Cosa c'entrano un regime dittatoriale, l'ipnosi, la magia nera, alcuni santoni omicidi e un vasetto di yogurt con il gioco degli scacchi? Potrebbe sembrare la trama di un film o di una serie tv, magari ancora più estrema de La Regina degli Scacchi, ma negli scacchi del secolo scorso – come ben sa chi conosce la turbolenta vicenda umana e sportiva di Bobby Fischer – l'immaginazione superava spesso e volentieri la realtà, e tutti questi elementi convergono davvero sul palco più importante, quello della finale del Campionato Mondiale del 1978 – celebre non tanto per la qualità del gioco espresso dai due contendenti, Anatoly Karpov e Viktor Korchnoi, quanto per essere stata una delle sfide più controverse, “sporche” e semplicemente bizzarre di sempre.
Il quadro politico a dir poco frizzante di quegli anni, tanto per cominciare, non aiutava certo a rasserenare degli animi già tesi – né la scelta della FIDE di organizzare la sfida nella città di Baguio, Filippine, località a 1500 metri di altitudine e celebre centro universitario del paese, che sembrerebbe un luogo ameno se non fosse che le Filippine, all'epoca e fino al 1981, erano sottoposte alla legge marziale, cortesia del regime dittatoriale di Ferdinand Marcos. Un personaggio che non avrebbe sfigurato nel teatrino delle finali 1978, Marcos: noto per i modi stravaganti e una certa simpatia per corruzione e violenza, era salito al potere millantando imprese belliche mai realmente compiute, e prima di venire deposto, nel 1986, aveva arraffato l'equivalente di una cifra compresa tra i cinque e i dieci miliardi di dollari dalla banca nazionale.
Ma il legame tra scacchi e politica, in quegli anni, andava più in profondità di così. Karpov era scacchista “di regime”, accompagnato a Baguio da un corteo di dignitari e funzionari, che sposava e rappresentava pienamente l'immaginario sovietico. Korchnoi, all'opposto, era un disertore che si era trasferito all'estero e subiva pertanto un continuo boicottaggio da parte dell'Unione Sovietica.
Le controversie, è facile intuirlo, cominciano già prima che i due giocatori si siedano alla scacchiera (secondo il formato, sarebbe stato decretato campione il primo a raggiungere sei vittorie). Karpov ha la bandiera sovietica a sventolare dal suo lato, mentre a Korchnoi viene negata la bandiera svizzera, suo nuovo paese di adozione.
C'è poi il problema di che musica suonare alla cerimonia di apertura. Si comincia ovviamente con l'inno del paese ospitante, le Filippine, poi il programma prevede l'inno sovietico per Karpov e... per Korchnoi? Niente inno svizzero, ovviamente, perciò lo stesso giocatore propone in alternativa l'Inno alla Gioia – una sottile provocazione, perché Beethoven compose la musica intorno a un testo tedesco, di Schiller, intitolato Freiheit, libertà, da accompagnare alla provocazione ben più palese di restare seduto durante l'inno avversario. La situazione, a ogni modo, precipita subito nel grottesco e manda in malora ogni piano quando l'orchestra confonde gli spartiti e, al posto dell'inno sovietico, suona L'Internazionale.
Oltre ad avere idee politiche opposte, Karpov e Korchnoi possiedono anche uno stile scacchistico contrastante. Metodico, paziente e ordinato il primo, uno dei più grandi strateghi della storia del gioco; più estroso e imprevedibile il secondo. La differenza di stili, oltre alla palese antipatia fra i due, non riesce però a produrre sfide entusiasmanti. Le prime partite si concludono in pareggi piuttosto soporiferi, mentre le cose più interessanti continuano ad accadere fuori dalla scacchiera – o almeno nelle sue immediate vicinanze.
Il mirtillo della discordia
Forse Korchnoi e la sua squadra sapevano di partire svantaggiati nei confronti di Karpov, apparentemente imbattibile in quegli anni, e avevano studiato un piano per distrarlo. Oppure, più semplicemente, lo sfidante voleva vendicarsi del boicottaggio subito dalla ex-patria e aveva deciso di dare libero sfogo al suo carattere capriccioso – e alle sue idee più moleste.
Fatto sta che Korchnoi comincia a seminare sospetti quando rifiuta la sedia sistemata a bordo scacchiera dagli organizzatori e si porta la propria dall'hotel: sedia che verrà ovviamente passata ai raggi X su richiesta di Karpov per assicurarsi che non contenesse microspie o altri gadget tecnologici.
Poi è la volta dello yogurt, cioè il fatto più interessante che accade sulla scacchiera nelle prime sette partite. Durante gara 2, Karpov riceve da un assistente uno yogurt al mirtillo – spuntino che, tuttavia, il giocatore non aveva espressamente ordinato. Korchnoi va su tutte le furie, sospettando un messaggio in codice. “La ricezione di yogurt o altre sostanze rappresenta una grave violazione del regolamento FIDE”, scriverà in una nota di protesta ufficiale. “Ricevere uno yogurt dopo la mossa 20 potrebbe significare offri la patta, un mango a fettine potrebbe significare devi rifiutare la patta, un piatto di uova di quaglia marinate potrebbe significare gioca subito Ng.4, e così via. Le possibilità sono sconfinate”.
Alla fine verrà stabilito che Karpov potrà ricevere soltanto yogurt di colore viola, servito da uno specifico cameriere a un orario predeterminato, bandendo dal menu qualsiasi altra bevanda o pietanza. Korchnoi intanto ha già trovato il nuovo oggetto della discordia.
Il mago nero
Nella squadra di Karpov è presente un personaggio a dir poco pittoresco: risponde al nome di dottor Vladimir Zukhar, psicologo (o più correttamente parapsicologo) ed esperto di ipnosi con un fumoso passato nell'esercito sovietico. Il suo ruolo ufficiale è quello di aiutare Karpov a dormire e rilassarsi, ma in realtà lo troviamo sempre seduto in prima fila durante le partite, nero come un uccello del malaugurio, intento a fissare intensamente Korchnoi senza distogliere lo sguardo per ore e ore.
Lo sfidante teme che Zukhar sia lì appositamente per ipnotizzarlo, o comunque interferire con le sue “onde cerebrali”, perciò convince gli organizzatori a farlo spostare più indietro, nella settima fila. Dopo essersi consultato con un luminare di Cambridge, però, e aver appreso che l'ipnosi funziona anche a distanza, Korchnoi ricorre al rimedio definitivo, che per altro, se lo avesse fatto oggi, lo avrebbe trasformato istantaneamente in un meme: si presenta alla scacchiera con un paio di occhiali da sole, in cui Karpov può specchiarsi. Korchnoi se li sfila e se li rimette a più riprese durante la partita.
Karpov inizia a essere infastidito dalle provocazioni del rivale e, in apertura di gara 8, commette un gesto decisamente irrispettoso nell'ingessato mondo degli scacchi, rifiutando di stringere la mano all'avversario. Peccato, tuttavia, che non si sia spinto oltre replicando quel che fecero Pal Benko e Mikhail Tal nel 1959, quando Benko accusò Tal di ipnotizzarlo e si premunì inforcando gli occhiali da sole, ma Tal aveva già la contromossa pronta nel taschino, cioè un paio di ridicoli occhiali da sole sproporzionati, acquistati in un negozio di costumi poco prima.
Se Karpov è innervosito, comunque, sulla scacchiera non lo dà a vedere. In gara 8 registra la sua prima vittoria, con una condotta metodica e impeccabile come sempre. Korchnoi capisce che deve inventarsi qualcosa di nuovo anche con i pezzi in campo, e non solo con quelli fuori, e pareggia i conti in gara 11 quando spariglia subito le carte con un'apertura insolita, quasi come un pugile che si sfila i guantoni per invitare l'avversario a una scazzottata vecchio stile – terreno più congeniale a lui che a Karpov.
Lo stratagemma funziona, ma Karpov non è tipo da farsi ingannare due volte, e si riporta velocemente in vantaggio per 3-1. Korchnoi è sempre indaffarato a combattere la sua nemesi, lo stregone Zukhar. Prima di gara 17, perde così tanto tempo a litigare con gli organizzatori nel tentativo di allontanarlo che si presenta alla scacchiera con oltre dieci minuti di ritardo. Un ritardo che gli costerà caro.
Korchnoi gioca in maniera brillante, costruisce un ampio vantaggio, ma sta esaurendo il cronometro a sua disposizione e si mette a inseguire disperatamente il re di Karpov in giro per la scacchiera, finendo dritto nella tana della volpe: Karpov ingabbia il re nemico con due cavalli in un angolo della scacchiera, e strappa una preziosissima vittoria con il nero alla mossa numero 39 – con una sola mossa in più, Korchnoi avrebbe posticipato la partita all'indomani guadagnandosi del tempo aggiuntivo, mentre adesso lui e la sua squadra restano a fissare la scacchiera per lunghi minuti, increduli per quella vittoria sfuggita di mano sul più bello.
Pace, amore e tentati omicidi
Per Korchnoi è arrivato il momento di tirare fuori l'artiglieria pesante. Se Karpov ha nel suo angolo uno stregone nero, lui sceglie di rispondere con la magia bianca, la forza dell'armonia e dell'amore. Assolda in tutta fretta due santoni il cui curriculum solleva da subito qualche perplessità: i due religiosi, al secolo Steven Michael Dwyer e Victoria Shepperd, si presentano alle partite accomodandosi sul pavimento nella posizione del loto, e cominciano a meditare per aiutare il loro protetto contro l'oscura influenza di Zukhar, vestiti con le sgargianti tuniche e turbanti arancioni del loro ordine, l'Ananda Marga. Quando gli organizzatori chiedono alla squadra di Korchnoi di abbassare i toni, lui risponde mostrando alle telecamere della diretta TV una sessione di meditazione trascendentale tenuta dai due guru nella sua camera d'albergo.
Lo scetticismo sulla tutt'altro che specchiata moralità della coppia, tuttavia, non era infondato: si viene infatti a sapere che Dwyer e Shepperd erano stati recentemente arrestati e poi rilasciati su cauzione per il tentato omicidio di un diplomatico indiano, e la FIDE non può fare altro che cacciarli, costringendo un sempre più disperato Korchnoi a raccattare parapsicologi o ciarlatani locali da piazzare tra il pubblico per costruire il suo “muro telepatico” contro i poteri oscuri di Zukhar.
Mentre sugli spalti va in scena questa sorta di armageddon psichica, l'inerzia sulla scacchiera finalmente cambia: sarà grazie all'influsso positivo della meditazione, sarà perché Karpov, stremato dalle lunghe partite e dal contesto caotico, inizia a perdere la pazienza, ma Korchnoi mette in fila tre vittorie, tra cui una particolarmente brillante con il nero, gara 28, caratterizzata da un endgame fantasioso per scardinare i solidissimi fondamentali del campione in carica.
Con il punteggio in parità, cinque vittorie a testa, il formato prevede che il prossimo giocatore a vincere una partita conquisterà il titolo di campione del mondo. Viste le premesse, per gara 32 ci si aspettavano fuochi d'artificio ancora più imprevedibili, magari l'ingresso in scena di un nuovo, personaggio magnetico, e invece sembra proprio che, insieme ai tatticismi sulla scacchiera, siano saltati anche i coup de théâtre. Il campionato mondiale di scacchi si decide, guarda un po', giocando a scacchi, ed è un finale anticlimatico ma fondamentalmente onesto. Karpov gioca una partita semplicemente perfetta, combinando attacco e difesa nel suo classico stile sobrio, che non lascia aperture e punisce con poche mosse chirurgiche, mentre Korchnoi ha davvero esaurito i conigli nel cilindro.
A meno che... Nessuno ci vieta di immaginare un finale diverso, in fondo, più poetico e appropriato. Lo sport è fatto di storie, e le storie appartengono a chi le ascolta, mutano con il passaparola. Un finale dove Karpov, il gelido e matematico Karpov, ha ceduto al fascino dell'occulto ripagando il rivale con la sua stessa moneta – ma in silenzio, a sangue freddo, senza dare nell'occhio, come nel suo stile. Affidandosi al sostrato mistico locale, ai potenti culti misterici ancora nascosti nelle Filippine.
Poco dopo la fine dell'evento, si viene a sapere che la polizia di Baguio ha arrestato tre persone, che chiedevano quindicimila dollari o altrimenti avrebbero maledetto Korchnoi con la magia nera per fargli perdere il campionato. Nessuno sa se qualcuno ha effettivamente ceduto al ricatto o meno.