EURO 2024 è finito, anche le Olimpiadi sono ormai alle spalle e tutti i principali campionati europei stanno gradualmente riprendendo. A volte queste tre competizioni, che per molti hanno rappresentato tre tappe consecutive dell’estate, si sono leggermente sovrapposte. Ad esempio uno dei campionati più seguiti in Europa è ricominciato lo scorso due agosto, quando Parigi 2024 era ancora lontana dalla sua conclusione.
È una competizione affascinante, che l’anno scorso ha battuto per l’ennesima volta il record di spettatori. In totale, secondo i dati ufficiali della lega, quasi 8,9 milioni di persone hanno assistito alle partite dal vivo, con una media spettatori di 28.796, un dato non troppo lontano da quello della Serie A, che la scorsa stagione si è assestata a 30.891.
Non è stata una sorpresa che anche per la partita inaugurale tutti i 50mila posti allo stadio fossero stati occupati. «C’è grande attesa. Avremmo anche potuto vendere 100mila biglietti», aveva detto un responsabile della squadra di casa qualche giorno prima della partita. Effettivamente era una partita di grande prestigio: la squadra di casa ha vinto lo scudetto per ben tre volte, gli ospiti addirittura sei e nella loro bacheca si può trovare anche una Coppa delle Coppe e una Coppa dei Campioni. Sto parlando della partita tra Colonia e Amburgo, che ha aperto la stagione della Serie B tedesca, la Zweite Bundesliga.
La partita, finita 1-2 per gli ospiti, è l’emblema di uno sviluppo curioso degli ultimi anni in Germania: sempre più squadre blasonate con un glorioso passato giocano nella seconda divisione, che tra l’altro quest’anno compie 50 anni. Ormai in Germania è diventata quasi un’abitudine parlare prima dell’inizio del campionato della “migliore Zweite Liga di sempre”. In questa stagione in 5 degli 10 stadi che hanno ospitato gli Europei (oltre a Colonia e Amburgo anche Düsseldorf, Berlino e Gelsenkirchen) si vedrà calcio di Serie B. Un altro record: 9 delle 16 squadre fondatrici della Bundesliga giocheranno nella seconda serie.
Le immagini dallo stadio strapieno per Colonia-Amburgo.
Le cause sono diverse. Decisioni sbagliate di alcune big, una specie di hybris mescolata all’incompetenza (il Colonia, per dire, non ha potuto acquistare giocatori a causa di una penalizzazione della UEFA) ma anche il buon lavoro delle “piccole” come l’Heidenheim, l’Augsburg e l’Union Berlino, che invece stanno riuscendo a sopravvivere in Bundesliga.
Per un pubblico come quello italiano, per cui la propria squadra deve stare sempre “dove merita”, potrebbe essere sorprendente, ma per gran parte dei tifosi tedeschi rimanere in Serie B non sembra un grande problema, o almeno diciamo che sembrano viversela più serenamente. Non solo la parte più calda della tifoseria ma tutti i tifosi vanno allo stadio con entusiasmo, quasi come se non fosse cambiato niente.
L’Amburgo, per esempio, fino al 2018 era stata l’unica squadra a disputare tutte le stagioni in Bundesliga fin dalla sua nascita nel 1963 (il Bayern Monaco non è mai retrocesso, ma è stato promosso soltanto nel 1965). I tifosi erano, un po’ come i tifosi dell’Inter, orgogliosi di non essere mai stati in Zweite Bundesliga. Il club era denominato “il dinosauro della Bundesliga”, e allo stadio c’era un grande orologio che contava gli anni in Bundesliga. Dopo la retrocessione nel 2018 hanno smontato l’orologio e adesso l’Amburgo sembra sulla buona strada di diventare il dinosauro della Zweite Bundesliga, perché non riesce più a tornare nella massima serie. In una situazione del genere, ci si aspetterebbero contestazioni contro la squadra e uno svuotamento dello stadio ma in realtà è successo il contrario. Negli ultimi due anni, al Volkspark, uno stadio con una capienza di 57mila posti, alle 19 partite del campionato hanno assistito in media 53.470 persone nella stagione 2022/23 e 55.960 nella stagione 2023/24.
Un caso simile è lo Schalke 04 di Gelsenkirchen, la città che quest’anno è stata prima ribattezzata “shithole” dal video blogger inglese Paul Brown durante gli Europei e poi “Swiftkirchen” perché Taylor Swift si è esibita lì per ben tre volte. Nel 2018, l’anno della retrocessione dell’Amburgo, lo Schalke era stato vicecampione della Bundesliga, dietro solo al Bayern. Adesso gioca in Zweite Liga e l’anno scorso ha anche rischiato di retrocedere di nuovo. Nonostante questa rapida caduta, e nonostante Gelsenkirchen sia una delle città più povere della Germania, lo stadio però è sempre pieno. Quando nel 2023 lo Schalke era ancora in Bundesliga, la media era di 61.133 spettatori, e in Zweite Liga, nonostante la stagione deludente, con 61.538 è leggermente cresciuta. Prima della stagione appena iniziata sono stati venduti 40mila abbonamenti, un numero che è paragonabile se non superiore a quello di molte grandi squadre della Serie A. Potremmo citare anche altri nobili decadute dove il pubblico continua a venire allo stadio, come Kaiserslautern (stadio da 50mila posti, 28.370 abbonamenti), Hannover (49mila posti, 17.500 abbonamenti), Düsseldorf (55mila posti, 20.100 abbonamenti) o Norimberga (44mila posti, 19mila abbonamenti).
Già durante la stagione passata, alla ventiduesima giornata è successo qualcosa di storico: per la prima volta, la media degli spettatori in Zweite Liga in una singola giornata è stata più alta di quella della Bundesliga. Quest’anno, dopo la retrocessione del Colonia, potrebbe succedere ancora più spesso, e il campionato è già partito col botto, con una media di 30.300 spettatori dopo le prime due giornate.
Ovviamente questo non significa che tutti i tifosi ora guardino solo la Zweite Liga e che gli stadi della Bundesliga siano vuoti. Nella massima serie tedesca, da anni primatista in Europa, il numero di spettatori in totale è un po’ calato, ma solo a causa delle squadre “piccole”: gli stadi sono quasi sempre pieni. Secondo i dati ufficiali della Lega DFL, nella stagione passata, il 95,2 per cento dei posti è stato occupato (+2,6 rispetto alla stagione precedente). «L’affluenza degli spettatori allo stadio è ininterrotta», dice Marc Lenz, amministratore delegato della DFL. Persino la Serie C tedesca, la 3. Liga, l’anno scorso ha battuto un nuovo record, raggiungendo quasi la soglia di 10mila spettatori a partita (9.700).
Sono numeri impressionanti, anche al di sopra del ritorno di massa agli eventi dal vivo che abbiamo vissuto negli ultimi anni, dopo la pandemia. Ma come tutto questo è possibile? Cosa spinge i tifosi in Germania ad andare allo stadio, indipendentemente dal livello? Non è facile dare un’unica risposta, sono tanti i motivi che rendono la Fankultur, ovvero la cultura del tifoso, tedesca unica nel mondo.
La Vereinskultur
Partiamo da un aspetto che forse in Italia non tutti conoscono. La Fankultur, in Germania come in molti altri Paesi nordici, è collegata alla Vereinskultur. In questi Paesi, cioè, esistono Vereine (associazione o società, ma la traduzione che rende meglio il significato sarebbe forse: comunità) per qualsiasi cosa. Essere socio di un Verein è una cosa molto comune e quasi naturale, soprattutto fuori dalle grandi città. Un tedesco su due fa parte di almeno un Verein, e la maggior parte di loro di un Sportverein, una società sportiva. In Germania 24 milioni di persone sono membri di una società sportiva e 7 milioni di una società calcistica.
Il pensiero di base dietro ogni Verein è: se tu ne fai parte, hai dei diritti, ma anche dei doveri. Non sei un cliente, sei un membro-socio, paghi una quota annuale, di solito non molto alta, ma devi anche impegnarti, almeno un po’, per il bene della comunità. In ogni Verein i presidenti e gli altri posti vengono eletti dai soci e, per ragioni burocratiche, ci sono un sacco di posti da occupare. In teoria, le grandi squadre, anche nel calcio professionistico, funzionano ancora oggi così, solo che hanno migliaia di soci. Il Bayern Monaco, primatista assoluto, ne ha 360mila, il Borussia 200mila. Lo Schalke si trova al terzo posto con 186mila, il Colonia ne ha 138mila, l’Amburgo 110mila, e negli ultimi anni il numero dei soci, in quasi tutte le squadre, è cresciuto sempre di più.
In realtà, tante squadre professionistiche hanno fondato delle società per azioni che di fatto si trovano fuori dalle vecchie strutture. Dal 1999, però, nel calcio tedesco esiste la regola “50+1” per cui il Verein deve sempre avere la maggioranza di queste società (su questo tema aveva approfondito Daniele V. Morrone con un pezzo di qualche tempo fa). Certo, ci sono delle eccezioni - per esempio il Bayer Leverkusen, il Wolfsburg, l’Hoffenheim e il RB Lipsia - ma per l’appunto sono eccezioni.
Per esempio, il Verein FC Bayern München possiede 75% delle azioni della società “FC Bayern München AG”, e solo il restante 25% è di azionisti privati, come Adidas, Audi e Allianz. Nessuna grande azienda, nessun fondo e nessun miliardario potrebbe comprare mai più del 49 per cento di questa società, a meno che ovviamente la legge non cambi. In altre parole, comprarsi un club di calcio è possibile in quasi tutti i paesi del mondo tranne che in Germania. Di fatto, i tifosi sono anche i proprietari della propria squadra e questo li spinge ad andare allo stadio a prescindere. Sentono il dovere di contribuire al successo della comunità di cui sono una parte integrale.
Poi c’è anche un fattore culturale, e cioè che il successo non è tutto. Per tanti è più importante restare fedele alla propria identità. Sono molti i casi, ad esempio, di tifoserie schierate contro miliardari che volevano dare soldi in cambio di potere. A Hannover (con il miliardario Martin Kind) o al 1860 München (con il miliardario Hasan Ismaik), per esempio, ci sono dei conflitti aperti tra il Verein e il mecenate non gradito, e Schalke e Amburgo hanno deciso di non affidarsi più ai soldi degli industriali Klaus-Michael Kühne, l’uomo più ricco della Germania, (Amburgo) e Clemens Tönnies (Schalke). A Stoccarda, nonostante una stagione meravigliosa, finita con il secondo posto in Bundesliga, il presidente Claus Vogt qualche settimana fa non è stato rieletto perché voleva dare più potere decisionale a Porsche, sponsor e azionista di minoranza. Una mossa che è stata percepita come un tradimento da parte dei tifosi.
Il coro di protesta dei tifosi del Monaco contro il miliardario Hasan Ismaik.
Certo, anche in Germania esiste chi vorrebbe abolire la regola 50+1 e facilitare così l’ingresso di investitori che porterebbero capitale per alzare il livello del calcio tedesco in generale e per essere più competitivi in campo internazionale. C’è anche chi sostiene che una delle cause dei problemi di grandi club come Schalke e Amburgo siano proprio le strutture “troppo democratiche”, cioè con troppi gruppi con interessi diversi al loro interno, e quindi troppo difficili da gestire.
Negli ultimi anni, però, il calcio tedesco sembra di aver capito che i tifosi sono il suo vero punto di forza. In ogni società c’è un ufficio che si occupa delle relazioni con i tifosi. Alcune squadre hanno anche fondato delle “squadre di tifosi”, in cui può giocare chiunque. Per esempio l’Amburgo ha più di dieci squadre maschili che giocano in quasi tutte le categorie e nella squadra C, a livello più o meno di Promozione, ci gioca persino il presidente del club, l’ex professionista Marcell Jansen.
Gli ultras
A questo panorama si è aggiunto negli ultimi anni un fenomeno relativamente recente per la Germania, e cioè gli ultras. Dalla fine degli anni Novanta in poi si sono formati i primi gruppi, seguendo il modello italiano. All’epoca, si guardava con ammirazione all’Italia non solo per il livello alto del calcio ma anche per l’atmosfera negli stadi. Oggi, i gruppi Ultras hanno molto potere, grazie anche alle strutture, almeno in parte democratiche, dei club. Un esempio: nel 2022 un ex ultra, Kay Bernstein, che a gennaio tragicamente è morto all’età di 43 anni, era stato eletto come presidente dell’Hertha Berlino.
Un punto di forza degli ultras è che sono molto organizzati e anche in dialogo tra di loro. C’è anche un’associazione, Unsere Kurve (la nostra curva), che rappresenta tutti i tifosi organizzati a livello nazionale, che parla con i media e cerca il dialogo con i rappresentanti della lega. Anche se ci sono tanti conflitti con la federazione e con le diverse società, negli ultimi anni gli ultras hanno raggiunto diversi obiettivi importanti.
Per esempio, con le loro continue proteste (forse vi ricorderete del lancio di palle da tennis in campo) hanno di fatto bloccato l’ingresso del fondo americano CVC nella lega che sembrava già cosa fatta. Sono anche riusciti a combattere con successo le cosiddette “pene collettive” come le chiusure delle curve o il tesseramento obbligatorio dei tifosi. Un altro successo degli ultras è stata l’abolizione delle partite di lunedì sera. Secondo il tabloid Bild la lega sta pensando persino alla legalizzazione dell’uso dei fuochi d'artificio dentro lo stadio a determinate condizioni. Non è un caso che Harry Kane, che insomma è inglese e di tifoserie organizzate dovrebbe saperne qualcosa, sia rimasto sorpreso dal tifo in Germania. «La cultura del tifoso in Germania mi ha colpito. I tifosi tedeschi sono senza dubbio tra i più appassionati che io abbia mai visto», ha detto in un’intervista a FourFourTwo, pochi mesi dopo il suo arrivo al Bayern.
Dall’altra parte, nonostante creino un’atmosfera speciale, non tutti vedono il crescente potere degli ultras come una cosa positiva. Uno dei tanti esempi: durante la finale di Coppa, i tifosi del Kaiserslautern hanno usato torce e fumogeni per quasi tutta la partita e la finale è stata sospesa per qualche minuto, cosa poco gradita dagli spettatori allo stadio o davanti alla TV.
Gli stadi
Può sembrare scontato, ma un altro punto importante che ha contribuito alla grande affluenza dei tifosi sono gli stadi. Anche grazie ai Mondiali del 2006 e agli Europei del 2024 sono stati costruiti tanti nuovi stadi come a Monaco o a Gelsenkirchen e quelli vecchi sono stati ristrutturati, come a Dortmund o a Berlino. Una particolarità degli stadi tedeschi è che in quasi ogni stadio in curva non ci sono seggiolini ma Stehplätze, cioè posti in piedi. È una condizione necessaria per esempio per la riuscita scenica del cosiddetto “Muro giallo”, dove i posti in piedi sono circa 25mila.
Anche i prezzi, sia per i biglietti sia per il classico panino con wurstel e birra, sono relativamente economici, da una parte perché le squadre vogliono sempre avere lo stadio pieno, dall’altra parte perché altrimenti ci sarebbero anche per questa ragione grandi proteste dei tifosi. Già nel 2010 i tifosi del Borussia Dortmund hanno fondato l’iniziativa “Kein Zwanni für ‘nen Steher” (letteralmente: no ai 20 euro per un posto in piedi) – e hanno avuto successo. In nessuno degli 36 stadi di 1. e 2. Bundesliga un biglietto in curva costa più di 18,50 euro.
Certo, l’erba del vicino è sempre più verde, come si dice. E in Germania per esempio i nuovi stadi sono criticati per non avere grande fascino mentre si guarda con invidia agli storici stadi italiani, come San Siro, il Dall’Ara, il Ferraris o anche impianti più piccoli come quello di Como.
È un fatto, però, che gli stadi moderni in Germania siano un fattore importante che ha spinto sempre più persone ad andare allo stadio. Di fatto, per tantissima gente in Germania è un’abitudine irrinunciabile andare allo stadio. Spesso si incontrano già ore prima della partita, e mangiano e bevono all’interno o nei dintorni. Insomma, trascorrono tutta la giornata lì. E se si sta in un posto per così tanto tempo (spesso gli spalti sono già pieni molto prima del fischio d’inizio), è meglio avere un impianto moderno che renda tutto questo più comodo. E mentre la Germania sin dall’inizio è stato un mercato difficile per le pay-tv, che sembrano fare più fatica a fare abbonamenti rispetto ad altri Paesi nonostante la platea potenzialmente enorme, lo stadio sembra di non andare mai fuori moda. Anche se le pay-tv provano a fare più pressione, per esempio cambiando gli orari, si può dire con convinzione che in Germania non si è ancora arrivato al punto in cui i tifosi allo stadio valgono meno dei tifosi davanti alla tv.
Il tipo di calcio
In tutto questo, la qualità dei giocatori è quasi un fatto secondario. Per avere lo stadio pieno, insomma, il fattore più importante non è la campagna acquisti. Andare allo stadio per vedere i grandi giocatori che sono stati acquistati è, a parte qualche rara eccezione, un concetto quasi sconosciuto ai tedeschi. Presentazioni in grande stile come quelle di Mbappé o Cristiano Ronaldo al Bernabéu in Germania sarebbero impensabili.
Questo ha forse a che fare con la cultura calcistica in generale. Il tedesco medio è molto scettico rispetto alle "stelle”, di solito preferisce i giocatori che si sacrificano per la squadra. Se chiedete a un tifoso del Bayern Monaco di scambiare il Thomas Müller (forse non adesso che è un po’ invecchiato, ma quello di cinque anni fa) per il Cristiano Ronaldo dei tempi del Real o per Mbappé, difficilmente accetterebbe. Anche i premi individuali come il Pallone D’Oro non hanno mai avuto grande risonanza né per i media né per i tifosi: forse anche perché in Germania, a differenza dell’Italia, non hanno mai giocato i giocatori più forti del mondo. E non sarà un caso se i due unici tedeschi che lo hanno vinto negli ultimi 40 anni, cioè Lothar Matthäus e Matthias Sammer, non sono certo i primi che vi vengono in mente.
C’è una frase di Berti Vogts, campione del mondo e CT della Nazionale, prima dell’Europeo vinto del 1996, che in Germania viene ripetuta spesso: “Der Star ist die Mannschaft”, cioè: “La squadra è la stella”. Parafrasando questo concetto si potrebbe dire che la stella del calcio tedesco sono prima di tutto i tifosi.