Già dal secondo minuto si è capito che era una di quelle partite. Una di quelle partite in cui Neymar chiede gli occhi su di sé e utilizza gli avversari come comparse del suo spettacolo. Non era ancora successo tutto quello che ci avrebbe fatto chiedere più minuti, ore, giorni di questa partita - appena qualche tocco palla, un primo accenno di pressing da parte del Bayern Monaco, un fallo, poco più. Ma dopo una palla recuperata faticosamente a centrocampo dopo un rinvio lungo di Keylor Navas, Neymar aveva già messo in pausa il gioco. Si è lasciato il pallone tra le gambe, il busto eretto, lo sguardo che va lontano come se stesse pensando davvero di puntare la porta da quel punto del campo. Davanti gli si è parato Kimmich al massimo dell’intensità mentale, gli occhi fissi sulla palla come chi pensa di aver finalmente capito il trucco di magia. Neymar ha fintato una prima volta di rientrare dentro il campo. Poi però ha spostato il corpo a sinistra, sfiorando il pallone con l’interno come se lo stesse accarezzando, e nell’esatto istante in cui Kimmich si è buttato da quella parte, se l’è passato in una frazione di secondo sull’esterno rientrando dentro al campo in conduzione. È una di quelle cose che ti fanno istintivamente girare verso la persona con cui stai guardando la partita per vedere se anche lui è scioccato come te, o più probabilmente di questi tempi correre la mano al cellulare per scrivergli: “Hai visto cos’ha fatto?”.
Nei dribbling e nelle finte c’è sempre qualcosa di scandaloso. D’altra parte sono nate per rompere una norma sociale, quella che nel calcio dei pionieri in Brasile impediva ai neri di toccare letteralmente i bianchi, e da quel giorno mantengono nelle loro espressioni migliori un qualcosa che oltraggia il nostro pudore, che ci fa pensare “ma si può fare?”, che ci fa coprire gli occhi anche se non riusciamo a distogliere lo sguardo, che ci fa ridere con imbarazzo della persona che in quella finta ci è cascata. Dopo questa finta di Neymar, per esempio, Kimmich è stato costretto a fare un mezzo giro su se stesso per recuperare la posizione, come un cane che si insegue la coda. Quella stessa persona, cioè, che il giorno prima della partita si era detto sicuro che il Bayern sarebbe passato perché aveva dimostrato di essere la squadra migliore e che al triplice fischio che ha decretato la qualificazione del PSG si è visto Neymar e Paredes chiudergli la strada per gli spogliatoi con un abbraccio.
Anche se Neymar è tornato sull’argomento dopo la partita, però, dubito che ci fosse qualcosa di personale. È, lo sappiamo, semplicemente il modo in cui Neymar gioca, che poi è il motivo per cui noi lo guardiamo. Pochi minuti dopo ha preso palla dall’altra parte del campo, sull’esterno destro, e, con le spalle alla porta e chiuso verso la linea del fallo laterale, ha fatto girare la palla intorno ad Alaba tenendola attaccata all’interno del destro mentre lui piroettava sulla gamba sinistra. Al replay è sembrato quasi un passo di tango, con il centrocampista austriaco che si è attaccato ai fianchi del suo avversario per mantenere un contatto con la realtà, commettendo però fallo.
Non sempre le finte di Neymar sono dirette a ridicolizzare l’avversario, anzi. L’utilità tattica del suo gioco è ingiustamente sottovalutata, come aveva notato la scorsa stagione Daniele Manusia dopo i quarti di finale di ritorno contro l’Atalanta, tanto più in un calcio dove il tempo e lo spazio sono sempre di meno. Contro una squadra che scala sempre in avanti in maniera verticale ed aggressiva come il Bayern, e che sembra moltiplicare gli uomini con il pressing, i dribbling di Neymar sono stati una risorsa inestimabile per creare superiorità numerica e rendere fragile un sistema altrimenti spietato. Lo si è visto, per esempio, al 22esimo del primo tempo, quando il PSG ha recuperato palla sulla propria mediana dopo un fallo laterale mal gestito dal Bayern. La squadra di Flick ha cercato di recuperare immediatamente palla, che però era tra i piedi di Neymar.
“‘O Ney” ha messo in pausa il gioco una prima volta, per farsi venire incontro Sané, Müller e Kimmich, e creare lo spazio e il tempo per costruire l’azione da dietro. E quando il pallone sembrava ormai perso, è uscito dalla gabbia di giocatori tedeschi che lui stesso si era voluto costruire intorno, come Houdini, alzando il pallone con la punta all’indietro verso Di Maria. Certo, sulla costruzione dell’azione è stata decisiva anche la capacità irreale del trequartista argentino e di Paredes di gestire il pallone sotto pressione, e c’è da dire anche che, una volta aggirato il pressing avversario, Neymar ha perso palla in maniera pericolosa sulla sua trequarti per tentare un doppio dribbling in conduzione che forse ci avrebbe fatto mettere le mani in testa. Ma il PSG è riuscito di nuovo a recuperare palla e a risalire il campo in maniera pulita, e il merito è stato di nuovo di Neymar e della sua capacità di infilarsi nelle sacche di spazio lasciate libere dal Bayer Monaco.
Questo è uno dei motivi che rende Neymar terribilmente efficace, e per cui qualsiasi allenatore lo schiererà in campo finché le sue gambe gli permetteranno di giocare a questo livello, ma non è il motivo per cui lo guardiamo. Anzi, per cui ci dà un piacere quasi fisico guardarlo. Sembrerebbe infatti quasi una bestemmia utilizzare la parola “efficace” per definire la sua partita di ieri.
Neymar ha fallito la metà dei dribbling che ha tentato (6 su 12) e ha avuto per almeno tre volte la palla per chiudere definitivamente la partita, mandandola sul corpo di Neuer una volta, sul palo la seconda, e facendosela scippare da Lucas Hernandez la terza. La sua imprecisione sotto porta è ciò che ha tenuto in vita la partita fino all’ultimo secondo, e con essa quel senso di pericolosità dei rischi che si prendeva quando c’era da dribblare un avversario, o metterselo alle spalle, perché da ogni palla persa sarebbe potuto nascere il gol che avrebbe eliminato il PSG. Ma mentre noi tremavamo per lui, Neymar continuava a giocare con lo spirito di Kagawa in quel video in cui corre inseguito da un’orda di bambini che cerca di togliergli il pallone. E questa è anche l’impressione che abbiamo avuto ieri: perché se l’intensità del Bayern ti deve far sentire di affrontare più di 11 avversari, giocare contro Neymar credo ti dia la sensazione di essere un bambino che sta cercando di togliere il pallone a un adulto. Un altro esempio è arrivato al 27esimo del primo tempo, pochi attimi dopo aver tirato addosso a Neuer la seconda occasione clamorosa con cui chiudere la partita e uccidere sportivamente il Bayern. Neymar ha ricevuto in area un filtrante di Di Maria e, invece di portare il pallone sul fondo e cercare il cross, ha fermato il pallone con la suola, ha messo un braccio sulla spalla di Lucas Hernandez, e platealmente si è messo a guardare cosa stava succedendo nel frattempo in area.
Quando poi Lucas Hernandez si è stufato di quello spettacolo e ha cercato di affondare il colpo, Neymar si è fatto passare la palla dietro il piede d’appoggio con il tacco e ha cercato di andare lungo linea trascinando a terra il suo avversario per il colletto della maglietta. È stato un tema di tutta la partita: Neymar che lascia il risultato in bilico e si mette nelle condizioni di farsi venire addosso la furia del Bayern, solo per uscirne ogni volta con un trucchetto più astuto e insolente.
Sarebbe ingiusto però non dare una parte del merito anche ai difensori e al portiere del Bayern. In una squadra che difende sempre e comunque scalando in avanti, e che attacca spesso facendo salire entrambi i terzini, Lucas Hernandez, Boateng e Neuer si sono a volte ritrovati a difendere le transizioni del PSG in tre contro tre o addirittura contro quattro (cioè Neymar, Mbappé, Di Maria e Draxler), come una specie di difesa a tre a porta scoperta. Questa per esempio è l’azione da cui nasce il secondo legno di Neymar, da solo davanti a Neuer, dopo la clamorosa traversa colpita pochi minuti prima.
Il Bayern perde palla sulla trequarti avversaria per un controllo maldestro di Alphonso Davies. Draxler recupera palla e la porta fino al cerchio di centrocampo, dove a Neymar basta superare Alaba per ritrovarsi di fronte a un tre contro tre solo teorico, dato che Di Maria e Mbappé sono in gioco e pronti a lanciarsi verso la porta difesa da Neuer. Il Bayern Monaco ha difeso in questo modo dal minuto zero. E se non ha subito gol è anche merito di difensori eccezionali come Boateng, che da situazioni simili sono riusciti ad anticipare gli avversari e innescare le azioni offensive della propria squadra. Questa per esempio è la situazione da cui nasce il tiro di Sané al limite dell’area al 25esimo minuto del primo tempo, su un rilancio con le mani apparentemente innocuo di Keylor Navas.
O come Lucas Hernandez - ieri per lui 3 intercetti effettuati, 100% di duelli aerei vinti e 4 contrasti vinti su 6 - che per tutta la partita è riuscito ad annullare Mbappé nella cosa che teoricamente lo rende indifendibile, e cioè la copertura della profondità in velocità.
È solo parlando della grandezza dei due centrali del Bayern che si può dare un peso alla prestazione di Neymar. Guardate per esempio la leggerezza con cui, attraverso un doppio doppio passo (scusate il gioco di parole) riesce a creare un simulacro di se stesso nella testa di Lucas Hernandez, convincendolo a spostarsi a destra proprio nel momento in cui lui aveva deciso di rientrare sul sinistro per tirare. Oppure fermatevi un attimo sull’azione che porterà alla grande occasione mancata per un soffio da Neymar all’inizio del secondo tempo, con Neuer superato da un tunnel sulla linea di fondo da Di Maria.
Quell’azione parte proprio dai piedi di Neymar che, dopo aver ricevuto all’altezza del cerchio del centrocampo sull’esterno, parte in conduzione passandosi il pallone dal destro al sinistro, sciando tra Kimmich e Müller, e facendo cadere quest’ultimo a terra come se il campo da gioco fosse un enorme parquet cosparso di cera. La creatività barocca di Neymar in quell’azione è sembrata contagiare persino Boateng, che ha messo in calcio d’angolo il cross basso di Di Maria con il tacco senza ragione apparente, come se non volesse essere da meno in quella festa del gesto tecnico. Con Neymar succede spesso, ovviamente con i compagni. Al 65esimo del secondo tempo, per dire, Di Maria è scappato ad Alphonso Davies sulla fascia destra e, una volta subito il raddoppio di Alaba, ha fatto passare il pallone tra i due avversari con una specie di passaggio di tacco no-look, ovviamente con l’intento di raggiungere Neymar. È sembrato come un attore che dà la battuta in una sfida d’improvvisazione, sapendo di ottenere una risposta all’altezza. E infatti Neymar non se l’è fatto ripetere due volte e ha chiuso il triangolo passandosi il pallone da un tacco a un altro, in una quasi letterale cola da vaca.
Sembravano quei trick che i giocatori fanno quando gli avversari sono a terra, ormai sconfitti. Ieri invece il risultato era ancora sullo 0-1. C’era un solo gol a dividere il PSG da una clamorosa eliminazione e se alla fine Thomas Müller, o qualsiasi altro giocatore del Bayern abituato a distruggere i sogni altrui, avesse segnato lo 0-2, Neymar si sarebbe schiantato al suolo dopo aver ballato per 90 minuti su un filo teso tra due grattacieli. È per questo che continuavamo a guardarlo coprendoci gli occhi, non riuscendo a credere quello che stavamo vedendo, eppure continuando a volerlo guardare ancora. Ad ogni sfuriata del Bayern Monaco salvata all’ultimo momento da un salvataggio di Kimpembe o da una parata di Keylor Navas, Neymar rispondeva con un numero sublime che però non si trasformava in gol. Ci dava lo stesso piacere perverso del peperoncino, che ci brucia la bocca senza farci davvero male. In un mondo impossibile la partita sarebbe continuata così all’infinito.
Forse ha ragione chi scambia la creatività e il narcisismo di Neymar per frivolezza e mancanza di sostanza. Alla fine ieri se il Bayern Monaco avesse segnato lo 0-2 nei minuti finali non avrebbe rubato nulla alla luce di ciò che era successo anche all’andata, e di questi numeri non sarebbe rimasta che la derisione di chi sa godersi solo il risultato. Superati i 29 anni, il numero 10 brasiliano è passato dall’essere all’ombra della rivalità Messi-Ronaldo all’essere superato da quella Mbappé-Haaland. Magari se fosse riuscito come il numero 10 argentino a mettere l’arte del dribbling a servizio dell’efficienza tattica o se avesse avuto l’ossessione per la perfezione di CR7 adesso saremmo di fronte a un giocatore più grande. E se adesso avesse la freddezza da predatore del giocatore francese o la fame infernale di gol dell’attaccante norvegese potrebbe essere un giocatore ancora più incisivo e completo. Non era suo il passato prima, non è suo il futuro adesso. Ma non tutto si fa per la Storia. Il gioco di Neymar anzi ha il pregio unico di riportare il calcio, persino in un quarto di finale di Champions League giocato ai massimi livelli, a quello che è per tutti all’inizio, e cioè una forma di divertimento. Alla fine se ricorderemo questa partita, e la ricorderemo, e quello che abbiamo visto ci ha fatto venire voglia di giocare a pallone è soprattutto per un motivo: perché dentro c’era Neymar.