Uno degli assunti più condivisi nel calcio contemporaneo è che il ruolo di un calciatore non sia più sufficiente a definirne a priori né le competenze né le caratteristiche. Secondo Antonio Gagliardi, ad esempio, "nel calcio moderno il ruolo non è più una posizione ma una funzione", e questa frase riassume bene lo stato a cui è arrivato il dibattito in questo senso. Oggi ci sono necessità differenti, innanzitutto dal punto di vista posizionale: in altre parole un giocatore viene coinvolto più spesso ad agire in posizioni differenti rispetto a quella "prevista" dal suo ruolo, ed è frequente vedere situazioni in cui - per esempio - possono invertirsi temporaneamente un difensore centrale e un terzino, o un mediano. In questo contesto sono diventati prioritari, quindi, il riconoscimento e lo sfruttamento della funzione che si svolge in un determinato momento: cosa si è e cosa si può essere, cioè, per compagni e avversari, in relazione alla posizione del pallone e alla dinamica dell’azione. La funzione non può essere intesa come fissa, stabile, unica, altrimenti non cambierebbe poi molto dal concetto stesso di “ruolo”; anche perché, per quanto un giocatore possa essere più sollecitato in alcuni aspetti in base alla sua collocazione nella struttura di squadra, anche solo prendendo in considerazione quella ci sono miriadi di combinazioni possibili e mutabili in base alle relazioni con compagni, avversari, spazi.
Il ruolo del difensore, nell’ultima dozzina di anni circa, in particolare è stato stravolto, inizialmente soprattutto per quanto riguardava il coinvolgimento nel possesso diretto della palla, ma oggi sarebbe banale ridurre tutto al maggior numero di tocchi o passaggi effettuati rispetto ad anche solo una decina d'anni fa. Sono sempre di più gli esempi di squadre che oggi riescono a fare la differenza nel possesso utilizzando i difensori in un modo che va oltre il primo tocco in appoggio per impostare o il solo lancio in avanti da parte del “regista arretrato”. In questo solco sono sempre di più anche le di squadre di alto livello con l’ambizione di controllare il possesso che scelgono di utilizzare una difesa con tre uomini, in maniera più o meno fluida, con difensori centrali più o meno “puri” secondo la comune accezione del termine. Forse questa scelta è legata anche alla necessità di rendere la propria struttura di possesso adeguata a prevenire l’eventualità di perdita del pallone pur mantenendo un atteggiamento propositivo, provando a neutralizzare così la sempre più efficace cura del pressing e delle transizioni offensive da parte degli avversari. Certo, ci sono ancora tantissime squadre di alto livello che continuano con successo a proporre un calcio di possesso offensivo anche con una linea più “convenzionale”, magari bloccando un terzino alla volta, oppure abbassando il mediano, però il ragionamento di fondo rimane lo stesso: utilizzare – in maniera più o meno stabile – un giocatore in più (rispetto ai classici due difensori centrali) sull’ultima linea. Ma come si può tradurre questa scelta in termini offensivi diretti, andando oltre la mera superiorità numerica contro la prima pressione, per far sì che questi giocatori diano un contributo sostanziale e senza sbilanciare la squadra all’indietro?
Per mantenere un approccio offensivo e dominante nonostante l’utilizzo di più giocatori difensivi è fondamentale il loro coinvolgimento anche in zone più avanzate del campo, sia per insidiare il blocco avversario sia per attirare in maniera ancora più creativa il pressing nella propria metà campo. In questo pezzo ci focalizzeremo su alcune squadre che utilizzano (o hanno utilizzato) quella che potremmo inquadrare come difesa a tre “pura” nella loro struttura di riferimento, per scendere nel dettaglio delle possibili funzioni che essi possono svolgere quando la loro squadra ha il pallone.
Qualche premessa: l’elenco delle funzioni non vuole essere né esaustivo né esclusivo; lo svolgimento di una funzione non è una “fase” isolata ma può essere intrecciata ad un’altra; il riconoscimento esterno di una funzione può prescindere dalle intenzioni tattiche di partenza o dall’effettiva consapevolezza dei giocatori; la terminologia che utilizzerò non fa parte di nessun “dizionario ufficiale” ma è quella che trovo più esplicativa per spiegare questi concetti.
Attirare (la pressione e la non pressione)
In un calcio in cui sempre più squadre, a prescindere dalla disponibilità economica o dagli obiettivi finali, cercano di aumentare la propria influenza sul controllo del possesso, si è creato di riflesso uno sviluppo del pressing e delle variazioni sull’atteggiamento da tenere senza palla. Andare a prendere alta o attendere una squadra che costruisce da dietro implica a sua volta un adattamento di chi ha il pallone, perché, in fin dei conti, il calcio è un gioco di confronto, e anche le intenzioni di partenza più proattive devono fare i conti con le scelte dell’avversario. Con il baricentro di inizio azione spostato più indietro, i difensori si sono trovati a essere sempre più coinvolti nell’attirare l’avversario, sia quando questo pressa che quando attende. Affinché il possesso non sia fine a sé stesso, occorre che il difensore percepisca la sua influenza sull’atteggiamento difensivo avversario, scegliendo se attirarlo mantenendo il controllo del pallone in una posizione o se attaccare lo spazio con una conduzione per “chiamare” il pressing fuori da una linea difensiva.
L’Inter di Conte, per esempio, è stata una delle squadre che negli ultimi anni ha enfatizzato di più l’uso di tre difensori nell’attirare il pressing nella propria area, in modo da liberare spazi in avanti per le due punte. Per fare ciò, Conte ha lavorato molto sulla capacità di gestione del possesso e di attesa da parte di Skriniar, De Vrij e Bastoni. Prima di iniziare ad avanzare anche senza palla, i due laterali erano spesso il riferimento primario di Handanovic, o comunque erano coinvolti direttamente nell’attrazione del pressing anche in momenti di grande congestione. Potendo contare su tre uomini in partenza intorno al portiere, l’Inter di Conte poteva tenere alti i suoi esterni e tra le linee i suoi centrocampisti, così da garantirsi un’accelerazione più pronta della manovra una volta che la palla andava in verticale, per esempio con combinazioni rapide dentro-fuori o avanti-indietro-avanti. Senza l’attrazione del pressing da parte dei difensori, l’Inter avrebbe avuto meno soluzioni in partenza sopra la linea della palla.
Brozovic torna indietro in una situazione di congestione, dove l’Inter può contare su 3 difensori contro 2 punte. Il pressing della Juventus reagisce al trigger, Skriniar fa scorrere il pallone ritardando leggermente la giocata e attira ulteriormente la pressione, per poi servire il movimento del suo regista.
Una possibilità contro squadre che pressano ferocemente la costruzione bassa può essere quella di alzare in partenza il difensore centrale oltre la prima linea, con il risultato di abbassare uno dei primi pressatori avversari o di portare in avanti uno dei successivi, creando spazi davanti o dietro oppure – se ignorato – trovare l’uomo libero tra le linee. In questi casi, quando il difensore centrale riceve in posizione più avanzata, esercita una funzione di attrazione nel corridoio centrale.
Posizionamento avanzato di Bonucci in costruzione in una partita della scorsa stagione contro l’Hellas Verona di Juric. La sua collocazione funge da calamita per il mediano avversario, creando spazio per Rabiot.
L’attrazione può avvenire in maniera più verticale, cioè quando il difensore è chiamato a sollecitare l’avversario che rimane a presidio di una zona più arretrata, in modo da aprire spazi successivi che possono essere attaccati, spesso attraverso combinazioni con il terzo uomo. In questi casi, i difensori sono lasciati liberi di giocare fino a una certa altezza e il pressing non parte fino a che non si presenti un trigger. Il difensore, dunque, può manipolare direttamente questo atteggiamento attraverso conduzioni decise, più o meno rapide, che vanno incontro o passano di lato alla prima linea avversaria e si dirigono verso la seconda, cercando in ogni caso di manipolare la pressione per aprire nuovi spazi, o di schiacciare l’avversario finché non si presentano.
Le conduzioni per attrarre di Rudiger sono un’arma molto utilizzata dal Chelsea di Tuchel contro le squadre più attendiste. In questa azione, il difensore ex Roma scarta un avversario in prima linea di pressione e ne attira un secondo dalla successiva, servendo poi il compagno posizionato al centro in una situazione di momentaneo isolamento.
Le implicazioni di quest’ultima mossa possono portare a preferire nella posizione di difensore laterale anche dei giocatori affermati come terzini, che tendenzialmente possono avere una certa propensione alla conduzione decisa in avanti. Nagelsmann, che rimane molto vario nelle sue soluzioni tattiche, ha spesso utilizzato una difesa a tre con due terzini al fianco del centrale, soprattutto contro squadre che mantengono un blocco più passivo.
Pavard ed Hernandez di fianco a Süle in una recente partita contro l’Hertha Berlino. L’uso di due “braccetti di spinta” in simultanea è una scelta ambiziosa per sfruttare prontamente gli spazi intermedi attraverso le conduzioni.
L’attrazione può essere quella che avviene anche senza un contatto diretto con il pallone: quando, cioè, il solo posizionamento di uno o più giocatori davanti all’avversario ne influenza la decisione. Nel caso della difesa a tre, la struttura per la circolazione è abbastanza solida dato che i due laterali si posizionano in diagonale rispetto al centrale, così da rendere difficile per un attacco composto da una o due punte disturbare attivamente il possesso, dovendo scegliere se orientarsi verso i difensori esterni e aprire una breccia centrale, o se rimanere a protezione del centro, dando al difensore laterale potenzialmente spazio per progredire.
Occupare gli spazi che ci sono e quelli che si creano
Il calcio è un gioco di occupazione degli spazi: a prescindere dallo stile di gioco di una squadra, l’obiettivo principale rimane quello di raggiungere un obiettivo posto nel territorio avversario, e per raggiungerlo più facilmente conviene entrarci, nel territorio avversario. Quello che una squadra fa per ridurre le possibilità dell’avversario di raggiungere l’obiettivo ne determina le possibilità di azione, in particolare la formazione di spazi da sfruttare, non solo nelle zone lasciate libere dalla struttura di non possesso, ma anche all’interno. Le possibilità di occupazione per un giocatore nella difesa a tre sono molteplici, e vanno a braccetto (!) con l’inclinazione della squadra nell’enfatizzare o meno l’attrazione del pressing e con l’atteggiamento dell’avversario. È possibile occupare uno spazio generato tra due linee posizionandosi alle spalle di un giocatore che esce in pressione e fungendo da riferimento per lo scarico del terzo uomo, oppure spostarsi alle spalle di due giocatori che compongono una linea per ricevere una verticalizzazione diretta, oppure ancora attaccare direttamente la profondità per fare densità sulla seconda palla o addirittura fungere da riferimento per la stessa.
Danilo (centrale di sinistra) occupa la porzione centrale del campo in un gioco di rotazioni che vede gli altri due centrali allargarsi e il mediano abbassarsi.
Prenderò un esempio che leggermente al di fuori delle difese a tre canoniche per parlare di un approccio particolarmente estremo all’occupazione dei difensori nelle circostanze di partenza dal basso. È lo stile di Tim Walter, attuale allenatore dell’Amburgo, con una carriera tra le giovanili di Karlsruhe e Bayern Monaco e successivamente Holsten Kiel e Stoccarda. Le squadre di Walter enfatizzano l’avanzamento della maggioranza dei giocatori sopra la linea della palla in avvio dell’azione, così da spaccare in due la squadra avversaria e occupare, attraverso rotazioni costanti, lo spazio libero in mezzo con i difensori, mentre il resto della squadra punta la profondità a palla scoperta. Vale la pena di darci un’occhiata, perché nei prossimi anni potrebbe diventare un tema forte anche per squadre con tre difensori.
Pur partendo da un assetto base con la linea a 4, l’occupazione degli spazi in questi esempi è abbastanza simile a una linea a 3. Da notare i movimenti senza palla molto aggressivi anche dei giocatori al centro della difesa, che spesso portano via l’uomo e aprono nuove soluzioni.
Nelle circostanze in cui il baricentro del possesso è alto, l'occupazione del difensore – che spesso avviene sulla corsia laterale o nell’halfspace – è un’arma essenziale per influenzare le decisioni difensive del blocco basso, fungendo da soluzione di passaggio diretta o anche solo spostando di qualche metro o per qualche frazione di secondo l’attenzione di un difendente. L'occupazione che parte dalle linee arretrate è più difficile da leggere e/o da gestire perché cambia le condizioni numeriche di partenza nella metà campo avversario ed è spesso accompagnata da movimenti compensatori di copertura da parte di giocatori più avanzati (per esempio, un mediano che si abbassa quando sale uno dei difensori) che a loro volta possono togliere il tempo e disunire la squadra difendente.
Tra le squadre contemporanee più virtuose in questo aspetto vi sono quelle di Gasperini e Juric ma anche l’Inter di Inzaghi. La capacità di queste squadre, sebbene naturalmente diverse tra loro, di portare i propri braccetti in occupazione all’interno del blocco avversario, che sia per ricevere direttamente un passaggio progressivo o per manipolare la struttura e favorire lo smarcamento di uno dei compagni più avanzati è uno degli aspetti più caratteristici del loro gioco di possesso.
Buongiorno (centrale sx) entra in area, portando via un difensore dell’Empoli e creando lo spazio per l’accentramento di Pjaca.
Un altro buon esempio riguarda gli inserimenti del difensore centrale della difesa a tre dell’Atalanta, anche se più rari, forse perché più complicati da compensare attraverso le rotazioni (che invece sono favorite quando a sganciarsi in avanti è uno dei laterali) soprattutto per quello che implica dal punto di vista difensivo (marcature preventive). Quando si gioca in un contesto abituato a sfruttare in un certo modo gli spazi è quasi fisiologico che anche l’indole dei giocatori in partenza meno avvezzi, per posizione o caratteristiche, cambi.
I movimenti di difensori di Atalanta o Torino tendono ad avere un’influenza soprattutto “spaziale” nello sviluppo dell’azione, mentre nel caso dell’Inter di Inzaghi le avanzate di Alessandro Bastoni sono diventate un iconico marchio di fabbrica anche per la qualità di gestione del possesso da parte del difensore (ex Atalanta), che si trova spesso a fraseggiare al limite dell’area o a rifinire attraverso cross.
Bastoni mette il piede in entrambi i gol su azione dell’Inter contro la Roma.
Come nell’esempio di Bastoni nell’azione del gol di Dzeko qui sopra, il movimento di occupazione del difensore può essere utile anche per riempire l’area in situazioni di grande dinamicità che magari hanno tolto alcuni attaccanti dall'area avversaria.
In questo senso, i movimenti dei difensori laterali possono essere particolarmente importanti quando l’esterno di parte ha il pallone, per dare una soluzione di passaggio dinamica o semplicemente per portar via un difendente e isolare il compagno contro il diretto avversario. Queste circostanze avvengono principalmente lungo i corridoi laterali, attraverso quelle che vengono comunemente definite sovrapposizioni interne o esterne, movimenti “da terzino” per dare supporto avanzato all’attacco posizionale.
Movimenti laterali interni ed esterni dei braccetti. Quella interna di Toloi, tipico pattern dell’Atalanta, e quella dei difensori dello Sheffield di Chris Wilder del 2019, arrivato quell’anno in Premier League anche grazie al suo chiacchierato uso dinamico dei terzi di difesa.
Fissare la posizione degli avversari e creare crisi
I difensori laterali della difesa a tre possono essere anche dei fissatori di ampiezza a varie altezze del campo, attraverso movimenti di posizionamento che hanno una funzione di destabilizzare l’organizzazione difensiva con la creazione di possibili linee di passaggio aperte che possono “allargare” l’avversario, costringendolo cioè a scegliere di uscire lateralmente lasciando spazi in mezzo o restare, lasciando libera la linea di passaggio esterna. Questo tipo di posizionamento è la dimostrazione di come si possa partecipare attivamente allo sviluppo di un’azione offensiva anche senza toccare il pallone. Fissare l’ampiezza, oltre che a creare una crisi decisionale nel blocco difensivo, può servire anche semplicemente a consentire a un altro giocatore di lasciare la fascia e andare a giocare dentro il campo, oppure a spingersi più avanti.
La Roma di Fonseca e l’Inter di Conte tendevano frequentemente ad allargare almeno uno dei braccetti, compensando al bisogno con l’abbassamento del mediano, per consentire agli esterni di prendere campo e fungere da riferimento avanzato per le combinazioni successive.
Perché sia sostenibile, l’avanzamento-allargamento del difensore centrale viene spesso accompagnato dall’abbassamento di un altro compagno che ne copre l’avanzata; con la difesa a tre questo tipo di supporto all’azione può essere svolto abbastanza serenamente data la presenza di un centrale in più in copertura, a cui può essere accompagnato l’abbassamento di un mediano o di un interno.
Non esiste però solo l’ampiezza laterale, c’è anche quella verticale, cioè l’estensione in profondità dell’insieme squadra: anche posizionandosi in verticale, alle spalle di una linea di pressione, o addirittura in profondità, sull’ultima linea, la funzione del fissatore può servire a bloccare uno o più avversari (come negli esempi dei movimenti di Bonucci e Danilo riportati in precedenza). Essendo un compito che si svolge tipicamente abbastanza lontano dalla zona palla, le circostanze in cui un giocatore della difesa a tre può essere coinvolto sono meno frequenti, ad esempio, di quelle in cui gli stessi giocatori si propongono per un passaggio diretto correndo in avanti.
Sostenere e prevenire
Partecipare al possesso nel calcio contemporaneo non vuol dire dunque solo ricevere il pallone o muoversi per riceverlo, ma anche avere un’utilità funzionale attraverso altri posizionamenti e movimenti relazionati a compagni o avversari, che influenzano in ogni caso l’azione. Dopo aver visto un set di possibili funzioni della difesa a tre orientate principalmente alla progressione (attrazione, occupazione, fissaggio), adesso mi soffermerò su due funzioni di supporto che possono spesso si presentano contemporaneamente (ma non solo): il sostegno e il posizionamento preventivo.
I difensori possono avere la loro utilità nel possesso pur rimanendo alle spalle di chi ha il pallone, innanzitutto nei casi in cui possono fungere da soluzione di scarico all’indietro per poter alleggerire la pressione, riciclare il possesso, trovare insomma un momento di pausa nella progressione per consentire un riposizionamento del resto dei compagni. Trovandosi mediamente in una posizione più arretrata rispetto al resto dei compagni, i difensori possono essere spesso coinvolti in dinamiche di gioco che richiedono un loro scivolamento a sostegno del portatore, circostanza che può essere frequente, per esempio, quando un esterno riceve palla e viene attivato il trigger del pressing avversario, e magari non trova soluzioni progressive.
Pavard funge da sostegno per Coman, che con tutti gli spazi chiusi può ricominciare da lui; a sua volta, la posizione di Upamecano diventa un sostegno per Pavard non appena quest’ultimo entra in possesso. Doppia funzione di copertura e stabilità del possesso.
Questo tipo di posizionamento non ha solo una funzione di coinvolgimento diretto (non risulta obbligatoriamente, cioè, in un retropassaggio), ma anche di prevenzione, di copertura rispetto al compagno in possesso, nel caso in cui questo dovesse perdere il pallone per qualsiasi motivo. E quest’ultimo aspetto ci permette di esplorare l’ultima sfumatura della difesa a tre in circostanze offensive, una funzione che di fatto “chiude” il ciclo del gioco e lega indissolubilmente le cosiddette fasi, cioè quella della difesa preventiva.
La difesa a tre ibrida dell’Italia di Mancini in possesso, Chiellini in marcatura preventiva su Lukaku, pronto ad anticiparlo, con Bonucci e Di Lorenzo pronti a scivolare in copertura.
Anche senza fungere da sostegno diretto per i compagni, i tre difensori possono avere una funzionalità diretta nell’aumentare il livello offensivo della squadra attraverso la loro influenza nel presidio preventivo della zona centrale, sia stando vicini agli attaccanti avversari per anticiparli in caso di transizione difensiva, sia riducendo la distanza con il resto dei compagni in maniera più comoda rispetto a una difesa centrale composta da due giocatori, potendo disporre dei braccetti pronti a sganciarsi nell’halfspace o a fare densità nel corridoio. Insomma, la difesa a tre, un tempo identificata come scelta conservativa per eccellenza, legata all’immaginario del baricentro basso e del presidio dell’area, può essere invece la molla che fa scattare un posizionamento ancora più arrembante della squadra.
Ragionare per funzioni anziché ruoli ci aiuta a percepire e studiare le possibilità di azione di tutti i giocatori in campo. Nel caso delle alternative di gioco legate alla difesa a tre, riusciamo a mettere più in risalto le scelte tattiche che si basano soprattutto sulla necessità di manipolare o limitare l’avversario. I difensori, nell’immaginario tradizionale del nostro sport, sono sempre stati questo, in fin dei conti: guardiani dell’area, manipolatori psicologici, furbi mestieranti che utilizzano ogni mezzo a disposizione per dare sicurezza alla propria squadra attraverso la loro influenza sui diretti avversari. Se mettiamo in prospettiva questi presupposti con le richieste del calcio moderno, in realtà non cambia poi molto: l’apporto offensivo dei difensori è anch’esso un’arma in più per manipolare l’avversario o per limitarlo, che sia creando una superiorità numerica o dinamica contro la prima linea di pressione, occupando l’area o la fascia, o posizionandosi larghi, i difensori non agiscono attivamente sull’avversario nelle sole circostanze difensive, ma anche in quelle offensive, così come del resto i loro compagni. Questo cambio di paradigma porta innovazione tattica, ma anche un naturale sviluppo di nuove qualità tecniche, nonché la nascita di peculiari interpretazioni e stili di gioco, anche individuali. In questo momento l’utilizzo di una prima linea a tre sta avendo una certa popolarità perché, come abbiamo visto, se approcciato con una certa fluidità interpretativa, può consentire di soddisfare buona parte delle necessità offensive e difensive delle azioni di possesso e di trovare stabilità in maniera più immediata rispetto all’utilizzo di due soli giocatori in pianta stabile.
Inevitabile in un calcio in cui è sempre più difficile, se non superfluo, separare e dividere, ragionare per compartimenti stagni. Alla fine il calcio è un gioco di vasi comunicanti, di relazioni continue che vengono resettate e ridisegnate miriadi di volte a partita.