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Perché Insigne sta segnando di più
04 ott 2018
Uno sguardo al grande inizio di stagione dell'attaccante del Napoli.
(articolo)
13 min
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Nella passata stagione, escludendo i rigori dal conto, Lorenzo Insigne ha segnato 7 gol. Secondo le statistiche avanzate avrebbe dovuto segnarne 15. Una forbice di 8 reti tra quelle potenzialmente realizzabili e quelli effettivamente realizzate rappresenta un’anomalia a livello statistico, nonché il più alto valore di underperformance registrato nel 2017/18.

Ripercorrendo a ritroso la carriera di Insigne, questa sensazione di anomalia viene attenuata da un’evidenza altrettanto improbabile: negli anni trascorsi in massima serie, non è mai riuscito a superare in termini di gol segnati gli expected goal prodotti. Soltanto nel 2017 è riuscito a pareggiare perfettamente il conto, segnando 16 gol a fronte di 16 xG. Nel 2016 gliene mancavano all’appello 4 (14.3 xG, 10 gol), nel 2015 gliene mancavano 2 (4.2 xG, 2 gol), nel 2014 gliene mancavano altri 6 (9.3 xG, 3 gol).

Il fatto che Insigne non sia mai riuscito a raggiungere lo standard del finalizzatore medio ci rimanda alla conclusione più ovvia, cioè che dal punto di vista realizzativo sia un attaccante inferiore alla media. Eppure Ancelotti, da quando ha usato con una certa costanza il 4-4-2, ha scelto di metterlo al centro dell’attacco, distribuendo le responsabilità creative lungo tutto il fronte offensivo, e in particolare su Callejón, che rispetto alle passate stagioni ha esattamente raddoppiato la produzione di passaggi chiave. È stata una scelta coraggiosa, che ha fin qui restituito risultati inaspettati.

La rete che ha deciso la partita in Champions contro il Liverpool, e ha rimesso in piedi le speranze di qualificazione agli ottavi del Napoli, è già la sesta nelle otto partite giocate quest’anno con Ancelotti. Insigne non ha mai segnato così tanto. Gli è bastato un solo tocco, dopo il feroce inserimento alle spalle di Gomez, per sbloccare un pareggio ingiusto e concedersi la corsa trionfale verso la curva con la fascia da capitano al braccio.

Se dovesse mantenere questa media realizzativa, in futuro ricorderemo quella scivolata come la rete che ha consacrato questo nuovo capitolo della carriera di Insigne, il momento in cui è riuscito a essere decisivo anche lontano dalla palla, e a sfruttare l’evidente tecnica di tiro con regolarità. E se anche la media realizzativa dovesse da un giorno all’altro normalizzarsi, per Ancelotti sarebbe già un successo aver aperto la porta a questo scenario: i precedenti lasciavano pensare che un momento così non sarebbe mai arrivato.

Per la prima volta nella carriera di Insigne, i gol segnati superano gli xG prodotti.

Dove nascono i problemi sotto porta di Insigne

Insigne esprime un calcio ad alta velocità, quando si muove lungo la trequarti sembra attraversato da una carica elettrica gli permette di trovare il corridoio in cui far passare la palla nel minor tempo possibile, nel più ristretto spazio di coordinazione. Il calcio in area di rigore però vive di altri ritmi, è fatto di giochi di sguardi e scelte controintuitive, per combinare tempismo e precisione è necessario un certo tipo di freddezza, un’altra temperatura corporea.

Quando Insigne riceve in area di rigore battezza un angolo e ci spedisce il pallone senza alzare la testa, come rapito dall’ansia che difensori alti venti o trenta centimetri più di lui possano riemergere dal sottosuolo e deviargli la traiettoria. È fenomenale negli inserimenti, nello sgusciare da una parte all’altra della linea di difesa, ma non lo è altrettanto nell’ingannare i portieri, nell’imprimere al pallone un colpo secco ed essenziale, nell’ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo.

Questa breve sequenza di errori commessi soltanto nel girone di ritorno dell’ultima stagione aiuta a costruirsi un’idea più precisa del dove siano finiti quegli otto gol mancanti.

Contro l’impresentabile difesa del Verona si intuiscono le potenzialità da attaccante di Insigne, perché capisce con grande anticipo dove deve andare a sistemarsi e fa in modo di trovarcisi al momento giusto. Poi completamente libero, senza pressione, all’altezza del dischetto, spara il pallone in curva con il piede debole.

Questo è un errore più pesante, anche se avvenuto a inizio partita. Anche qui fa tutto bene, praticamente si inventa un’azione da solo, traendo in inganno l’intera difesa del Sassuolo. Purtroppo sul passaggio di ritorno di Jorginho guarda solo il pallone, non accorgendosi della posizione di Consigli, della posizione di Callejón, e di ogni altra possibilità più vantaggiosa di questo prevedibile piatto al volo.

Nel caso servisse un’ulteriore dimostrazione di come Insigne sia capace di crearsi dal nulla un tiro (anche due, in questo caso), è sufficiente leggere la frustrazione di Florenzi che tenta l’affondo e viene colto in controtempo, poi lo vede accompagnare con la coscia un rimbalzo impazzito, resistere a una seconda carica e coordinarsi col piede preferito. Per superare Alisson però serve soprattutto tempismo, e anche in questo caso Insigne fa la cosa più prevedibile, in due occasioni consecutive.

Cosa è cambiato quest’anno

L’evoluzione del Napoli è uno dei temi tattici più interessanti emersi in questo avvio di campionato, perché procede gradualmente, è difficile intuire dove possa arrivare, e si arricchisce di nuovi spunti ad ogni ritocco che Ancelotti decide di apportare all’abito meticolosamente cucito da Sarri.

Nelle prime partite abbiamo visto un Napoli che aveva dei forti punti di contatto con il Napoli dell’ultimo ciclo. Aveva conservato la stessa disposizione in campo, il 4-3-3, insieme all’idea di mantenere il baricentro alto, di applicare una pressione costante sulla circolazione avversaria, e di imporre la superiore qualità tecnica per dominare il possesso.

Nello stesso tempo, Ancelotti ha iniziato ad abbandonare alcuni dei concetti cardine del sistema di Sarri: la densità nella zona del pallone, il controllo attraverso la supremazia territoriale, lo sviluppo lungo le catene laterali. Nelle ultime partite abbiamo visto un Napoli più definito, costruito intorno ad un 4-4-2 che avvolge il campo come una ragnatela. Le combinazioni tra gli attaccanti si innescano su distanze maggiori, favorendo l’imprevedibilità della manovra offensiva.

Il Napoli è una squadra diversa, ma altrettanto ambiziosa. L’ampiezza ha sostituito la densità, e negli spazi che si aprono Insigne è più libero di puntare la profondità e ricevere sulla corsa: una strategia molto utilizzata per attaccare la linea del Liverpool.

L’evoluzione tattica di Insigne procede in parallelo a quella della squadra, e nel suo piccolo rappresenta perfettamente l’impronta del lavoro di Ancelotti, la ricerca di un compromesso tra la necessità di preservare il patrimonio della tradizione e quella di rifondare le motivazioni del gruppo.

Come il Napoli ha iniziato ad allontanarsi dai dettami che governavano il sistema precedente, così anche Insigne ha iniziato ad allontanarsi dalla casella che occupava stabilmente nello scacchiere di Sarri. Se in avvio di campionato aveva conservato il tradizionale ruolo di ala sinistra, nell’ultimo mese si è progressivamente spostato verso il centro, arrivando ad agire a tutti gli effetti da seconda punta.

Tra la prima e la quinta giornata, a parità di palloni toccati, il raggio di azione di Insigne aumenta moltissimo, arrivando ad abbracciare l’intera metà campo offensiva.

«Gli piace giocare in quella posizione, così si sacrifica meno in fase difensiva e arriva più fresco sotto porta», ha notato compiaciuto Ancelotti, che dopo il gol decisivo segnato alla Fiorentina lo ha accolto in panchina con un tenero bacio.

Finora Insigne ha segnato 5 gol in 7 partite, per una media complessiva di 0.83 gol p90, degna dei migliori realizzatori del campionato, oltretutto ricavata sulla base di 0.57 xG p90. È un’inversione di tendenza radicale, che spinge alla ricerca di motivazioni. Quella che ha fornito Ancelotti è convincente, perché per essere efficaci in area di rigore è necessario combinare la freddezza alla freschezza, ma manca di spiegare se Insigne, alla soglia dei 27 anni, abbia compiuto un ulteriore salto di qualità.

Migliorarsi attraverso i nuovi allenatori è un’altra tendenza della carriera di Insigne. Sotto la guida di Zeman è diventato un vivace fantasista, con Benítez ha aggiunto l’applicazione tattica, con Sarri ha imparato ad assumersi la responsabilità creativa. La lucidità in zona gol era il tassello mancante, questa stagione ci dirà se riuscirà a completarsi.

Cosa raccontano i numeri

Le mappe di passaggio sono state il primo indicatore che qualcosa nel Napoli stava cambiando. Il pallino di Insigne si è fatto da subito più piccolo, anche quando ha giocato a sinistra nel 4-3-3. Nonostante i riferimenti sulla fascia fossero gli stessi, le connessioni più deboli evidenziavano un utilizzo diverso, meno frequente e più in avanti sul campo, più vicino alla prima punta che alla mezzala e al terzino.

La ridotta influenza nel reticolo di gioco è confermata anche dai numeri grezzi. Il volume dei passaggi tentati è diminuito drasticamente, assestandosi a 52.8, dopo che nelle ultime due stagioni era schizzato alla folle media di 71.3. Uno scostamento percentuale ancora più ampio lo si ritrova alla voce “passaggi corti”, che nelle ultime due stagioni aveva registrato la stessa identica media, 68.2 ogni 90 minuti, e che adesso è fermo a 48.5. Ovvero, Insigne tocca molti meno palloni, e in proporzione tenta più passaggi lunghi.

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Non è solo un’impressione, Insigne continua a tirare sempre di più. Nel frattempo ha riportato alla normalità il numero di palloni toccati, salito alle stelle nel dopo Higuaín.

Il dato sui passaggi lunghi, 4.3 p90, rappresenta la voce più alta registrata nella carriera di Insigne dopo i 5 del 2014/15, l’ultimo anno di Benítez, in cui si muoveva da ala più tradizionale e tentava moltissimi cross (6.9 allora, 2.1 in media nelle tre stagioni successive con Sarri). Rispetto ad allora, tra l’altro, Insigne è molto più preciso nel gioco lungo. Se all’epoca si disimpegnava con un dignitoso 47.5%, in questa stagione sta registrando un incredibile 88.5% di precisione, che si presume destinato a scendere prima o poi.

Più in generale, per Insigne è la stagione più precisa della carriera. La precisione passaggi era già sensibilmente aumentata nelle ultime due stagioni, chiuse rispettivamente con l’86% e l’85%. In questa stagione ha raggiunto l’87%. È difficile conservare questi numeri quando si gioca per lo più nell’ultimo terzo di campo, ed è significativo che Insigne stia mantenendo una precisione anche superiore a quella delle ultime due stagioni nonostante venga meno coinvolto nella manovra, e nonostante abbia notevolmente aumentato la lunghezza dei suoi passaggi.

Insigne utilizza il passaggio lungo sia in fase costruzione, ora che il Napoli fa maggiore ricorso ai cambi di gioco, che in fase di rifinitura, diventata più rapida e verticale. Lo dimostrano i passaggi chiave, quelli che servono a mandare al tiro un compagno, che sono numericamente in linea con gli anni passati (2.8, poco meno dei 3 registrati l’anno scorso), ma contengono la più alta percentuale di passaggi lunghi mai toccata in carriera (24%).

Nel primo tempo della prima partita stagionale, Milik si lancia in profondità e Insigne lo pesca a quaranta metri dalla porta: il Napoli verticale di Ancelotti inizia a prendere forma.

Nonostante Insigne continui a mandare al tiro i compagni con regolarità, è interessante notare come il dato degli xA p90, che rappresenta il valore degli xG che il Napoli produce a partire dai suoi assist, stia galleggiando intorno al minimo storico, 0.14, quando soltanto nella passata stagione aveva toccato il suo massimo storico, 0.37.

Una possibile spiegazione è che in generale il Napoli stia accettando conclusioni meno efficienti, e che di conseguenza meno efficienti risultino gli assist di Insigne. Al momento il Napoli è sesto per tiri all’interno dell’area di rigore, pur con la stessa media dell’anno scorso (8.7 per partita), e parallelamente ha aumentato la media di tiri fuori area (da 7.4 a 9), diventando la prima squadra del campionato in questa voce.

Mentre prosegue il percorso per diventare un diverso tipo di rifinitore, Insigne sta diventando una minaccia concreta in area di rigore, forse per la prima volta nella sua carriera. Le statistiche accumulate in questo breve campione di partite contengono il miglior risultato in carriera per non penalty gol segnati: 0.83 p90, che è quasi il doppio del secondo miglior risultato, lo 0.49 del 2017. Non solo, è anche l’anno migliore della carriera di Insigne per xG prodotti, 0.57 p90, e per volume dei tiri tentati, 5.5.

Anche le statistiche avanzate disegnano il repentino cambio di rotta della carriera di Insigne, dopo una stagione in cui aveva creato tantissimo e concluso poco, finalizzando peggio.

L’incremento nei tiri tentati è dovuto quasi esclusivamente ai tiri da fuori area (2.5), che rappresentano quasi la metà dei tiri totali, e hanno ripreso ad aumentare dopo un progressivo calo nelle ultime due stagioni. Questo generalmente non è un buon segnale per l’affidabilità sul medio-lungo periodo.

Oltretutto la precisione espressa dal rapporto tra tiri in porta e tiri totali (30%) è inferiore alle percentuali registrate negli ultimi tre anni. In carriera, Insigne non ha mai calciato tante volte fuori dallo specchio come in questo avvio di campionato (3). Per riassumere tutti i paradossi che questo cambio di stile sta trascinando con sé: tenta molti meno passaggi, ma sempre con maggiore precisione, e tenta molti più tiri, ma sempre con minore precisione.

Ha poi ridotto al minimo il numero di dribbling tentati (1.8) pur mantenendo la solita affidabile percentuale di successo (54.5%, per qualche punto decimale la migliore in carriera), e soprattutto l’apporto difensivo. Per il momento tenta 0.8 contrasti p90, un dato lontanissimo dagli anni di Mazzarri e Benítez, quando ne tentava 2.5. Il dato sugli intercetti è in leggero aumento rispetto all’anno scorso (0.66), ma ad ogni modo è il secondo più basso di sempre.

Tutti questi numeri contribuiscono a delineare una versione del tutto inedita di Insigne, mai così attaccante centrale, mai così poco coinvolto nello sviluppo dell’azione, mai così dedito al rapporto con la porta avversaria. Un’ulteriore tappa di crescita, per un giocatore che quando è entrato nel campionato tentava 6 dribbling e 6 cross ogni 90 minuti, e nel frattempo ha modificato numerose volte i compiti assolti nella metà campo offensiva. Conservando, però, la prontezza di farsi trovare al posto giusto al momento giusto.

Ricostruendo le dinamiche dei cinque gol segnati finora, questa capacità sembra un dono mistico. Contro la Lazio, Allan tenta di arpionare un cross a mezza altezza e senza neanche vederlo gli indirizza il pallone tra i piedi. Contro il Torino, un rinvio di Moretti carambola sul corpo di N’Koulou e gli finisce addosso all’altezza del dischetto, poi gli capita la stessa cosa con un tiro di Callejon rimbalzato sul palo. Contro il Parma, Iacoponi sembra muoversi in anticipo ma gli frana davanti, lasciando il pallone disponibile a due passi dalla linea di porta.

Nel calcio in area di rigore, che vive di suoi ritmi, la componente casuale è un fattore determinante. Perché d’accordo il percorso di crescita, la posizione più ravvicinata, la gestione più razionale delle energie, ma la differenza tra un gol segnato e un gol sbagliato sarà sempre una manciata di centimetri. Allora può darsi che la spiegazione corretta sia la più semplice, che tutte le occasioni disseminate negli anni gli stiano tornando indietro, in forma di benevoli rimpalli. A giudicare dal credito accumulato, è lecito aspettarne ancora molti altri.

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