Negli ultimi dieci anni solo sette volte è successo che una squadra arrivasse tra i primi quattro posti della Serie A con un allenatore straniero in panchina. Appena quattro tecnici possono fregiarsi di questo piccolo primato: José Mourinho (con l’Inter nel 2008/09 e nel 2009/10), Leonardo (con il Milan nel 2009/10 e come traghettatore dell’Inter nella stagione successiva, dopo l’esonero di Benitez), Benitez (con il Napoli nel 2013/14) e Rudi Garcia (con la Roma nel 2013/14 e nel 2014/15). La storia recente del nostro campionato, insomma, sembra dare ragione ai tifosi e agli osservatori che considerano il calcio italiano indigeribile per chi viene da fuori, alla stregua di una giungla impenetrabile o di un labirinto in cui la sopravvivenza è dettata dalla conoscenza di tutti i suoi angoli più che dal talento vero e proprio.
Un conservatorismo estremo, che ha contagiato anche le dirigenze dei club in una sorta di profezia autoavverante – persino un DS straniero e ambizioso come Monchi, d’altra parte, si era convinto della necessità di dover avere un allenatore italiano in panchina, seppur dall’identità netta. È per questo che la scelta di Paulo Fonseca ha lasciato freddi gran parte dei tifosi della Roma, persino quando il suo nome era rimasto in ballottaggio con allenatori italiani molto meno esperti e che venivano da stagioni non entusiasmanti, come De Zerbi o Gattuso. E adesso che Paulo Fonseca è ufficialmente il nuovo allenatore della Roma non a caso si discute soprattutto della sua capacità di adattarsi al calcio italiano, di sopravvivere in un campionato speculativo che ha costruito la sua fama sull’attenzione degli allenatori al difetto avversario.
E a questo punto tanto vale dirlo subito: Paulo Fonseca sembra proprio l’allenatore fatto apposta per far impazzire quei tifosi per cui l’italianità di intendere il calcio è un valore. Giovane, ambiziosissimo, identitario: Fonseca non è nuovo a quel tipo di dichiarazione ad effetto che può farti sembrare un profeta o un pazzo a seconda dai risultati – come quando, in crisi da allenatore del Porto, dichiarò che avrebbe vinto il campionato all’ultima giornata, poche settimane prima di essere esonerato dal club portoghese.
Nel documentario su di lui prodotto da Canal 11 tra la fine dell’anno scorso e l’inizio di quest’anno lo si vede parlare con il giornalista portoghese Carlos Daniel dell’ossessione (è proprio lui a definirla così) per il controllo del pallone e di spettacolarità offensiva, con una leggerezza che forse gli dovremmo invidiare data la gravità funerea con cui viviamo il calcio. Sono due in particolare i momenti che faranno svenire i tifosi romanisti (e sogghignare tutti gli altri) di fronte al suo sorriso da piccolo diavolo. Questo:
Ma soprattutto questo:
Quanti, sui social o addirittura sui giornali, saranno pronti a riprendere queste dichiarazioni, o questi stessi screenshot, al primo passo falso di Fonseca?
Partendo da queste premesse, è difficile pensare che Fonseca si approccerà al campionato italiano se non cercando di costruire la propria identità di gioco nel modo migliore e più veloce possibile. La Roma giocherà la sua prima partita ufficiale il 25 luglio (a meno che non ci siano stravolgimenti imprevisti sulla questione Milan-Europa League) e per forza di cose dovrà lavorare con la rosa a disposizione, senza poter fare affidamento troppo sul mercato. Nella sua prima intervista al sito ufficiale del club giallorosso, Fonseca ha dichiarato di credere «che molti dei calciatori abbiano le qualità per giocare il calcio coraggioso, ambizioso e offensivo che voglio mettere in pratica». Oggi, senza sapere chi arriverà, è interessante quindi provare a capire quali potrebbero essere.
L’importanza dei terzini
Allo Shakhtar, Fonseca ha dimostrato di voler attaccare l’ampiezza soprattutto con i terzini, che in fase di prima costruzione sono persino più alti sul campo delle ali, che scendono in zone molto profonde e centrali di campo, quasi da mezzali. Per il tecnico portoghese i terzini devono attaccare la profondità sui corridoi esterni mentre la difesa avversaria è attirata in avanti dalle ricezioni tra le linee.
Bisogna fare la premessa che la Roma sembra molto attiva in uscita, e non pare esserci nessun giocatore incedibile. Ma secondo le situazioni descritte due terzini molto reattivi e offensivi come Florenzi e Luca Pellegrini, bravi ad attaccare lo spazio senza palla, sembrerebbero già pronti per rendere al meglio con il nuovo allenatore. Un cambio radicale rispetto all’era Di Francesco, in cui i terzini erano in primo luogo creatori di gioco. Registi occulti, come Kolarov e Karsdorp, che sembrano per motivi diversi già ai margini della rosa, e che in ogni caso sembra difficile che Fonseca possa impiegare come in passato.
Una nuova centralità per Nzonzi?
Fonseca chiede alla sua squadra di risalire il pallone palleggiando con pazienza e al regista non sono richieste eccessive responsabilità creative, ma più che altro agire da “muro” per i centrali di difesa e per i trequartisti, per cui è un’ancora di salvataggio per resistere alla pressione. Il giocatore di maggiore di talento allenato in quel ruolo in Ucraina, Fred (attualmente al Manchester United), è un regista minimale, molto reattivo e fisico nell’adempimento delle coperture preventive, ma senza una visione di gioco geniale.
In questo senso, Nzonzi, che viene da una stagione opaca, potrebbe essere un giocatore congeniale per l’allenatore portoghese. A proprio agio in un gioco di passaggi corti, in cui si tocca spesso il pallone, Nzonzi è anche molto brillante nel difendere in avanti in una squadra corta, senza troppo campo da coprire. Proprio come cercano di difendere le squadre di Fonseca. Il problema è che Nzonzi non si è presentato alle visite mediche e sembra già con un piede fuori dalla Roma, al suo posto potrebbe arrivare Diawara, con cui il discorso ovviamente cambierebbe. Anche il centrocampista del Napoli, che viene praticamente da un anno sabbatico, è un regista dinamico, bravo a difendere in avanti, e potrebbe piacere al tecnico portoghese (che ebbe modo di apprezzarlo nell'autunno del 2017 durante la fase a gironi della Champions League).
Il dilemma dei trequartisti
La zona di campo su cui l’allenatore portoghese avrà più nodi da sciogliere, però, sarà la trequarti, un po’ perché rappresenta il fulcro creativo del suo gioco, un po’ perché è lì che si annida la maggior parte del talento della Roma. Una volta che la sua squadra arriva a consolidare il possesso nella metà campo avversaria, Fonseca chiede ai suoi quattro giocatori offensivi (cioè la punta più i tre trequartisti) di stare molto vicini al centro della trequarti, in modo da potersi associare velocemente, a uno-due tocchi, scambiandosi la posizione in continuazione. Un gioco che richiede una certa sensibilità tecnica e una flessibilità estrema nell’alternare le giocate, tra tocchi di prima, movimenti nello spazio a ricezioni spalle alla porta.
Un esempio dall’azione che porta al 2-3 finale contro l’Hoffenheim, nella fase a gironi dell’ultima Champions League.
Il contesto tattico costruito da Fonseca potrebbe avvantaggiare i giocatori più tecnici e creativi, come El Shaarawy (anche lui in partenza), Perotti e forse persino Pastore, se dovesse finalmente trovare una sua continuità fisica e psicologica, e potrebbe finalmente far fiorire il talento di Kluivert, che invece è apparso in difficoltà nel gioco reattivo e verticale prima di Di Francesco e poi di Ranieri. Per gli stessi motivi potrebbe invece essere più difficile l’inserimento di giocatori più portati a condurre il pallone o a tentare giocate istintive, come Zaniolo e Ünder, che dovrebbero crescere soprattutto nella loro capacità di associarsi con i compagni e di prendere scelte a seconda del contesto.
Quello della crescita dei giocatori è forse l’aspetto più interessante e frainteso dell’identità di Fonseca. Nel documentario con Carlos Daniel, Fonseca non sottovaluta le caratteristiche dei suoi giocatori e, anzi, spiega come i suoi principi siano diretti proprio a valorizzare il talento offensivo a disposizione. «Mi ha aiutato a capire il calcio meglio», dice Marlos nel documentario «Sapere ciò che dovevo fare in campo, sapere quali erano le mie qualità, come utilizzarle».
Non possiamo sapere oggi se Fonseca avrà successo in Italia. Di sicuro, però, la Roma, come società e come squadra, ha bisogno di un allenatore come lui: un tecnico dai principi chiari, in grado di far rendere al meglio sul campo il talento a disposizione, e di valorizzarlo quindi sul mercato. Quando parliamo di identità parliamo anche e soprattutto di questo.