Una stagione, una squadra, un piccolo sobbalzo del cuore. In un viaggio dall’annata 1988-89 ai giorni nostri, ripercorriamo la cavalcata di una formazione per ogni campionato di Serie A, con un solo paletto: nessun trofeo alzato alla fine dell’anno. Squadre che hanno entusiasmato chi le sosteneva sugli spalti senza vincere nulla, semplicemente perché la vittoria non era alla portata. Salvezze raggiunte con le unghie, qualificazioni europee inattese, attimi di puro e semplice spettacolo. Per scoprire che possono essere oneste anche le fotografie in cui siamo bellissimi e perdenti.
Quattro facce, quattro vertici, sei spigoli. Non siamo alle prese con la trasposizione su carta di qualche astrusa idea di calcio, ma con un’idea decisamente più semplice. Alla base di tutto, di una storia di imprenditoria che si mischia alla politica, allo sport e al malaffare, c’è un banale tetraedro. È all’invenzione di Erik Wallenberg, ingegnere svedese, che dobbiamo un’ascesa prepotente, improvvisa, incontrollabile e allo stesso tempo volubile come una manciata di granelli di sabbia al vento.
Melchiorre Tanzi ha lasciato al figlio Calisto una piccola azienda locale, che produce salumi e conserve. È il 1961 e il giovane Calisto, classe 1938, rimane folgorato da un viaggio nel Nord Europa. Non solo scopre la tecnologia UHT, che gli permetterà di gettarsi sul mercato del latte a lunga conservazione, ma vede anche quel tetraedro di cartone. Ne resta ipnotizzato. Stringe un accordo per utilizzare il Tetra Pak anche in Italia, e può finalmente dare vita a un nuovo business. Nasce la Parmalat, che nel 1962 fattura circa 200 milioni di lire e una dozzina di anni più tardi tocca quota 100 miliardi. Nelle foto che si susseguono nel corso dei decenni, quello di Calisto Tanzi non è mai un sorriso spontaneo, coinvolgente, affascinante.
È un smorfia forzata, una cortesia al fotografo del momento, una finzione. Una finzione che fa presa. È l’imprenditore che ce l’ha fatta partendo dal basso, che ama il suo lavoro e la famiglia. Come avrebbe fatto a distanza di qualche anno un altro personaggio particolare come Bernard Tapie, capisce che lo sport può essere il viatico giusto per far crescere ulteriormente la Parmalat, e inizia ad associare il marchio ad alcuni atleti di grido. Prima lo sci, con Gustav Thoeni e Ingmar Stenmark, poi la Formula 1: da Niki Lauda al massiccio investimento nella Brabham, divenuta Parmalat Racing Team con tanto di titolo iridato nel 1981 grazie a Nelson Piquet.
Il 1985 è l’anno della svolta, l’anno del calcio. La Parmalat piazza il proprio marchio sulle maglie del Real Madrid, succedendo a un’altra azienda italiana, la Zanussi, appena acquistata da Electrolux. Il castello di carte eretto da Tanzi è già a rischio crollo ma in quel momento nessuno sembra accorgersene, o semplicemente volerlo fare. Democristiano di ferro, Calisto è grande amico di Ciriaco De Mita. Quando questi gli chiede una mano per l’amato Avellino, l’industriale fa apparire sulle maglie degli irpini il logo del ramo dell’azienda dedicato ai succhi di frutta, la Santal. La Parmalat è in perdita costante eppure rifiuta un’offerta succulenta del gruppo Kraft, la soluzione è tentare l’ingresso in borsa, operazione che riesce soltanto grazie a un’acrobazia: l’acquisizione di una finanziaria già quotata a Piazza Affari, un prestito ponte da 120 miliardi di lire e il passaggio delle quote di Parmalat alla suddetta Fnc, che cambia nome e diventa Parmalat Finanziaria. Il lifting riesce e gli investitori comprano, dando il via a un decennio abbondante di lustrini per nascondere le magagne, prima del pazzesco crac.
L’ultimo passaggio in ambito sportivo riguarda il Parma, già sponsorizzato da anni, di cui Tanzi deteneva il 25% del pacchetto azionario. Ernesto Ceresini, che aveva acquistato la società nel 1976, non c’è più. Se ne è andato nel febbraio del 1990, con i suoi impegnati nella cavalcata verso la prima, storica apparizione nella Serie A a girone unico. Nella seconda metà degli anni ’80, Parma era stata il laboratorio della zona, dando spazio a due allenatori come Arrigo Sacchi e Zdenek Zeman. Eppure, per l’assalto alla massima serie, Ceresini si era affidato a un tecnico leggermente più tradizionalista, ancorché rampante: Nevio Scala, reduce da uno spareggio promozione perso soltanto ai rigori alla guida della Reggina, portata in due anni a un passo dal paradiso partendo dalle sabbie mobili della Serie C. Un’intuizione di Giambattista Pastorello a cui Calisto Tanzi, che rileva la società neopromossa nel luglio del 1990, dà credito. Per il primo ballo tra le grandi, fiducia al tecnico di Lozzo Atestino. È senz’altro l’incarnazione più pura di quello che verrà definito il “Parma dei miracoli”, quella meno toccata dalle vicende Parmalat. È l’anno che proietta i ducali sulla cartina geografica del calcio che conta.
Il mercato
Il Parma ha strappato il pass per la Serie A con l’ultimo posto disponibile, il quarto, in un campionato di B dominato dal Torino di Eugenio Fascetti, retrocesso inopinatamente nella stagione precedente e con un organico totalmente fuori scala per la cadetteria.
Rispetto all’annata in B, la dirigenza decide di cambiare molto. Secondo alcuni, troppo. Saluta il portiere titolare, Giacomo Zunico, arrivato a Parma nell’estate del 1989: i ducali avevano approfittato di un’esitazione di troppo del patron del Catanzaro, che aveva detto no al Napoli prima di trovarsi spalle al muro e costretto a cedere a distanza di qualche mese. La scelta, per il ruolo di numero 1, è di totale rottura. Tanzi sfrutta l’ottimo ascendente in Brasile, provocato dalla sponsorizzazione di Nelson Piquet, e fa sbarcare in Italia Claudio Taffarel, ex guardiano dei pali dell’Internacional di Porto Alegre, estremo titolare della Seleçao. Due miliardi al club brasiliano, 350 milioni a stagione al calciatore. E un mare di polemiche. Per la stampa nazionale, è una follia destinare uno dei tre spot riservati agli stranieri a un portiere, un’offesa a un ruolo nel quale, da sempre, l’Italia eccelle, e poco conta il curriculum di Taffarel.
Pastorello cerca anche un difensore straniero: Massimo Susic è stato il calciatore più utilizzato in B ma Scala vuole un profilo più autorevole da affiancare agli altri due titolari. Lorenzo Minotti è il libero del 5-3-2 caro al tecnico, Luigi Apolloni lo stopper. I primi nomi nel mirino sono il sovietico Kutnezov – le cronache narrano di una Parmalat pronta a sbarcare massicciamente sul mercato dell’Unione – e il tedesco Buchwald. Per qualche giorno circola anche il nome di Andrés Escobar, che incassa una bocciatura che con il campo ha ben poco a che fare: «Quanto latte vendiamo a Bogotà?», avrebbe chiesto Tanzi ai suoi. Arriva invece il belga Georges Grün, è lui a chiudere il terzetto di centrali. I due esterni rimangono quelli della promozione: Donati a destra e Gambaro a sinistra, pur senza il cambio principale di quest’ultimo, Alessandro Orlando, di ritorno all’Udinese. Si tratta di una posizione cruciale nel calcio di Scala, che non a caso andrà a formare una batteria di esterni di altissimo livello negli anni successivi, reinventando Di Chiara come uomo a tutta fascia sulla sinistra, lanciando Benarrivo e dando compiti importanti a Mussi.
A centrocampo rimane un “cervello” come Zoratto, lussemburghese di nascita, giunto a Parma dopo una lunga gavetta. Al suo fianco, il guastatore Marco Osio. Prodotto del vivaio del Torino, ha già esperienza in Serie A grazie a una stagione in prestito a Empoli: è stato suo il primo gol nella storia degli azzurri nella massima categoria, un colpo di testa fuori equilibrio contro l’Inter per il clamoroso 1-0 nell’estate del 1986. Lo chiamano “il sindaco”, corre per il campo con la barba sfatta e i capelli lunghi, nel calcio dei numeri dall’1 all’11 è un’anomalia: veste la 9, pur non essendo un centravanti. Le leggi del mercato hanno privato il Parma del numero 10, la mezzala di fantasia. Fausto Pizzi è tornato all’Inter e le telefonate di Scala a Trapattoni non sono servite a nulla, il club ducale ripiega sul veterano Stefano Cuoghi, meno abituato a incendiare le fantasie del pubblico ma giocatore esperto e concreto. Un modo per liberare ancora di più l’estro offensivo di Osio, cavallo pazzo sempre pronto a inserirsi in area di rigore.
Davanti, due giovanissimi. Sandro Melli è l’idolo di casa, ha ventuno anni, è un attaccante mobile e dedito al sacrificio ma che sa mantenersi lucido sotto porta. È nato ad Agrigento a causa del lavoro del padre, calciatore dell’Akragas, ma è parmense al 100%, la erre arrotata non mente. Ha firmato la rete promozione insieme a Osio nel match con la Reggiana, il massimo per uno di queste parti: «Una promozione in Serie A, contro i cugini, per me che sono di Parma, è stata un’emozione indescrivibile, un momento di passione pura. Magari non è una coppa, ma è quello che avevo sempre sognato di fare da quando andavo in curva». Farà coppia con lui un giovane svedese, Tomas Brolin, arrivato al posto di Maurizio Ganz, lasciato andare con un filo di leggerezza dopo una stagione da soli cinque gol in cadetteria.
Al timone, come detto, c’è Nevio Scala. Zona fino agli ultimi 20 metri di campo, in area ci si attacca all’uomo, cascasse il mondo. Il 5-3-2 è stato uno dei moduli simbolo dei Mondiali italiani, il tecnico del Parma rivendica la sua originalità: «Lo facevo dai tempi della Reggina». Dall’esperienza in Calabria ha portato un preparatore atletico giovanissimo e all’avanguardia, si chiama Ivan Carminati e diventerà uno dei migliori al mondo. Chi si aspetta una matricola timida e prudente è fuori strada: «Il Parma non è né schivo, né timido. Ciò significa che non ha coscienza dei propri limiti? Certo che ce l’ha. Ma allo stesso tempo è presuntuoso. Anzi, lo annuncio: siamo presuntuosi, sino al confine con l’arroganza e l’indisponenza. Davanti a quel confine ci fermiamo. Siamo ostinati e orgogliosi, noi del Parma». Scala conosce il valore della fatica e l’importanza di un gruppo compatto, senza stelle, con tutti i suoi uomini pronti a remare nella stessa direzione. Non a caso, il suo rapporto con Tanzi andrà in crisi nella seconda fase del progetto Parma, all’insegna delle star conclamate. «I divi non li ho e se li avessi li pregherei gentilmente di mettersi al totale servizio della comunità. Il divismo è una piaga, io lavoro per costruire un’allegra, briosa, coraggiosa compagnia. Non tutti sono uguali, qui e altrove. C’è chi è più maturo, chi è più ragazzino. Un allenatore non è soltanto un insegnante di pedate, è uno che deve capire. Se non capisce, cambia mestiere».
Il modulo base di Scala è praticamente intoccabile: possono cambiare gli interpreti, non i concetti di gioco. Sorce, Catanese e Monza sono i primi cambi, Mannari è la riserva di Melli e Brolin. Al giorno d’oggi, il modulo di quel Parma sarebbe senz’altro codificato come un 3-5-2.
Il campionato
Nel racconto della stagione del Parma sin dalle prime sgambate estive, non mancano i classici luoghi comuni. Massimo Gramellini, all’epoca dei fatti impegnato nella redazione sportiva de La Stampa, non si nega un incipit gastronomico, definendo la sfida della formazione di Scala «nata fra le scaglie di parmigiano disseminate con generosità sui tavoli», come se a Parma fossero tutti impegnati a mangiare parmigiano dalla mattina alla sera. Il problema principale riguarda lo stadio, il Tardini è piccolo per la Serie A. Si rimane lì, con lo scopo di costruire un nuovo impianto o di ampliare quello già esistente: per chi, negli ultimi anni, è abituato a vedere lo stadio di Parma con gli spalti attaccati al campo, le immagini degli spazi sotto le due curve sembrano provenire da un’epoca lontanissima.
Italia ’90 ha lasciato il calcio nostrano in una sorta di sbornia finita male, si pensava al successo e invece è arrivato soltanto un terzo posto. Ma siamo padroni d’Europa: il Milan ha vinto la seconda Coppa dei Campioni di fila, la Sampdoria ha trionfato in Coppa delle Coppe, la Juventus ha messo le mani sulla UEFA prima di rinunciare alla normalità di Zoff per provare i brividi della zona. Il calendario del Parma non è tenero, per il battesimo del fuoco c’è proprio la nuova Juve di Maifredi, tecnico molto apprezzato da Scala: «Mi piace quando vola alto con le dichiarazioni, fa bene. Dobbiamo piantarla con l’avarizia e divertirci a guardare lontano. I loro singoli sono eccellenti, farne un buon cocktail sarà un problema serio. Ma io vorrei essere Maifredi e avere la sua Juventus. Si vanti pure, sarebbe colpevole se non lo facesse».
I bianconeri arrivano in Emilia con il ricordo ancora caldo delle cinque reti subite dal Napoli in Supercoppa ma fanno rispettare il peso del pronostico, sbancando Parma con le firme di Napoli e Baggio. Inutile il rigore di Melli a 2 minuti dalla fine. Saranno gli unici, insieme al Pisa in una giornata di fine marzo, a uscire con i due punti dal Tardini. Segue uno 0-0 in casa della Lazio di Zoff prima di accogliere un’altra grande, il Napoli. La Supercoppa ha ingannato tutti, gli azzurri sono in versione assai decadente, con un Maradona triste e immalinconito. Gli ingredienti per l’impresa del Parma ci sono tutti, l’uomo della storia è ancora una volta Osio: come ai tempi dell’Empoli, è lui a firmare la prima vittoria in Serie A del club.
Un punto in tre partite per i campioni d’Italia, lo 0-0 del debutto contro il Lecce. Poi la sconfitta interna con il Cagliari e il ko griffato Osio. In occasione del gol, si vedono alcuni dei principi fondanti del gioco di Scala: le discese degli esterni – c’è De Marco a destra titolare al posto di Donati – e gli inserimenti dalle retrovie di Osio, ulteriormente responsabilizzato in questa gara dall’assenza di Brolin al fianco di Melli.
Scala è raggiante, vede che i suoi possono giocare a testa alta anche in A. «La gabbia che avevamo preparato per Maradona ha funzionato a meraviglia. Zoratto lo marcava quando arretrava, Grun e Apolloni a turno in posizione avanzata». Altro pari esterno con il Bari, quindi un prestigioso 0-0 con la Sampdoria. La terza trasferta stagionale dà la misura di quello che il Parma potrà fare in campionato. A Firenze è scontro tra due profeti del 5-3-2. Il tecnico dei viola è Sebastião Lazaroni, fulminato dalla critica brasiliana dopo Italia ’90 e accasatosi alla Fiorentina. Il primo gol su azione del campionato di Melli è un capolavoro di coordinazione, precisione e rapidità d’esecuzione. Si accartoccia dopo uno stop di petto, ritrovando l’equilibrio sufficiente per girare al volo da 20 metri e battere Landucci con una traiettoria a scendere sotto la traversa. Il gioiellino della formazione ducale fa il bis poco più tardi, Brolin sigla la rete del momentaneo 0-3 e poco sposta l’incompiuta rimonta viola fino al 2-3. «Abbiamo giocato un primo tempo magistrale, con grande saggezza. La squadra ha raccolto quello che ha seminato», afferma Scala con un sorriso impercettibile.
Il momento magico prosegue: tre vittorie nelle successive quattro gare, su Roma, Pisa e Cagliari, con l’unico passo falso a San Siro, sponda Inter. Il Parma cade in casa del Genoa e poi infila altri cinque risultati utili consecutivi, con Bologna, Atalanta, Torino, Lecce e Cesena. Dopo sedici giornate è a soli tre punti dalla vetta, occupata dal Milan, e all’ultima del girone d’andata tocca proprio ai rossoneri sfidare la matricola terribile. È il capolavoro della stagione.
Come da tradizione, gli attacchi dei servizi di Franco Zuccalà ci portano su un universo parallelo. Melli fa a pezzi la difesa rossonera, doppietta nei primi 34’ di gara e il 2-0 è servito. “Sandro Melli segna per noi” è il coro che accompagna la festa di un Parma bello da impazzire.
Melli gira a dieci gol a metà stagione ma vola basso. «Si parla sempre di Melli, Brolin e Osio, dei miei compagni in difesa non parla mai nessuno, sono eccezionali. Fare gol al Parma, in questo momento, è più difficile che fare gol al Milan». Il Parma diventa un caso, un modello da studiare, da seguire con orde di giornalisti. Arrivano le prime serate in TV, le conferenze stampa con una trentina di accreditati. Fantascienza, almeno fino a pochi mesi prima. I punti dall’Inter campione d’inverno sono due, in mezzo c’è il Milan.
Minotti e compagni sono nel gruppo delle terze con Sampdoria e Juventus, all’orizzonte c’è proprio il big match con i bianconeri. I giornali caricano l’attesa, la sparata di Giorgio Pedraneschi, presidente del club ed emanazione di Calisto Tanzi, non aiuta a mantenere la calma: «A questo punto, cominciamo a pensare allo scudetto». È una frase in totale contrasto con le dichiarazioni dei calciatori, forse fin troppo prudenti. «Abbiamo guadagnato un altro punto sulla zona calda, la salvezza è sempre più vicina», dichiara Osio dopo il successo sul Milan. Fioccano le interviste, e Scala racconta con una punta d’orgoglio il suo lavoro. «Dall’estate dell’89, la campagna acquisti-cessioni è stata impostata sulle mie indicazioni. Discusse con la società, ma mie. La squadra funziona perché ogni tassello arriva quando sono certo risponda alle mie necessità di gioco».
Lo provocano su Taffarel, secondo tutti un acquisto voluto da Tanzi, ma non cede di un millimetro. «Il presidente mi ha fatto presente le esigenze dell’azienda, proponendo al mio giudizio una serie di giocatori brasiliani e dicendomi che contava prima il mio parere, poi gli interessi commerciali. Li scartai tutti, tranne Mazinho, ma ormai era tardi. Cercavamo un portiere, volevo Rosin ma ci hanno chiesto una follia. Allora sorse l’idea Taffarel e mi stava bene, considero un portiere forte ed esperto quasi il 50% di una squadra. Lo avevo visto ai Mondiali, come Brolin e Grün. Tasselli giusti». Scala e Pastorello hanno lavorato nel solco del risparmio: i miliardi a disposizione per la campagna acquisti erano 18, ne hanno spesi 6 e mezzo. Si inizia a parlare di premi scudetto, 200 milioni a testa, forse qualcosa in più. Un volo progettato con troppo anticipo sulla tabella di marcia.
A Torino non c’è Melli, squalificato e in tribuna insieme all’altro grande assente di giornata, Totò Schillaci. È una catastrofe, la Juventus vince 5-0. Il Parma torna piedi a terra nel peggiore dei modi, bisogna rimettere insieme i cocci. Lo 0-0 interno con la Lazio muove la classifica, le quattro reti subite da un Napoli in crisi nera non aiutano certo l’umore. L’autorete di Brambati frutta due punti in Parma-Bari, poi sulla strada della formazione di Scala c’è la nuova capolista, la Sampdoria.
Per mezz’ora è grande Parma, le parate di Pagliuca sono decisive, quando lo 0-0 sembra apparecchiato è Roberto Mancini a firmare una vittoria decisiva in ottica tricolore, piegando soltanto al 92’ un Taffarel che era stato sublime su Cerezo poco prima. La prestazione dà nuovo coraggio ai ducali: 1-0 alla Fiorentina con rete di Minotti, 1-1 a Roma, quindi lo 0-0 interno con l’Inter, che aveva appena agganciato la Samp in vetta. Il 24 marzo 1991 arriva la seconda sconfitta casalinga, frutto di un inspiegabile blackout con il Pisa, avanti di tre gol dopo poco più di un’ora di gioco con le folate di Padovano e Neri.
Dopo la scoppola di Torino, è il secondo momento di grande sbandamento della stagione, che si trascina nel ko di Cagliari nel sabato di Pasqua. Il Parma si ritrova sesto, in coabitazione con Lazio e Torino, tallonato a una sola lunghezza da Atalanta e Roma. L’incontro con il Genoa ha il sapore dello spareggio, il "Grifone" è avanti di due punti. Apre Melli e risponde Ferroni, Scala pesca il jolly dalla panchina. Fuori Catanese per Sorce al 63’, il nuovo entrato va a segno nel giro di un minuto con un bell’inserimento sul secondo palo su un cross da destra. È un successo vitale, che dà slancio per la vittoria di Bologna (1-3) e per il successivo 0-0 in casa dell’Atalanta, tenuta a debita distanza.
Con quattro gare da giocare, è palese che una tra Genoa, Juventus, Parma e Torino rimarrà con la pagliuzza più corta in mano. Sono appaiate a 34 punti, davanti c’è un canyon prima dei 41 punti del Milan, alle spalle Atalanta e Napoli a 31 e il duo capitolino a quota 30. Scala dovrà farcela senza Melli, ai box per infortunio. Lo 0-0 con il Torino è un risultato positivo, la sconfitta a Lecce è una mezza tragedia.
Mancano 180 minuti e il Parma non può più sbagliare. È ancora sesto, ma insieme soltanto alla Juventus (35 punti). Torino a 36, Genoa a 37, Lazio e Napoli di rincorsa a 34. C’è ancora speranza per tutti, il calendario, per una volta, dà una mano. Parma-Cesena finisce 2-0 con le reti di Osio e Brolin, è un bel pezzo d’Europa. Vince anche la Juventus (4-2 sul Pisa), cade la Lazio che è fuori dai giochi, il Napoli non va oltre l’1-1 con la Roma e alza bandiera bianca. Di minuti ne restano 90, Genoa-Juventus è un dentro o fuori che rimarrà nella storia dei due club. La pazzesca punizione di Branco, il sigillo di Skuhravy, Osvaldo Bagnoli portato in trionfo come fosse uno scudetto, la Juve che resta fuori dalle coppe europee dopo 28 anni. Il Parma ce la fa, rimediando uno 0-0 che vale oro nell’ultima da tecnico milanista di Arrigo Sacchi.
Non solo il punto per la certezza aritmetica del sesto posto: il Parma ringrazia il Milan anche perla folle notte di Marsiglia, che vale un anno di squalifica e “libera” un posto in più in Coppa UEFA.
Il pareggio non va giù ai complottisti, anche perché anticipato da un desiderio di Sacchi alla vigilia: «Sarei felice se noi finissimo secondi e il Parma conquistasse la zona UEFA. Proprio da Parma ho spiccato il balzo verso il Milan, la squadra gialloblù è stata l’unica a batterci con un calcio migliore del nostro, con il quale ha onorato questo campionato». Nel momento della festa, Scala fa un passo indietro: «I miei meriti? Pochissimi, al contrario della squadra, che ha sempre giocato ad alto livello e ha capito quello che pretendevo. Ringrazio Zoratto, ancora una volta il migliore, ha ripagato la fiducia che avevo riposto in lui».
Sandro Melli non toccherà mai più quota 13 gol in A in una singola stagione: fermo a 6 un anno più tardi, il nuovo picco di 12 nel 1992/'93, poi i problemi fisici a frenare un talento in rampa di lancio. Gambaro andrà al Milan per recitare il ruolo di comparsa in due stagioni agli ordini di Fabio Capello, Benarrivo e Di Chiara diventeranno i padroni delle fasce di un Parma vagamente frenato dalla tripla competizione: settimo posto in campionato, fuori ai trentaduesimi di finale in Coppa UEFA. Arriverà però il primo trofeo della storia del club, la Coppa Italia. Sempre con la compostezza di Nevio Scala al timone, l’uomo dei quattro titoli: seguiranno la Coppa delle Coppe (1992/'93), la Supercoppa Europea (1993) e la Coppa Uefa (1994/'95), decisamente il punto più alto della sua gestione.
L’impero non sportivo di Calisto Tanzi crollerà nel giorno dell’Immacolata del 2003, con l’annuncio della Parmalat di non avere fondi sufficienti per la restituzione di un bond da 150 milioni. Il vento che spazza via i granelli di sabbia, lasciando mezzo mondo a interrogarsi sui perché, su chi sapeva e ha taciuto, su chi doveva intervenire prima e non l’ha fatto. Il Parma riuscirà a schivare il rischio fallimento con un cambio di nome e una gestione volta a mettere il club all’asta, prima dell’arrivo di Tommaso Ghirardi nel gennaio del 2007. Altri sei anni di tranquillità, poi i primi fantasmi. Il bislacco passaggio di proprietà nelle mani di Taci, la surreale parentesi di Giampietro Manenti, il crollo. E tutti, di nuovo, a interrogarsi sui perché.
Nel momento più buio, con la nuova società in Serie D, è venuto spontaneo ripensare a Nevio Scala. Non per la panchina, ma per la presidenza. Il vecchio saggio che torna a guidare la barca nelle intemperie, anche se solo per un anno e mezzo. Ma questa è decisamente un’altra storia.