Plan Sur è il nome dell’imponente opera di deviazione dell’ultimo tratto del fiume Turia, che attraversava il centro di Valencia fino agli anni ‘60: in sostanza, si è voluto tirare fuori il fiume dalla città, creando un nuovo letto più a sud. Il progetto fu approvato nel 1958, a seguito della terribile inondazione del 14 ottobre 1957: quasi 100 morti, danni incalcolabili, con il livello dell’acqua arrivato fino a 5 metri (con la distruzione anche di spogliatoi e alcune file del Mestalla). Le inondazioni si erano già verificate in anni precedenti, insomma il rapporto tra la città e il suo fiume era diventato estremamente difficile. Nel 1969 fu il dittatore spagnolo in persona, Francisco Franco, a chiudere i lavori (ma in realtà tutte le opere si conclusero 4 anni più tardi): Valencia non aveva più il suo fiume, lungo il quale i romani avevano edificato la colonia Valentia Edetanorum.
Immagini dal 1957
Plan Lim è il nome dell’opera di salvataggio del Valencia Club de Fútbol: nell’estate del 2014, il magnate di Singapore Peter Lim divenne il nuovo proprietario del club, accollandosi debiti per circa 320 milioni di euro. Il primo straniero in 95 anni di storia a guidare il Valencia: una soluzione innovativa, che era diventata necessaria già da alcuni anni. Nel 2009, infatti, i debiti del Valencia ammontavano all’astronomica cifra di 547 milioni di euro (in gran parte, esposizione verso la banca valenciana Bancaja, poi confluita in Bankia). Portare il club finanziariamente fuori dalla città, per salvarlo, e per evitare nuovi disastri: un progetto ambizioso, che sembrava aver fornito subito ottimi risultati. Il primo Valencia di Lim, infatti, guidato dal portoghese Nuno, arrivò quarto nella Liga. Ma da quel momento, un ciclone di disastri si è abbattuto sul club e sulla squadra: da Gary Neville alla cessione di Paco Alcácer, fino ai cinque cambi di allenatore in un solo anno solare. In questa inondazione calcistica, anche Cesare Prandelli ha avuto la sua parte.
Nel posto sbagliato
Sabato 1 ottobre Prandelli ha firmato un contratto biennale con il Valencia, dopo essersi recato in visita da Lim a Singapore. Per questo motivo, il giorno successivo era al Mestalla ad assistere alla sconfitta della sua squadra, guidata da un altro allenatore, contro l’Atletico Madrid: non aveva avuto tempo neppure per un allenamento e si era deciso quindi di mantenere in panchina Salvador González Marco, detto “Voro", per una partita in più. Non è bastato neppure Diego Alves, che ha parato due rigori in quella partita, stabilendo un record mostruoso (gli hanno segnato solo 21 rigori su 46: 2 fuori e 23 parati), a salvare la squadra che.
La scelta sembrava sin da subito azzardata: il Valencia si affidava a un tecnico che non allenava squadre di club da più di 6 anni (ad eccezione della disastrosa parentesi al Galatasaray) e senza conoscenza specifica della lingua, dell’ambiente, del campionato e della rosa a sua disposizione; Prandelli si sedeva su una panchina difficile, in un ambiente depresso ma molto pressante, con una dirigenza ectoplasmatica, su cui aleggia l’ombra di Jorge Mendes, uomo di fiducia del proprietario (Suso García Pitarch era il Direttore Sportivo ufficiale, ma nessuno sa chi prende le decisioni tecniche nel Valencia).
Appena arrivato, già in confusione.
Dalla conferenza stampa di presentazione si intuiva che quella di Prandelli sarebbe stata un’impresa difficile, per cui non sembrava essere preparato.
La “presidenta” Lay Hoon Chan, rappresentante sul campo di Peter Lim, ha iniziato con il suo spagnolo disastroso; poi Prandelli, che avrebbe dovuto in teoria alternare italiano e spagnolo, ha parlato solo in italiano di uno strano binomio tra mentalità valenciana e progetto tecnico, e soprattutto della ricerca dell’equilibrio.
La conferenza proseguiva in un mondo surreale, in cui Prandelli chiamava il suo proprietario Lee invece di Lim, e a parlare castigliano erano solo i giornalisti e il Direttore Sportivo.
Prandelli si è concentrato sulla strana questione della mentalità valenciana, definendola molto simile a quella fiorentina, con una comparazione che ardita è dir poco. La conferenza ha raggiunto anche delle vette comiche, quando un giornalista gli ha chiesto se si sentisse l’allenatore più spagnolo d’Italia, e Prandelli ha risposto «mi piacerebbe avere sempre la(s) pelotas», passando senza motivo allo spagnolo e con una bella gaffe.
Sul sito ufficiale del club, un’immagine del nuovo allenatore su una V infuocata e la scritta “#BenvenutoCesare” forniva messaggi contrastanti: la passione valenciana con il viso preoccupato di Prandelli.
Non c’era niente che facesse pensare a un happy ending, nei primi giorni di Prandelli a Valencia: se la situazione esterna era pesante, in campo c’erano molti problemi, tecnici e tattici.
Mobile ma spuntato
L’arrivo di Prandelli si era necessario dopo l’avvio disastroso del Valencia allenato da Pako Ayestarán, che era succeduto a Neville nella precedente stagione: 4 sconfitte nelle prime 4 giornate di campionato. Mentre la nebulosa gestione societaria si dedicava alla scelta del nuovo allenatore, lo storico traghettatore “Voro" otteneva ben due successi consecutivi e stabilizzava la squadra sul 4-2-3-1, con Rodrigo falso centravanti. Prandelli ha ereditato una rosa con grandi carenze strutturali: tra tutte, l’incredibile assenza di una punta centrale (Munir non sembra adatto a quel ruolo). Andato via Alcácer, il Valencia ha perso un punto di riferimento: tutti i giocatori offensivi si muovono molto ma non segnano e soprattutto non garantiscono una presenza costante in area.
Il Valencia è comunque una squadra di valore, il cui grande problema nel 2016 è sembrato proprio quello di non muoversi mai in modo coordinato: ogni volta, 11 individui separati. Difficoltà collettive nella creazione offensiva, e anche di circolazione nella propria metà campo con un doble pivote troppo piatto (Pérez e Mario Suárez); problemi nel lavoro collettivo difensivo, soprattutto sulle fasce, con due ali in difficoltà nei rientri e due terzini molto offensivi e con carenze nei fondamentali difensivi. Una squadra spesso priva di concentrazione nei momenti decisivi, insomma un gruppo che non riesce a trovare ordine e neppure tranquillità.
Per questo l’arrivo di Prandelli sembrava almeno poter pacificare l’ambiente e portare a un’evoluzione tattica pragmatica: dopo due settimane di lavoro, grazie alla pausa per le Nazionali, il Valencia era andato a vincere a Gijón. Esordio e 3 punti, cosa aspettarsi di meglio?
Cancelo posizionato alto a destra, con Montoya terzino, per provare a proteggere la fascia; Parejo sulla trequarti, per garantire un riferimento tra le linee; Nani libero di muoversi partendo da ala sinistra: questi i piccoli accorgimenti di Prandelli.
La sterzata di Santi Mina è eseguita talmente male da sembrare comica: il contropiede sfuma, il Barça si ributta in avanti e conquista il rigore della vittoria al 92’. Pensate a cosa sarebbe successo se il Valencia di Prandelli avesse ottenuto la seconda vittoria consecutiva, contro Messi e co., a livello di ambiente e fiducia dei giocatori.
Quello che sembrava un buon inizio poteva diventare addirittura grandioso nella partita successiva, cambiando radicalmente le prospettive di Prandelli. La prima da allenatore al Mestalla, infatti, è stata contro il Barça: con una squadra ripiegata in un 4-4-1-1 fatto anche di pressione alta sull’inizio azione avversaria, a mezzora dalla fine il Valencia vinceva 2-1. Dopo il pareggio di Suárez, negli ultimi minuti le transizioni offensive della squadra di casa sembravano poter determinare il gol della vittoria (incredibile errore di Nani davanti a Ter Stegen). Il momento sliding doors era dietro l’angolo: subito dopo un errore di Santi Mina, Suárez si è procurato un calcio di rigore, realizzato da Messi in pieno recupero. Fine del sogno, fine dell’emotività prandelliana, ritorno del caos valenciano.
Prandelli non si è perso d’animo e ha provato a ricostruire la fiducia della squadra, puntando su alcune caratteristiche dei giocatori. Così il pallone veniva spesso lasciato all’avversario (da circa il 52% precedente al 46% con il nuovo allenatore), per commettere meno errori, stimolare continue transizioni con i veloci giocatori offensivi in campo aperto, aumentare la solidità difensiva, spingendo l’avversario al cross.
Ma dopo la sconfitta con il Barça, la squadra non accennava a migliorare: due punti in tre partite, la solita fragilità emotiva e grande difficoltà realizzativa. Nonostante un doble pivote molto difensivo, la difesa posizionale rimaneva debole: il Valencia aveva rinunciato ad un regista, ma senza ottenerne alcun beneficio difensivo. Dani Parejo è stato posizionato da trequartista perché serviva un creatore di gioco tra le linee, viste le già grandi difficoltà in assenza di punte centrali: ma così la squadra non ha un regista che faccia uscire il pallone dalla propria metà campo.
“When in trouble go big”, e allora Prandelli nella partita contro il Siviglia è passato alla difesa a tre, per valorizzare la qualità della rosa: basti pensare che il Valencia dispone di tre centrali difensivi come Garay, Mangala, Abdennour. Una misura volta a trasmettere anche tranquillità.
Prandelli non è stato a guardare, non voleva solo gestire e ha preso decisioni tattiche rischiose: qui all’inizio si vede la nuova difesa a 5 schierata, la squadra sale e riesce a portare una buona pressione sull’inizio azione avversario. Il controllo errato di Pérez non permette di capitalizzare: sempre una questione di dettagli che vanno male.
Il cambiamento sembrava necessario e corretto sotto molti punti di vista: sulla fasce il Valencia aveva problemi enormi nel chiudere gli inserimenti avversari e c’era bisogno di un terzo uomo pronto ad uscire sull’esterno e per proteggere meglio l’area. In questo modo, però, paradossalmente Prandelli voleva anche aggiungere un attaccante: invece dell’unico riferimento centrale, Rodrigo, se ne aggiungeva un altro, con l’avanzamento di Nani. Il Valencia si poteva sistemare così con un 3-4-1-2, con Parejo trequartista e due esterni di fascia perfetti come Cancelo e Gayà: più a loro agio in fase offensiva, ma comunque protetti dai tre difensori (anche se Prandelli ha usato Siqueira come esterno sinistro).
Il passaggio di Prandelli al Valencia non ha giovato neppure a livello statistico, anzi.
Ma neppure la nuova disposizione riusciva a evitare le incredibili disattenzioni dei giocatori: sconfitta a Siviglia con autogol di Garay, pareggio in casa contro il Malaga, passato in vantaggio dopo tre minuti e poi in grado di pareggiare al 92’. L’infortunio di Garay ha poi reso impossibile proseguire nell’esperimento: nella disastrosa trasferta contro la Real Sociedad si è passati al 4-3-3 con Cancelo terzino e Parejo mezzala. La sorte ha almeno risparmiato il Valencia da un Natale umiliante, visto che la partita contro il Real Madrid è stata spostata per gli impegni dei Blancos nel Mondiale per club. Così l’ultima partita dell’anno è stata in Coppa del Re, una vittoria contro il Leganes: ma nessuno sapeva ancora sarebbe stata anche l’ultima partita di Prandelli.
Problema di testa
Ancora più che in campo, però, i grandi problemi del Valencia erano e sono nella gestione umana: basta un’occhiata alla rosa per capire l’assurdità della quart’ultima posizione in classifica. Nessun giocatore viene messo nelle condizioni di dare il meglio, in base alle proprie caratteristiche: basti pensare ad Abdennour, colosso difensivo nel Monaco e così a disagio da sembrare ridicolo in alcune occasioni nel Valencia. A volte è stato costretto a giocare persino da terzino sinistro, ruolo in cui può solo esprimere praticamente solo i suoi difetti.
Non si tratta solo di creare un clima di fiducia nei giocatori, così da evidenziare le loro qualità in campo: ma anche di sistemare uno spogliatoio turbolento, nel contesto di una società che appare completamente assente.
L’incredibile caos del Valencia: i giocatori se la prendono comoda e non si presentano all’allenamento, Prandelli li cerca con grande effetto tragicomico. Subito dopo, si infuria nella conferenza stampa.
L’inizio della fine, per Prandelli, si è avuto alla vigilia della trasferta contro la Real Sociedad: l’imbarazzante scena della squadra che non si presenta all’allenamento e la conseguente conferenza stampa “trapattoniana” segnano l’evidente disagio dell’allenatore. In una conferenza che verrà ricordata dai tifosi per i continui “fuori!”, Prandelli è ormai costretto alla retorica della maglia e dell’attaccamento: praticamente l’extrema ratio di un allenatore che non sa più cosa fare. Ma in versione arrabbiata non è credibile, Prandelli è un pacificatore: e infatti il Valencia disputa forse la peggior partita della sua gestione all’Anoeta.
La squadra non recepisce il messaggio e l’ambiente riceve pochi giorni dopo un altro brutto colpo: viene pubblicato un video del capitano, Dani Parejo, completamente ubriaco in discoteca. Insieme a lui un amico, che insulta l’allenatore con un “me cago en los muertos de Prandelli”, versione spagnola della famosa imprecazione romana (mortacci) rivolta contro i defunti di qualcuno. Niente di particolarmente offensivo, se non fosse per la storia personale di Prandelli, e se quello nel video fosse un ragazzino e non il capitano della squadra.
Al ritorno dalle vacanze natalizie, Parejo era ancora lì, a dimostrazione che il “fuori!” di Prandelli non era da prendere sul serio: ma soprattutto, non c’erano i nuovi acquisti richiesti, in particolare Zaza. A quel punto l’allenatore, senza più credibilità, senza protezione della società e senza neppure una indispensabile punta, decide di dimettersi.
Nella conferenza di addio Prandelli sembra molto più a suo agio, e ci fa capire che nel Valencia regna l’anarchia societaria. In più deride il DS Suso con una mossa alla Clint Eastwood, segnalando la sedia vuota.
È molto probabile che la storia tra Prandelli e il Valencia sarebbe comunque finita male: sia per il suo scarso appeal presso la squadra, che per la sua non ottimale conoscenza del calcio spagnolo (in un’intervista alla Gazzetta dello Sport ha dichiarato che nella Liga si gioca con un modulo solo, il 4-2-3-1). Quest’uscita di scena però continua ad alimentare i dubbi sul Prandelli allenatore di club, e ad aumentare il caos intorno al Valencia.
Trovare un progetto
Al posto dell’allenatore italiano, il Valencia ha scelto di nuovo Voro, il tappabuchi: da dieci anni, infatti, ha uno strano rapporto con la panchina valenciana, che occupa sempre ad interim, sempre per poche partite. Ironia della sorte, Voro è il miglior allenatore del Valencia nel nuovo millennio per percentuale di vittorie, e tra i migliori nella storia del club: 8 vittorie, 2 pareggi e 3 sconfitte. Su di lui aleggia un alone mistico, si parla addirittura di allenatore miracoloso, è una sorta di Mister Wolf valenciano. Ma neppure la sua conoscenza dell’ambiente, la sua tranquillità e semplicità tattica possono raddrizzare da sole una stagione pericolosa. Nella prima partita del 2017, infatti, Voro si è ritrovato senza neppure un centrale difensivo, tra infortuni e altri impegni: nell’andata degli ottavi di finale di Coppa del Re contro il Celta, il 3 gennaio, è stato costretto a schierare Enzo Pérez difensore centrale, insieme al ragazzino della squadra B Jiménez. Il risultato è stata una disastrosa sconfitta per 4-1, e non è andata meglio nel successivo scontro salvezza, finito 3-3, contro l’Osasuna, ultimo in classifica, in cui si affrontavano due squadre che nella stagione hanno avuto più allenatori (ben 6, cioè 3 a testa) che vittorie (4 in campionato, di cui solo una per l’Osasuna).
Voro ha scelto di abbassare Parejo (non più capitano) nel doble pivote e di usare Suárez da centrale (vicino a Mangala): entrambi hanno disputato una partita disastrosa. Il primo ha camminato per il campo e ha sbagliato il rigore del 4-2 a quattro minuti dalla fine, calciando senza convinzione; il secondo ha commesso due gravi errori nei primi due gol avversari. Voro ha scelto una squadra giovane, dando spazio al talento Soler sulla trequarti e facendo entrare Toni Lato e Sito (i primi due classe 1997, il terzo del 1996), ma il risultato è stato comunque pessimo. L’Osasuna in alcuni periodi di partita riusciva a sovrastare gli avversari, che ancora una volta hanno mostrato incredibili carenze in fase difensiva (il Valencia è l’unica squadra della Liga ad aver subito gol in tutte le partite) e di concentrazione: l’ennesima vittoria buttata nei minuti di recupero, con il pareggio dell’Osasuna al 92’ (nessuna squadra ha perso più punti del Valencia negli ultimi cinque minuti di gioco).
Il Valencia rischia una clamorosa retrocessione se non riesce almeno a compattarsi intorno a un obiettivo e se non interviene sul mercato (si dice che addirittura Mourinho stia consigliando Lim sugli acquisti di gennaio): Voro ha il compito di rendere unita una squadra dissestata e che avrà sempre grandi lacune tattiche, ma anche di ricompattare un ambiente che inizia a incattivirsi. Ad aggiungere follia a una situazione già fuori controllo, anche le dimissioni in ritardo del DS Suso: una settimana dopo quelle di Prandelli, senza motivo. Al suo posto è stato promosso Alexanko, il direttore del settore giovanile: la dirigenza è ridotta ai minimi termini.
Lim go home: ma in realtà Lim non è mai a Valencia, che considera semplicemente un investimento come un altro e di cui non sembra interessarsi molto.
La riprogettazione del corso del fiume Turia prevedeva una riorganizzazione urbana molto più complessa: tra le altre cose, si voleva realizzare un’autostrada a otto corsie sul letto del fiume. Dopo le proteste della popolazione, quello spazio rimase a lungo inutilizzato, una distesa di sterpaglie e poco altro. La transizione alla democrazia ha poi permesso alla città di Valencia di trasformare quello spazio in un grande giardino pubblico: adesso è uno dei fiori all’occhiello della città, un polmone verde tra i più lunghi d’Europa (ben 9 chilometri), uno spazio pienamente vissuto e integrato.
Come in una strana simbiosi ritardata con la città, la squadra del Valencia si trova in quella fase di abbandono: appena salvata dal fallimento, ma incapace di trovare un progetto sensato per il futuro, un modo per modernizzare la propria tradizione calcistica e trovare un nuovo posto nella Liga. La speranza per i tifosi valenciani è che, come per il fiume, non si debbano aspettare più di 10 anni per trovare un nuovo splendore.