Peng Shuai è una star del tennis internazionale, un personaggio di spicco dello sport cinese che ha contribuito a far fiorire un intero movimento tennistico femminile tra la seconda metà degli anni Zero e la prima metà degli Anni Dieci. È una delle tenniste cinesi più vincenti della sua generazione, insieme a Li Na, Jie Zheng e Zi Yan. La sua carriera di doppista è stata molto importante: è stata numero 1 del mondo nel 2014 e con la taiwanese Su-Wei Hsieh ha vinto due titoli del Grande Slam, Wimbledon nel 2013 e il Roland Garros nel 2014, un torneo Wta Tour Finals nel 2013.
L’ultima partita che ha giocato nel circuito Wta è stata a Doha, per il torneo Qatar Open a febbraio 2020: era l’ottavo di finale in doppio insieme a Xinyun Han e ha perso contro la coppia Sofia Kenin – Belinda Bencic con il punteggio di 7-6, 6-1.
Il 2 novembre scorso Peng Shuai scompare dopo aver accusato pubblicamente di aver subito violenze sessuali da parte di Zhang Gaoli, ex vice Primo Ministro cinese e membro influente del Partito Popolare Cinese, ora fuori dalla vita politica attiva del Paese. La tennista ha raccontato la sua esperienza in un lungo post sulla piattaforma di micro blogging Weibo, ma le sue parole sono state cancellate dopo una trentina di minuti e con esse inibite le referenze correlate alla parola «tennis»: il suo messaggio è stato censurato totalmente.
Di lei non si hanno notizie certe e verificate da quasi tre settimane e cercando sue notizie su Weibo dall’Italia i risultati recenti sono pari a zero: esiste una sola notizia relativa a un suo ritiro dallo Us Open 2014 per infortunio.
Peng Shuai e il #MeToo
Peng Shuai ha scritto una lettera aperta a Zhang Gaoli, raccontando di aver avuto una relazione extraconiugale con lui e poi di essere stata abusata. Nel suo lungo post ha anche dichiarato sia di non poter produrre prove a sostegno della sua accusa, perché è impossibile dato il regime di segretezza della sua relazione e il grado di autorità e di potere coinvolti, sia del fatto che questo suo messaggio si perderà nel niente: è come «colpire una pietra con un sassolino».
Come riporta un articolo dello scorso 27 settembre sul sito della BBC il movimento #MeToo in Cina ha subito di recente un colpo importante: il caso contro Zhu Jun, una delle più famose star televisive cinesi, accusato di violenza sessuale da Zhou Xiaoxuan (meglio conosciuta con il nickname Xianzi), sceneggiatrice che ai tempi della violenza nel 2014 lavorava come stagista per l’emittente China Central Television, è stato archiviato per insufficienza di prove. Nel 2018 Xianzi aveva usato l’app di messaggistica e social media WeChat per raccontare la sua esperienza e esprimere solidarietà al movimento statunitense #MeToo che stava esplodendo, ma le sue accuse risalgono al 2014, quando le autorità che raccolsero la sua denuncia la invitarono a ritirarla, per evitare che i suoi genitori perdessero il lavoro.
Dopo la sentenza di poche settimane fa Xianzi ha cercato di ringraziare pubblicamente le persone che le avevano dato sostegno, pubblicando un testo su Weibo, ma la sua comunità online è stata cancellata: «Gli account delle persone sono costantemente sospesi. Non ho modo di contattarli. Ho perso l’opportunità di ringraziarli. Gli ultimi tre anni sono stati usati tutti per separare le femministe cinesi l’una dall’altra.»
L’articolo della BBC è interessante anche perché mette in luce due aspetti importanti: da un lato il silenziatore che viene usato contro chi denuncia o chi si esprime attorno a temi come questo, in modo diretto contro gli aggressori e soprattutto se figure di potere e pubbliche; dall’altro la quasi impossibilità di produrre prove a sostegno delle proprie accuse, fatto che riporta direttamente alle dichiarazioni scritte da Peng Shuai nel suo post originario.
Attivo da agosto 2009, Weibo è considerato il social network più influente in Cina ed è nato quando molti social media popolari nel mondo non erano disponibili per la popolazione cinese: a seguito del blackout a luglio 2009 disposto dal governo dopo le sommosse popolari a Ürümqi, capoluogo dello Xinjiang, sono state chiuse piattaforme social e di micro blogging come Fanfou (riaperto poi nel 2010 in modalità sola lettura), Jiwai, Digu e Zuosa. Da quel momento al 2018 Weibo ha subito una crescita progressiva costante, arrivando a essere usato dal 42% della popolazione cinese.
La piattaforma nasce per mano di Sina, un’azienda tech e negli anni si è evoluta tentando costantemente di attrarre utenti, lasciarli sulla piattaforma più a lungo possibile e offrendo servizi identici ai social network più utilizzati al mondo: Weibo è passato da supportare post da 140 caratteri a post da 2.000 nel 2016, cambiando la sua essenza in un vero e proprio sito di micro blogging, e diventando con il tempo un ibrido fra diverse altri social network come Instagram, Facebook, Pinterest e YouTube. Nel 2012 introduce inoltre la policy «Real Name» che prevede l’obbligo di registrazione con il vero nome da associare a un numero identificativo governativo, pena ritorsioni per chi fornisce il servizio.
Oggi, Weibo aderisce all’Internet Censorship cinese che applica metodi e politiche di controllo attraverso il monitoraggio di parole chiave di ricerca, la limitazione del traffico internet e il blocco di alcuni siti specifici (secondo il Golden Shield Project e il suo progetto-figlio Great Firewall). Messaggi e post relativi ad argomenti sensibili e proibiti (i diritti umani sono un argomento sottoposto a continue revisioni, la libertà di critica e di parola di intellettuali, attivisti e scrittori è costantemente vietata) vengono segnalati, cancellati e l’account dell’utente bloccato.
Nel passato recente ci sono stati casi eclatanti di organizzazioni sportive fuori dalla Cina che hanno subito una censura temporanea. Nel 2019, per esempio, mentre era uno dei centrocampisti dell’Arsenal, Mesut Özil, calciatore tedesco di origine turca, è stato bannato virtualmente dopo aver criticato duramente come sono trattati gli Uighurs, una grande e minoritaria comunità musulmana della regione di Xinjiang. Insieme a Özil, anche la Premier League ha subito una temporanea censura.
Oggi cercando “Wta” su Weibo i risultati più recenti riguardano la conclusione della stagione e i risultati delle Wta Finals di Guadalajara (a causa dell’emergenza pandemica sono state spostate dalla Cina al Messico) e un post del 7 ottobre dell’account Tennis attivo, 211mila follower, in cui si parla del montepremi delle Wta Finals messicane: «"Nessuno può dire di no alla Cina." Dopo che le finali WTA hanno lasciato Shenzhen, il montepremi totale si è ridotto di quasi 10 milioni.»
Wta e la Cina
I tornei del circuito Wta giocati in Cina nel 2019 sono stati 10 e hanno coperto categorie e superfici diverse: dallo Shenzhen Open di gennaio sino alle Wta Finals di novembre, passando per il China Open il prestigio è cresciuto negli anni e anche se in alcuni casi con minor tradizione di altri, questi sono tornei, collocati per la maggior parte nell’ultima parte della stagione, assegnano punti spesso rilevanti ai fini del ranking di fine anno e montepremi alti.
I tornei di Pechino e di Wuhan, rispettivamente il China Open (l’unico torneo "combined" in Asia che però è un torneo 1000 per Wta e 500 per Atp) e il Dongfeng Motor Wuhan Open, nell’ultimo decennio hanno visto gareggiare e vincere alcune tra le migliori tenniste del mondo, come Serena Williams, Naomi Ōsaka, Maria Sharapova o Petra Kvitova; inoltre, l’Open cinese di Pechino è il quarto nel circuito per montepremi e spettatori, insieme a quelli di Indian Wells, Miami e Madrid, esclusi gli Slam: come si legge dalla scheda del sito del torneo: «In quanto simbolo di Pechino nell'era post-olimpica, il China Open migliora continuamente come popolarità e come influenza internazionale.»
Il 17 novembre il CEO di Wta Steve Simon ha ricevuto una e-mail da Peng Shuai in cui la tennista affermava di stare bene, di essere al sicuro, che le presunte accuse di violenza subita erano state pubblicate senza il suo consenso. Simon si è detto incredulo rispetto a questa comunicazione, perché nessuno, tra i tennisti o tra lo staff di Wta, è riuscito a parlare direttamente con lei.
La reazione della Wta è stata di supporto verso Peng Shuai, «un’atleta che è parte della famiglia Wta e ha fatto delle dichiarazioni serie» e molto netta verso il tennis cinese e gli organi che lo supportano: «Se non ci sarà cooperazione, prenderemo delle decisioni, e siamo preparati a farlo, e questo è il meglio che possiamo fare. Ma non ci tireremo indietro da questa posizione. È la cosa giusta da fare». Il tennis femminile rinuncerà ai tornei in Cina.
Dopo la scomparsa di Peng Shuai, Steve Simon ha chiesto formalmente alle istituzioni cinesi di provare l’incolumità della tennista e il fatto che non le è negata la libertà personale; assieme a lui tutti i tennisti e le tenniste e molti giornalisti nel mondo hanno espresso la medesima preoccupazione per la faccenda, attorno all’hashtag #WhereIsPengShuai.
I più importanti quotidiani sportivi europei, Marca e L’Équipe, sabato 20 novembre hanno dedicato la prima pagina alla notizia; inoltre, prima della semifinale delle Nitto Atp Finals di Torino fra Novak Djokovic e Alexander Zverev al campione serbo è stato chiesto un parere sulla questione: Nole è uno degli sportivi più conosciuti in Cina e ha dichiarato la sua preoccupazione e il supporto alle affermazioni e eventuali decisioni di Wta.
Le ultime ore
Venerdì 19 novembre Peng Shuai avrebbe usato WeChat per postare delle fotografie con la didascalia «Happy weekend» e Shen Shiwei, giornalista e analista cinese di politica estera, ha reso noti gli screenshot di questi messaggi e un vero e proprio servizio successivo di brevi video di una cena della tennista con amici.
La mattina del 21 novembre l’account Twitter di Hu Xijing, direttore responsabile del Global Times, giornale di stato cinese, ha postato un video di Peng Shuai che presenzia a un torneo di tennis giovanile a Pechino e circa un’ora dopo anche Qingqing Chen, sempre nello staff di Global Times, ha diffuso sul suo account Twitter un nuovo video della tennista alle prese con gli autografi allo stesso evento. Secondo il Guardian, però, il fatto che sia un video effettivamente realizzato oggi non è accertabile, ma soprattutto è stato fatto girare attraverso Twitter, piattaforma invisibile ai più in Cina.
Il pomeriggio del 21 novembre, il Presidente del CIO Thomas Bach ha parlato in videochiamata con Peng Shuai, insieme a Emma Terho, Direttrice della Commissione Atleti del CIO e Li Lingwei, Membro del CIO in Cina. L’immagine che è stata fatta girare della telefonata vede Peng Shuai sorridente in una stanza con alle spalle moltissimi pupazzi di pezza – gli stessi degli altri video diffusi nei giorni precedenti – e una foto della tennista incorniciata appena alla parete.
Se Wta o i governi che si sono mossi in prima linea per chiedere di accertare inequivocabilmente le condizioni di Peng Shuai e per far luce sulle sue legittime accuse (Wta aveva anche annunciato di voler aprire un’inchiesta a riguardo) continueranno a richiedere ancora di poter parlare direttamente con la tennista cinese, considerando quindi le ultime dichiarazioni insufficienti, l’attuazione delle minacce di boicottaggio si farebbero più nitide all’orizzonte.
La portata di eccezionalità di una decisione del genere, che riguarderebbe il circuito di tennis femminile nei confronti di un intero Paese, avrebbe conseguenze economiche e diplomatiche evidenti, una condanna esemplare verso la censura della voce delle donne quando denunciano le violenze subite.