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Perché hanno chiuso il terzo anello di San Siro?
02 ago 2019
Una decisione che ha poco a che fare con dati scientifici.
(articolo)
7 min
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In questo inizio di agosto che segna l’avvio del conto alla rovescia verso la stagione 2019/20 di Serie A, la decisione di chiudere alcuni settori del terzo anello dello stadio San Siro per tutto il corso del campionato appare improvvisa e inattesa, eppure in linea con una certa letteratura alimentata negli ultimi mesi. L’estate dell’impianto milanese è stata ricca di alti e bassi, dov’è accaduto tutto e il contrario di tutto, come se questo edificio fosse una pallina da tennis continuamente rimandata da un lato all’altro nel campo delle valutazioni e dei commenti.

Le ripetute dichiarazioni d’intenti di Inter e Milan per la costruzione del nuovo stadio, partite già nella seconda metà del 2018, avevano già contribuito ad aprire un vaso di Pandora di analisi e battage mediatico sulla questione, che nei mesi seguenti a fatica è rimasto nei contorni del dibattito costruttivo e di confronto.

La lotta fra pro e contro legati all’utilità di San Siro è sembrata (per coincidenza temporale) quel continuo superarsi di Djokovic e Federer nella recente finale di Wimbledon. L’ondata di analisi sulle presunte criticità dell’impianto, in primavera, è stata seguita da una serie di concerti musicali estivi (Vasco Rossi, Ligabue, Ed Sheeran, Muse) che hanno improvvisamente fatto rialzare l’apprezzamento del pubblico verso la struttura inaugurata nel 1926. Poi la vittoria della candidatura di Milano-Cortina per le Olimpiadi Invernali 2026, dove l’ulteriore appoggio del sindaco Beppe Sala che garantiva «lo svolgimento della cerimonia inaugurale a San Siro» è stata subito contrastata dalla presentazione congiunta Inter/Milan del concept del progetto del nuovo stadio, da ultimare proprio entro l’anno dei Giochi.

Fino all’attuale decisione della Commissione Provinciale di Vigilanza, recepita sia dal Comune di Milano che dalla società che gestisce San Siro (M-I Stadio), che decreta la chiusura permanente dei settori 349-351-352 (terzo anello verde) e 307-309-310 (terzo anello blu) per tutta la durata della stagione sportiva 2019/20. Una decisione presa non per concreti rischi per la sicurezza dei tifosi, ma per evitare un effetto-psicosi che potrebbe diffondersi fra la gente qualora venissero avvertite alcune vibrazioni della struttura durante le partite.

Foto di Emilio Andreoli / Getty Images

Perché viene preso un provvedimento di questo tipo, senza alcun dato tecnico a supporto? I settori che rimarranno chiusi sono i tre settori centrali di entrambe le curve, in quel terzo anello che fin dalla sua realizzazione nel 1990 è croce e delizia di San Siro. I posti che verranno tolti dal conteggio totale della capienza dello stadio sono 2.350, un numero ridotto che va letto anche nell’ottica della realtà gestionale degli ultimi anni dello stadio, nei quali il terzo anello (nella sua completezza, curve+tribuna rossa) è stato tenuto spesso chiuso a prescindere, tranne che in partite di cartello o in presenza di forte richiesta di biglietti in prevendita. I settori che rimarranno chiusi sono quindi pochi e molto specifici, e non cambiano quasi nulla delle eventuali criticità dello stadio, ma sono proprio i punti dell’impianto in cui le vibrazioni si avvertono in modo più chiaro.

In realtà, però, ogni vibrazione prodotta dalla struttura di San Siro da quasi quindici anni viene monitorata giornalmente da un’equipe dedicata che fa riferimento al Politecnico di Milano. Il professor Alfredo Cigada, a capo del team, poco tempo fa in un’intervista alla Gazzetta dello Sport aveva paragonato il sistema di monitoraggio dello stadio a quello di «un holter che controlla in ogni momento il battito e le funzioni cardiache di una persona».

Come funziona il monitoraggio di San Siro

E in effetti è così perché il sistema di analisi in tempo reale di San Siro è di assoluta eccellenza e non esiste in nessun altro stadio italiano: 48 sensori generali sparsi nei vari punti dell’edificio, a cui si aggiungono 20 sensori dedicati solo al calcestruzzo e altri 22 disposti sulle undici travi in ferro che completano l’impianto. L’efficacia di questo monitoraggio si riscontra negli interventi di manutenzione ordinaria, che vengono ottimizzati proprio su indicazione degli specialisti, permettendo di risparmiare sul piano economico, ma soprattutto nell’immediatezza con cui il team di controllo può venire a conoscenza di qualunque lesione pericolosa per l’intero edificio.

Le vibrazioni, peraltro, sono una costante a San Siro da quando fu costruito il terzo anello, in occasione dei Mondiali 1990. Proprio per la sua concezione e per la sua imponenza, come in tutte le opere di ingegneria civile, la presenza di vibrazioni è il segno positivo che la struttura lavora secondo i parametri di elasticità previsti: in questo stadio, come nei normali edifici, una vibrazione tende generalmente a sforzare il materiale nella sua “resistenza a trazione” e va monitorato in questo senso proprio perché, oltre una certa entità, può provocare una lesione (banalmente, un terremoto produce vibrazioni di tale portata da sforzare il materiale anche nella sua “resistenza a compressione”, quindi in entrambe le direzioni al suo interno).

La verità è che lo stadio San Siro è sicuro, ma negli ultimi mesi molti media hanno erroneamente parlato di uno stadio prossimo al crollo (“San Siro trema” oppure “Cadono calcinacci sulla testa dei tifosi”, sono alcuni dei titoli letti nelle ultime settimane), restituendo l’immagine di un edificio in balìa degli eventi e nel quale poteva succedere di tutto da un momento all’altro. La caduta di alcuni frammenti di materiale, denunciata da qualche tifoso durante Inter-Juventus dello scorso 27 aprile, era in realtà il distacco di parti di intonaco e finiture di recente (e scarsa) realizzazione, che nulla avevano a che fare con lo stato di salute dello stadio. Allo stesso modo, i 2,6 centimetri di oscillazione dei quali si era parlato dopo Inter-Atalanta del 7 aprile erano un dato gonfiato, come confermato anche dai rilevamenti del team di controllo del prof. Cigada.

Foto di Robbie Jay Barratt - AMA / Getty Images

Il fatto che San Siro venga monitorato tutti i giorni, durante tutto l’anno, è una situazione di unicità che a fatica troviamo in altre strutture più sollecitate, come i ponti stradali o gli edifici pubblici e commerciali. Le dinamiche dei movimenti delle persone durante i concerti, creano sollecitazioni diverse e più varie rispetto a ciò che avviene durante le partite di calcio, ma i costanti controlli sulla struttura confermano che lo stato di sicurezza di San Siro è assoluto e, soprattutto, non è mai cambiato da quando il monitoraggio è iniziato nel 2006.

L’effetto psicosi

L’aspetto davvero infelice di questa decisione, a conti fatti, è il motivo per cui è stata presa: l’impatto di un certo racconto esageratamente negativo nei confronti di San Siro, negli ultimi mesi, ha avuto il sopravvento sulla percezione delle persone rispetto a quello che i dati oggettivi e scientifici ci dicono. Il giornalista americano Walter Lippmann, nella prima metà del ‘900, lo avrebbe definito uno “pseudoambiente”, cioè una versione della realtà semplificata tramite la quale una persona qualunque può conoscere un certo ambiente, ma che gli viene proposta in forma alterata da un certo tipo di comunicazione. Il giornalista George Lakoff, molti anni dopo, avrebbe aggiunto che quel determinato pseudoambiente era efficace perché le metafore usate per crearlo restituivano un’immagine favorevole e confortevole accettata dall’ascoltatore, anche in mancanza di una comprensione e un approfondimento vero sulla questione.

L’entusiasmo per la prospettiva di un nuovo stadio, promossa con decisione dalle proprietà di Inter e Milan, unito a toni critici e denigratori verso l’attuale impianto, ha creato un quadro in cui il Meazza improvvisamente non è più considerato un’eccellenza del calcio italiano (le celebrazioni per la finale di Champions League 2016 sono lontane solo tre anni) ma come qualcosa di cui liberarsi il prima possibile. E nell’equazione non si può non menzionare l’impatto emotivo della tragedia del Ponte Morandi di Genova, che ha contribuito a accendere l’interesse dell’opinione pubblica sui temi dell’ingegneria civile.

Nonostante sia assolutamente necessario un intervento sull’attuale Meazza (da valorizzare con un’ampia ristrutturazione o sostituire con un nuovo impianto), e la bontà di qualunque progetto non sia qui in discussione, la decisione di chiudere i settori del terzo anello è l’infelice risultato di una realtà che si piega al sensazionalismo: non risolve nulla ma si adegua alla percezione comune. In questo pseudoambiente San Siro non ci interessa più.

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