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L'ambizione e le velleità del PSG
12 feb 2018
La squadra di Emery sta dominando la Ligue 1 ma il successo della sua stagione sarà soprattutto determinato dall'andamento in Champions League.
(articolo)
16 min
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Foto di Franck Fife / Getty Images
(copertina) Foto di Franck Fife / Getty Images
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All’interno del sito ufficiale del Paris Saint-Germain c’è una rubrica, chiamata “Skills”, che isola in un breve video la giocata più spettacolare - finte, colpi di tacco o dribbling - dopo ogni partita. Sono numeri a volte puramente estetici, con esiti non sempre felici (qui ad esempio Neymar salta l’avversario con un tunnel, ma con la rabona successiva regala la palla al portiere), ma il solo fatto che vengano messi così in evidenza è comunque significativo dell’immagine di sé che vuole restituire il PSG.

La spettacolarizzazione di ogni aspetto, dentro e fuori dal campo, è una caratteristica molto marcata della rivoluzione qatariota che ha trasformato il PSG a partire dal 2011, e che ha raggiunto il punto più alto l’estate scorsa.

Un paio di esempi.

La rivoluzione estiva

I parigini arrivavano da una stagione fallimentare, scandita dall’incredibile rimonta subita dal Barcellona agli ottavi di Champions League e dalla mancata vittoria in Ligue 1, soffiata dal Monaco dopo quattro trionfi consecutivi. Forse come reazione alla scorsa stagione, il presidente del PSG, Nasser Al-Khelaïfi, ha deciso di sostituire il direttore sportivo, assumendo Antero Henrique dal Porto, e poi ha rilanciato l’immagine del club con una campagna acquisti sensazionale. Al-Khelaïfi ha prima sfilato Neymar al Barcellona per 222 milioni di euro, abbattendo così il record di spesa per un calciatore, e ha poi ribadito la posizione di dominio sul calcio francese togliendo al Monaco la sua stella, Kylian Mbappé, con una trattativa durata tre mesi e chiusa l’ultimo giorno utile per una cifra complessiva di 180 milioni di euro.

L’enorme flusso di denaro prodotto da queste operazioni ha fatto sorgere il sospetto che il PSG giochi al di fuori delle regole del fair play finanziario, anche se i conti del club e l’escamotage utilizzato per comprare Mbappé, un prestito con clausola d’acquisto molto facile da raggiungere, hanno permesso ai parigini di affiancare l’ex Monaco a Neymar rientrando nei parametri fissati dalla UEFA. Dopo la firma di Mbappé la stessa UEFA ha aperto un’indagine sul caso (forse anche per calmare le turbolenze mediatiche), di cui però ancora non si conoscono i risultati. Secondo RMC Sport, il PSG dovrà trovare 80 milioni di euro per sostenere l’aumento dei costi ed evitare le sanzioni.

La volontà del PSG di sfoltire la rosa per appianare la situazione finanziaria e non incorrere nelle sanzioni della UEFA era comunque chiara già dalle ultime due sessioni di mercato. Nelle ultime ore del calciomercato estivo i parigini avevano provato a cedere Di María al Barcellona, ma la notizia dell’apertura dell’inchiesta da parte della UEFA aveva fatto saltare l’affare. Nella recente sessione invernale hanno invece venduto Lucas Moura al Tottenham (per poco più di 28 milioni di euro), e avrebbero fatto lo stesso con Pastore se avessero trovato un accordo con l’Inter.

Con una campagna acquisti del genere, comunque, il PSG ha di fatto annullato la competizione all’interno dei confini nazionali: ha già raggiunto la finale di Coppa di Lega, vinta consecutivamente negli ultimi quattro anni; in campionato ha un margine di 12 punti sul secondo posto occupato dal Monaco; e ha ovviamente ottime possibilità di arrivare in fondo anche in Coppa di Francia, che ha vinto negli ultimi tre anni.

La pressione su Unai Emery

L’assenza di una reale competizione ha svuotato d’interesse molte partite dei parigini, dando un’importanza forse esagerata al loro cammino in Champions League, il metro di paragone che più di tutti influenzerà i giudizi sulla loro stagione e il futuro di Unai Emery. Mesi prima di essere sorteggiato agli ottavi contro il Real Madrid, Thomas Meunier aveva fissato come obiettivo obbligatorio il raggiungimento delle semifinali. Di certo non poteva prevedere un sorteggio così crudele, specie dopo la qualificazione al primo posto davanti al Bayern Monaco col record di gol segnati nella fase a gironi. Per quanto possa sembrare ingiusto, la stagione del PSG si gioca quasi tutta sull’esito delle due partite contro i “Merengues”.

A gestire le pressioni che derivano da una situazione così delicata è rimasto Unai Emery, non toccato dalla riorganizzazione decisa la scorsa estate dal presidente Al-Khelaïfi nonostante la deludente stagione d’esordio sulla panchina del PSG.

Dopo la fine del rapporto con Laurent Blanc, la firma di Emery aveva segnato un punto di rottura nel profilo scelto come allenatore: da un gestore, poco interessato alle sovrastrutture tattiche, a un educatore tatticamente preparatissimo, quasi imbattibile nella preparazione della singola partita, un dettaglio che lo ha portato a vincere tre Europa League consecutive con il Siviglia.

Proprio i successi europei hanno spinto Emery sulla panchina del PSG, che più di ogni altra cosa ambiva a migliorare i propri risultati in Champions dopo anni di dominio incontrastato in Francia. Le cose, però, non sono andate come previsto, ma è forse in questa stagione che le difficoltà di Emery sono emerse con maggiore chiarezza. Non tanto per il rendimento della squadra, eccezionale sotto molti punti di vista, quanto piuttosto per la gestione delle diverse personalità in uno spogliatoio ricco di campioni.

Gli episodi sono molti e risalgono al litigio tra Neymar e Cavani per la battuta di un calcio di rigore durante la partita d’andata contro il Lione. Mentre Cavani, rigorista consolidato della squadra, si apprestava a battere, Neymar ha provato a togliergli il pallone. L’ex Napoli ha resistito, ma poi ha sbagliato il rigore. Il rapporto tra i due da quel momento in poi è andato deteriorandosi: si è detto che alla fine della partita contro il Lione sia servito l’intervento dei compagni per evitare la rissa, che Neymar abbia chiesto la cessione del compagno, che a Cavani fosse stato offerto un bonus da un milione di euro per rinunciare a battere i rigori. Emery (che inizialmente si era chiamato fuori lasciando ai due litiganti la responsabilità di dividersi i calci piazzati) e la società sono sembrati fin troppo morbidi nei confronti di Neymar, a cui alla fine è stata concessa la titolarità di punizioni e rigori.

Chiusa la questione, il rapporto tra i due è tornato cordiale, almeno in apparenza, ma il risentimento che cova sotto la superficie rischia di esplodere a ogni calcio piazzato. Contro il Lille, Cavani ha provato a chiedere a Neymar il permesso di battere una punizione appena fuori dall’area di rigore. Il brasiliano non ha ceduto il pallone e poi l’ha infilato poco sotto l’incrocio dei pali consolidando la vittoria del PSG. Contro il Digione, dopo aver firmato una tripletta e due assist, Neymar si è rifiutato di lasciare a Cavani il rigore dell’8-0 per consentirgli di superare Ibrahimovic come miglior marcatore nella storia del club. Il pubblico si è schierato dalla parte dell’uruguaiano e ha fischiato Neymar: un caso forse unico dopo una prestazione di quel livello.

Poi però Cavani è comunque riuscito a battere il record di Ibra.

C’è stata poi l’insubordinazione di Cavani e Pastore, rientrati in ritardo dalle vacanze invernali, che ha ulteriormente allargato le crepe all’interno dello spogliatoio ed esposto ancora una volta i problemi di gestione di Emery e della società. Emery e il direttore sportivo, Antero Henrique, si sono scaricati a vicenda le responsabilità su chi dovesse prendere una posizione chiara nei confronti dei due ritardatari (il direttore sportivo aveva dichiarato di appoggiare qualsiasi decisione presa dall’allenatore, Emery aveva risposto che spettava al club gestire la questione), mentre Thiago Silva si è schierato apertamente contro i suoi compagni, causando la risposta infastidita di Pastore su Instagram.

Venire a patti con la realtà

La realtà ha imposto a Emery di modificare il proprio stile, rinunciando a dare una chiara impronta tattica, a partire dalla sua iconica presenza fisica a bordocampo, per limitarsi a ordinare l’incredibile quantità di talento a sua disposizione, lasciando che si esprima liberamente. Il senso d’ordine è dato dall’occupazione contemporanea di tutti i corridoi nella trequarti offensiva per attaccare in ampiezza e profondità, allungando e allargando i blocchi difensivi avversari. L’occupazione di quegli spazi è tuttavia molto fluida e mutevole a seconda del particolare sviluppo dell’azione, delle caratteristiche individuali dei giocatori e delle loro letture. I giocatori sembrano prevalere sull’allenatore anche in campo, insomma.

La manovra difficilmente segue flussi preordinati, anche se si possono individuare giocate ricorrenti come i filtranti di Neymar nel corridoio sul centro-sinistra per la sovrapposizione del terzino o il taglio di un compagno, un passaggio associato ai giocatori più creativi del panorama europeo e in cui il brasiliano si è specializzato coerentemente col suo ruolo nella squadra, o la costruzione in diagonale, più o meno palleggiata, con la quale accumula giocatori nella zona della palla per poi attaccare il lato debole ormai svuotato di avversari. In questo modo, ad esempio, ha segnato in Champions League contro il Bayern Monaco, con un’azione da sinistra a destra chiusa dall’inserimento di Dani Alves.

Il PSG è, con Manchester City e Napoli, la squadra che si passa più spesso la palla in Europa, ma la progressione della manovra non è sempre palleggiata. Non è raro, infatti, vedere chi imposta saltare una o due linee per attaccare lo spazio dietro la difesa avversaria alzando il pallone. L’assenza di una struttura chiara e di meccanismi consolidati come quelli di Manchester City e Napoli rende il possesso più libero e legato alle iniziative individuali: rispetto alle squadre di Guardiola e Sarri, il PSG completa meno passaggi per ogni minuto di possesso.

Il talento distribuito in abbondanza in ogni zona del campo permette al PSG di trovare comunque un modo per risalire il campo anche quando la manovra non riesce a creare i presupposti per aprire le difese avversarie o si appiattisce diventando più che altro uno strumento difensivo. A parte Cavani, che si preoccupa di allungare le difese e di occupare l’area di rigore, e solo di rado viene coinvolto nel palleggio, ogni giocatore è in grado di alzare la pericolosità di un’azione con un’iniziativa o un passaggio illuminato.

Il peso di Neymar

In un contesto così poco codificato non sorprende che a dominare sia il giocatore più creativo e con maggiore talento: Neymar. I suoi numeri sono semplicemente assurdi: segna con un media di un gol a partita (27 reti in 26 presenze totali), in campionato ha firmato 19 gol e 11 assist in 18 partite. Il brasiliano è un fuoco creativo a tutto tondo, non si occupa soltanto della rifinitura o della finalizzazione, ma determina ogni fase del possesso, dalla prima impostazione al penultimo o all’ultimo passaggio. In Ligue 1 solo tre centrocampisti abituati ad avere una grande influenza sul possesso come Verratti, Seri e Rabiot hanno giocato più palloni di lui.

La missione che si è assegnato quando ha scelto il PSG sembra spingerlo a mostrare la versione più teatrale di sé stesso. Neymar non si è accontentato di gol e assist, ma è diventato il vero e proprio centro di gravità del PSG, e questo senza rinunciare in minima parte al suo stile. Anzi, sembra giocare ancora di più sulle provocazioni e le sfide dirette con gli avversari, anche quando si abbassa a prendere il pallone sui piedi dei difensori. Nelle cinque leghe principali nessuno tenta e completa più dribbling, né subisce più falli. «Mi danno calci, mentre io gioco a calcio. Mi provocano, ma anch’io so come provocare, a modo mio, con il pallone. Non sono abituato a dare calci. Mi difendo con il pallone. So che ora diranno che sono un buon giocatore, ma che provoco troppo. Non è picchiandomi che mi fermano. Reagirò provocando ancora di più e facendo in modo che la mia squadra vinca», ha detto dopo la partita contro il Rennes in Coppa di Lega, portando a un livello ancora più alto lo scontro con chi non sopporta il suo lato oscuro.

Nella stessa partita ha fatto anche questa specie di scherzo. Il Rennes non l’ha presa bene…

Era ovvio che la sua influenza non si sarebbe limitata al campo da gioco. Neymar ha messo subito sotto la sua ala protettiva Mbappé («Spero di poter essere per lui quello che Leo Messi è stato per me quando sono arrivato a Barcellona», aveva spiegato a inizio stagione), rivedendosi probabilmente nell’ex Monaco. Come Neymar a Barcellona, Mbappé ha accettato di restare all’ombra di una stella più grande, instaurando con il brasiliano una connessione speciale. Il giovane francese è uno dei pochi (persino in una rosa dal tasso tecnico così alto come quello del PSG) in grado di mantenere un’elevata precisione tecnica anche ai ritmi imposti dal Neymar: quando accelerano e iniziano a scambiarsi il pallone diventano inarrestabili praticamente per chiunque. La quantità di possessi divorata dal brasiliano e la posizione defilata sulla destra per lasciare il centro a Cavani hanno delimitato l’impatto di Mbappé a singole giocate eccezionali, più per rifinire che per finalizzare l’azione. La sua media gol si è abbassata rispetto all’anno scorso (15 reti in tutto, 9 in campionato), ma ha compensato con una frequenza maggiore di assist: 14 in tutte le competizioni.

Il disordine creativo che caratterizza il possesso del PSG è cresciuto con le lunghe assenze per infortunio di Thiago Motta, saldamente titolare a inizio stagione. Senza l’equilibrio garantito dall’italo-brasiliano, Emery ha puntato ancora di più sulla qualità, allargando il ventaglio di soluzioni disponibili nella metà campo avversaria. Inizialmente aveva abbassato a mediano Rabiot, inserendo Draxler come mezzala sinistra, la migliore alternativa possibile per compensare i movimenti di Neymar, allargandosi a sinistra o inserendosi in area a seconda dei movimenti del brasiliano. Poi, invece, ha assecondato la crescita di Lo Celso lanciandolo come play, preferendolo a Rabiot per il suo gioco più pulito e veloce.

Insieme a due mezzali come Verratti e Rabiot, il nuovo triangolo di centrocampo ha garantito il controllo assoluto del pallone, ma scarso equilibrio e poco movimento senza palla. Pur essendo molto dinamici, sia Rabiot che Verratti, tendono infatti a muoversi più con il pallone tra i piedi che senza. A gennaio è stato quindi tesserato Lassana Diarra, finito negli Emirati Arabi dopo la buona parentesi all’Olympique Marsiglia che gli aveva fatto guadagnare la convocazione per gli Europei del 2016, persi per un infortunio. Nell’anno e mezzo successivo Diarra ha giocato pochissimo, ma è comunque apparso in buone condizioni fisiche, tanto da guadagnarsi immediatamente due presenze da titolare. La sua firma ha rappresentato la soluzione d’emergenza per avere uno specialista nel ruolo di mediano che potesse dare maggiore equilibrio alla squadra, sia in fase di possesso che in quella di non possesso.

Il disordine in fase di possesso si ripercuote infatti sulle transizioni difensive, con i difensori lasciati a gestire duelli individuali in campo aperto. Il PSG non può sostenere grandi fasi di difesa posizionale chiedendo a Neymar e Mbappé di rientrare, e si difende soprattutto controllando il pallone, tentando il recupero immediato quando lo perde, aggredendo anche in maniera confusa. I difensori centrali, quindi, non devono soltanto essere aggressivi per tenere corta la squadra, ma dimostrarsi a proprio agio a coprire un’intera metà campo quando la pressione va a vuoto. Accanto a Marquinhos, praticamente intoccabile per la posizione guadagnata nello spogliatoio (è il capitano in assenza di Thiago Silva), l’affidabilità e la disinvoltura nell’esecuzione dei compiti richiesti, Emery ha ruotato Kimpembe e Thiago Silva, conservando la leadership e il carisma di quest’ultimo (ormai in chiaro declino fisico) per le partite più importanti.

Come difendersi contro il PSG

Tutte le squadre che hanno battuto il PSG hanno quindi deciso di puntare su questa debolezza, concedendo il primo possesso e puntando a ostruire la progressione palleggiata nella propria metà campo, aspettando che i parigini lasciassero spazio alle spalle del loro centrocampo per attaccarlo in velocità dopo aver recuperato il pallone. È lo scenario più ricorrente nelle partite del PSG, che non è stato praticamente mai sfidato a costruire da dietro sotto pressione, ma si è trovato a fronteggiare diverse strategie che provavano a ostruire il suo palleggio cercando di restare il più possibile lontano dall’area di rigore. L’attesa passiva a ridosso della propria area non è sembrata a nessuno una buona strategia per difendersi dalle infinite soluzioni offensive della squadra di Emery.

Nella sfida di ritorno del girone di Champions, il Bayern Monaco ha alternato pressione e copertura con un ordine invidiabile, che non lasciava spazi alle spalle di chi usciva dal blocco. In questo modo riusciva a essere aggressivo senza perdere solidità. Lo Strasburgo ha invece fatto maggiore uso di marcature individuali a centrocampo, che spesso chiamavano i difensori centrali a uscite coraggiose dietro i centrocampisti. L’ampiezza era occupata dai ripiegamenti degli esterni d’attacco, mentre la linea difensiva restava alta, pronta a scappare verso la propria porta per non concedere la profondità. Il Lione ha invece accettato il disordine del PSG, disordinando a sua volta il proprio schieramento per mantenere un buon livello d’intensità sul palleggio della squadra di Emery. Sono state poi determinanti le grandi prestazioni individuali di Fekir, in costante ripiegamento a centrocampo, e di Aouar, particolarmente efficace nel primo tempo con le pressioni esterne su Dani Alves.

Il ruolo del caso in tutte e tre le sconfitte è stato comunque decisivo. Contro il Bayern la partita ha preso una certa piega grazie al gol segnato presto da Lewandowski, ma a livello di occasioni il confronto è stato più equilibrato di quanto non abbia detto il 3-1 finale. Lo Strasburgo ha vinto 2-1 tirando due volte in porta e resistendo ai 29 tentati del PSG, che ha avuto almeno un’occasione con 11 dei 13 giocatori di movimento schierati. A Lione, Emery era stato costretto a rinunciare a Neymar e ha perso Mbappé per infortunio dopo circa mezz’ora. Il 2-1 è poi arrivato all’ultimo secondo con una prodezza di Depay dopo che il PSG era rimasto in inferiorità numerica per l’espulsione di Dani Alves. Anche nelle situazioni di maggiore difficoltà, insomma, il talento del PSG ha comunque trovato il modo di esprimersi.

La schiacciante superiorità sulle rivali affrontate finora, Bayern Monaco a parte, ha regalato al PSG una stagione inattaccabile, se lo sguardo resta limitato ai risultati: ha vinto quasi sempre, spesso ha dominato, ha segnato a raffica regalando momenti di bellezza difficili da eguagliare. In campionato ha una media di 3 gol a partita, in Champions supera i 4. Eppure la sensazione diffusa è che tutto questo sia la normalità per una squadra con quel potenziale.

Sotto la superficie, però, sono diversi i problemi che possono far naufragare i buoni propositi costruiti finora, e non bisogna dimenticarsi che anche l’anno scorso nessuno avrebbe scommesso su un fallimento clamoroso a questo punto della stagione. La gestione incerta dello spogliatoio da parte di Emery, la debolezza della società, la mancanza di un equilibrio che rischia di essere smascherata dalle avversarie d’élite che incontrerà in Champions, a partire dal Real Madrid, contro le quali sarà più complicato tenere il pallone mascherando la disfunzionalità della sua fase difensiva, sono solo alcune delle incognite che potrebbero emergere nella seconda parte di stagione. Emery e i suoi giocatori, Neymar in testa, si giocano quasi tutto nelle poche partite che regalano la gloria europea, e non è detto che lo scorcio di stagione disputato li abbia preparati a sufficienza.

Il presidente della federazione francese, Noel Le Graet, ha dato voce al pensiero di molti dichiarando che «non si spendono 400 milioni di euro solo per vincere il titolo in Francia». L’all-in fatto su Neymar e Mbappé ha sconvolto gli equilibri, ma ovviamente non rappresenta una garanzia di successo. Il momento decisivo della stagione è alle porte, non resta che scoprire se Emery ha in mano le carte per portare il PSG ai livelli immaginati dopo gli investimenti estivi.

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