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Perché ci aspettavamo di più da Paulo Dybala?
22 mar 2022
Come valutare la sua vita alla Juventus?
(articolo)
11 min
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In un’intervista di inizio stagione chiedevano a Giorgio Chiellini di chi sarebbe stata la Juventus di quest’anno, visto che Cristiano Ronaldo era andato via. «Sarà la Juventus di Paulo Dybala» aveva detto sicuro. Ronaldo aveva sottratto a Dybala palloni e influenza sul gioco, e nel vuoto lasciato ora avrebbe potuto riprendersi tutto. Dybala in effetti ha indossato la fascia da capitano, ha messo su la faccia cattiva e quando ha giocato lo ha fatto col carisma del leader. Ha segnato 13 gol e servito 5 assist: in ogni partita in cui ha giocato è sembrato il giocatore più importante della Juventus, il più decisivo, l’unico in grado di risolvere da solo, con la semplice forza del suo talento, i problemi offensivi di una squadra poco brillante.

Ci sono due problemi, però. Il primo è che Paulo Dybala non è sempre nelle condizioni di scendere in campo; il secondo è che il suo contratto scade il 30 giugno. Le due cose sembrano collegate. Dybala chiede molti soldi per rinnovare il contratto e la Juventus non lo ritiene più un giocatore su cui costruire il futuro. Ieri Sky Sport ha dato la notizia che non ci sarà nessun rinnovo. Se sulle doti tecniche di Dybala c’è poco da dire, è sulla sua tenuta fisica che si concentrano i dubbi. Da due anni non sembra più un giocatore integro.

Solo in questa stagione ha saltato quindici partite, lo scorso anno ventuno. In questa però la percezione della sua assenza è stata più pesante, perché le pause sono state più spezzettate, perché Dybala era più centrale nella Juve di Allegri e perché ha saltato partite decisive. Sarebbe dovuta essere la Juventus di Paulo Dybala, e non lo è stata, se non per brevi intervalli, al punto che a gennaio, nello spazio di poco tempo, è diventata la Juventus di Dusan Vlahovic.

Domenica Dybala ha segnato un gol stupendo dei suoi: ha ricevuto un passaggio in area di rigore, ha sterzato all’improvviso e ha chiuso un tiro secco sul primo palo. In molti avrebbero potuto segnare un gol in quella situazione, in pochi lo avrebbero segnato con quella classe. Uno degli squarci di bellezza classici del suo talento, che ha la potenza delle cose delicate. Capaci di brillare intensamente solo per pochi momenti, raramente con la continuità che gli standard del calcio contemporaneo richiederebbero.

Ha segnato dopo pochi minuti dall’inizio della partita, e tre giorni dopo la deprimente eliminazione della Juventus dalla Champions League. Dybala non c’era. Non è la prima volta che Dybala non riesce a essere all’altezza delle enormi aspettative che lo circondano. È arrivato alla Juventus da ragazzino e se ne andrà quasi trentenne. Ha vinto 5 campionati, 4 Coppe Italia, 3 Supercoppe. È stato votato come il miglior giocatore della stagione 2019/20 dalla Lega Serie A. Eppure la notizia del suo addio lascia un senso di tristezza, su quello che sarebbe potuto essere e non è stato. Ma è davvero giusto, pensare a Dybala come a un talento sprecato?

Quando è arrivato, a 22 anni, aveva la faccia da bambino e un rapporto col pallone speciale. Il modo in cui stoppa, controlla e calcia la palla è frutto di un talento così naturale da diventare originale. Ha un modo tutto suo di addomesticare i palloni più difficili, proteggerli, dribblare in spazi stretti. Si muove con un equilibrio peculiare, da snowboarder più che da sciatore, sempre sul punto di perdere gli appoggi senza mai perderli davvero. In più quella meccanica di tiro mai vista, per il corpo piegato in obliquo, per il modo in cui l’interno del suo piede scava il pallone e gli imprime una forza e un effetto sempre un tantino imprevisti, mentre il piede d’appoggio pattina sull’erba con grazia. È difficile non chiedere molto, a un talento del genere. Abbiamo scritto dei suoi tiri: la parte più eccitante del suo gioco, e anche la più controversa e quindi paradigmatica. Con quel piede sinistro Dybala sembra capace di segnare sempre, da ogni posizione, in ogni modo, ma i suoi quasi gol, i gol virtuali, sembrano superare quelli reali, quelli effettivamente segnati. Nei suoi tiri l’estetica supera spesso tristemente l’efficacia.

Niente come il tiro di Dybala è il simbolo del leggero scollamento che c’è sempre stato, tra quello che sembra e quello che è; tra quello che potrebbe fare e quello che gli riesce realmente. Simbolo del suo talento sempre sul punto di fare quell’ultimo passo, quello più intangibile, per diventare un fuoriclasse indiscutibile, senza alla fine riuscirci davvero. Un giocatore che non riesce a risolvere del tutto l’eterno conflitto tra bello e utile, nel club che storicamente più lo problematizza. Da quando è arrivato alla Juventus, si discute sul valore assoluto di Paulo Dybala. Un registro del discorso astratto e fuorviante, specie nel calcio contemporaneo, di cui l’argentino è stato vittima più di altri. In un gioco dalle dinamiche collettive complesse, non si può definire il valore di un giocatore prescindendo dal contesto in cui si esprime. Contesto inteso come ambiente tattico, emotivo, tecnico.

Dybala alla Juventus ha attraversato tanti contesti diversi, e il suo talento ha assunto la forma di quello che aveva intorno. Spesso Dybala è stato usato per coprire i problemi: quando mancavano centrocampisti di qualità, si metteva a cucire il gioco, con abbassamenti a tutto campo in cui poteva usare le sue doti di controllo anche con l’uomo incollato addosso; quando mancavano trequartisti giocava tra le linee per raccordare centrocampo e attacco; senza veri finalizzatori doveva giocare davanti e far gol; con Cristiano Ronaldo vicino gli toccava giocare in funzione dei suoi movimenti, inventandosi qualcosa per compensarli, in un modo o nell’altro. È inevitabile che in tutti questi anni si sia discusso a fondo del ruolo che avrebbe dovuto ricoprire. Dove valorizzare il suo talento? Nella sua stagione rivelazione, al Palermo, ha giocato da terminale offensivo con Franco Vazquez a rifinire alle sue spalle. Ha chiuso la stagione con 13 gol e 10 assist. Alla Juventus non è mai stato considerato propriamente una punta, in fondo era uno spreco, limitare il suo talento a concludere l’azione. Nonostante questo, Dybala ha segnato parecchio: sempre in doppia cifra tranne che nella stagione 2018/19, con i picchi del primo anno (23 gol) e del 2017/18 (26). Cosa gli si chiedeva di più? Le caterve di gol - almeno 40 - che definiscono un attaccante nell’élite mondiale? Una delle critiche più in voga che lo riguardano, in realtà, è che non sarebbe un giocatore “decisivo”, cioè uno in grado di segnare gol “pesanti”. Eppure la sua storia dice il contrario, rinfreschiamoci la memoria.

Nel 2016/17 segna il gol partita a San Siro che permette alla Juventus di scavalcare il Milan in testa alla classifica. Stop di petto e tiro di collo sinistro come se fossero la cosa più facile del mondo.

In primavera, ai quarti di finale di Champions contro il Barcellona della MSN, segna una doppietta. Due gol sontuosi, con un piede sinistro che in quel momento sembra semplicemente capace di tutto. Il giocatore più simile a Messi, per la capacità di portare una minaccia costante portando palla nei corridoi offensivi di centro-destra. Nel primo gol riceve in area spalle alla porta e in un unico movimento si gira e calcia sul secondo palo - un incredibile esercizio di sensibilità, tecnica e d’istinto. Nel suo articolo dopo la partita su Repubblica, Maurizio Crosetti scrive: «È stata la notte di tutti, ma più di tutti di Paulo Dybala, colui che aveva detto "non sono Messi" e che stavolta, infatti, l'ha superato di netto. Se il grande argentino è rimasto ai margini, l'argentino del futuro ha segnato due gol stupendi ed è stato inarrestabile». Il Corriere della Sera titola “Inno alla Joya”. Buffon ai microfoni dice che considera Dybala «uno tra i migliori 3-5 giocatori al mondo». Daniele Manusia, su l’Ultimo Uomo, scrive che probabilmente quella sarà una delle partite con cui lo ricorderemo. È il singolo momento in cui gli universi Messi e Dybala sembrano più vicini.

Nel 2018 segna il gol che completa la rimonta a Wembley contro il Tottenham di Pochettino. Si trattava degli ottavi di finale di Champions League.

Quello stesso anno, a maggio, la Juventus gioca alle 18 contro la Lazio. Il Napoli di Sarri, già in testa alla classifica, la sera gioca contro la Roma in casa. La squadra di Allegri non costruisce quasi nulla, fino all’ultimo minuto di gioco, quando Dybala segna un gol strepitoso, dopo un tunnel Luiz Felipe, calciando il pallone sotto l’incrocio dei pali mentre è già in caduta. Una delle sue reti più iconiche. La sera il Napoli perderà contro la Roma, i bianconeri vinceranno lo Scudetto.

L’anno dopo, il peggiore della sua carriera, regala comunque alla Juventus la vittoria a Old Trafford contro il Manchester United.

Nell’anno di Sarri, quando gioca più stabilmente vicino alla porta, segna un paio di gol fondamentali. Il primo a inizio anno, quando ci sono ancora dubbi intorno a quel corso tecnico. Dybala entra al posto di Cristiano Ronaldo e decide la partita al posto suo, con un dribbling di sinistro e un gol di destro.

Il secondo lo segna nello scontro diretto decisivo contro l’Inter di Antonio Conte. Sull’1-0, in un contesto incerto e tirato, Dybala ha un primo controllo a seguire magnetico, dribbla Ashley Young in area di rigore muovendo la palla in uno spazio microscopico, e poi conclude con l’esterno sinistro. Uno di quei gol che ti danno l’impressione che solo Dybala potrebbe realizzarli. (Ah: aveva segnato anche all’andata a San Siro, il gol dello 0-1, con un tiro a incrociare potente da sinistra).

Nel mezzo, a novembre 2019, ne segna uno strepitoso anche in Champions League, quando supera Oblak con una punizione calciata con i piedi quasi sulla riga di fondo. La Juventus vincerà 1-0.

Se non contiamo i gol ma li pesiamo, come si dice, quelli di Dybala hanno sempre avuto un peso specifico notevole. Non sarà l’unica ragione, ma le due stagioni in cui ha giocato meno sono anche quelle in cui la Juventus non ha vinto lo Scudetto. E allora perché il suo valore è stato sempre messo in discussione? Su l’Ultimo Uomo a gennaio del 2019 ci chiedevamo “quale ruolo per Dybala”, che Allegri faceva ruotare per il campo come una trottola, per dare aria a Cristiano Ronaldo. Alla fine di quella stagione ci chiedevamo cosa fare con Dybala, visto che il giocatore, a 26 anni, e in un momento ambiguo di carriera, pareva sul punto di andare via per consentire una plusvalenza.

A essere onesti, è impossibile parlare di talento sprecato per Paulo Dybala. Se però tendiamo a parlare di lui con un velo di malinconia è perché questo talento ci è sembrato così speciale che lo abbiamo immaginato capace di tutto. Capace di vincere da solo i campionati, di essere decisivo in ogni partita di Champions League, di trasformare il calcio in uno sport individuale piegando la fisica come Messi. Immaginavamo la Juventus costretta a resistere agli assalti del Real Madrid, del Manchester City, del Barcellona, per non vendere “La Joya”. Lo immaginavamo al posto di Messi, o insieme a lui, in un Mondiale vinto dall’Argentina: i due sinistri più belli del calcio mondiale, uno accanto all’altro. Lo immaginavamo capace di manifestazioni di onnipotenza contro le squadre più arcigne, contro i difensori più duri. Dybala finora è riuscito in tutto questo, ma meno di quanto immaginavamo, meno di quanto volevamo.

Dybala è un giocatore incredibilmente peculiare. Dalle doti atletiche e tecniche vicine all’eccellenza, ma comunque bisognoso di un contesto associativo, di appoggiarsi ai compagni per creare pericoli offensivi. Almeno rispetto ai giocatori a cui abbiamo voluto associarlo, quelli dell’élite. Forse alla Juventus ha giocato per troppi anni troppo lontano dalla porta, in contesti spesso difficili, che gli hanno chiesto sacrificio. Ma sono speculazioni: in tutte le Juventus diverse, Dybala non è mai stato uguale a sé stesso, abbiamo potuto ammirare tutte le sfaccettature del suo talento, che ha seguito un’evoluzione concreta che oggi, nella nostra memoria scolorita, facciamo fatica a riconoscere. Tendiamo a ricordare solo le ultime due stagioni, condizionate dai problemi fisici, o quella in cui è stato divorato dalla presenza vorace di Cristiano Ronaldo. Se è vero che non è mai stata realmente costruita una Juventus intorno a Paulo Dybala, è impossibile dire se è più per demeriti suoi o altrui.

A 29 anni Dybala ha ancora da dare al calcio, ma non sappiamo dove. Le voci intorno alla sua prossima destinazione riflettono l’ambiguità del suo valore. Si parla di squadre di alto livello come Inter o Atletico Madrid, ma si parla anche dell’élite, e cioè del Barcellona, del PSG o del Manchester City, squadre cioè che ambiscono alla Champions League. All’Atletico rischia di soffrire un contesto che gli richiederebbe ancora più sacrificio, forse si ridurrebbe a essere un doppione sbiadito di Griezmann. In squadre di livello più alto potrebbe diventare un lusso sprecato, un panchinaro bello da guardare nei ritagli di spazio che riesce a ricavarsi. L’Inter potrebbe invece essere un contesto ideale: una squadra che avrebbe un bisogno disperato della sua qualità nei mezzi spazi, fra le linee, e capace di aggiungerci dei gol. Potrebbe essere un miglioramento rispetto ad Alexis Sanchez e associarsi alla grande con Lautaro Martinez. Ma l'Inter ha la forza economica per potersi permettere il suo ingaggio? Di certo sarebbe doloroso per i tifosi della Juventus, vedere in nerazzurro il loro giocatore simbolo degli ultimi anni, uno dei pochi da cui aspettarsi magie anche nelle giornate più cupe.

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