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Perché nascono pochi calciatori al Sud?
08 lug 2024
08 lug 2024
Un problema strutturale di cui si parla troppo poco.
(copertina)
Foto IMAGO / Insidefoto
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È il 12 luglio giusto da qualche minuto, a Wembley. È il 2021, L'Italia è campione d'Europa, la gioia in campo diventa ben presto una gioia da smartphone in mano, da dare in pasto ai social. Si piange, si ride e si canta una canzone, in particolare: "ma quale dieta, me piacen 'e purpett...". È l'Italia di Gigio Donnarumma in porta, di Insigne, Immobile e Berardi come trio d'attacco. È un’Italia molto meridionale in campo e fuori, qualcosa che l'Italia di Euro 2024 non avrebbe mai potuto replicare. Perché i risultati non erano gli stessi, certo. Perché il gruppo era diverso, ovvio. Ma anche perché il calcio italiano, ormai da anni, da molto prima del 2021, ha perso il Sud. Lo ha perso nelle squadre e lo sta perdendo nei giocatori, da quello che prima rappresentava un serbatoio di rilievo in ottica nazionale.

Premessa doverosa, prima che si caschi nell'equivoco: non è per questo che l'Italia ha salutato anzitempo gli Europei e non c'è la pretesa di trovare spiegazioni antropologiche o geografiche legate a questo risultato. Se questo però è il momento delle Grandi Questioni da mettere sul tavolo, partiamo forse dalla più macroscopica, che per qualche ragione non vogliamo guardare: l’Italia sta rinunciando a un bacino che vale un quinto della sua intera popolazione.

Le scuole calcio al Sud

Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia e Molise: sono cinque regioni che all'incirca raggiungono i 12 milioni di abitanti. Da qui, l'Italia, non pesca praticamente più nessuno. Tra i 26 convocati di Spalletti ci sono un sardo (Barella) e un campano (Donnarumma), dopodiché non si va mai oltre la Capitale. Ma il luogo di nascita è un criterio per certi versi inutile: Balotelli è palermitano per la carta d'identità, ma calcisticamente cosa gli ha dato la Sicilia? Nulla. Ed è qui che è necessario aprire una riflessione su cosa sia diventato il Sud per il calcio nazionale. Una periferia, a essere gentili, sin dalle radici del calcio di base. Lo sarebbe anche prendendo in considerazione la Campania, benché la sola presenza del Napoli renda necessario escluderla da questo ragionamento. Nelle altre cinque regioni del meridione si contano 517 club giovanili di 1°, 2° e 3° livello riconosciuti dalla FIGC - potete cercarli voi stessi, sul sito della Federazione. La sola Lombardia ne ha 704, più del doppio della Puglia che con i suoi 303 club è nettamente la prima tra le regioni del Sud, ma la settima a livello nazionale dietro anche a Lazio (631), Emilia-Romagna (403), Toscana (361), Piemonte (350) e Veneto (306).

È una voragine che parte dal basso e arriva fino ai vertici del calcio italiano. La Sicilia non si vede in Serie A dal 2017, la Calabria dal 2021, mentre il Lecce resiste ed è l'unica squadra del Sud oltre al Napoli. Un'assenza che si riflette anche sui giocatori che arrivano a giocarsi le proprie carte in A, come accaduto nella stagione 2023/24. Da queste quattro regioni, solo in 12 hanno messo piede in campo almeno per un minuto tra quelli che possono essere convocati in azzurro, escludendo dunque chi, come Gyasi dell'Empoli, è nato a Palermo, ma gioca per altre nazionali: uno per il Molise (Borrelli, una presenza al Frosinone), due per la Sicilia (Gallo del Lecce e Corona dell'Empoli), quattro per la Calabria (Viola al Cagliari, Berardi al Sassuolo, Garritano e Canotto al Frosinone) e cinque per la Puglia (Castrovilli della Fiorentina, Vogliacco del Genoa, Monterisi del Frosinone, Luperto e Caputo dell'Empoli).

La proporzione è impressionante: da un'area di 12 milioni di abitanti, si riescono a tirar fuori 12 calciatori di Serie A. Questo a voler essere gentili, perché Canotto è andato in B al Cosenza subito dopo l’esordio in A (14 minuti in Frosinone-Napoli), Borrelli idem, ma almeno di minuti ne ha disputati 22 prima di trasferirsi al Brescia. Ancora meno per il palermitano Giacomo Corona, figlio d’arte che prova a ripercorrere le orme da bomber del papà Giorgio: quattro minuti in Verona-Empoli a gennaio, prima di tornare al campionato Primavera. Qui è stato protagonista di un “derby” col catanese Flavio Russo per la palma di capocannoniere. L’ha conquistata quest’ultimo, con la maglia del Sassuolo: 20 gol, contro i 19 del centravanti dell’Empoli. Due casi per nulla isolati di ragazzi che lasciano il Sud già da giovanissimi, per affermarsi altrove.

A proposito di Primavera: nell’immancabile caccia alle streghe post-eliminazione dall’Europeo, si è puntato il dito sul Lecce che punta per lo più su calciatori stranieri. Posto che le sorti del calcio italiano non possono reggersi sui passaporti di chi indossa la maglia giallorossa, è utile fare un paio di conti sullo stato di salute del calcio di base in quella zona. Spoiler: è probabilmente il meglio che si possa trovare al Sud, perché le scuole calcio élite in provincia sono 64 e in tutto il Salento, una macro-area da 1,8 milioni di abitanti, sono 121 (ma nel conto finiscono anche società di futsal o il Lecce Women). Certo, la sola provincia di Bergamo, che di abitanti ne ha 1,1 milioni, conta 139 club giovanili riconosciuti dalla FIGC di 1-2-3° livello. Oppure Udine, che come provincia fa meno abitanti di Lecce, di scuole calcio élite ne ha 73. Però si parla comunque di Lecce, ovvero di un esempio virtuoso per il Sud come tutta la Puglia, che da sola ha un numero di club giovanili superiore a quelli di Sicilia, Calabria, Basilicata, Molise e Campania messe insieme.

Se ci si paragona ad altre realtà estere, il confronto diventa impietoso. Prendendo in prestito un tweet di Chiacchierata Calcistica: la Sicilia con i suoi 5 milioni di abitanti vanta una popolazione maggiore rispetto alla Croazia, che non arriva a 4 milioni. Solo che nell'isola troviamo 136 club giovanili élite, incluso il Palermo come unica realtà professionistica presente in questo elenco. Nella patria di Modrić, invece, i club sono 1.874, con oltre 60 mila calciatori under 18 e tutta una serie di iniziative per promuovere il calcio di base in ogni angolo del Paese. È la Generazione 111, come gli anni compiuti nel 2023 dalla Federcalcio croata, che ha basato i suoi recenti risultati proprio sullo sviluppo dei vivai nazionali. Se in un passato non molto lontano si andavano a cercare i figli della diaspora (come i fratelli Kovać o Ivan Rakitić), già a Euro 2020 la maglia a scacchi è stata indossata solo da calciatori cresciuti attraverso i programmi federali per i settori giovanili. Basta questo per capire perché domani la Croazia saluterà la vecchia guardia e troverà già pronti Gvardiol e Baturina, mentre è da Italia '90 che un siciliano cresciuto in un club locale non disputa un torneo internazionale.

Il caso Sicilia: il vuoto dopo Schillaci

Totò Schillaci è stato l'ultimo siciliano proveniente da un vivaio siciliano (l'AMAT Palermo, nel suo caso), a giocare un Mondiale o un Europeo con l'Italia. E dal 1990, non c'è una spedizione azzurra che presenti un calciatore nato e cresciuto calcisticamente nell'isola. Di Balotelli abbiamo già detto, per il resto ci sono stati dei cameo in amichevoli o partite di qualificazione. Il trapanese Galia, così come il catanese Coco (che andò ai Mondiali del 2002) hanno lasciato la Sicilia da bambini, tant'è che uno iniziò nelle giovanili del Como e l'altro, da Legnano, finì ben presto al Milan. Da Alcamo a Milano è stato anche il percorso di Tonino Asta, una presenza in azzurro prima di quel Mondiale nippo-coreano. Per ritrovare un siciliano emerso da un club siciliano, bisogna aspettare il 2004: Alessandro Parisi è nato a Palermo, ha iniziato col Palermo e ha esordito tra i professionisti col Palermo, ma è a Messina che è diventato il Roberto Carlos dello Stretto. Una presenza in azzurro per lui, proprio a Messina, contro la Finlandia. Nel 2009, toccherà a Gaetano D'Agostino (nato a Palermo, cresciuto nel Palermo) e Giuseppe Mascara (nato a Caltagirone, cresciuto nel Comiso). La lista termina qui, con buona pace delle origini agrigentine di Grifo e Retegui e delle 36 presenze di Balotelli a partire dal 2010.

Semplicemente: "Tonino" Asta e "Eyes of the tiger".

Eppure, quando si guarda al calcio in Sicilia nel ventennio 1990-2010, non si pensa certo ad una crisi. Il Palermo ha ritrovato la A dopo 31 anni e c’è rimasto per un decennio, il Catania è stato promosso nel 2006 e ha giocato otto stagioni di fila in massima serie, il Messina ha disputato tre campionati di A dal 2004 al 2007. Ma l’eredità lasciata da questa era dorata del calcio professionistico, qual è? Da Messina, praticamente nulla, mentre dalla Primavera del Catania ne sono venuti fuori pochissimi: Fabio Sciacca (una ventina di presenze in A) e Alfredo Donnarumma (una stagione in A col Brescia alle soglie dei 30 anni). La Primavera del Palermo qualche calciatore l’ha lanciato, sia in quegli anni che dopo, ma nel migliore dei casi si tratta di giocatori importati (Sirigu, giunto in Sicilia dopo il fallimento del Venezia) oppure di ragazzi che hanno fatto carriera altrove: Pietro Accardi ha lasciato i rosanero dopo una B da protagonista per farsi un nome in A alla Sampdoria, il mazarese Terranova è stato un punto fermo del Sassuolo e della squadra che ha vinto lo scudetto nel 2009 gli unici con almeno una decina di presenze in A sono Antonio Mazzotta (tra Cesena e Crotone) e Abel Hernandez. Insomma, Abel Hernandez.

Gli anni successivi hanno visto produrre qualche talento in più: sotto la gestione di Dario Baccin, oggi ds dell’Inter, e con Giovanni Bosi in panchina, il Palermo ha perso la finale del Torneo di Viareggio 2016 contro la Juventus, ma ha vinto tutti i premi individuali. Antonino La Gumina golden boy e capocannoniere, ha giocato l’ultima stagione al Mirandes in Segunda spagnola e in Serie A vanta 40 presenze condite da 2 gol, più due presenze in Under 21; Simone Santoro, miglior giovane (classe ’99), in Serie A non c’è ancora arrivato e da quest’inverno gioca al Modena, in Serie B; Leonardo Marson miglior portiere, altro caso alla Sirigu di giocatore prelevato da un altro vivaio (dal Milan, nello specifico), 11 presenze in B nelle ultime due stagioni a Cosenza. Dalla stessa Primavera emerge il napoletano Giuseppe Pezzella, l’unico habitué della Serie A con 146 presenze. Ma di siciliani che possano stare stabilmente in massima serie, di fatto, ne verrà prodotto solo uno - il già citato Gallo.

Il caso della Sicilia è anomalo persino all'interno del "pentagono" maledetto dell'estremo Sud, se si parla di rapporto con la nazionale. La Basilicata, assente da sempre al gran ballo della Serie A con i suoi club, ha comunque dato un calciatore all’Italia in tempi recenti: Simone Zaza, tesserato fino a 14 anni nelle giovanili della Stella Azzurra Bernalda, ha preso parte a Euro 2016, quando di siciliani provenienti dai vivai locali non se ne vedevano da ormai sette anni. La Calabria dei tre campioni del mondo del 2006 ha visto crescere il "britannico" Perrotta alla Reggina fino ai 21 anni, mentre il campione d'Europa Mimmo Berardi - benché trasferitosi sedicenne al Sassuolo - ha mosso i primi passi tra Bocchigliero, Mirto Crosia e Rossano, prima di quel viaggio a Modena per andare a trovare il fratello Francesco e da lì non lasciare più l’Emilia.

Inutile anche solo fare paragoni con la Puglia, perché la Nazionale ha avuto un prodotto delle scuole calcio pugliesi in gran parte degli ultimi tornei internazionali: Castrovilli (Euro 2021), il più recente, ha iniziato tra Minervino Murge e Bari prima di trasferirsi a Firenze; la storia di Cassano (Mondiale 2014, Euro 2012, 2008 e 2004) la conosciamo tutti, dagli inizi alla Pro Inter fino all’exploit col Bari; poi ci sono i salentini Pellé (Euro 2016, primi passi a Copertino e poi giovanili del Lecce), Conte (Euro 2000 e Mondiale 1994, al Lecce sin dai 13 anni) e Moriero (Mondiale 1998, pure lui Lecce). Tutto questo senza includere Materazzi, che a Lecce sarà pure nato, ma solo perché il papà allenava lì all'epoca. Il Molise resta tagliato fuori, ma è una regione che fa meno della metà degli abitanti di Palermo, la quinta città d'Italia, che non dà un giocatore alla nazionale dal 2009.

Il Sud nelle nazionali italiane di oggi

Speranze di vedere pugliesi, siciliani, calabresi o lucani in Nazionale, per il futuro prossimo, sono pochissime. Anche tenendo in considerazione le parole di Spalletti, che ha detto di voler ringiovanire ulteriormente l’organico, in previsione del percorso di qualificazione ai Mondiali del 2026. La Serie A non gli fornisce chissà quale materiale, da queste regioni: di quei 12 nomi scesi in campo nella passata stagione, gli unici con un passato recente in azzurro sono Castrovilli e Berardi, ma il primo è svincolato a 27 anni dopo varie lotte con gli infortuni, il secondo sta per compiere 30 anni, è retrocesso in B col Sassuolo e deve recuperare da una lesione completa del tendine d’Achille. Insomma, per ringiovanire, è lecito guardare altrove, dato che da quella mini lista lì c’è al massimo gente con qualche presenza in Under 21 (Gallo e Vogliacco, che alle prossime convocazioni avranno rispettivamente 24 e 26 anni).

Di sicuro, il ct ha a disposizione un grande serbatoio proveniente dalle nazionali giovanili per portare avanti il suo programma. L’Under-20 è vicecampione del mondo, l’Under-19 e l’Under-17 hanno vinto i rispettivi Europei e non si tratta di risultati da snobbare, in ottica ricostruzione. Pochi mesi prima di quel nefasto Italia-Svezia del 2017, l'Under-20 di “Chicco" Evani arrivò terza nel Mondiale di categoria. In quella squadra c'erano Barella e Pessina, futuri campioni d'Europa nel 2021, c'era Dimarco che oggi è un punto fermo della Nazionale, oltre a Orsolini che è stato tagliato in extremis dai convocati per l'ultimo Europeo. In situazioni di crisi, le under si sono rivelate utili per trovare elementi da cui ripartire.

Lo saranno di nuovo, per forza di cose. Come per la Nazionale maggiore, però, l'apporto del Sud - Campania esclusa - è marginale. Magari non nelle carte d'identità, perché siciliani e pugliesi ci sono, ma da dove provengono calcisticamente? Dall’U20 giunta seconda agli scorsi Mondiali abbiamo Guarino, nato a Molfetta, che ha lasciato il Bari nel 2018 per trasferirsi all'Empoli, mentre il palermitano Montevago è passato dal Palermo alla Sampdoria nel 2019. Per inciso: il 2018 è l'anno in cui il Bari non si iscrive in Serie B, il 2019 è l'anno in cui il Palermo non si iscrive in Serie B. È esattamente il motivo per cui Russo, il capocannoniere del campionato Primavera di cui parlavamo prima, si trova oggi a Sassuolo. Era nella Berretti del Catania e da minorenne ha anche esordito in Lega Pro, prima del fallimento del club e del conseguente via libera per tutti i tesserati. Se già con le scuole calcio si va in difficoltà, perdere i club di maggior rilievo nella regione diventa un ulteriore problema. È così che Gallo va al Lecce o Da Graca va alla Juventus, per intenderci, ma sarebbe troppo facile giustificare la miopia con i fallimenti societari o con le sirene delle grandi squadre. Il palermitano Giacomo Quagliata, cinque presenze in Under 21, non ha mai giocato nel Palermo: dal Calcio Sicilia è passato alla Pro Vercelli e da lì all'Heracles Almelo, in Olanda, prima di tornare in Italia alla Cremonese. Il classe 2007 Giovanni Lauricella, terzino dell'Italia campione d'Europa Under 17, da quattordicenne s'è trasferito da Palermo a Sassuolo e oggi è all'Empoli.

Giocatori meridionali non ne troverete nemmeno nell’Under-19 che ha trionfato lo scorso anno agli Europei, ovviamente campani a parte: Pio Esposito (già nel giro dell’U20 giunta seconda ai Mondiali) e Luca D'Andrea, uno dell'Inter e l'altro del Sassuolo. Il primo è nato a Castellammare di Stabia, ma di fatto vive da più di dieci anni in Lombardia e ha iniziato la sua trafila in maglia nerazzurra, con i fratelli maggiori Salvatore e Sebastiano, entrambi nel giro delle under azzurre. D’Andrea, nato a Napoli, è passato alla Spal da appena quattordicenne, dopo i primi calci in alcune società napoletane. Ha giocato questa stagione in prestito al Catanzaro in Serie B ed è rientrato alla base al termine del campionato. Anche dalla Campania, ormai, i rubinetti iniziano a chiudersi e i talenti lasciano le loro città di nascita, per crescere calcisticamente altrove.

È passato più di un decennio da quando De Laurentiis parlava per la prima volta della scugnizzeria del Napoli, ma di Insigne non ne sono più venuti fuori. E se il Lecce non produce più giocatori locali, se Bari e Palermo rimangono delle realtà di Serie B, se la Calabria ha solo il Catanzaro in seconda serie, in mezzo a un deserto - o quasi - di club giovanili rimangono due opzioni: restare, per non emergere; oppure andare, per sperare di farcela. Il solito bivio, quando si parla di Sud.

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