L’Inter ha vinto il suo diciannovesimo scudetto, superando così il Milan fermo a 18. Lo ha fatto dando una schiacciante sensazione di dominio e superiorità rispetto alle avversarie, non lasciando alcun dubbio sul merito della vittoria finale. Eppure il percorso è stato meno lineare di quanto oggi - alla luce di una vittoria arrivata con quattro giornate di anticipo - ci può sembrare. L’inizio di stagione è stato invece estremamente tribolato, con la squadra che faticava a trovare un equilibrio difensivo e una costanza all’interno anche delle stesse partite. Era ancora la “pazza Inter”: esattamente quella che Conte era arrivato per cambiare. Ci sono state conferenze esagerate, cupe, paranoiche, e poi con l’inverno sono arrivati i sorrisi, sempre un po’ tesi, per non permettere che qualcuno si mettesse in testa di poter abbassare la guardia. Come ha fatto notare Opta, l’Inter è salita in testa alla classifica solo il 5 febbraio, per rimanerci poi meno giorni del Milan, nel computo complessivo. Nonostante a inizio anno si parlasse addirittura di “obbligo di vittoria”, non c’è niente di scontato in uno scudetto che interrompe la striscia di nove consecutivi da parte della Juventus. Una vittoria che quindi interrompe un’egemonia sul campionato italiano che era calcistica, ma anche finanziaria e persino psicologica. La squadra di Conte è riuscita a scalfire questo dominio superando le difficoltà e scendendo a compromessi senza perdere di vista i princìpi tattici che l’hanno guidata dall’inizio. Abbiamo ripercorso la strada per il titolo analizzando e raccontando le tappe più importanti, le partite che per un motivo o l’altro hanno rappresentato delle svolte decisive. Le partite con cui l’Inter ha vinto il suo diciannovesimo scudetto.
26 settembre 2020: Inter - Fiorentina 4-3
L’Inter aveva chiuso la scorsa stagione battendo Napoli e Atalanta, ma il clima da fine scuola e la sbornia delle partite ravvicinate aveva messo quasi in secondo piano i risultati. Nel frattempo però la Juve perdeva le sue ultime partite, Sarri era praticamente andato e il campionato si chiudeva con appena un punto di distacco fra le due squadre. Con un minimo di prospettiva si poteva già intuire la rivoluzione dei pianeti. In piena estate il mini-torneo in Europa League ha cementato le certezze della squadra, e non aver alzato il trofeo alla fine ha creato uno strano conflitto: l’Inter aveva dato la sensazione di poter vincere, ma la sconfitta in finale col Siviglia aveva anche dimostrato la sottile differenza tra poter vincere e farlo per davvero. La situazione perfetta per far impazzire Antonio Conte, che ha tante qualità ma di certo non quella di saper alleggerire la pressione attorno alla squadra. Altri motivi di pressione per l’Inter: l’arrivo di Hakimi, il caos decisionale che ha afflitto la Juventus, un Milan che a un certo punto vinceva semplicemente tutte le partite che giocava. Che beffa sarebbe stata, dopo tutto il lavoro e gli investimenti, vedersi scippare lo Scudetto dai cugini?
Conte ha approcciato la conferenza pre-stagione col chiaro intento di voler togliere, a parole, l’obbligo di vincere alla squadra. In fondo era un’idea che poteva far comodo solo agli altri. «Nessuna squadra ha l’obbligo di vittoria e nessun allenatore può assicurare al proprio club al 100% di poter vincere. Squadre come l’Inter hanno l’obbligo di essere protagoniste, di essere competitive fino alla fine». Come a rimarcare, di nuovo, quella differenza tra vincere ed essere competitivi che è il mantra degli allenatori italiani che hanno vinto quasi tutti gli scudetti dell’ultimo decennio, cioè Conte e Allegri, che amava ripetere: «Vincere non è mai facile» e un più moraleggiante: «Tra giocar bene e vincere c’è una differenza che sembra sottile, ma non lo è». Eppure tutti davano l’Inter favorita, nonostante la squadra che in Italia vinceva lo Scudetto da nove anni era un’altra.
Tatticamente Conte ha ripreso i concetti ambiziosi con cui aveva terminato l’anno prima: una squadra aggressiva, che vuole recuperare il pallone in alto e che ha rovesciato il triangolo di centrocampo per inserire la qualità di Eriksen dietro le punte. La prima avversaria è una Fiorentina ambigua, ripartita da Iachini in un’aria densa di scetticismo. Conte rinuncia ad Hakimi, inserito a piccole dosi: «Ha potenzialità importanti ma ha bisogno di tempo: abbiamo tre gare in 10 giorni».
Dopo 3’ l’Inter è già in svantaggio per una marcatura pigra di Bastoni che si perde Kouamè alle spalle. Una brutta immagine, quella del difensore fermo col braccio alzato mentre gli avversari si passano la palla davanti ad Handanovic. Poco dopo una serpentina di Ribery e un cambio di gioco trovano l’Inter fragilissima sul lato debole, una grande uscita del portiere toglie a Kouamè la doppietta. Kolarov, schierato centrale di sinistra (feel old yet?) dà qualità in impostazione ma è in difficoltà in copertura. Viene tolto pure un rigore al VAR su Lautaro e insomma, tutto sembra mettersi male. Il primo gol della stagione dell’Inter, che rimette in piede l’inerzia della prima partita, nasce da una conduzione di quaranta metri di Barella - quante ne farà fino a fine stagione? -, uno scarico su Lautaro che tira a giro sul secondo palo. Ceccherini si fa un autogol ridicolo e all’inizio del secondo tempo tutto sembra risolto; ma passano cinque minuti e Castrovilli buca la difesa dell’Inter con un inserimento concluso con primo controllo e tiro deliziosi. Si gioca su un campo lungo una partita di battere e levare dove l’Inter dà l’impressione di poter segnare e subire gol in qualsiasi momento. Sembra passata un’eternità, ma è l’Inter pazza e fuori controllo di inizio stagione. Dopo un’ora entrano Hakimi e Sensi, escono Young e un Eriksen di cui non si capisce l’utilità. Ribery è in una di quelle giornate in cui dribblerebbe pure uno sciame d’api, dà un filtrante incredibile per lo scatto di Federico Chiesa sul lato debole, che poi finalizza con uno scavetto brutto ma efficace. Ribery dribblava, Chiesa giocava con la maglia della Fiorentina e l’Inter aveva preso tre gol in poco più di un’ora. Sembra davvero un’altra epoca.
Bisogna arrivare quasi al novantesimo per vedere l’Inter segnare un gol eccezionale: Sanchez, rifinitore devastante già alla fine della scorsa stagione, riceve la sponda di Lukaku e serve l’inserimento di Hakimi, che di prima la mette di nuovo per Lukaku che segna. Due minuti dopo ancora Sanchez mette un cross che sembra sciatto - troppo alto, troppo lento - ma che trova la testa di D’Ambrosio che, calcolando le ultime due partite del 20/21, segna il suo terzo gol consecutivo in campionato. È una di quelle partite che l’Inter vince al ‘90 con un gol di D’Ambrosio che si inserisce sul secondo palo. Quante ne abbiamo viste? Era un segno che la buona sorte era dalla parte della squadra di Conte, o che la squadra aveva ancora bisogno di ricorrere ai talismani e al misticismo per risolvere partite che sembra perdere da sola?
La conferenza di Conte post-partita tira fuori il nodo principale della stagione dell’Inter: il compromesso tra l’ambizione e l’equilibrio. Il sacro graal di chi vuole vincere la Serie A. «Abbiamo fatto una fase offensiva importante e questo ha dato seri problemi alla Fiorentina ma quando attacchi devi essere bilanciato».
28 novembre 2020: Sassuolo - Inter 0-3
Due mesi dopo l’Inter è in crisi. La squadra è quinta in campionato e ultima nel girone di Champions League. L’ambiente è in ebollizione e Conte non ne parliamo nemmeno. La squadra segna e subisce molto, e vive partite sempre sul filo degli episodi, senza alcun controllo. Non c’è niente che sembra segnare in modo più chiaro il fallimento di Conte: «No more Pazza Inter» aveva detto Cattelan alla presentazione, e la canzone era stata bandita dallo stadio come richiamo programmatico da Unione Sovietica. L’Inter doveva diventare una squadra solida, realista e vincente, ma era l’Inter di sempre. La squadra che si è qualificata in Champions League grazie a un gol al 90’ di Nainggolan a Empoli. Si ripetono alla nausea i paragoni con Marcello Lippi e con l’incapacità di trasportare la mentalità juventina all’Inter. La conferenza prima della partita in Champions è Conte in purezza, con le sue strane circonlocuzioni, il tono passivo-aggressivo, una cupezza generale uber-paranoica: «È un dato di fatto che si cerca sempre di negativizzare il tutto». La squadra perde 2-0 col Real Madrid e quasi esce dalla Champions, lo storico tallone d’Achille dell’allenatore. Alla mezz’ora Arturo Vidal, fedelissimo di Conte, si è fatto espellere e «L’espulsione ci ha tagliato le gambe» aveva detto il tecnico dopo la partita. Striscia la notizia gli consegna il tapiro d’oro: «Se non mangerò il panettone non l’avrò meritato» rassicura. Su Twitter l’hashtag #ConteOut è in tendenza. Si parla di un ritorno di Spalletti; ci sarebbe anche un’intesa con Allegri, manco a dirlo. La squadra ha subito 20 gol in 12 partite: 1,6 ogni 90 minuti.
Contro il Sassuolo gioca Gagliardini insieme a Brozovic, con Barella a coprire un’immensa porzione di campo dalla linea mediana alla trequarti. Un giocatore caotico e incredibilmente dinamico come Barella troverà la cornice ideale per esprimersi, mentre l’Inter troverà più equilibrio. La squadra via via comincerà a pressare meno, alternando momenti di grande intensità e baricentro alto a difese posizionali più pazienti e accorte. La partita col Sassuolo in quel momento pareva più difficile di quanto forse ricordiamo, non solo per il momento dell’Inter ma anche perché la squadra di De Zerbi era ancora imbattuta, proseguendo un momento di brillantezza che durava dalla ripresa del campionato in estate. Dopo 4 minuti però l’Inter è già in vantaggio, con un gol di Sanchez arrivato dopo un’azione testarda di Lautaro - il giocatore che finirà il campionato con più presenze, 34, insieme ad Handanovic. Il 3-0 lo segna Gagliardini con un gol stupendo d’esterno su assist di Darmian, l’anima operaia dell’Inter. La squadra ha prodotto tanto e concesso poco a uno degli attacchi più efficaci del campionato. Il momento è ideale per uno sfogo di Conte: «Complimenti ai ragazzi perché all'Inter non è semplice niente. A prescindere non si vede l'ora di buttare negatività. Dobbiamo essere bravi, ermetici, pensare a noi stessi e continuare a lavorare. Dobbiamo sapere che c'è gente che non vede l'ora di buttare non dico cosa su di noi. Vedere questo accanimento su di noi a prescindere, crea delle difficoltà ai calciatori». Poi qualche frecciatina condita dall’idea che si è soli contro un mondo in tempesta: «Quando la barca è in tempesta bisogna starci tutti sopra, senza lasciare l’allenatore o qualche calciatore affondare. Mi auguro che ora siamo tutti sulla stessa barca».
È un momento di svolta tattica, soprattutto. L’Inter abbassa il proprio baricentro, accetta meno rischi soprattutto col pressing, mentre in attacco continua ad affidarsi alla vena delle due punte e alle corse di Hakimi e Barella, sempre più determinanti. Se fino a quel momento aveva preso 20 gol in 12 partite, ne subirà poi appena 9 nelle successive 22. La media di gol subiti si abbasserà da 1,6 a 0,6. Gli amanti del riduzionismo possono anche dire che è tutto qui. I giornali scrivono che negli spogliatoi dopo la partita la squadra ha stretto il classico “patto-scudetto”.
16 dicembre 2020: Inter-Napoli 1-0
Quando arriva alla partita in casa contro il Napoli, l’Inter non aveva ancora vinto uno scontro importante. Alle sconfitte in Champions avevano fatto da contraltare i pareggi con Lazio e Atalanta e la brutta sconfitta nel derby contro il Milan. Dopo quattro vittorie consecutive ora bisognava misurare il reale spessore della squadra, contro un Napoli che - pare assurdo dirlo oggi - era ancora in lotta per lo scudetto. Nelle ultime partite Aveva fatto 4 gol a Roma e Crotone, e vinto di misura contro la Sampdoria. Prima della partita chiedono a Conte come se la sta vivendo questa cosa che dopo l’esclusione dalle coppe l’Inter è obbligata a vincere: «A sentire parlare di quasi obbligo mi viene da sorridere. Le squadre sono tante e si parte con l’ambizione di provare a vincere. Negli ultimi nove anni ha vinto sempre la stessa. Che ci sia per noi il quasi obbligo di vincere mi fa sorridere». Poi gli rimproverano la follia ai microfoni e lui risponde che non gli sta bene niente: «Io mi sto abituando a pensare che qualsiasi cosa faccia o dica viene vista sempre in maniera negativa. All’inizio dell’anno ero sereno in conferenza, e mi hanno accusato di non essere più io e di avere mollato. Adesso mi accusate dell’opposto. Devo trovare una via di mezzo».
Intanto, in mezzo a tutti i richiami all’equilibrio, rinuncia ad Hakimi e schiera Darmian a destra per aiutare Skriniar a controllare Insigne. L’Inter ha una grossa occasione con Lautaro all’inizio, ma poi il Napoli ne ha diverse per passare in vantaggio. In una in particolare è inconcepibile come Lozano non riesca a mettere in porta un tiro partito a 3 metri dalla riga. Handanovic fa una bella parata su un tacco di Insigne. L’Inter sta bassa, lascia quasi il 60% di possesso agli avversari, ma poi Darmian guadagna un calcio di rigore anticipando Ospina in uscita. Insigne viene espulso per proteste e Lukaku segna. Diventa una partita bloccata fino allo strategismo. Pure con un uomo in meno l’Inter se ne sta vicina alla propria porta, e Handanovic fa un vero miracolo su Politano. Petagna prende pure un palo. L’Inter, però, vince. Il Napoli, in dieci, finirà con 17 tiri verso la porta avversaria e 2,9 xG, contro i poveri 0,7 dell’Inter.
Secondo il luogo comune “sono queste le partite con cui si vincono gli scudetti”. Di certo questa è la partita in cui l’Inter sembra cambiare DNA, in cui diventa una squadra prudente, capace di governare gli episodi e di saper soffrire accettando anche la forza degli avversari. Non più una squadra che vuole dominare, ma una che cerca di minimizzare i rischi. Conte viene criticato per la passività mostrata in superiorità numerica, dice che la squadra ha avuto un po’ di “braccino”, ma poi taglia corto: «Era da vincere e me la metto in saccoccia»
17 gennaio 2021: Inter - Juventus 2-0
Al fischio d’inizio della partita tra Inter e Juventus all’esterno di San Siro era partita una sinfonia di fuochi pirotecnici durata quasi due minuti. Impossibilitati a sostenere la squadra dagli spalti, era stato il modo dei tifosi per far sentire la propria vicinanza ai giocatori dell’Inter, ma anche un messaggio preciso per sottolineare l’importanza di quella partita, dopotutto i fuochi d’artificio si fanno nei momenti importanti e quella partita con la Juventus lo era, per motivi di rivalità storica ma anche molto attuali, vista la situazione di classifica.
Stava finendo il girone d’andata e in testa le cose erano ancora piuttosto fluide. Il Milan era primo con tre punti di vantaggio sull’Inter; Juventus, Roma e Napoli erano appaiate subito dietro, senza neanche la certezza dei punti effettivi, visto che era ancora in ballo l’esito della sfida saltata tra bianconeri e azzurri. La squadra di Conte non era in un momento particolarmente positivo: aveva perso con la Sampdoria, poi si era fatta recuperare dalla Roma nel finale, infine pochi giorni prima per sbarazzarsi della Fiorentina in Coppa Italia aveva avuto bisogno di un gol nell’ultimo minuto dei supplementari di Lukaku. Prima della partita Conte aveva detto che l’Inter stava costruendo qualcosa di buono ma che «la Juventus resta la più forte». Per l’allenatore dell’Inter nessuna squadra era riuscita a colmare il gap a livello tecnico con i bianconeri e per essere al loro livello che l’Inter doveva «crescere in mentalità, imparare ad avventarci e ammazzare sportivamente l'avversario».
In campo l’Inter aveva preso alla lettera le parole del suo allenatore, prendendo il comando della partita dall’inizio per non lasciarlo più, mostrando una forza fisica e mentale che aveva annullato la Juventus. Il primo gol era arrivato dopo appena dodici minuti, quando Barella dopo aver ricevuto sull’esterno, dove si trovava per compensare un taglio verso il centro di Hakimi, e dopo aver ingannato Frabotta con una finta aveva messo al centro un cross tagliato di sinistro trovando il perfetto inserimento di Vidal che era saltato sopra Danilo. Per il centrocampista, ex mai troppo dimenticato a Torino, è stato il punto più alto di una stagione non troppo brillante che lo ha visto lentamente (forse anche troppo) scivolare fuori dai titolari. Quel gol rimarrà però un contributo importante. Dopo il vantaggio la squadra di Conte aveva completamente tagliato fuori dal gioco la Juventus, mettendone in luce tutti i punti deboli e solo un paio di errori sottoporta di Lautaro e Lukaku le avevano impedito di segnare il secondo gol già nel primo tempo.
Il raddoppio era poi arrivato all’inizio del secondo tempo con una giocata inaspettata di Bastoni (anche se dopo la partita aveva rivelato come fosse in realtà provata in allenamento: «È una cosa che proviamo da tanto tempo in allenamento. È riuscita solo stasera»). Dopo aver resistito a un pressing poco convinto della Juventus, il difensore aveva trovato mentre scivolava un perfetto lancio di settanta metri per Nicolò Barella, che intanto era scappato alle spalle della difesa della Juventus e una volta davanti a Szczesny l’aveva battuto con freddezza. La partita eccezionale di Barella, praticamente presente in tutte le zone del campo e nelle occasioni dell’Inter era stata la rappresentazione simbolica del sorpasso dei nerazzurri sulla squadra che negli ultimi anni ne aveva sempre fiaccato ogni minima aspettativa negli scontri diretti. Se l’anno precedente si può dire che la Juventus aveva vinto il campionato giocando le due migliori partite dell’anno proprio contro l’Inter, la vittoria di San Siro aveva cambiato l’ordine delle forze in campo. La superiorità dei giocatori dell’Inter, particolarmente evidente a centrocampo dove anche Brozovic aveva dominato il confronto con gli avversari, era apparsa così palese da lanciare l’Inter come candidata più credibile alla vittoria finale.
Quanto aveva contato quella vittoria, se non tanto nell’ordine dei 3 punti guadagnati su una rivale ma quanto piuttosto nel convincere i giocatori dell’Inter della propria forza, l’ha confermato lo stesso Barella. «È stata la partita in cui dentro di noi è scattato qualcosa in maniera definitiva. È stato emozionante perché quella partita ci ha dato la consapevolezza di essere forti» ha raccontato in un’intervista a Sky Sport solo pochi giorni fa, con lo Scudetto ormai a pochi centimetri.
26 gennaio 2021: Inter - Milan 2-1, Coppa Italia
Poco prima della fine del primo tempo, il quarto di finale tra Milan e Inter, partita secca, si infiamma. Lukaku si rialza dopo aver subito un fallo e ha qualcosa da dire a Romagnoli, Ibrahimovic si mette in mezzo, dice qualcosa di troppo e Lukaku perde il controllo come non gli era mai capitato prima. L’arbitro ammonisce entrambi i giocatori, che si continuano a insultare e minacciare mentre tornano negli spogliatoi. Nei giorni successivi si parlerà quasi solo del diritto al trash-talk, o dei significati più ampi e universali delle parole di Ibra; oggi possiamo dire che su questo episodio è girato un pezzettino della stagione dell’Inter. In quel momento il Milan era avanti in campionato e in vantaggio di un gol. Proprio Zlatan aveva segnato con un grande diagonale rasoterra, quasi da fermo, che aveva colpito il palo più lontano da Handanovic. L’Inter era ancora in costruzione, non era ancora esploso del tutto Hakimi, Eriksen giocava una ventina di minuti quando andava bene. Il Milan era una squadra fluida e brillante, che aveva fatto a meno del proprio leader per una lunga parte della stagione. Anche se aveva perso contro la Juve e l’Atalanta era ancora primo in campionato.
Nel secondo tempo Ibra prende un secondo giallo sciocco, goffo, intervenendo in ritardo da dietro, a centrocampo, e Lukaku pareggia dopo essersi conquistato un rigore a una ventina di minuti dalla fine. A due dalla fine entra Eriksen che segna il gol del definitivo 2-1, importante per lui, che da quel momento comincia a riprendersi la fiducia del suo allenatore, ma soprattutto per l’Inter che si risparmia i supplementari ed esce dalla partita con una consapevolezza nuova. In un momento difficile, nervoso, emotivo, la squadra di Conte si è dimostrata solida, Lukaku ha vinto lo scontro simbolico con Ibra (che da quel momento in poi ha segnato solo tre gol) e, un mese dopo, proprio in un altro derby arriva il sorpasso in testa alla classifica. Quanto conta l’emotività nel calcio? Ecco, questa partita, tutto sommato irrilevante per la Coppa Italia in sé, è una risposta.
21 febbraio 2021: Milan - Inter 0-3
Non c’è partita che racconta meglio l’Inter quest’anno del Derby di ritorno in campionato. Non solo perché è quella che ha dato il via alla fuga finale verso lo Scudetto ma soprattutto perché al suo interno racchiude tutti i punti di forza tecnici, tattici, atletici e mentali della squadra di Conte quest’anno. Lo strapotere in conduzione di Lukaku, la sua intesa con Lautaro, il lavoro instancabile di Barella, l’inserimento definitivo di Eriksen, il ruolo oscuro e poco raccontato di Brozovic, le corse di Hakimi, la solidità difensiva e anche, nonostante tutto, le parate di Handanovic.
Il Milan arrivava al Derby a un solo punto di distanza e con il ricordo ancora fresco del Derby di Coppa Italia di circa un mese prima, ancora sanguinante per la sconfitta e lo scontro tra Ibrahimovic e Lukaku. La squadra di Pioli allora aveva un solo punto di distacco dall’Inter capolista e, dopo aver perso nella giornata precedente contro lo Spezia e aver pareggiato con la Stella Rossa in Europa League rischiando di farsi eliminare, vedeva forse in questa partita l’ultima occasione per dare un’ultima svolta a una stagione che stava iniziando a declinare dopo un grande 2020. Oltre ai punti, insomma, c’era molto in gioco: al di là della retorica sulla rivalità cittadina è raro che un Derby metta in palio una posta così alta.
L’Inter, però, ha inclinato subito la partita dalla sua parte, rivelando dopo appena cinque minuti quanto potesse essere fragile l’atteggiamento aggressivo e diretto del Milan contro le armi a disposizione di Antonio Conte. Su un semplice giro palla in difesa, il pressing alto della squadra di Pioli è andato fuori giri quando la palla è arrivata sui piedi di Hakimi, che ha lanciato dritto per dritto per Lukaku. Il numero 9 nerazzurro ha avuto metà campo tutta per sé e ha potuto fare quello per cui ricorderemo questa sua stagione: andare palla al piede in conduzione trascinandosi dietro un terrorizzato difensore centrale, in questo caso Romagnoli. Il suo disperato tentativo di tenerlo con il braccio, gli sguardi disperati verso Kjaer alla ricerca d’aiuto segneranno la prima abissale distanza tra le due squadre, forse ancora di più del gol in girata di testa di Lautaro poco dopo, lasciato libero nell’area piccola proprio dalla scivolata del centrale danese che aveva chiuso il primo cross basso di Lukaku.
Dopo l’1-0 l’Inter ha abbassato il baricentro, ma senza la solidità granitica che ha assunto nelle giornate successive. Con l’ambizione di controllare la partita senza dominarla. Un atteggiamento più rischioso di quanto non si pensi, che ha permesso al Milan di rialzare gradualmente la testa, fino ad arrivare a un proprio vero assedio nei primi minuti del secondo tempo. E soprattutto alle celebri tre parate in un meno di un minuto di Handanovic, che hanno definitivamente fatto girare il Derby dalla parte dei nerazzurri. Sul portiere sloveno ormai si è sviluppato un dibattito totalmente involuto, che tende ad amplificarne i limiti e fatica a riconoscerne i meriti, come proprio l’essere presente nei momenti decisivi di una partita. Ci sono poche cose che spingono una squadra verso la vittoria come un miracolo del portiere (in questo caso triplo) che spegne l’inerzia offensiva degli avversari. E forse non è un caso che una manciata di secondi dopo sia arrivato il raddoppio di Lautaro, con un’azione simbolo dei meccanismi e dei movimenti su cui Conte ha costruito l’Inter nelle ultime due stagioni. Partita da una paziente costruzione dal basso ad attirare la pressione avversaria e conclusa sul lato debole, grazie al coinvolgimento di Eriksen e alla sovrapposizione di Perisic. «Quell’azione l’abbiamo provata spesso in allenamento» ha detto il trequartista danese qualche settimana dopo «Li abbiamo fatti correre esattamente dove volevamo noi, creandoci gli spazi».
A quel punto a questo Derby mancava solo la copertina: Lukaku che prende palla sulla trequarti, punta ancora una volta Romagnoli in difesa, si sposta palla sul sinistro, buca Donnarumma sul suo palo e infine urla: «I’m the fucking best, te l’ho detto cazzo». In molti l’hanno preso come un riferimento diretto a quanto successo con Ibrahimovic un mese prima, adesso però non sembra altro che la constatazione di un verità limpida: Lukaku è stato il miglior giocatore del campionato. Se le parate di Handanovic sono state il sollievo nel momento del pericolo, le prestazioni di Lukaku e Lautaro hanno rappresentato, nel Derby come in tutto il resto della stagione, la consapevolezza definitiva di essere più forti dell’avversario. Come ha scritto Federico Aquè dopo la partita: «Il loro impatto non si limita al lato più visibile e importante, i gol segnati, o al modo in cui indirizzano la manovra dell’Inter con i loro movimenti e le loro giocate. Le certezze dell’Inter a livello mentale, la capacità di non far scivolare via le partite anche quando non vanno come previsto dipende molto da Lukaku e Martínez. Nei momenti difficili è un sollievo per tutta la squadra sapere che basta cercare il movimento in appoggio di uno dei due attaccanti per cambiare le cose».
8 marzo 2021: Inter - Atalanta 1-0
Nel girone di ritorno l’Inter ha vinto tutte le partite, pareggiando solo due volte alla 31esima e 32esima giornata contro Napoli e Verona con lo Scudetto già in tasca. Se non dovesse “mollare gli ormeggi” nelle ultime giornate finirà il campionato con un distacco di 10-15 punti sulla seconda. Eppure alla giornata numero 26, il distacco sul Milan era di soli tre punti prima di affrontare l’Atalanta nel posticipo e contro la squadra di Gasperini sembrava giocarsi un bel pezzo di Scudetto. Dopo una partita molto combattuta era arrivata una vittoria per 1-0 grazie a un gol di Skriniar sugli sviluppi di un calcio d’angolo. Se contro le altre rivali dirette nel girone di ritorno l’Inter aveva ottenuto delle vittorie nette con prestazioni di altissimo livello, la vittoria striminzita e sofferta contro l’Atalanta ha avuto il sapore del destino, la consapevolezza per la squadra e i tifosi che quello “era il loro anno”.
È stata anche la vetrina per la difesa della squadra di Conte, con Handanovic, Bastoni, De Vrij e Skriniar che hanno dimostrato di essere il miglior pacchetto arretrato del campionato reggendo la forza d’urto dell’attacco dell’Atalanta, il più difficile da affrontare numeri alla mano. Se contro la Juventus la vittoria era arrivata grazie a una grande prestazione del centrocampo, contro il Milan a brillare erano stati Lukaku e Lautaro, la vittoria con l’Atalanta ottenuta grazie a una grande partita difensiva è stata la chiusura del cerchio e la certificazione del valore assoluto della squadra di Conte.
L’Inter aveva avuto le sue occasioni, tenere a bada Lukaku e Lautaro per novanta minuti è impossibile, ma anche l’Atalanta aveva dimostrato la validità della sua fase difensiva, accettando spesso duelli individuali contro i due attaccanti dell’Inter, una mossa che può sembrare un suicidio, ma che aveva funzionato grazie al lavoro di Romero e Djimisti, che avevano contenuto l’Inter a un solo tiro in porta. Eppure quel tiro era bastato: un calcio d’angolo, un batti e ribatti e il diagonale sgraziato e risolutivo di Skriniar avevano dato il vantaggio all’Inter proprio mentre l’inerzia della partita stava scivolando verso l’Atalanta.
Dopo il gol l’Inter aveva abbassato ulteriormente il baricentro, accettando una difesa puramente posizionale e dimostrando di avere la capacità di farla. L’Atalanta, che pure è il miglior attacco del campionato non era riuscita a costruire occasioni da gol pulite e l’Inter aveva tenuto il vantaggio. L’immagine di giocatori come Eriksen, Perisic e Lautaro pronti a fare una corsa in più per aiutare i compagni aveva espresso chiaramente la compattezza della squadra. L’Inter aveva vinto una partita tirando una sola volta in porta per la prima volta dopo 12 anni. Dopo la partita avevano chiesto a Conte se grazie a questa vittoria avesse un pezzo di Scudetto in tasca. Lui aveva risposto «No, mi trovo 40 euro perché gli altri li ho dati per fare benzina». Alla fine però lo Scudetto è arrivato e quel gol in mischia di Skriniar per i tifosi avrà sempre un posto speciale.