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Perché la difesa a 3 ha così successo?
13 gen 2018
Giacomo ci ha chiesto del successo delle linee difensive a 3 nonostante i tanti moduli a una sola punta. Risponde Alfredo Giacobbe.
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Questo articolo fa parte della rubrica La Posta del cuore, che esce in esclusiva sulla nostra newsletter. Per iscrivervi alla newsletter potete cliccare qui, per farci delle domande - qualsiasi domanda - scrivete a ultimouomomailbag@gmail.com. Grazie, siete preziosissimi.

Gentili membri della redazione,

Ho appena finito di leggere un libro sulla storia e l’evoluzione della tattica calcistica, la Piramide Rovesciata di Jonathan Wilson. In uno dei capitoli finali, relativi ai primi anni 2000, l’autore spiega che il modulo 3-5-2 diventa obsoleto perché esso si rivela poco efficace contro formazioni che non schierano più due punte ma una sola.

Perciò mi sono chiesto, come mai oggi che quasi tutte le squadre giocano con una sola punta (in prevalenza col 4-2-3-1), la difesa a tre è tanto usata, almeno nel nostro campionato?

Grazie per la vostra attenzione,

Giacomo

Risponde Alfredo Giacobbe

Caro Giacomo,

ho recuperato il passaggio del libro di Wilson, che tengo sul mio comodino insieme ad una riproduzione della Bibbia di Gutenberg finemente miniata, a cui tu fai riferimento. A pagina 404 dell’edizione inglese, citando l’allenatore brasiliano Nelsinho Baptista, Wilson sottolinea come il 3-5-2 iniziò a soffrire contro i moduli ad una sola punta. Accadde, principalmente ma non solo, per via dell’inferiorità numerica in mezzo al campo, generata dalla salita di uno dei terzini avversari. Inoltre, l’atteggiamento prettamente difensivo di entrambi gli esterni a tutta fascia privava la fase offensiva del 3-5-2 della necessaria ampiezza.

Esistono però differenti aspetti per i quali un sistema può improvvisamente tornare di moda. Uno di questi è proposto dallo stesso Wilson quando, in un suo articolo del 2014 per il Guardian, elenca le differenti apparizioni del modulo col centrocampo a rombo nel corso della storia della tattica. Quello che sottintende l’autore è che il calcio vive di cicli ricorsivi: certi moduli rifioriscono semplicemente perché le squadre, che non sono più allenate ad affrontare quel particolare sistema proveniente da un’altra epoca, vanno in difficoltà.

Oltre a questo primo aspetto, che definirei storico, c’è una enorme differenza tra il calcio di oggi e quello degli anni 2000, che mi preme sottolineare: stiamo vivendo un periodo storico nel quale i ruoli, intesi come posizioni, stanno lasciando il posto ai compiti. Il catalizzatore di questa rivoluzione è stato certamente Pep Guardiola, il primo che ha parlato dell’importanza dell’interpretazione dei compiti di un singolo al di là della zona di campo occupata, ma non è stato di certo l’unico. Ti porto alcuni esempi, proprio a proposito del 3-5-2 in un’epoca più recente e successiva al racconto di Wilson. Nell’Olanda di Louis van Gaal, terza al mondiale 2014, uno dei tre centrali seguiva il proprio uomo ben oltre la linea di centrocampo, forte della copertura degli altri due difensori e risolvendo di fatto il problema dell’inferiorità numerica a centrocampo. In Italia, Antonio Conte adottò il 3-5-2 per la sua Juventus: l’interpretazione dei due esterni, che fin dall’inizio del possesso erano allineati con i due attaccanti, si rivelò fondamentale per trasformare il modulo in un offensivo 3-3-4 e per dare dei riferimenti in ampiezza. Ancora: in Serie A Paulo Sousa e Luciano Spalletti - il primo con insistenza, il secondo saltuariamente - hanno ibridato due sistemi, uno con difesa a 3 e l’altro con difesa a 4, muovendo uno solo dei due esterni da una linea all’altra, a seconda della fase di gioco. Il Napoli di Maurizio Sarri si protegge dalle transizioni negative accentrando il terzino sul lato debole. Quello che voglio dire è che parlare di numeri e moduli nel calcio, oggi dove l’interpretazione del singolo calata nel sistema è preponderante, sta perdendo completamente di senso e fare un parallelo tra epoche sarà sempre più complicato.

La scelta di un modulo sottostà ad un principio cardine del calcio moderno, valido per tutti i sistemi, che è al di sopra di ogni altra considerazione: sto parlando della generazione della superiorità numerica al di là della prima linea di pressione avversaria. L’adozione della difesa a 3 migliora la circolazione del pallone nell’impostazione bassa, che è necessaria per attirare gli avversari in avanti in pressing e per creare i presupposti per servire un uomo tra le linee, davanti alla difesa. È un espediente così efficace che anche chi adotta sistemi con difesa a 4 finisce per ricercare mediante la “salida lavolpiana”, ovvero l’abbassamento del mediano tra i due centrali difensivi.

Ho controllato i dati dell’ultima stagione completa in Europa e posso dirti che non c’è evidenza di alcuna tendenza generale nella preferenza di un determinato modulo. In Germania, lo scorso anno, il 26% delle squadre hanno adottato la difesa a 3, in un campionato dominato dal 4-2-3-1 e dal 4-4-2. In Spagna, dove anche c’è una predominanza del 4-2-3-1 rispetto al 4-4-2, la percentuale d’adozione della difesa a 3 è la più bassa tra i principali campionati europei (11%). L’Italia si colloca nel mezzo (21%), e in Serie A i moduli più frequenti sono stati il 4-3-3 e il 4-3-1-2.

In definitiva, la difesa a 3 è solo un mezzo per raggiungere fini differenti. Il suo utilizzo evolverà come ogni aspetto della tattica, che è in continuo movimento. L’era delle TV, che oggi permettono agli allenatori di studiare mosse e contromosse delle squadre di ogni nazione, ha solo accelerato questo flusso già inarrestabile.

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