuori che dentro al campo, comparendo in video in cui balla in modo buffo e un po’ inquietante, costruendo un personaggio strano, infantile, che indossa le fasce da capitano con disegnato sopra Holly&Benji e le Instagram Stories sempre piene di bambini.
Ce lo siamo chiesti soprattutto perché negli ultimi tempi i numeri offensivi di Gomez non sono più quelli della sua stagione migliore, quella 2016/17, che ha stabilito un metro di paragone eccezionale e forse proibitivo per quella che è la naturale produttività di Gomez in Serie A. Quell’anno “El Papu” ha chiuso la stagione con 16 gol e 10 assiste ci siamo forse fatti un’idea distorta di che tipo di talento fosse: lo abbiamo ricondotto all’idea di un’ala in grado di essere decisiva negli ultimissimi metri, una specie di punta mascherata, tipica di un calcio in cui gli esterni d’attacco segnano molto. In realtà il talento di Gomez è molto più complesso di così e si esprime in zone di campo distanti dalla porta e apparentemente in contraddizione con le funzioni di un numero 10, almeno per come ce lo immaginiamo.
Questa diversità è stata sempre più o meno visibile in controluce nel gioco di Gomez, ma negli ultimi due anni - anche grazie al contesto dell’Atalanta che lo ha assecondato - è fiorita come una Spirea bianca ad aprile. La posizione storica di partenza di Gomez, sulla fascia sinistra, è solo un’ancora che usa per spostarsi lungo tutta l’altezza del campo, rammendando il possesso palla dell’Atalanta ogni volta con un tessuto diverso: un recupero profondo, una protezione spalle alla porta, un appoggio di prima, un dribbling, un cambio di gioco, una verticalizzazione. Basta guardare gli highlights individuali di una partita recente di Gomez, quelli che contengono tutti i tocchi palla, per accorgersi che le sue prestazioni non puntano a dei picchi vistosi in altezza ma alla ricchezza dei dettagli che, azione dopo azione, costruiscono un monumento di praticità.
Enganche
Forse vale la pena citare qualche numero per restituire una cornice a quello che stiamo dicendo. Gomez è il terzo giocatore offensivo della Serie A con più passaggi per 90 minuti (50), il quinto per palle lunghe riuscite (2.3), il primo per passaggi chiave (3.6). È anche il secondo per assist (7) e dribbling totali realizzati (44). Eppure, per citare un dato che può sembrare contraddittorio, è solo dodicesimo per tiri totali. Sono numeri che possono essere interpretati in vari modi ma che ci dicono una cosa generale: l’influenza del “Papu” Gomez sul gioco dell’Atalanta è profonda e diffusa, ed ha a che fare solo in maniera indiretta con la definizione del gioco, cioè con la sua trasformazione in occasioni da gol nell'ultimo quarto di campo.
In un calcio che nelle sue frange più all’avanguardia si esprime soprattutto attraverso ritmi alti e verticalità, Gomez sta mettendo in luce l’utilità di un ruolo antico, quello dell’enganche. Un calciatore, a metà tra calcio e mitologia, che in Argentina si occupa di raccordare centrocampo e attacco, temperando la tensione verticale attraverso la “pausa”. Può sembrare una figura inattuale, e persino paradossale in una squadra intensa e verticale come l’Atalanta, ma comprendere il senso dell’enganche è necessario ad afferrare la peculiarità del talento di Gomez. La sua unicità del panorama non solo italiano ma forse anche europeo.
L’enganche si occupa di manipolare l’aspetto temporale di una partita. Se nel calcio contemporaneo stanno diventando sempre più preziosi i calciatori che fanno guadagnare campo nel più breve tempo possibile, Gomez non si lascia prendere dalla frenesia, lasciando che siano i compagni a muoversi in verticale mentre lui si erge a loro burattinaio. Riceve palla, alza la testa, vaglia rapidamente le opzioni a sua disposizione e sceglie quella migliore.
Questa dimensione del suo gioco è fiorita definitivamente da quando, nelle ultime settimane, Gasperini lo ha spostato trequartista. In ogni caso non è la prima volta che Gomez si trova a ricoprire una funziona da enganche, anzi, in un certo senso sta tornando al suo stile di gioco di inizio carriera, quando indossava la maglia dell’Arsenal Sarandì e poteva assecondare tutti i suoi istinti più barocchi. Una volta passato al San Lorenzo, Diego Pablo Simeone lo ha spostato sull’esterno destro del 4-4-2, insegnandogli l’importanza della fase difensiva: «Mi faceva giocare in un ruolo che non era per me naturale e mi diceva che quando sarei andato in Europa mi avrebbero posizionato proprio lì, come esterno d’attacco. Mi ha insegnato questo ruolo». Gomez quindi è stato trasformato in un’ala verticale, che fa su e giù per la fascia.
Molti dei suoi gol con il Catania rispondono all’idea di esterno esplosivo e dribblomane che cerca spesso di rientrare per concludere sul secondo palo. Col passare degli anni Gomez ha espanso il suo gioco fino a farlo diventare enciclopedico, e in un certo senso tornando sempre più alle sue origini. A un gioco, cioè, meno codificato, e che fosse più lo specchio della sua sensibilità tecnica: spostandolo trequartista, Gasperini ha trasformato il modulo dell’Atalanta da un 3-4-3 a un 3-4-1-2, dove Gomez ha una libertà di movimento pressoché totale.
In ogni zona del campo
Va fatto un discorso generale perché sulla carta può sembrare che un sistema iper-codificato come quello dell’Atalanta possa assopire l’istinto individuale dei suoi giocatori. In realtà i principi alla base delle idee di calcio di Gasperini chiedono ai propri interpreti di assumersi molte responsabilità individuali: l’Atalanta, ad esempio, è la quarta squadra che effettua più dribbling in Serie A, con numeri comunque simili alle prime tre (Roma, Juventus e Milan). Nel sistema però sono soprattutto due i giocatori con la responsabilità di pensare più degli altri, Josip Ilicic e appunto Gomez. Se Ilicic si assume soprattutto le responsabilità di definizione dell’azione sulla fascia destra, cercando una giocata risolutiva praticamente ogni volta che ha il pallone, Gomez si impegna in un lavoro più oscuro e meno proiettato verso la porta avversaria.
L’Atalanta di Gasperini costruisce il gioco sopratutto attraverso le catene laterali e va detto che anche sulla fascia sinistra Gomez ricopriva delle funzioni da regista, aiutando sia la prima costruzione che la rifinitura. Se guardiamo le passmap dello scorso anno dell’Atalanta le due fasce somigliano a due corridoi di gioco che sembrano non toccarsi mai, due pianeti che oscillano su due orbite diverse. Gomez è il vertice avanzato della fascia sinistra, che spalle alla porta protegge palla e dà modo al triangolo di fascia di formarsi con l’esterno e la mezzala. La scorsa stagione era soprattutto attraverso la fascia sinistra che l’Atalanta costruiva il gioco, per poi definirlo sulla destra con gli inserimenti profondi di Cristante e Petagna.
Gasperini però - anche qui contrariamente a quanto si può pensare di un allenatore dai principi forti - modella il proprio modo di giocare attorno alle caratteristiche dei giocatori. Quando è subentrato Ilicic la manovra dell’Atalanta è diventata più equilibrata tra le due fasce, ma Gomez ha comunque mantenuto la propria centralità per le situazioni di gioco più distanti dall’area di rigore. L’aggiustamento di questa stagione è causato da due fattori. Il primo è l’inserimento di Duvan Zapata, un attaccante diverso da Petagna. Se quest’ultimo aiutava la squadra soprattutto con il gioco spalle alla porta e le conduzioni, di Zapata Gasperini sta cercando di sfruttare la capacità di andare in profondità e abbassare le difese. Ci sono momenti in cui Zapata si defila, ma essendo destro (rispetto a Petagna che è mancino) si sposta proprio sulla fascia sinistra, quella che era di Gomez, per tagliare diagonalmente l’area di rigore.
Zapata insomma non viene usato per risalire il campo ed è invece Gomez a farlo, partendo dalla trequarti ma poi spostandosi sul campo per manipolare la difesa avversaria. Se Ilicic sta accumulando quindi statistiche offensive sorprendenti anche per uno ormai abituato a stupire - 6 gol, 4 assist, 6.81 xG prodotti in appena 10 partite - e Zapata ha ammesso che il nuovo ruolo dell’argentino lo aiuta - «la nuova posizione del “Papu” mi fa rendere di più» - Gomez è più attento alla consistenza delle proprie giocate in ogni zona del campo.
Lo possiamo trovare abbassarsi fino ai difensori per aiutare la prima costruzione; oppure venire incontro agli esterni che portano su il pallone. Gomez è sempre libero di assecondare la propria sensibilità tecnica, che però non è mai fine a sé stessa. Con i suoi movimenti senza palla Gomez offre sempre linee di passaggio pulite, e nel frattempo manipola gli schieramenti avversari. Si abbassa in difesa per attirare la pressione e portare fuori un centrocampista avversario; oppure si muove sulla trequarti per attirare i difensori, indecisi se accorciare su di lui o mantenere la linea. Le passmap dell’Atalanta negli ultimi mesi mostrano una circolazione palla più equilibrata tra fasce e centro, in cui il “Papu" è il sole rispetto a cui tutto si muove.
Nonostante Gomez sembri muoversi con dimestichezza nel ruolo, ha detto che per lui si è trattato di un sacrificio: «Preferisco giocare a sinistra, ma mi sto adattando al centro. Dopo l’addio di Cristante non siamo riusciti a trovare un giocatore con le sue caratteristiche e Gasperini mi ha provato lì. È andata bene, ma devo dribblare meno e correre di più. Seguendo il play faccio 10-11 chilometri a partita e finisco distrutto». Eppure è impressionante la lucidità che il “Papu” riesce a mantenere lungo tutta la partita. Quando riceve palla riesce sempre a fare la scelta migliore, che sia giocare semplice o lanciarsi in conduzione per far guadagnare campo alla squadra; verticalizzare oppure guadagnare tempo. Nelle immagini sotto un esempio della classe da rifinitore di Gomez. Conduce palla sulla trequarti, avrebbe la traccia longilinea per Zapata, forse la più semplice ma al contempo l’argentino si accorge forse che l’attaccante è in ritardo rispetto al difensore, allora aspetta altri due secondi e col sinistro premia la sovrapposizione dell’esterno. Il passaggio meno intuitivo.
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Quando Gomez entra in possesso palla, i compagni sanno di poter attivare le proprie corse verso la porta, come nel caso di quest’altra gallery. Siamo ai primissimi minuti di Atalanta-Roma, la palla si muove sulla catena di sinistra e Gomez si avvicina, la pressione della Roma è blanda e Gomez si gira velocemente verso la porta; a quel punto serve Ilicic con una verticalizzazione lunga.
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Gomez è estremamente tecnico quando deve calciare, e fa impressione per certi versi veder nascere conclusioni di tale violenza da un corpo così minuto, almeno all’apparenza. Nella nuova posizione più centrale, però, brilla soprattutto - e persino più del solito - una delle qualità più uniche del “Papu” Gomez, ovvero la protezione del pallone spalle alla porta. Gomez ama prendere contatto con i suoi avversari, a differenza ad esempio di altri trequartisti argentini, tipo Aimar, un artista dell’elusione, a cui Gomez ha dichiarato di ispirarsi.
Una volta che riceve palla Gomez prende innanzitutto posizione con le gambe: quando ha gli appoggi giusti, e tiene distante l’avversario aiutandosi con le braccia, è sempre in vantaggio sugli avversari. È più reattivo sui primi passi, più forte, più rapido nelle scelte. Il modo con cui difende palla, aggrappandosi ai due piccoli arbusti che ha al posto delle gambe, ha qualcosa di feroce, come se il suo corpo avesse una gravità diversa. In questo senso Gomez è davvero il contrario di quella leggerezza mercuriale che associamo a qualsiasi numero 10: quando corre, tenendo le braccia larghe, con una rapidità nervosa e gli occhi a palla, sembra poter lasciare dei piccoli solchi per il campo, come i cavalli sui prati. Eppure è questa assoluta solidità a rimandare bene la peculiarità di Gomez, il senso pratico con cui riesce ad interpretare le partite.
In un calcio in cui le squadre applicano sistemi di pressione sempre più efficienti, sono diventati preziosi i giocatori bravi a resistere alla pressione, facendo quindi guadagnare un vantaggio tangibile alla propria squadra. In quest’ultima stagione il “Papu” ha diminuito il numero dei dribbling riusciti rispetto allo scorso anno (1.9 da 3.4), il segno che associamo solitamente ai giocatori che vanno in declino. Gomez però è riuscito a compensare la minore esplosività sulle gambe con una sensibilità tecnica e tattica più versatile. Ciò non toglie che dentro le partite di Gomez possiamo trovare anche grandi fiammate, come nel gol segnato contro la Fiorentina. Gomez ha resistito alla pressione di due giocatori, ribaltando il campo grazie alla sua esplosività negli spazi più ristretti.
Oggi vederlo giocare è davvero un’esperienza unica: pochi giocatori in Europa riescono ad avere una tale centralità tecnica per la propria squadra, interpretando così tante fasi di gioco. È un peccato che non abbiamo mai potuto ammirare il “Papu” nelle notti di Champions League, chissà che non ce lo vedremo nella prossima stagione, quando Gomez andrà per i 32 anni. Al termine dell’ultima partita contro la SPAL Gomez si è presentato ai microfoni esausto, con le mani sui fianchi: «Tocco tante palle, ne perdo qualcuna per rischiare, ma così faccio giocare meglio Zapata e Ilicic. La Champions sarebbe un sogno. Siamo lì, il nostro obiettivo è l'Europa League, se arrivasse l'altra non sarebbe male».