Cinque anni fa un lettore ci chiedeva perché la Juventus di Allegri fosse “brutta da guardare”. Era la Juventus reduce dalla finale di Cardiff, ricca di giocatori di grande qualità: Higuain, Dybala, Douglas Costa solo per ricordare qualche nome. Una Juventus vincente che avrebbe conquistato il campionato battendo l’Inter a Milano con due gol negli ultimi minuti di gioco, mentre il Napoli di Sarri, il giorno successivo, avrebbe perso sorprendentemente a Firenze.
Ne era nata una riflessione più ampia sul significato di bellezza nel calcio, che personalmente avevo associato non solo alla dimensione individuale del singolo gesto tecnico ma anche alla dimensione collettiva. Quella dell’armonia tattica, dell’efficacia del gioco di squadra. A distanza di cinque anni, quella domanda è, se possibile ancora più attuale. Perché, lo confesso subito, per me guardare la partite della Juventus non è particolarmente divertente. Insomma, sono d’accordo con chi dice che la Juventus sia brutta da guardare.
Cosa cerchiamo in una partita di calcio?
Oggi come allora però vale la pena tornare sulla domanda fondante di tutto questo discorso: cosa intendiamo quando diciamo che è una squadra brutta? È un discorso che riguarda le nostre aspettative. Cosa ci attendiamo da una partita di calcio? Cosa vogliamo vedere dai ventidue calciatori in campo?
Il calcio è sport dalle emozioni compresse. Ci sono pochissimi picchi – azioni pericolose, tiri, gol – diluiti nel tempo e immersi in un mare abbastanza piatto di eventi che dovrebbero generarli, ma che quasi sempre non conducono a nulla. La tensione dello spettatore è quasi interamente concentrata nell’attesa che avvenga qualcosa, è compressa nella speranza o nella paura che un evento liberi la tensione accumulata. In questo senso non è uno sport troppo spettacolare, in cui eventi significativi accadono di continuo. È poi uno sport che si gioca con i piedi, una parte del corpo poco sensibile e adatta per giocare un pallone, e quindi soggetta ad un’alta percentuale di errore e di imprecisioni che poco hanno a che fare con l’armonia del gesto tecnico-atletico. Con quello, insomma, che intendiamo con bellezza.
La fruizione dello spettacolo calcio può avvenire a diversi livelli. Ci sono gli spettatori occasionali, quelli che magari guardano solo le partite della Nazionale nei grandi eventi o le finali delle competizioni internazionali. Ci sono poi gli appassionati e i tifosi, che insieme formano forse il gruppo più numeroso. Tifosi di una squadra, ma appassionati di calcio in generale che guardano molte partite.
Cosa rende divertente per gli appassionati di calcio la visione di una partita? Di certo gesti tecnici ben eseguiti, che mettano in mostra doti atletiche, coordinazione, fantasia, destrezza, imprevedibilità: tutto questo rende bella una partita. Ma anche la dimensione collettiva, il comportamento tattico delle due squadre, oltre a fornire lo scenario entro cui i gesti tecnici si esprimono, forniscono un determinante contributo alla definizione della bellezza di una partita di calcio. Disegnano, in qualche maniera, buona parte della fase di compressione delle emozioni, della fase di attesa e di preparazione ai pochi picchi di una partita di calcio. È come se una strategia tattica chiara, coerente e ben attuata accompagnasse e arricchisse di senso l’attesa che compone una partita di calcio. C’è il piacere, direi intellettuale, di osservare all’opera una strategia ben eseguita, di apprezzare la sua fase ideativa e quella attuativa. Ma c’è anche la sensazione che le squadre stiano mettendo in campo qualche meccanismo che dia un significato alla nostra attesa, che possa dare sfogo alla nostra compressione.
Certo, una parte importante, se non preponderante, delle strategie di gioco riguarda la fase difensiva, la prevenzione e la difesa degli attacchi avversari e quindi, in qualche maniera, la castrazione di tutti i picchi di una partita di calcio. Gli appassionati possono trarre piacere anche da una tattica difensiva ben eseguita, apprezzarne le logiche e l’efficacia. Ma per la stragrande maggioranza delle persone l’attacco è più divertente della difesa e in genere quindi le squadre che fondano la propria identità sulla dimensione difensiva sono considerate meno divertenti da guardare.
La Juventus di Allegri
Tornando sulla Juventus di Allegri, è innegabile che la sua identità intrinseca sia di natura difensiva, tra l’altro declinata secondo canoni particolarmente conservativi e prudenti. Gli approcci difensivi nel calcio possono essere i più svariati e in uno sport estremamente fluido e continuo come il calcio la fase difensiva è intimamente e indissolubilmente legata a quella offensiva. In quest’ottica la prudenza adottata dalla Juventus di Allegri nel cercare di prevenire i rischi permea ogni aspetto della squadra.
L’aspetto che salta più all’occhio è la fase puramente difensiva, il modo in cui la Juventus affronta la partita quando gli avversari hanno il pallone. Per la squadra di Allegri utilizzare la fase difensiva come base di partenza per la fase offensiva non è una priorità. La volontà non è quella di recuperare il pallone in zona avanzata e di utilizzare il pressing per attaccare in ripartenza la squadra avversaria sbilanciata dopo la perdita del possesso, ma solo quella di minimizzare i rischi per la propria porta.
Ci sono già alcuni numeri, nonostante il campione limitato di partite, che ci parlano della prudenza della Juventus che si difende in zone piuttosto basse di campo. L’altezza media degli interventi difensivi è l’undicesima in Serie A (44.54 metri) e la Juventus è la quattordicesima squadra per pressioni esercitate nella metà campo avversaria (e la sedicesima per percentuale di pressioni esercitate nella metà campo avversarie sul totale). La Juventus sceglie quasi sempre di difendere bassa nella propria metà campo, schierando le sue linee compatte a difesa della propria porta. Partendo dal 3-5-2, le uscite sugli esterni bassi avversari sono sempre di competenza delle mezzali. In questa maniera la linea arretrata è inevitabilmente composta da 5 giocatori e il baricentro si abbassa. Talvolta la Juventus sceglie di difendere con il 4-4-2 tenendo vicine alla propria area e tra di loro le linee di difesa e centrocampo. In ogni caso, le due punte tendono ad abbassarsi, ad avvicinarsi al resto della squadra e a lavorare difensivamente sui centrocampisti avversari.
Il bassissimo 5-3-2 difensivo della Juventus che tiene sotto il pallone anche le due punte.
La Juventus accoppia alla scelta di difendere bassa un atteggiamento generale ed individuale più orientato alla difesa degli spazi che al duello individuale. Contro le difese schierate della Juventus le squadre avversarie sono quindi in grado di palleggiare con una certa comodità, anche in zone profonde della metà campo bianconera, ma si trovano ad affrontare un’occupazione densa delle zone a ridosso e dentro l’area di rigore.
Gli avversari della Juventus hanno in genere ottime percentuali di precisione dei passaggi (84%, solo Cagliari, Genoa e Monza concedono una maggiore precisione nei passaggi agli avversari), figlie della scarsa pressione sul portatore, ma hanno difficoltà a completare passaggi all’interno dell’area di rigore bianconera. Gli uomini di Allegri concedono nella propria area solo 1.25 passaggi ogni 90 minuti, la terza migliore squadra di Serie A in questa statistica. È chiaro che uno stile difensivo di questo genere, poco aggressivo sugli avversari e che non contende il possesso, può generare lunghe fasi di palleggio attorno al blocco difensivo bianconero, una contesa di posizione, quasi uno stallo, in cui la pazienza e l’attenzione sono componenti determinanti. E tutto questo non genera un grande spettacolo.
L’approccio cauto della squadra di Allegri alla fase difensiva è confermato dall’occasionalità del pressing bianconero, peraltro sempre piuttosto disorganizzato. Il pressing della Juventus è in genere orientato sull’uomo, ma la prudenza che governa le scelte della squadra difficilmente consente ai bianconeri di pareggiare, durante lo sviluppo dell’azione, il numero di uomini impiegato in costruzione bassa dagli avversari. In tale maniera, per la squadra avversaria basta resistere al pressing per qualche fase di gioco, abbassare magari un uomo, per trovare superiorità numerica e posizionale, far saltare i riferimenti al pressing bianconero e superare la pressione avanzata degli avversari. Le infrequenti fasi di pressing della Juventus si risolvono quindi con un rapido ripiegamento verso lo schieramento difensivo basso e, nel corso della partita, diventano sempre più occasionali a favore di un preventivo posizionamento nella propria metà campo.
L’indice PPDA è il quattordicesimo della Serie A (12.43) e più alto della media del campionato (più è alto il PPDA più significa che una squadra ha un atteggiamento passivo in fase di pressing) e, in aggiunta, la Juventus è la peggiore squadra di Serie A per palle recuperate in azioni di riaggressione dopo palla persa (1.63 ogni 90 minuti) a testimonianza di una fase di transizione difensiva più orientata al recupero delle posizioni che alla riconquista immediata del pallone.
Chiaramente, una fase difensiva che recupera il pallone in zone particolarmente basse di campo e che tiene pochissimi uomini sopra la linea del pallone, non è la piattaforma ideale per l’avvio di ripartenze rapide che possano percorrere tanto campo, senza riferimenti avanzati a cui appoggiarsi. La Juventus è la tredicesima squadra della Serie A per tiri originati da azioni di pressing e l’undicesima per tiri in azioni da ripartenza.
Un esempio delle complesse ripartenze della Juventus. Partendo dal 5-3-2 difensivo Locatelli recupera il pallone, ma non ha alcun riferimento offensivo su cui appoggiarsi fatta eccezione per Kean, lontano e difficile da raggiungere. Può solo portare palla, ma isolato e alla fine viene circondato da tre giocatori avversari.
La fase offensiva, coerentemente all’idea che forgia l’identità della squadra, si muove su principi di prudenza e cautela. La circolazione del pallone della Juventus è spesso stagnante e improduttiva a causa dell’assenza di linee di passaggio dietro la linea della pressione e di giocate negli spazi all’interno della struttura difensiva avversaria. Agli smarcamenti alle spalle della pressione e tra gli avversari, la Juventus preferisce quelli a sostegno, a fianco o dietro il portatore di palla, per giocare il pallone in maniera sicura riducendo i rischi nella trasmissione del pallone. In alternativa, viene preferito l’attacco alla profondità e l’opzione del lancio lungo, spesso l’unica scelta rimasta dopo fasi di circolazione palla orizzontale e incapaci di generare vantaggi posizionali e che, eventualmente, comporta una perdita del pallone in zone piuttosto lontane dalla propria porta. Le scelte di smarcamento e di passaggio sono chiaramente definite dalla cautela che permea il gioco della squadra e disegnano una circolazione del pallone che non sembra mai orientata a creare vantaggi e superiorità, quanto piuttosto a non perdere in maniera rischiosa il pallone.
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La Juventus non crea nulla e basta un pò di pressing del Lecce per costringere i bianconeri al lancio lungo con poche possibilità di riuscita. Nelle prime tre immagini Danilo, dopo una circolazione orizzontale e pigra del pallone, non ha altra soluzione che lanciare nel vuoto. Ancora, nell’azione mostrata dalle ultime due immagini, Danilo è costretto a lanciare lunghissimo verso Vlahovic un pallone intercettato dalla difesa del Lecce.
Anche quella dei giocatori sembra una scelta orientata al principio di fondo di minimizzazione dei rischi. Per Chiesa, un giocatore dalle giocate mai orientate alla prudenza, è stata trovata la posizione più avanzata possibile, dove l’eventuale fallimento dei suoi duelli individuali può influire meno sull’equilibrio complessivo della squadra. Iling Jr. il più estroso degli esterni di sinistra è anche quello che ha giocato meno e, a destra, alla velocità di Weah è stato sempre più spesso preferita la presunta maggiore applicazione tattica di McKennie. In mezzo al campo, alla capacità di smarcamento tra le linee di Miretti è stato in genere preferita, nelle ultime due stagioni, la gestione del pallone più sicura di Nicolò Fagioli. Allargando un po' lo sguardo, forse anche la rinuncia nelle passate stagioni a due giocatori come Dybala e Kulusevski può, in parte, essere imputata a ragione che investono l’identità più profonda della squadra costruita da Massimiliano Allegri.
Perché la Juventus è brutta da guardare?
Se siamo d’accordo sul fatto che la bellezza di una squadra deriva da una combinazione tra una dimensione individuale, che comprende i gesti tecnici dei calciatori, e una collettiva, che è correlata alla volontà e all’applicazione tattica degli undici giocatori connessi tra di loro, siamo anche d’accordo sul fatto che la Juventus sia una brutta squadra da guardare. Se già cinque anni fa, quando la poteva schierare giocatori dall’elevatissimo tasso tecnico, la Juventus veniva considerata “brutta”, la situazione, oggi che la squadra ha un livello tecnico più basso di quella di allora ed è strutturalmente meno propensa a brillare per qualità delle proprie giocate, non può che essere peggiorata.
Ovviamente in questo discorso entrano anche fattori che non hanno a che fare strettamente con l’identità di una squadra, come gli stati di forma dei singoli calciatori, le loro giocate, ma anche i criteri di selezione della rosa e dei titolari, oltre alle richieste dell’allenatore. Tralasciando la componente economica, da un punto di vista tecnico sembra che la costruzione della rosa prima, e le scelte di campo poi, evidenzino la volontà di non puntare su giocatori più votati a giocate rischiose per favorire l’approccio prudente alle partite idealizzato da Massimiliano Allegri.
L’identità profonda data alla squadra dal tecnico livornese sembra influenzare in maniera radicale ogni giocata dei suoi calciatori in campo, che sembrano avere interiorizzato la prudenza che l’allenatore richiede alla sua squadra, rinunciando a giocate più rischiose, ma potenzialmente più remunerative a vantaggio di scelte sempre conservative, ma in genere improduttive.
La dimensione collettiva è invece fatta da tante componenti, tra le quali una è di certo collegata all’efficacia tattica della squadra. Una squadra efficace, che raggiunge i propri obiettivi tramite l’ideazione e l’attuazione di una precisa strategia, esprime una certa forma di bellezza. Questo lo sanno tutti quelli che hanno visto almeno una volta il Barcellona di Guardiola (ma anche l’Atletico di Simeone al suo massimo splendore, per gli amanti dell’identità difensiva) eppure tocca ancora sentirci dire che “se ci si vuole divertire bisogna andare al circo”. Gli appassionati sanno riconoscere la bellezza in una squadra che gioca bene, in una fase difensiva ben curata, in un pressing ben fatto, in un attacco capace di mettere in difficoltà gli avversari. Gli appassionati non cercano il circo, ma una squadra che giochi bene, che sia efficace, e a questo sanno associare inevitabilmente una forma di bellezza.
In questo senso le scelte di Allegri vanno anche parametrate sulla loro efficacia. Con 0.80 xG per 90 minuti su azione la Juventus è il nono attacco del campionato, indicatore compensato dal miglior dato della Serie A per xG prodotti da calcio piazzato (0.41 p90). L’attacco della Juventus non genera troppi pericoli su azione, ma riesce in qualche maniera a compensare con l’efficacia delle sue soluzioni su calcio piazzato. Difensivamente le scelte di Allegri valgono ad oggi l’ottavo posto per xG subiti da azione (0.57 p90), il decimo posto per tiri subiti (12.00 p90) di cui 3.13 p90 derivano da palle recuperate in pressing dagli avversari (il sesto peggior dato della Serie A), un dato che riflette le difficoltà della Juventus ad affrontare il pressing avversario. La squadra di Allegri non è particolarmente efficace, e non presenta certo picchi di prestazione, fatta eccezione per la sua formidabile efficacia nei calci piazzati.
Infine, come detto, l’identità prettamente difensiva di una squadra non aiuta certo lo spettacolo, ma per la Juventus non è tanto l’attenzione prevalente alla fase difensiva a influenzare la bellezza delle sue partite, ma l’estrema prudenza con cui viene affrontata ogni fase di gioco. Gli avversari in possesso palla non vengono affrontati, ma attesi e, al contempo, i giocatori bianconeri con il pallone tra i piedi non sfidano apertamente con le loro scelte gli avversari, ma si preoccupano principalmente di non perderlo o comunque di non perderlo in maniera pericolosa. È un approccio al calcio nichilista, che tende quindi a ridurre gli episodi, ma che al contempo, non creando nessun contesto favorevole alla loro creazione, finisce col subirli e ad affidargli i destini del match in una sorta di pessimismo della ragione.
Un approccio del genere finisce con l’anestetizzare e togliere passione alle lunghe fasi di attesa delle partite, riempendole di nulla invece che della volontà di creare i presupposti per fare esplodere le emozioni, dei giocatori e degli spettatori. Tutto questo rende brutte la partite della Juventus ed è un discorso estetico, di appagamento visivo, ma anche di efficacia in campo. E se sul primo ci sarà sempre dibattito per via del gusto personale, e magari c’è a chi questo nichilismo piace, sul secondo invece credo che non ci sia molta discussione. Se una parte della bellezza di una squadra deriva dalla sua efficacia in campo, ecco, sicuramente su quella parte la Juventus di Massimiliano Allegri ha ancora tanta strada da fare.