«Io amo Montecarlo.
Se un pilota riesce a guidare forte, può andare oltre le difficoltà della propria vettura.
Montecarlo ti permette di metterti in luce contro le macchine migliori».
(Olivier Panis)
Al ventunesimo giro del Gran Premio di Monaco 1996, la monotonia rischia di prendere il sopravvento. Murray Walker, il leggendario telecronista della Formula 1 della BBC, spezza i tempi morti e fa notare un dettaglio della corsa sfuggito alle telecamere: «Panis, il pilota francese, è l’unico che è riuscito a sorpassare e lo ha fatto due volte». Olivier Panis era arrivato tardi nel mondo della Formula 1, a quasi 28 anni, legandosi nel 1994 alla storica casa costruttrice Ligier e conquistando due secondi posti e due quarti posti tra nei primi anni. Il suo accordo veniva rinnovato gara per gara, ma nonostante i buoni piazzamenti la sua carriera stentava a decollare: il rischio di finire ormai assorbito nella condizione irreversibile dell’etichetta di pilota affidabile da metà schieramento si stava concretizzando.
Arrivato al 1996, alla soglia dei trent’anni, erano altri i profili tenuti sott’occhio dalle scuderie di punta per il futuro: il talentuoso Michael Schumacher, i debuttanti Jacques Villeneuve e Giancarlo Fisichella, i rampanti Mika Hakkinen, Rubens Barrichello, Heinz-Harald Frentzen. Il parco dei sedili disponibili si restringeva anche per colpa dei cosiddetti piloti paganti: Ukyo Katayama, Ricardo Rosset, il suo nuovo compagno Pedro Paulo Diniz. La traiettoria professionale di Panis, investita dalle difficoltà economiche della Ligier, era ormai a un punto morto: non poteva permettersi che questo stallo durasse ancora ma la F1 è lo sport che più di ogni altro rallenta le ambizioni dei meno fortunati, di chi staziona troppo a lungo nelle classi sociali medio-basse e avrebbe bisogno di spazi, di azione, di riscatto. I soldi della Parmalat, portati proprio da Diniz, non erano bastati per uno sviluppo sufficiente a rendere competitiva la Ligier. Nei primi cinque Gran Premi del 1996 le due vetture blu avevano messo insieme solamente un punto, quello di Panis nel Gran Premio del Brasile.
Il miglior tempo assoluto di Panis nel warm up della domenica mattina a Montecarlo - il 19 maggio 1996 - suona come una cinica beffa dopo che aveva ottenuto il 14esimo posto in qualifica, considerando che si tratta del tracciato dove è più difficile sorpassare. «Avremmo potuto concludere in top 5 in qualifica, ma subimmo un problema di elettronica», ha raccontato Panis. «Il mio ingegnere di pista iniziò a piangere, perché sapeva quanto eravamo veloci e pensò a una grande occasione persa. Gli dissi di stare tranquillo, che la gara sarebbe stata il giorno dopo, che non si sapeva mai cosa sarebbe potuto succedere».
In gara, al ventunesimo giro, Panis era in ottava posizione grazie ai sorpassi su Martin Brundle e Mika Hakkinen e a qualche ritiro, comunque fuori dalla zona punti. In testa c’era saldamente Damon Hill, sulla Williams, pronto a festeggiare la sua prima vittoria a Montecarlo, che gli avrebbe consentito di avvicinarsi al suo primo titolo mondiale. Due anni prima, nel Gran Premio di Adelaide, lo aveva perso dopo uno scontro che Michael Schumacher, secondo molti osservatori, avrebbe causato di proposito. Adesso però si era sfaldato il binomio più pericoloso per la Williams, quello tra Schumacher e la Benetton, che nel 1995 era riuscita a sconfiggere gli inglesi anche nel Mondiale Costruttori, e il pilota tedesco era passato alla Ferrari. Per Hill quella era l'ultima chance di vendicarsi.
Il Gran Premio di Montecarlo 1996, in realtà, sarebbe dovuto essere quello della consacrazione proprio di Schumacher alla guida della Ferrari. Partiva per la seconda volta consecutiva in pole position, stavolta sul palcoscenico più conosciuto della Formula 1, e simbolicamente una vittoria di Schumacher sarebbe stata all'altezza della solennità con la quale il Principato si riserva di eleggere i suoi vincitori, selezionandoli come gli invitati a un gala di corte. C'è da dire, però, che la Ferrari nel 1996 era ancora nel bel mezzo di un periodo di transizione, non era la vettura che sarebbe diventata qualche anno dopo. «La peggiore che io abbia mai guidato», disse addirittura Eddie Irvine di quell'auto.
Il passaggio di Schumacher alla Ferrari, quindi, rappresentava più che altro un assist per la dominante Williams disegnata da Adrian Newey, che fino a quel momento aveva monopolizzato la scena, vincendo tutte le 5 gare precedenti: 4 volte con Damon Hill e, al Nürburgring, con Jacques Villeneuve. Agli altri erano rimaste solo le briciole: 4 podi alla Ferrari, 3 alla Benetton di Jean Alesi e Gerhard Berger, e uno alla McLaren di David Coulthard.
In una sola immagine: la classifica costruttori prima del Gran Premio di Monaco e lo strapotere Williams; la grafica televisiva più iconica della storia della Formula 1.
La partenza
La Ferrari veniva dalla deludente gara di Imola: Schumacher era arrivato secondo dietro Hill, dopo aver conquistato la pole position. La nuova pole position a Montecarlo era vista come l'opportunità immediata per rifarsi, per di più nel Gran Premio dove la partenza al palo ha il peso maggiore. La pista bagnata di Montecarlo avrebbe dovuto ulteriormente esaltare in gara la guida di Schumacher (come poi in effetti sarebbe avvenuto nel 1997), insomma il mondo della Formula 1 sembrava pronto a omaggiare la prima vittoria di questo matrimonio.
Ma le cose non vanno come previsto fin da subito, Hill conquista la testa della corsa alla curva Sainte-Dévote: la rinascita della Ferrari deve essere rimandata, la Williams sbatte i pugni sul tavolo e ricorda al mondo come la realtà della Formula 1 sia quella in cui la tecnologia vince sull’uomo. Non sembra esserci spazio per nessun underdog...
La storica sigla internazionale della Formula 1 negli anni Novanta (la prima del video).
Tra le strade bagnate del Principato, durante il primo giro della corsa escono subito di scena 5 piloti: Jos Verstappen con la Footwork; Barrichello su Jordan; le due Minardi – che si scontrano tra di loro – di Lamy e Fisichella; e al primo giro finisce anche la gara dell’uomo più atteso: Schumacher commette un errore da principiante alla curva del Mirabeau Bas, sale sul cordolo-marciapiede e la vettura spancia per la scordolata sul terreno viscido, andando a sbattere sul guard rail. Sfuma così la possibile grande storia di quel Gran Premio.
In mezzo giro di gara Schumacher ha condensato tutto il peggio dei suoi maggiori difetti degli anni Novanta: le partenze non eccezionali e qualche errore di ansia e impazienza. Non che Schumacher fosse, come qualcuno ha detto, "un re fragile", anzi già da qualche anno era riuscito a costruire attorno a sé un alone di invincibilità, grazie a una straordinaria solidità che però evidenziava, per sottrazione, i suoi pochi punti deboli. In questo senso, il suo tonfo sul guard rail nel 1996 è stata forse la metafora più nitida della caduta del re, perché avvenuta sotto i palazzi principeschi (dove tra l'altro Schumacher realizzerà la sua ultima impresa, con la splendida pole position del 2012, ottenuta a 43 anni). E in ogni caso avrebbe dovuto aspettare ancora poco per la sua prima vittoria con la Ferrari, arrivata nel Gran Premio immediatamente successivo, in Spagna.
Durante i primi cinque giri si ritirano anche i tre piloti paganti: Katayama sulla Tyrrell e Rosset sulla Footwork escono per un loro errore; Diniz si ferma al quinto giro per un problema alla trasmissione. Al sesto giro, quindi, in gara sono rimasti solamente 13 dei 22 piloti che l'avevano cominciata. La pista è estremamente scivolosa e il margine di errore non esiste. I piloti controllano dolcemente l’angolo di sterzo e la coppia delle ruote motrici posteriori per non sfiorare nemmeno i minacciosissimi guard rail. In queste condizioni Damon Hill ha la strada spalancata: il suo vantaggio sul secondo, Alesi, è già di 4.3 secondi dopo il primo giro e sale a 6.1 e 9.5 dopo il secondo e il terzo giro. Al settimo giro, Hill fa segnare il crono più veloce in gara (1:48.752) e il suo vantaggio su Alesi supera la barriera dei 14 secondi.
Dietro Alesi c’è il suo compagno Berger, più staccata è la Ferrari di Irvine che ha evidenti problemi di sottosterzo ma riesce a tappare un lungo serpentone di piloti: Frentzen su Sauber; Coulthard su McLaren; Villeneuve su Williams (che era anche il rivale di Hill per il Mondiale); Salo su Tyrrell; Herbert su Sauber; Hakkinen su McLaren; Brundle su Jordan; e infine Panis su Ligier. Alla conclusione del giro 7 si intravede Panis che entra più largo di Brundle alla curva Rascasse e lo affianca in uscita: le immagini staccano e sul rettilineo del traguardo Panis è davanti. Probabilmente Panis è riuscito ad avere una trazione migliore all’uscita della curva e ad infilarsi all’interno di Brundle. Un piccolo capolavoro.
Il bellissimo sorpasso di Panis valeva per l’undicesima posizione e la regia televisiva non lo ha riproposto neanche in replay, ritenendolo ininfluente nello svolgimento della gara. Le immagini internazionali non riescono a ravvivare le emozioni di una corsa che fino a quel momento procedeva a ritmi estremamente bassi, con tutta la suspense concentrata sulla possibilità di altri errori da parte dei piloti, tutti appesi a un filo fragilissimo. L’esito finale, con l’andare dei giri, appare sempre più scontato.
La bellezza di quella Formula 1
Negli anni Novanta la Formula 1 aveva già consolidato una certa polarizzazione dei grandi team. Dalla fine del decennio precedente si stava sempre più affermando l’incidenza del mezzo meccanico e il campo dei possibili vincitori si era progressivamente ristretto: negli anni Novanta erano stati solo 4 i team vincitori di almeno un Gran Premio: la McLaren (con Senna e Berger); la Williams (con Prost, Mansell, Patrese, Hill, Coulthard, Villeneuve e Boutsen); la Benetton (con Schumacher, Piquet ed Herbert); e la Ferrari (con Prost, Mansell, Berger e Alesi). È il periodo in cui avviene la definitiva emarginazione della classe media dalle possibilità di successo in Formula 1 e in cui il numero di scuderie inizia a ridursi (fino a 12) e scompaiono le pre-qualifiche. La morte sembra aver abbandonato quasi definitivamente le sue piste (se si escludono gli incidenti di Senna e Ratzenberger, entrambi a Imola nel 1994) e sul mercato arrivano i primi videogame di automobilismo, che permettono al pubblico di imparare a memoria tutte le insidie dei circuiti.Il cambio manuale è definitivamente scomparso, il layout delle vetture inizia a prendere la forma che conosciamo anche oggi e persino i pit stop sono simili a quelli attuali.
Insomma, negli anni Novanta il passato sembra definitivamente alle spalle e la contemporaneità è alle porte. Rimangono, però, alcune variabili che oggi ci sembrano inconcepibili: le poche immagini on-board, ad esempio, ci suggeriscono vetture ancora piuttosto instabili, restituendo la giusta dose di eroismo a chi le guidava. Allo stesso modo, i piloti incidentati fermi a bordo pista, con i commissari che entrano in azione senza alcun utilizzo della Safety Car, rappresentano per noi il ricordo del passato più pericoloso ma anche affascinante delle gare rischiose degli anni Settanta.
L’elemento distintivo di quegli anni è il colore: gli anni Novanta rappresentano l’egemonia degli sponsor delle sigarette sulle vetture di Formula 1 e sulle loro colorazioni, nel 1996, ad esempio, la McLaren avrà per l'ultima volta la sua leggendaria colorazione bianco-rossa come i pacchetti delle Marlboro, che evoca i trionfi di Prost e Senna. La Williams, invece, sfoggiava il suo caratteristico blu accentuato dallo sponsor Rothmans, arrivato nel 1994.
I giri di mezzo
Al giro 9 la Benetton di Berger si ferma per un problema al cambio: restano solo 12 piloti in gara. La Williams di Damon Hill procede sempre più spedita verso il trionfo mentre la lentezza del passo di Irvine – ora in terza posizione – continua a scavare il gap degli inseguitori. Si attende solo il momento giusto per passare dalle gomme da bagnato alle slick. Per la quarta volta in cinque giri, al 19esimo passaggio, Hill fa segnare il giro più veloce: il tempo è di 1:45.789, ancora lontano rispetto a quello della pole position su asciutto di Schumacher (1:20.356). Non è ancora il momento di cambiare gomme ma è chiaro che la pista sta migliorando. Hill a quel punto ha 21.156 secondi di vantaggio su Alesi.
Nel frattempo, al 17esimo giro, per la prima volta Panis era comparso davanti ad Hakkinen nelle immagini. Il francese era già sembrato più veloce del finlandese nei giri precedenti e grazie a quest’altro sorpasso occulto (che la regia non mostra neanche nei replay) riesce a portarsi di prepotenza in fondo al trenino composto da Villeneuve, Salo ed Herbert. Mika Hakkinen, superato con disonore da una Ligier a Montecarlo, vincerà due Campionati del Mondo poco tempo dopo, nel 1998 e nel 1999.
Mentre il suo compagno di squadra e rivale per il Mondiale sta dominando nel ritmo, Villeneuve – al debutto a Montecarlo – non riesce a tenere il passo lento di Irvine. Fa da tappo a tre vetture più veloci di lui, tra cui la Ligier di Panis che inizia a fare capolino in fondo.
Panis sale in nona posizione, che diventa ottava dopo la rottura dell’alettone anteriore di Frentzen, nel tentativo disperato di passare Irvine. Il ritmo basso del ferrarista compatta nuovamente tutti i piloti alle sue spalle: alle soglie del pit stop per il cambio con le gomme da asciutto, Irvine, Coulthard, Villeneuve, Salo, Herbert e Panis si giocheranno l’ultimo posto sul podio in base al loro tempismo nel fermarsi ai box nel momento migliore. Allo scoccare del giro 23 (quando ne mancano ancora 55, cioè) compare per la prima volta l’indicazione sul tempo rimanente allo scadere delle 2 ore: il Gran Premio potrebbe accorciarsi di qualche giro e favorire quindi il risparmio di benzina e le strategie a una sosta.
Con tempi che si aggirano ormai sull’1:41 il primo a fermarsi è Hill, al 28esimo giro. Rientra in pista appena alle spalle di Alesi, che non si ferma nel giro successivo. Forse Alesi vuole rallentare Hill e disturbarlo, magari inducendolo all’errore con le gomme slick su una pista ancora umida, all’inizio del giro 30, però, Hill lo sorpassa agevolmente. Alesi si ferma subito dopo, aprendo un’autostrada ancora più ampia al trionfo in solitaria del prossimo Campione del Mondo. Il primo del plotone di inseguitori a fermarsi è Eddie Irvine: la scelta è azzeccata perché contemporaneamente Hill in poche curve si sta mangiando Alesi, in questo modo Irvine sta mettendo in teoria in cassaforte un pesantissimo podio, il terzo della sua carriera, in una gara di insopportabile sofferenza.
Del trenino da lui capitanato è solamente Panis a seguirlo subito ai box. L’obiettivo della Ligier a questo punto è un miracoloso quarto posto, scalzando Coulthard. Non sarà facile raggiungerlo: al giro 27 l’inglese della McLaren aveva messo a segno il tempo più veloce in gara e, anche se farà un giro in più con le gomme da bagnato, Panis in quel giro avrà nel serbatoio molto più carburante dopo il rifornimento.
Le tute dei meccanici Ferrari erano più belle con i pantaloni neri?
Al giro successivo, il 29esimo, vanno ai box Villeneuve e Salo. Incredibilmente la McLaren decide di fermare Hakkinen e solo un giro dopo ancora Coulthard insieme a Herbert. Alla conclusione dei cambi gomme la situazione si cristallizza con Hill che domina, Alesi congelato in seconda posizione, Irvine che è riuscito a pescare il jolly della terza posizione e poi in ordine: Panis, Coulthard, Herbert, Villeneuve, Salo. Olivier Panis ha così agguantato la quarta posizione: un risultato prezioso per un team che ne aveva disperato bisogno.
La situazione dopo il giro completato di pit stop. Sullo sfondo la Jordan di Brundle – incidentata sulla ruota posteriore sinistra – al suo primo anno con lo storico sponsor di sigarette. Non aveva però assunto ancora la sua colorazione giallo acceso.
I giri decisivi
Nella gara di Montecarlo 1996 ci sono tutti gli elementi che rendono la corsa del Principato, al di là di ogni retorica sulla cornice scenografica e sul prestigio storico, una prova unica per i piloti dell’automobilismo. Montecarlo riesce spesso a rarefare e concentrare al tempo stesso le emozioni in gara: non è un thriller pieno di colpi di scena, che rischia di confondere lo spettatore nel corso della trama, ha pochi punti di svolta ma ognuno di essi resta chiaramente fotografato nella memoria collettiva.
Altro cliché su Montecarlo che però è in qualche modo vero: le strategie in gara esulano dal concetto sportivo, diventano un raffinato gioco d’azzardo. La gestione dei piloti sulle tattiche da eseguire e la concentrazione degli snodi della gara in pochissimi e determinanti giri sono l’essenza profonda, a volte impercettibile dall’esterno, di corse diverse da quelle a cui siamo abituati oggi. Per questo il valore di un sorpasso a Montecarlo è inestimabile. La bellezza del Gran Premio di Monaco 1996 sta nell’aver esasperato queste caratteristiche, aggiungendo altri punti di rottura nella narrazione e diventando il punto d’incontro tra l’età classica e quella moderna della Formula 1.
Al giro 32 il telecronista britannico Murray Walker, senza il supporto grafico in TV, fa notare che «Panis è il pilota più veloce in pista». Al giro successivo, rincara: «Panis, su una Ligier motorizzata Mugen-Honda, sta provando a raggiungere Eddie Irvine». Poco dopo aggiunge ancora: «Nel giro precedente è stato 3 secondi più veloce di Irvine». Dopo la sessione di prove nel warm-up sull'asciutto (in cui, come accennato, era stato il più veloce) Panis aveva detto a sua moglie: «Oggi finirò sul podio».
Al 33esimo passaggio, Panis fa segnare il giro più veloce in gara: 1:28.540. Walker commenta: «Raggiungerà presto Irvine, ma come abbiamo visto precedentemente in questa gara Irvine riesce molto bene a tenere i piloti alle sue spalle». Panis potrebbe accontentarsi della quarta posizione, portare in dote 3 punti a un team in difficoltà economica e abbandonato a inizio stagione dal comproprietario Tom Walkinshaw.
Nel giro successivo guadagna altri 1.9 secondi su Irvine, adesso Panis è in scia. Si fa vedere timidamente al tornantino del Loews ma preferisce tenersi le sue fiches per una mano migliore. Nel frattempo la grafica tv ci informa che Panis nel giro precedente ha guadagnato anche 2.6 secondi su Damon Hill, che sta ormai correndo col gomito appoggiato fuori dall’abitacolo. Davanti a Panis, Irvine è particolarmente lento in tutto il terzo settore: ha un tremendo sottosterzo che lo fa girare come un camion nei cambi di direzione delle due chicane delle curve Piscine e sulla sezione della Rascasse, molto più stretta rispetto a oggi. Per questo motivo i commissari gli piantano bandiere blu in faccia (altro retaggio della vecchia Formula 1, oggi si fa solo con i doppiaggi). Ma Panis non può ancora passare.
Al giro 36 Irvine non riesce a scrollarsi di dosso Panis sul rettilineo in salita verso il Casino. In discesa verso il Mirabeau è costretto a mettersi un po’ verso il centro della pista per proteggere l’interno: Panis si allarga e verso l’altra breve discesa che dà sul Loews ha una trazione migliore. Nonostante il timidissimo tentativo del giro precedente, Irvine non si aspetta che Panis possa sferrare l’offensiva proprio in quel momento: il sorpasso è durissimo, Panis attacca all’interno con l’asfalto ancora un po’ viscido e arriva a ruote bloccate, largo rispetto al punto di corda, appoggiando dolcemente Irvine verso il guard rail.
La dinamica del duello Panis-Irvine.
Irvine, dal canto suo, ha continuato a girare senza inchiodare e accodarsi, facendo la sua curva come se Panis non ci fosse. Per quanto la frenata del francese fosse estremamente ritardata, era riuscito comunque ad affiancare Irvine in ingresso curva e a completarla, e aveva quindi la precedenza. All'uscita dalla curva Panis è sul podio al Gran Premio di Montecarlo, come aveva promesso a sua moglie.
Dall’alto: le strisce della frenata di Panis fuori traiettoria, ma che riesce a completare la curva al pelo del guard rail. Con un po’ più di sangue freddo Irvine avrebbe potuto fermarsi e cercare un incrocio sulla traiettoria asciutta. Provando a girare subito, invece, finisce inevitabilmente sbarrato dalla Ligier contro il muro.
Alesi approfitta del lontano duello alle sue spalle e al giro 36 segna il tempo più veloce in gara. Il pilota francese era la perfetta rappresentazione della promessa mancata dell’automobilismo: la sua stella era sbocciata a Phoenix nel 1990, grazie al secondo posto ottenuto con la Tyrrell e dopo un lunghissimo duello perso con onore contro l’invincibile Ayrton Senna. Già nel 1996, però, era stato scaricato dalla Ferrari (dopo cinque anni) per fare posto a Schumacher. In Ferrari aveva ottenuto decisamente meno di quanto si sarebbe aspettato: una sola vittoria (in Canada, nel 1995), pochi mesi dopo si era trovato in testa a Monza ma un problema lo aveva privato di una vittoria molto suggestiva a solo 8 giri dalla fine.
La sua nuova occasione si ripresenta, con un po’ di fortuna, proprio durante questo Gran Premio che sto raccontando. Al giro 40 la vettura di Hill comincia a fumare dentro al tunnel: rottura del motore e ritiro, una disfatta che non lo priverà, a fine stagione, del suo primo e unico titolo mondiale (prima di concludere la carriera tra Arrows e Jordan). A quel punto in gara sono rimasti appena 10 piloti.
Al giro 41 Alesi passa sul traguardo per la prima volta al comando, dietro c'è Panis che ha perso quasi 10 secondi per un imprevisto, non inquadrato, che ha già eguagliato il suo miglior risultato personale in Formula 1 e sta portando a casa un ricco montepremi per sé e per il suo team.
La situazione al giro 41 e il mitico celeste della Benetton.
Al giro 54 Alesi va ai box per la sua seconda sosta programmata: ha un vantaggio rassicurante su Panis, proprio grazie a quei 10 secondi persi inspiegabilmente una decina di giri prima. All’uscita Alesi viene dato con 11.3 secondi di margine su Panis, che può mettersi il cuore in pace, anche senza quel possibile errore sarebbe comunque rimasto in seconda posizione.
Il pit board (di Panis), un altro elemento che nell’epoca dei team radio compulsivi abbiamo dimenticato.
Con le gomme nuove, ai giri 58 e 59 Alesi fa segnare di nuovo il miglior tempo in gara e sembra ormai un pleonastico virtuosismo, un tentativo di legittimare al mondo il suo fortunato successo, oltre che un inutile rischio tra i guard rail. Al giro 60 però una sospensione della sua Benetton non regge alle asperità dell’asfalto e si rompe, Alesi va ai box e prova a rientrare in gara, ma nel giro successivo si ritira. Olivier Panis è in testa. Poi al giro 67 Villeneuve si scontra con Badoer nel tentativo di doppiarlo: la vettura del canadese viene immediatamente prelevata da una gru al Loews, quella di Badoer viene lasciata giacere all’imbocco del tunnel fuori traiettoria fino a fine gara, come il corpo di un caduto in guerra. A questo punto restano solamente 7 piloti in gara e, per quanto possa sembrare incredibile, è proprio adesso che inizia il capolavoro di Panis.
«Tutti gli ingegneri mi parlavano continuamente in radio, in lingue differenti, dicendomi che la benzina non mi bastava e che avrei dovuto fare un veloce rifornimento ai box», racconterà. «Io risposi: Ditemi il tempo che devo fare ogni giro per finire la gara con la benzina che ho. Ne ho risparmiata tanta in ogni giro, non usavo la sesta marcia, non stiravo le marce fino al punto ideale di cambiata. Sapevo che Coulthard mi stava attaccando, ma quando si avvicinava spingevo un po’ di più per fargli capire che ero più veloce e che non mi avrebbe passato. Dissi a tutti i ragazzi del box: Se sbagliamo a non fare il pit stop mi assumo tutte le colpe. Ma se lo facciamo, non vinciamo. Dobbiamo provare».
Giro 61: Coulthard recupera quasi 2 secondi. Comincia il calvario finale.
Il distacco tra Panis e Coulthard oscilla di continuo tra 1.5 e 4 secondi. In mezzo ai due c’è Irvine, doppiato, che tiene il passo di entrambi ma al giro 69 va ai box, lasciando strada libera a Coulthard. Irvine percorrerà un giro e mezzo con il nuovo set di gomme prima di andare in testacoda nello stesso punto dell’incidente di Schumacher, proverà a girarsi per riprendere la marcia ma lo farà in modo avventato e scorretto, venendo centrato da Salo e Hakkinen. A fine corsa saranno solamente 4 i piloti ad arrivare al traguardo: oltre a Panis e Coulthard, che duellano per il primo posto, restano Herbert e Frentzen sulle due Sauber.
A 5 minuti dallo scadere delle 2 ore, nel momento in cui Irvine si gira, cade qualche goccia di pioggia e il vantaggio di Panis su Coulthard si assottiglia a 1.1 secondi. Forse, oltre alla gestione della benzina, c’entra anche un umano sentimento di paura di gettare al vento per colpa dell’asfalto improvvisamente più scivoloso un lungo, meticoloso e irripetibile lavoro di conquista.
Un’altra immagine ormai anacronistica: la pericolosità del soccorso alla McLaren di Hakkinen – in piena traiettoria – con commissari in pista mentre sfrecciano Panis e Coulthard, senza che venga interpellata la Safety Car – mai scesa in pista in quel Gran Premio.
Le 2 ore scadono mentre Panis è dentro il tunnel, nel 75esimo giro dei 78 previsti. Coulthard non è riuscito ad avvicinarsi a meno di 1 secondo di distacco. Panis non vinceva un Gran Premio dal 29 agosto 1993, in Formula 3000, in un altro circuito estremamente affascinante, a Spa. Percorre le ultime curve prendendosi qualche centimetro in più di margine sui guard rail e riceve i complimenti dai commissari all’imbocco dell’ultimo rettilineo.
Un anno dopo
Olivier Panis e la Ligier vincono quel Gran Premio di Monaco 1996, una delle corse più pazze di sempre, ed è anche la prima vittoria del pilota e la nona della casa costruttrice nella loro storia in Formula 1. Per entrambi sarà l’ultima.
L’11 maggio 1997 Panis torna a correre nel Principato, la Ligier ha venduto il suo team ad Alain Prost che lo ha confermato con accanto l’esordiente Shinji Nakano. Prima di quella gara aveva ottenuto il suo quarto podio in carriera, a Interlagos, e in Argentina si era qualificato terzo per poi ritirarsi per un problema meccanico, mentre il favorito per la vittoria.
Bellissimo onboard dell’epoca che ci mostra quanto Panis andasse forte nelle prove libere in Argentina nel 1997.
A Montecarlo ci sono tutti gli elementi per un perfetto dejà vu: sotto la pioggia del Principato, Panis parte 12esimo in griglia e dopo 3 giri è già sesto, beneficiando dei ritiri delle due McLaren e della scelta di gomma sbagliata delle Williams. Altri due ritiri, quelli di Herbert e Ralf Schumacher, lo proiettano in quarta posizione dopo 10 giri. Dopo un lungo inseguimento, al 35esimo giro Panis sorpassa la Jordan di Fisichella con una manovra da favola in un punto dove, nella storia della Formula 1, i sorpassi si contano sulle dita di una mano: la seconda chicane delle Piscine. Questa volta finirà quarto, però, battuto da Irvine con la strategia.
Due settimane dopo Montecarlo, a Barcellona, per Panis arriverà un altro secondo posto grazie ancora una volta a un perfetto utilizzo dei suoi pneumatici Bridgestone, più consistenti in gara rispetto ai Goodyear.
Nel momento in cui sembra che la sua carriera possa finalmente svoltare verso un’opportunità migliore rispetto ai sedili della Prost e della Ligier, Panis scende in pista a Montréal per il Gran Premio del Canada. Le qualifiche sono abbastanza buone con un decimo posto, oltre 1 secondo più veloce del compagno di squadra. Le aspettative per un altro arrivo a punti sembrano però dissolversi in pochissimo tempo: all’ingresso della seconda curva Panis tampona Hakkinen e perde l’alettone anteriore. Si ferma subito ai box e riparte dalla 19esima posizione, grazie a tre ritiri. Una serie di problemi tecnici lascia in gara, dopo 47 giri, solamente 11 vetture, ma Panis riesce a rimontare fino alla settima posizione, a un passo dalla zona punti.
Sembrerebbe la definitiva consacrazione della sua nuova consapevolezza da pilota dei piani alti, da top team, che sta ormai maturando, ma al 43esimo giro Panis tocca un muro in uscita di curva con la ruota posteriore destra. Poco dopo avverte via radio il box di un problema alla stessa sospensione, ma dal muretto non ricevono il messaggio.
Panis all’inizio della sua carriera in Formula 1 era famoso perché non parlava bene l’inglese, essendo cresciuto nelle formule propedeutiche sempre in team francesi e spinto anche da sponsor francesi. Non sappiamo se gli uomini della Prost non hanno proprio capito Panis, forse anche per via del segnale radio disturbato, o se hanno colpevolmente sottovalutato il problema. In ogni caso, al giro 52 la sospensione lo tradisce in un tratto veloce, la sezione tra curva 4 e curva 6. La vettura sbanda e disintegra le gomme di protezione.
Panis si muove, è vivo, e ha anche una certa fretta di uscire autonomamente dall’abitacolo. Gli verranno diagnosticate fratture a entrambe le gambe e salterà sette Gran Premi, rientrando per gli ultimi tre della stagione. Racconterà: «Quando ho ripreso a guidare non avevo abbastanza forza per frenare con un piede, dovevo farlo con entrambi».
Non riuscirà mai più a salire sul podio in Formula 1.
Brundle spiega l’incidente.
Anche per la Ligier è la fine di un'epoca, simboleggiata pochi mesi prima del leggendario Gran Premio di Montecarlo 1996 dalla morte di François Mitterrand, il Presidente della Repubblica francese amico di Guy Ligier.
La Ligier era in Formula 1 esattamente da vent’anni, dal 1976. Le migliori stagioni furono quella 1979 e 1980: in quei due anni arrivarono 5 vittorie complessive per merito di Jacques Laffitte, Patrick Depailler e Didier Pironi, e un terzo e un secondo posto rispettivamente nel Mondiale Costruttori. Prima di finire in una lunga e lenta fase discendente, la Ligier aveva vinto il suo ultimo Gran Premio con Laffitte in Canada, il 27 settembre 1981. L’ultimo a cui prese parte resterà il Gran Premio del Giappone 1996, a Suzuka, con la beffa di Panis fuori dalla zona punti per appena 3 secondi.
La fine di un'epoca
Montecarlo 1996 è quindi una delle ultime testimonianze sulla bellezza della progressione solitaria di un pilota, che oltrepassa le barriere dei limiti del mezzo meccanico. L’impresa di Olivier Panis assume molti dei contorni che avevano caratterizzato, sempre a Montecarlo, il successo mancato di Ayrton Senna con la Toleman nel 1984. Montecarlo 1996 ha la stessa connotazione romantica delle vecchie fughe solitarie nel ciclismo, stritolate oggi dalla complessità delle tattiche di squadra, nello stesso modo in cui in Formula 1 la tecnologia ha preso ormai il sopravvento.
Rispetto al capolavoro di Senna, che era già un predestinato, Panis ha aggiunto una sfumatura di ribellione del ceto medio alla rigidità delle classi sociali della Formula 1. Ormai in tutto il motorsport le valutazioni sui piloti, fin dalle categorie propedeutiche, assomigliano sempre di più alla ripartizione tipicamente indiana delle caste. L’incidenza del mezzo meccanico rallenta l’ascensore sociale, circoscrive il margine di azione che un pilota cerca per riscattarsi da una condizione in cui è imprigionato. Insomma, Panis ha realizzato un’impresa che, senza alcun abuso di retorica passatista, appartiene alla Formula 1 di un’altra epoca.
Per mettere a punto il compimento della sua cavalcata c’è stato bisogno anche di una consistente dose di fortuna e di casualità, originate quasi da una mano celestiale, ma Panis si è conquistato il suo spazio di gloria soprattutto con i suoi sorpassi in pista. Ha superato a Montecarlo, anche in maniera piuttosto arrogante, prima una McLaren e poi una Ferrari, quelle che saranno le due case costruttrici più vincenti dal 1998 al 2008. Ha vinto i duelli a sportellate contro Hakkinen e Irvine, i due piloti che si giocheranno fino all’ultima gara il titolo mondiale nel 1999.
Dopo il suo grave infortunio in Canada nel 1997, Panis ha vissuto altre due stagioni di transizione nella Prost, fallendo la più grande occasione di salire nuovamente sul podio al Nürburgring nel 1999. La sua grande occasione in un top team arriva nel 2000, quando gli viene offerto un sedile in Williams, accanto a Ralf Schumacher. L’offerta però valeva per un solo anno, perché per il 2001 era già pronto il tappeto rosso per Juan Pablo Montoya, e Panis ha preferito firmare per la McLaren da collaudatore, alle spalle di Hakkinen e Coulthard, da lui entrambi sconfitti in quel Gran Premio di Monaco. «Fu una scelta molto difficile quella di smettere di gareggiare nel 2000», raccontò più avanti, «ma fu la scelta giusta».
Ralf Schumacher nel 2000 raggiunse il podio appena tre volte. Panis ha rinunciato alla possibilità di mettersi in gioco con la terza miglior vettura dopo Ferrari e McLaren, e magari anche a quella di dimostrarsi migliore del tedesco, intaccando la riconoscenza che la scuderia provava per Ralf Schumacher e per Montoya, conquistandosi un posto anche per la stagione 2001. Dopo tutto la riconoscenza non è certo un elemento fondante della Formula 1.
Nel 2001, Panis è passato alla BAR, una scuderia dalle ingiustificate ambizioni, con la quale ha ottenuto al massimo un quarto posto in Brasile. Nel 2003, a quasi 37 anni, fu chiamato per due stagioni dalla Toyota come pilota di punta accanto al debuttante Cristiano Da Matta: l'esperienza nella casa giapponese gli ha fruttato però solamente due quinti posti.
Rimane molto difficile pensare che la carriera di Panis possa essere stata ostacolata dal suo carattere: il francese si era conquistato il grande affetto, e non solo il rispetto, di tutto l’ambiente della Formula 1; piuttosto a un temperamento sostanzialmente docile, una mosca bianca in uno degli ambienti più spietati al mondo, Panis sembrava accompagnare una certa intransigenza ai compromessi, alle scelte attendiste.
In questo contesto, non è facile neanche capire quanto talento Panis avesse davvero, e contemporaneamente anche quanto ampia sarebbe stata la sua capacità di adattarsi alle esigenze di un top team, fuori dalla comfort zone delle scuderie francesi. La stessa difficoltà che si poteva avere all’epoca, nel posizionarlo su una scala gerarchica e a prenderlo in considerazione per sedili più prestigiosi, la si può avere anche ora nel capire in quale direzione sarebbe davvero potuta andare la sua carriera senza l’incidente in Canada.
Sul podio di Montecarlo Panis sembra capitato per caso, quasi impacciato nello stappare lo champagne. Ha lo sguardo perso delle persone introverse, solleva il trofeo senza l’energia e l’espressione convinta che oggi tutti i piloti in tutte le categorie assumono per una meritata autocelebrazione. Dopo quella gara Panis dichiara: «Non ho intenzione di bighellonare e prendere parte a 250 Gran Premi per il semplice piacere di essere in Formula 1. La mia ambizione è diventare Campione del Mondo». Di Gran Premi ne disputerà 158.
Nel giro d’onore Panis aveva serpeggiato tra le strade più affascinanti di Montecarlo con una vistosa bandiera francese. La passerella di un pilota semisconosciuto sopra una vettura minore sembravano la perfetta raffigurazione allegorica di una rivoluzione dal basso di fronte ai palazzi dei potenti: una specie di rivoluzione francese della Formula 1.