Il calcio spagnolo è noto per il rapporto privilegiato tra i giocatori e il pallone, il suo possesso, la sua cura. Al suo interno merita però un discorso a parte il rapporto rapporto tra i calciatori canari e il pallone. Dalle isole sono usciti alcuni dei calciatori più tecnici della storia del calcio spagnolo. C’è chi pensa che sia per il clima sempre mite, l'atlantico vicino e uno stile di vita diverso rispetto a quello continentale. Dopo Carlos Valeron negli anni ‘90 e David Silva negli anni 2000, è arrivato un altro giocatore che promette di potersi sedere al tavolo dei grandissimi.
Nato a Bajamar, una cittadina sulla costa nell’isola di Tenerife nelle Canarie in cui è nato anche Pedro. Passava le giornate in spiaggia con la famiglia, giocava a calcio nel campo accanto alla spiaggia, per rinfresacarsi nuotava in una piscina naturale scavata nella roccia, poi si addormentava al suono delle onde dell’oceano. L’acqua e il pallone sono le due cose che associa alla sua infanzia. I genitori gestiscono un ristorante poco distante e più vicino alle montagne, a Tegueste, dove si trasferiscono con Pedri ancora piccolo. Il padre è un ex portiere dilettante, tifosissimo del Barcellona tanto da gestirne anche un fan club di tifosi. In un documentario che il Barcellona ha realizzato sulle sue origini vengono mostrate foto di Pedri bambino con diverse maglie del Barcellona. In sottofondo si sente la sua voce: «Sono un tifoso del Barcellona da prima che nascessi, mio nonno ha fondato il fan club del Barcellona qui. Possedevo tutto del Barcellona, i cuscini, i piatti». In rete si trovano le foto di Pedri bambino con la maglia del Barcellona accanto a Joan Laporta, allora presidente, in visita a Tenerife alla sede del fan club a metà anni 2000.
In televisione rubava le movenze ad Andrés Iniesta. Non è tanto la sensibilità tecnica nel manipolare il pallone, ma le angolazioni del corpo, la leggerezza che esprime ogni movimento. A livello epidermico il paragone con Iniesta è facile. Lui ne ha parlato apertamente come idolo d’infanzia: «Ho sempre visto video di Iniesta, è sempre stato il mio idolo».
Si capisce subito che Pedri ha un talento superiore rispetto ai compagni di squadra. Il padre spera in un provino del Barcellona, che la squadra gli possa dare un’occasione perché il ragazzino muore dalla voglia di giocare lì. Ma sono milioni i ragazzini che sognano di fare un provino alla Masia e neanche ci vanno vicini. Visto che la chiamata dalla Masia non arriva provano anche ad andare a Madrid, provino per il Real Madrid, il ragazzino è troppo forte per non provarci comunque. Quando arrivano nella capitale una nevicata rende il campo impraticabile, aspettano qualche giorno e poi lo fanno tornare a casa.
La sua rimane quindi una storia di talento di provincia, che passa le giornate al campetto con gli amici in attesa di essere chiamato per la cena. Per farlo smettere di giocare la madre gli urlava che le crocchette, il suo piatto preferito, erano pronte. La casa è a pochi metri dalla piazza centrale di Tegueste, una di quelle piccole piazze dei paesini del sud della Spagna, con le aiuole, le panchine dove siedono gli anziani, la chiesa a lato. Lì si giocava a pallone e lì trovavi Pedri. La frase è quella che viene appiccicata da tanti genitori di calciatori: «era difficile vederlo senza un pallone, aveva sempre un pallone attaccato ai piedi». Ora nella piazza c’è un cartello che vieta di giocare a pallone.
«Io ho iniziato a giocare a pallone quando da bambino un giorno mio padre si è avvicinato e mi ha chiesto se volevo provare a giocare in una squadra, mio fratello aveva detto che non gli interessava, ma quando ha visto la mia risposta entusiasta si è convinto anche lui a provare». La squadra è ovviamente quella del paese, il Tegueste, Pedri ha 6 anni e non sa ancora allacciarsi gli scarpini. Inizia da difensore centrale giocando nella stessa squadra del fratello di due anni più grande. Ovviamente viene spostato più avanti e ovviamente risultando troppo forte per il contesto del suo paese decide, una volta alle superiori, di trasferirsi in una squadra più competitiva. Si trasferisce a La Laguna, la seconda città di Tenerife. Ci sono video di Pedri ancora più piccolo e magro di quanto non sia ora, che salta uno a uno gli avversari che provano nei modi più disparati di fermarlo. Diventa una piccola leggenda del calcio giovanile canario. Le due principali squadre dell’arcipelago si attivano per averlo con loro, la spunta la principale, il Las Palmas che si trova nell’isola di Gran Canaria, dove quindi Pedri si trasferisce da solo a 15 anni per giocare nell’U-19. Vive nel convitto della squadra con altri 20 ragazzi che il Las Palmas aveva pescato in giro per l’arcipelago. Racconta il padre: «ci sono due versioni di questa storia, la mia che ero entusiasta perché anche io sarei voluto diventare un giocatore professionista, come qualunque ragazzino che si mette degli scarpini addosso. Poi quella di mia moglie, che invece l’ha vissuta molto male».
A Pedri piace la vita nel convitto: si rifà il letto e la colazione da solo, va a scuola e poi gioca a pallone, prima gli allenamenti e poi al campetto del convitto. Basta una stagione di U-19 e arriva la firma del suo primo contratto professionistico. Nel frattempo è stato promosso in prima squadra dall’allenatore Pepe Mel, è l’estate del 2019 e ha 16 anni. I compagni di squadra lo chiamano “niño”, bambino. L’allenatore, che lo fa debuttare, dirà: «Nel calcio non c’è età, è uguale se ne hai 16 o 36, quello che conta è il tuo livello. E Pedri aveva il livello, ovviamente dal punto di vista fisico si doveva formare, avendo 16 anni, ma ha giocato fin dalla prima giornata di campionato». Il Las Palmas gioca in Segunda, ma non c’è dubbio che quello che fa nelle giovanili è in grado di farlo anche tra i professionisti. Non fa in tempo a segnare il suo primo gol che già c’è l’accordo con il Barcellona per il suo trasferimento in Catalogna a fine stagione, per 5 milioni. Due settimane dopo l’annuncio, alla sua quinta partita, segna il suo primo gol con un tiro di destro al volo di collo pieno da una ventina di metri ed è la prima vittoria del Las Palmas in stagione. Gioca titolare tutta la stagione, inizia stabilmente come esterno sinistro del 4-2-3-1, con la trequarti occupata dalla stella Jonathan Viera. Quando Viera va via a gennaio Pedri si divide tra l’esterno e la trequarti centrale. Non ha un ruolo specifico, l’importante è fargli arrivare il pallone in zona di rifinitura e poi ci pensa lui. Nei video lo si vede col petto incassato dalle spalle basse e la testa a 45 gradi da adolescente timido. Il viso scavato ma un’espressione ancora da bambino. Le gambe sono magrissime, le braccia non sembrano poter reggere neanche le buste della spesa. Però i telecronisti, gli allenatori, perfino il padre, quando ne descrivono il gioco aggiungono sempre che quello che fa in campo non si può allenare, quella creatività superlativa o ce l’hai o no.
Al suo arrivo a Barcellona non è chiaro né in che ruolo gioca, né se può reggere l’impatto fisico del calcio a quei livelli. L’idea iniziale sembra quindi quella di farlo partire dalla seconda squadra o mandarlo ancora in prestito. Pedri rimane quindi il primo mese in Catalogna a dormire in albergo in attesa della nuova destinazione. Koeman gli dice che non lo aveva mai visto giocare e che avrebbe dovuto convincerlo in allenamento per rimanere lì.
Il Barcellona è in piena ricostruzione e Koeman non ha forse la sagacia tattica di altri, ma ha comunque mostrato un bel fiuto per il talento e il coraggio di responsabilizzarlo. Gli basta un allenamento in prima squadra per capire del giocatore che si trova tra le mani. A Pedri viene data una casa in città, si trasferisce lì anche con il fratello e inizia la storia che conosciamo tutti: prima timidamente, poi in maniera sempre più evidente comincia a fare il suo calcio anche negli stadi più esigente. In pochi mesi è titolare inamovibile, nel documentario sulla sua stagione fatto da Barça Tv segnala la partita contro la Juve, quando ha mandato ai matti un giocatore esperto come Cuadrado, come quella della svolta per la sua stagione: «Questa partita è stata la prima in cui mi sono liberato. Un po’. In quelle prima avevo giocato bene, ma non avevo fatto “nulla” per così dire».
In una squadra alla disperata ricerca di cambiare il corso di un declino diventato quasi umiliante in ambito europeo Pedri diventa l’appiglio dei tifosi, la boccata d’aria mentre tutto attorno il livello dell’acqua sale fin sopra la testa. Pedri cresciuto guardando e riguardando i video di quel Barcellona, ora si ritrova a giocare in questo Barcellona. Ci sono Messi, Jordi Alba, Busquets, e lui pare avere una motivazione in più. Non a caso loro sono i tre giocatori con cui sembra meglio trovarsi in campo, che sembrano andare a memoria sui suoi movimenti, che da mezzala sinistra devono essere sempre coordinati con il centrocampista davanti alla difesa Busquets e il terzino sinistro Jordi Alba. Poi scambia tanto il pallone con Messi, i due in campo sono legati da un’intesa tutta loro, non c’è la meccanicità del rapporto automatico con Jordi Alba. Messi tratta Pedri come suo pari, lo cerca in campo perché sa che da lui riceverà il pallone in condizioni anche migliori di come l’ha lasciato. Non c’è riverenza ma quel meccanismo spontaneo tra due che riescono a vedere il pallone allo stesso livello senza quasi pensarci, dirà poi: «Leo dava tanto, mi divertivo a giocare con lui. Mi manca».
Stupisce il fatto che da subito ha una concezione del calcio come sport di squadra: «Un consiglio che mi ha dato mio padre e che seguo alla lettera: devi lavorare per la squadra, nel caso in cui le cose non ti vadano bene», si dimostra subito un giocatore che rifiuta di pensare di poter risolvere la situazione da solo, com’è la norma per i giocatori di talento alla sua età, soprattutto quelli abituati a dominare contro i coetanei. Pedri però contro i coetanei ci ha giocato solo nella nazionale giovanile, perché ha sempre giocato con i più grandi, anche quando stava al Las Palmas. A differenza di molti coetanei ha una tecnica nel controllo del pallone a 360 gradi, ovvero i suoi controlli orientati e le sue finte non avvengono solo fronte o dal lato per posizionarsi fronte al campo e poi iniziare la conduzione. Pedri gioca come se avesse gli occhi dietro la testa e gestisce anche l’intervento che gli arriva alle spalle. Questo ovviamente arriva grazie all’abitudine di scandagliare più volte il campo prima di ricevere, ma anche al fatto che è cresciuto giocando in spazi ristrettissimi dei campetti in cemento e quindi ormai la sua visione periferica è più ampia e il corpo reagisce con istinto quando percepisce il possibile intervento: «Anche se hai un corpo piccolo, sapere come posizionarlo è molto importante. Quando un avversario viene verso di te, se metti il tuo corpo di fronte a lui, il massimo che può fare è il fallo. Questo è ciò che ti dà l'esperienza».
È uno di quei giocatori che non ha nessun problema a sentire il contatto dell’avversario, che anzi ne sfrutta il momento per rigirarglielo contro. Un giocatore abituato a convivere con la mano che tiene un braccio o la maglia, il piede che prova da dietro ad arrivare sul pallone. Uno di quelli che, per dirla alla Juanma Lillo, «sono quei giocatori che non solo sono capaci di convivere con un avversario vicino, ma anche con la minaccia di un avversario vicino» che li vedi tranquilli anche sotto i raddoppi e che sono capaci «di bersi un paio di caffè anche sotto pressione». Mette quasi ansia vederlo scontrarsi, rotolare a terra, il suo corpo è elastico ma rimane uno scricciolo in confronto agli adulti che ha attorno.
La paura che un infortunio possa anche solo scalfirgli l’entusiasmo, la fiducia in sé stesso è tanto forte quanto lo stupore nel vederlo provare cose nuove, non accontentandosi di quello che sa già fare. L’ultima volta mi è successo con Messi appena arrivato in prima squadra, ricordo una trasferta a Londra contro il Chelsea di Mourinho che come tattica aveva utilizzato il fallo sistematico del terzino basco Del Horno su di lui non appena riceveva palla. Del Horno è riuscito, dopo vari tentativi, a infortunarlo, facendogli saltare il resto della stagione. Pedri invece si rialza senza problemi e finisce per giocarle tutte. Ad aiutarlo in questo, oltre alla fortuna, dice che è stato il suo passato con l’atletica leggera: «Se lo fai da bambino, ti fa bene anche dopo. Molta della mia resistenza viene dall'atletica. L'ho fatto fino a 15 anni, prima di entrare nel Las Palmas. Facevo corsa sulla lunga distanza, perché la velocità non è il mio forte. Ho fatto anche gli ostacoli, ma non mi è piaciuto molto. Nelle gare di lunga distanza, vincevo perché riuscivo a resistere a lungo. Ho corso gli 800m, i 3000m e sono stato anche chiamato per la staffetta 4x400m». L’aspetto emaciato del viso nasconde una resistenza enorme allo sforzo o forse la racconta.
Koeman ha solo elogi per lui: «La naturalezza di questo giocatore è fantastica. Sembra che si alleni con la squadra da più tempo di quanto non lo faccia realmente. Perché è un giocatore sveglio». In poco tempo fa innamorare anche Luis Enrique che lo convoca in Nazionale, finisce a giocare l’Europeo da titolare. Lì il suo status cambia, da promessa a stella della Nazionale, il tutto nonostante l’età. Ramon Besa su El País scrive: "Sembra un calciatore moderno che si ispira ai classici. Prende la decisione migliore e più veloce in ogni momento, ugualmente benedetto dalle sensazioni come dai dati, metà artista e metà atleta, solidale e preciso anche quando è necessario filtrare la palla, il miglior interprete del gioco di associazione e posizione che si basa su triangoli come quello formato contro l'Italia da Busquets-Pedri-Olmo. Il canario è stato il punto d'incontro dei tifosi di un paese diviso e condizionato da Barça vs Madrid".
All’Europeo è stato il secondo giocatore di campo della Spagna con più minuti giocati, quello che ha corso più chilometri (76,1) e quello che ha eseguito più passaggi riusciti (421). Finito l’Europeo viene convocato dalla Nazionale olimpica e parte quindi subito per Tokyo, dove vince l’argento. Ci sono dubbi sul fatto che sia o meno una scelta giusta giocare così tanto, ma lui sta vivendo un sogno e non ha nessuna intenzione di dire di no. Una mossa veramente azzardata che pagherà subito dopo.
Pedri salta praticamente tutta la prima parte di stagione per i postumi della maratona di partite giocate. Le 73 partite giocate, se non sono un record storico, ci si avvicinano sicuramente e presentano il conto con infortuni e ricadute che gli fanno saltare metà stagione. La sua assenza ha pesato sul brutto rendimento della squadra di Koeman in autunno e il suo rientro ha coinciso con l’inizio del periodo migliore del Barcellona di Xavi.
Pedri è tornato in campo a fine gennaio, dopo cinque mesi, trovandosi dentro un ecosistema ben diverso rispetto a quello che aveva lasciato. Il Barcellona è stato rinforzato a gennaio e può schierare un attacco tutto nuovo. Il suo inserimento nell’undici però non è mai stato messo in discussione: «Mi ricorda molto Andrés». Lo dice quello che forse conosce l’ex compagno meglio di tutti. Quello che gli ha detto appena arrivato è lo stesso che venne detto ad Iniesta a suo tempo, di non avere paura di concludere l’azione. Osare è il termine esatto usato da Xavi. Il tecnico gli ha chiesto di arrivare a poter fare una stagione da almeno 10 gol e 10 assist. Ora deve innanzitutto imparare a tirare quando ha lo spazio per farlo, per rendere poi in futuro la minaccia del tiro un’altra carta da poter giocare per tenere sulle spine l’avversario puntato. Come Iniesta non sarà mai un giocatore da grandi cifre, ma spera di diventare quello che segna il gol pesante che poi i tifosi ricorderanno tra dieci anni.
Per questo il gol segnato contro il Galatasaray ha avuto un significato speciale per Pedri. È un gol che rende più tangibili i suoi miglioramenti, e mostra un talento peculiare fatto di pausa e gesto. I due difensori del Galatasaray scendono a terra con troppa facilità, anche perché temono la rapidità di Pedri.
«In campo ho la fortuna di non pensare, le cose mi vengono da sole» ha detto Pedri a fine partita. Ai tempi del Las Palmas diceva: «Un calcio che ti diverte, in cui fai quello che ti viene sul momento, quello che quasi non ti passa per la testa. La prima cosa che ti viene la provi a fare nel miglior modo possibile. Penso che questo sia il mio calcio». Un calciatore che è istinto puro, guidato dall’allenatore che è stato il calciatore più cerebrale di tutti. Entrambi giocatori creativi, ma arrivandoci da strade opposte: i piedi contro la testa. Qui torna importante l’accostamento che fa Xavi tra Pedri e Iniesta. Proprio questo punto d’incontro finale sulla creatività come pezzo fondamentale del puzzle della manovra, porta Xavi a ritenere già ora Pedri il giocatore decisivo per il suo sistema.
Nel Barcellona di Xavi è fondamentale per lo sviluppo della manovra che venga trovato quello che viene definito “hombre libre”, cioè il giocatore smarcato dietro la linea di pressione. Pedri è sia chi lo trova che lui stesso l’uomo libero: «Un calciatore meraviglioso. Che a 19 anni sappia fare praticamente tutto bene è spettacolare. Che poi ogni tanto scherziamo con lui chiedendogli da dove viene, da che scuola calcio. Come orienta il corpo prima di ricevere, come guarda attorno a sé tre quattro volte, questa è perfezione nel calcio, una meraviglia. Questo è quello che ci manca in molti calciatori per giocare meglio al calcio che vogliamo fare noi. Per questo Pedri in questo momento è l’eccellenza di quello che vogliamo noi come idea e modello di gioco».
Rispetto alle sue partite iniziali con Koeman è migliorato nell’esecuzione del passaggio, nella precisione con cui arriva al compagno sul piede giusto e con i tempi giusti. Ora sono rari i casi in cui un suo passaggio è leggermente lungo o corto, e questo fa tutta la differenza per come vuole giocare il Barcellona o la Spagna. Lo si nota soprattutto nei cambi di gioco, ora parte integrante del modo con cui si associa con compagni lontani, come nel caso dell'ala destra Adama Traoré quando Pedri gioca mezzala sinistra. Pedri è ora al tempo stesso il controllo del centrocampo e la verticalità della squadra, con i suoi filtranti e i suoi cambi di gioco in orizzontale, ed è il motivo per cui Xavi gli ha cucito una funzione specifica. Parte dalla zona di rifinitura, dietro il mediano e davanti ai centrali avversari, e può scendere a centrocampo per aiutare la manovra. Deve gestire i ritmi della manovra nella metà campo avversaria, accelerando o decelerando la velocità con cui si muove il pallone e la sua direzione sul campo. Aveva detto già in estate: «Lo scopo di avere la palla dovrebbe essere quello di arrivare in porta, ma si guadagna anche ossigeno e si hanno più opzioni del tuo avversario, che si sta stancando. Bisogna avere la palla per rubare spazio, non per avere l'80% di possesso solo per il gusto di farlo».
Insomma Pedri è il regista della squadra pur non gestendo la manovra dall’uscita del pallone, è lui che ordina i compagni attraverso il pallone. La sua presenza ha alzato il livello stesso della manovra del Barcellona negli ultimi mesi. Uno di quei giocatori rarissimi la cui presenza in campo sembra innalzare anche il livello dei compagni perché gli rende la vita più facile, se si alza la testa Pedri è libero di ricevere e metterà giù qualunque pallone, se si fa un movimento in profondità lui troverà il modo di farti arrivare il pallone, se stai largo basta chiamare la palla e quella arriva. Se si perde il possesso è il primo a fiondarsi in pressione.
«Pedri ci dà la pausa, non perde la palla, si orienta sempre bene col corpo e usa entrambi i piedi» ha detto Xavi. È curioso che a salvare il Barcellona nel momento di buio sia stato un giocatore cresciuto in quel mito culturale, ma che non ha mai frequentato la Masia. La fusione tra il calcio da strada canario e il gioco di posizione catalano sembra però l’esperimento meglio riuscito tra i nuovi talenti spagnoli. Dopo una vittoria contro il Valencia, in cui Pedri è entrato nel secondo tempo per dare spettacolo Xavi, si è lasciato andare all’elogio definitivo: «Penso che in termini di talento, non ci sia un giocatore migliore al mondo di Pedri».