Una scena cui abbiamo assistito tante volte negli ultimi mesi: sul parquet dell’Adidas Arena di Parigi l’ultima sirena è suonata da un pezzo, ma nessuno sembra voler abbandonare la festa. “Oh le le, Oh la la, mais qu’est ce qu’il s’est passè? On les a chicotés” rimbomba sui muri del palazzetto e fa da colonna sonora all’euforia collettiva. Tifosi e giocatori si mescolano, si passano di mano il megafono, cantano e saltano. Il Paris Basketball che da cenerentola si ritrova tra le prime quattro squadre di Eurolega è oggi un’oasi felice del basket continentale.
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I ringraziamenti vanno alle idee, e le tasche, David Kahn, cittadino statunitense che insieme al businessman Eric Schwartz nel 2018 ha fondato la società nel 2018. Tristemente noto alle cronache come colui che da President of Basketball Operations dei Minnesota Timberwolves scelse Ricky Rubio e Jonny Flynn invece di Steph Curry, Kahn si è innamorato della capitale francese da ragazzo, e ne ha scoperto la fervente passione per il basket quando ci è tornato con i T-Wolves nel 2010 (106-100 contro i New York Knicks all’AccorArena di Parigi-Bercy). Da quel giorno un’idea ha cominciato a riecheggiare nella sua mente: nella mappa della pallacanestro mondiale deve esserci Parigi.
ANATOMIA DI UNA (RAPIDA) SALITA
La capitale francese, in realtà, ha potuto godere a lungo del Racing Paris, club che tra l’altro ha visto nascere cestisticamente Tony Parker. Alcuni problemi economici però hanno portato alla fusione con il Levallois nel 2007 e al conseguente spostamento di sede a Levallois-Perret. Nonostante i pochi chilometri di distanza, l’azione è stata di fatto decentrata, e con lei sentimento e attaccamento. La società, nel frattempo ribattezzata Metropolitans 92, ha vissuto un improvviso momento di ritrovata gloria un paio di stagioni fa, quando la presenza di Victor Wembanyama ha portato sponsor, risultati e lauti contratti televisivi. Un effetto svanito dopo poco, tanto che nel maggio 2024 i Mets hanno dichiarato bancarotta. Gode quantomeno di maggiore salute il Nanterre 92, campione di Francia nel 2013 e localizzato nell’omonimo comune a nord-ovest della capitale, ma il senso di distacco rimane lo stesso.
Approfittare di questo vuoto è stata quindi una scelta logica, quasi di buonsenso. Meno prevedibile era invece l’efficacia del percorso, che in soli sei anni ha portato il Paris dalla seconda serie francese ai cancelli dell’Eurolega spalancatisi grazie al trionfo in Eurocup. Come tutte le storie di successo e scalate vertiginose, anche questa si porta dietro detrattori e qualche nube. Il germe del dubbio nell’opinione pubblica si è insinuato già dall’atto di nascita. Il Paris Basketball ha acquistato il titolo dell’Hyeres-Toulon, compagine appena retrocessa in seconda serie e in grossa crisi finanziaria. Burocrazia alla mano, una manovra assolutamente lecita – e dalle nostre parti anche piuttosto comune – ma cui i francesi non sono affatto abituati. La mossa permette così al Paris di partire direttamente dalla Pro B senza doversi districare nella pericolosa giungla del dilettantismo. Non è tutto: nel 2022 un report della Camera Regionale dei Conti ha evidenziato “numerose irregolarità” nel suddetto passaggio di consegne tra le due società. Per ora però non ci sono state conseguenze legali.
Lo stesso anno rappresenta un momento chiave per ragioni di campo. In estate, il club si è assicurato le prestazioni del tecnico finlandese Tuomas Iisalo (ora assistente dei Memphis Grizzlies) e di 6 giocatori: gli americani T.J. Shorts (MVP di Bundesliga e Champions League), Tyson Ward e Collin Malcolm, il cileno Sebastian Herrera, i lunghi tedeschi Leon Kratzer e Michael Kessens. Tutti arrivavano dal Telekom Bonn fresco vincitore della Champions. L’ossatura è quella che neppure dodici mesi dopo permetterà al Paris di vincere l’Eurocup nel derby contro il Bourg-en-Bresse. Più di qualcuno inevitabilmente ha storto il naso di fronte a un successo costruito tramite il sacco di chi ha meno risorse economiche e – non ce ne voglia Bonn – una minore attrattiva.
La questione è anche culturale. La pallacanestro in Francia, almeno per ciò che riguarda il contesto nazionale, è spesso affare delle città minori, meglio ancora se tagliate fuori dal giro che conta in ambito calcistico. Ne sono esempi Limoges, Pau, Chalon-sur-Saone, persino Villeurbanne. Sono luoghi in cui il basket rappresenta una forma di affermazione e allo stesso tempo dove le squadre non avrebbero prospettive senza una comunità pronta a supportarle. In questo contesto, il nuovo e scintillante Paris fa un po’ l’effetto dell’ecomostro che si innalza in mezzo ai campi. Lo scontro di Eurolega contro l’ASVEL, che tra l’altro ha interrotto la striscia di vittorie dei parigini, è diventato fonte di dibattito tra posizioni inconciliabili sul peso di una lunga storia alle spalle.
IL SOGNO FRANCO-AMERICANO
«Il Paris Basketball non è un club americano diretto da americani, è un club francese e parigino. Le nostre culture non sono le stesse e sono io a dovermi adattare e imparare». Le parole sono dello stesso David Kahn agli albori dell’avventura, nel 2018. Il club ha scelto dall’inizio di essere portatore di un’identità, ma è difficile definire quanto questa sia posticcia. Senza dubbio non è difficile ascrivere alla città, o almeno a una parte di essa, e al suo immaginario un caratteristico mix di multiculturalità, eccentricità, spavalderia e coolness. Perfino la squadra in senso stretto, nella struttura e nello stile di gioco, sembra un prolungamento di questi concetti, una parte di un tutto molto coerente.
L’eredità di Iisalo è stata affidata a Tiago Splitter, alla prima esperienza da capo allenatore dopo una nobilissima carriera da giocatore e qualche stagione da assistente in NBA. Una decisione per qualcuno pretenziosa, sicuramente coraggiosa, ad oggi soprattutto giusta. Il sistema costruito dal brasiliano, che non ha dissipato il patrimonio lasciatogli, è fatto di ritmi alti, transizioni, azioni veloci, tanti tiri da 3 punti e guardie che mirano innanzitutto alla conclusione. Non è un caso che i due giocatori più rappresentativi siano T.J. Shorts, play che risponde all’assenza di stazza con talento, sfrontatezza e rapidità, e Nadir Hifi, il 22enne astro nascente dalle scelte un po’ folli ma tanti punti nelle mani. Un’esuberanza che li accompagna anche nei modi di fare, e che diventa contagiosa.
Alla base di tutto questo, come accennato, la premessa fondamentale è che Parigi sia una città di basket anche senza aver mai avuto davvero una squadra all’altezza della sua fama e della sua fame. I numeri legati al merchandising NBA parlano chiaro, e la capitale francese è diventata un punto fermo nel calendario degli NBA Global Games. Solo il Canada può vantare un numero maggiore di giocatori nella storia della lega statunitense. Un dato destinato inevitabilmente a crescere, vista la medaglia d’argento ai Giochi Olimpici e le ultime due prime scelte al draft (Victor Wembanyama nel 2023 e Zaccharie Risacher nel 2024). Kahn ha semplicemente fiutato l’affare, e ipotizzato che un po’ di questo entusiasmo potesse riversarsi anche sulla pallacanestro locale, a patto di costruire un progetto abbastanza affascinante. Insomma, non solo una squadra, ma una grande squadra.
L’influenza americana, comunque, è evidente ed innegabile. La nuova arena, inaugurata a febbraio 2024, è diventata presto teatro di serate a tema, piccoli spettacoli durante i tempi morti, interviste ai VIP sugli spalti, tutto come nella miglior tradizione da stagione regolare NBA, quella in cui il colpo di sonno alle 3.30 di notte è interrotta dalla gara di bambini che gattonano durante un time out di Popovich. La parata di star è ormai un piccolo classico parigino, e tra politici e olimpionici può capitare che spunti anche Omar Sy.
L’attore di Quasi Amici e Lupin ha presenziato all’ultima vittoria contro il Baskonia, e dopo la partita si è personalmente recato a salutare e festeggiare con i protagonisti negli spogliatoi. In una recente intervista, il direttore del reparto marketing Julien Jalouzet, ha asserito: «che tu sia un fan del basket oppure no, per due ore sicuramente ti divertirai». Un approccio che ha poco a che vedere con il modo di concepire lo sport da questa parte dell’Atlantico. Anche il modo di usare i social è tutto sommato innovativo: tantissimi contenuti, molti retroscena, reel e challenge con i giocatori. Su Instagram, il Paris può vantare quasi 180.000 follower. Numeri lontani dalle grandissime compagini europee, ma nettamente superiori alle connazionali più quotate (Monaco e ASVEL ne hanno poco più della metà).
QUALE PARIGI?
Per affrancarsi dalle accuse di essere un club “di plastica”, il progetto Paris Basketball si è dovuto aggrappare ad alcuni simboli, oltre che alla bontà tecnica del proprio operato. Già dagli anni della Pro B, la società ha saputo affermarsi come una buona rampa di lancio per i giovani francesi. Oltre al già citato Hifi, Sylvain Francisco (Zalgiris Kaunas), Ismael Kamagate (Tortona, ma in orbita Olimpia Milano) e Juhann Begarin (Monaco, scelto al draft dai Boston Celtics) sono i nomi che più si sono distinti in questo senso.
Ad ancorare questo progetto a un’idea di identità anche territoriale, che andasse oltre il giochino di uno statunitense un po’ sognatore e un po’ annoiato, sono stati però due giocatori. Il primo è Gauthier Denis, capitano di mille battaglie, ragazzo che ha vissuto l’intera trafila dall’esordio a Rueil-Malmaison a quell’Eurocup alzata al cielo, passando tra promozioni e finali perse e che ha lasciato il Paris quest’estate. L’altro è Amara Sy, ex nazionale maliano, parigino di nascita, che nel 2019 con una (buonissima) carriera ormai agli sgoccioli ha scelto di scendere di livello per dare una mano. Il mantra era sempre lo stesso: Parigi merita una grande squadra di basket. Oggi Sy è il direttore sportivo della società, e a quella grande squadra ha dato una forma.
Se l’equilibrio si mantiene, però, il merito è della tifoseria. La sua manifestazione più visibile sta nel gruppo organizzato che risponde al nome di Kop of Paname, o Kop Parisii. Nonostante il richiamo al calcio britannico, l’attitudine ha una conformazione molto più adatta alle famiglie. Di certo sono però un manipolo di sostenitori colorati, rumorosi, e con una chiara idea di tifo, molto da stadio. Assistono alle partite in piedi, si muovono all’unisono, i cori suonano piuttosto familiari e sono scanditi dal ritmo dei tamburi. Intervistato da France Inter uno di loro, Julien Dias, ha spiegato come per natura quello parigino sia un pubblico «più di conservatori che di tifosi». Da qui la necessità di una presenza anche massiccia sui social (la Kop ha una sua pagina ufficiale, spesso menzionata anche dal profilo del club) e la comunicazione piuttosto leggera e sbarazzina, per provare a coinvolgere il maggior numero di persone possibili.
Quello tra il Paris e i suoi tifosi è un rapporto che può ancora godere di pochi filtri, un aspetto che lo rende quasi unico in una piazza così grande, ma che per la crescita del club rappresenta una necessità. All’indomani del trionfo di coppa della scorsa stagione, la squadra ha voluto condividere la gioia con il proprio pubblico in un evento che ha visto i festeggiamenti spostarsi al Municipio del XVIII arrondissement. I presenti erano circa un migliaio, una cifra che si moltiplicherà grazie all’Eurolega, ma comunque esigua per una città che nella sua area metropolitana supera i 10 milioni di abitanti. In quale misura il Paris Basketball rappresenti qualcuno o qualcosa, insomma, è ancora da stabilire. Di certo però è qui per restare.