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Bruno Bottaro

Perché il Fenerbahçe ha scelto Mourinho

Il calcio c'entra fino a un certo punto.

«I vostri sogni sono adesso i miei sogni, questa maglia è adesso la mia pelle». Come da copione, José Mourinho si è presentato con poche frasi, studiate bene, per impattare nel modo più forte possibile su una comunità delusa e scottata da una stagione anomala. Lo ha fatto dopo aver attraversato il Bosforo in barca, prima della sontuosa e affollata cerimonia in cui è stato presentato al popolo gialloblu del Fenerbahçe, la nuova chiesa in cui sembra già aver trovato il clima ideale per fare nuovi proseliti.

 

Reduce da un campionato da ben 99 punti con una sola sconfitta, il Fenerbahçe ha perso la Süper Lig per soli tre punti contro gli odiati rivali del Galatasaray. Non solo: si è anche reso protagonista, con il presidente Ali Koç in primissima linea, di una delle scene più controverse dell’intera stagione turca, ovvero il boicottaggio della Supercoppa nazionale, consegnata di fatto sempre al Galatasaray che ha quindi festeggiato due titoli in pochi mesi. Il Fenerbahçe, invece, non vince il campionato da dieci lunghissimi anni.

 

Nel 2014 – quando il club con sede a Kadıköy, nella Istanbul asiatica, ha vinto la sua ultima Süper Lig (19esimo titolo che allora pareggiava i 19 del Galatasaray, ora a 24) – il Fenerbahce stava ancora affrontando gli strascichi dello scandalo match fixing, con l’ex presidente Aziz Yıldırım arrestato, condannato e poi prosciolto in una lunghissima e ancora poco chiara serie di processi che hanno coinvolto varie sfere politiche. Con un forte rimpasto della magistratura, e l’allora influente PM Zekeriya Öz caduto in disgrazia, l’intero impianto accusatorio è caduto. L’amnistia sportiva operata dalla federazione turca però nulla ha potuto sulle condanne imposte dalla UEFA, che hanno escluso il Fenerbahçe dalle competizioni europee. Aziz Yıldırım, da presidente vincitore del campionato, si è quindi ripreso il suo club, prima di cedere il passo al ricchissimo Ali Koç nelle elezioni del 2018.

 

Presidente di una delle holding più potenti del Paese e fondatore di un’università prestigiosa, Koç ha ereditato un club vincente nell’Eurolega di pallacanestro, forte della sua identità in tutti gli sport e deciso a tornare protagonista anche nel calcio. Da allora, però, non sono arrivati trionfi in Süper Lig, e la ribalta europea è stata solo sfiorata, proprio quest’anno, con i rigori a Kadıköy che hanno visto l’Olympiacos vincere, grazie a un errore di Leonardo Bonucci. Proprio l’Olympiacos, vincitore poi della Conference League, ha dimostrato che un trofeo europeo può arrivare anche fuori dai cinque principali campionati europei. E forse anche con questo si spiega la scelta di Mourinho, che si incastona in una mai sopita speranza di un cambio di passo per il calcio turco. La Turchia già dice ampiamente la sua nel basket e nella pallavolo, ma nello sport più amato ha vinto solo una sola Coppa UEFA, e più di 24 anni fa (2000, Galatasaray – di nuovo).

 

Dietro le aspirazioni di un Paese e di una squadra, però, la scelta di puntare su Mourinho si inserisce proprio nella lotta di potere tra Koç e Yıldırım, i due grandi presidenti che hanno avuto in mano la società negli ultimi 25 anni, ora candidati uno contro l’altro. Il Fenerbahçe, analogamente a Real Madrid e Barcellona, è una polisportiva le cui quote sono suddivise tra i soci del club (alcuni più influenti, altri meno). I destini anche di uomini potenti come Koç e Yıldırım devono necessariamente passare da un’elezione, quindi, e la prossima del Fenerbahçe è prevista proprio per il weekend dell’8 e del 9 giugno, che arriva tra pochi giorni. Tutti gli eventi degli ultimi mesi, quindi, andrebbero riletti in questo senso: i toni più alti del solito da parte del presidente uscente Koç; il ritorno di Yıldırım sulla stampa con una promessa grande, apparentemente irrealizzabile. Un allenatore portoghese per scaldare la piazza, cioè ovviamente José Mourinho. Tutto va inquadrato in questo complesso puzzle, a cui Ali Koç ha dato una scossa inattesa prima del previsto.

 

Forse ha preso ad esempio quanto accaduto nel luglio del 2000 a Madrid, quando l’allora candidato alla presidenza del Real, un tale Florentino Pérez, vinse le elezioni promettendo l’acquisto di Luís Figo, allora icona dei rivali del Barcellona. Il resto è storia: il passaggio di Figo ai blancos, l’immagine della testa di maiale fatta piovere in campo dai tifosi blaugrana, e una rivalità accesa come mai prima.

 

Con una mossa analoga, Ali Koç ha fiutato l’affare “rubando” Mourinho al rivale Aziz Yıldırım, contattandolo e bloccandolo con una fotografia già storica: Ali Koç e il suo entourage con José a Wembley, e sullo sfondo la finale di Champions vinta dal Real Madrid. Affare fatto: Mourinho al Fener, i tifosi impazziti, e una rimonta elettorale che all’alba di una stagione da 99 punti, senza titoli, vede ora di nuovo Ali Koç favorito per l’ambita poltrona presidenziale.

 

I più attenti agli affari turchi avranno notato a Wembley un’altra figura di spicco del panorama economico-calcistico del Paese, presente a tutti gli incontri tra Koç e Mourinho, e schierato con il presidente uscente dei “Sarı Kanarya”, i “canarini gialli” di Istanbul. È Acun Ilıcalı, imprenditore di un certo peso nel campo delle televisioni in Turchia e proprietario dell’Hull City, club che milita nella Championship inglese. La sua figura schierata con Ali Koç in questo preciso momento può spostare parecchio, e rappresenta bene come la poltrona più ambita di Kadıköy significhi anche questo: affari, influenze, contatti, potere. È, di fatto, una carica politica che ti può permettere qualsiasi cosa, persino presentarti senza cravatta, mani in tasca e outfit quasi casual, davanti al presidente della Repubblica Recep Tayyip Erdoğan, un’immagine che ha causato polemiche meno di un anno fa.

 

Mai ufficialmente schierato a favore del partito di governo, Ali Koç nel 2018 aveva dovuto sfidare, oltre a un Aziz Yıldırım all’epoca presidente del club da un ventennio, un endorsement non da poco, quello di Erdoğan che aveva pubblicamente detto di voler supportare il suo avversario. Non bastò all’allora presidente uscente, che ora si ritrova nel ruolo opposto, con Koç aggrappato a tutte le strategie possibili per restare a galla, incluso, un ingaggio così importante come quello di José Mourinho.

 

Avremo tempo per analizzare l’impatto tecnico e tattico dell’allenatore di Setúbal in Turchia, per capire se sarà un fuoco di paglia come Rijkaard al Galatasaray o Del Bosque al Beşiktaş, oppure se riuscirà a lasciare il segno come a Roma con la notte di Tirana. Nel frattempo, ci basta notare come le foto da condottiero sul Bosforo, le bandiere turche che sventolano alle spalle, i bagni di folla riflettono un’importanza politica che per una volta non è così esagerata come sembra. Vedremo nei prossimi giorni quanto peserà Mourinho quindi. Non solo in campo, ma anche nella sfida tra Koç e Yıldırım, spinta dalla grande voglia di rivalsa che unisce la Fenerbahçe ailesi, la grande famiglia gialloblu.

 

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Bruno Bottaro è nato nella provincia bergamasca, dov'è cresciuto prima di essere folgorato da Costantinopoli in un viaggio di tanti anni fa. Ha girato un documentario in Bosnia-Erzegovina sul derby di Mostar, prima di lavorare in Turchia, vivere in Germania e oggi, tra una fuga all'estero e l'altra, lavora dietro le quinte di DAZN a Milano. Ma la testa è sempre al Bosforo (e oltre).