Cosa ha significato UFC 217
di Daniele Manusia
È passato quasi esattamente un anno da UFC 205, il primo evento in assoluto di arti marziali miste di New York, dove precedentemente erano considerate illegali, tenutosi nel tempio del combattimento del Madison Square Garden dove si sono esibiti Rocky Marciano e Joe Louis, Sugar Ray Robinson e Jake LaMotta, Joe Frazier e Muhammad Ali. Un evento storico per molte ragioni, non solo economiche, che verrà ricordato dal mondo delle mma soprattutto per l’incoronazione di Conor McGregor come campione di due categorie di peso diverse in contemporanea. Una vetta difficile da replicare in tutto il 2017, dove i riflettori sono stati puntati soprattutto sulla faida McGregor-Mayweather, scontentando i fan di pugilato ma anche i più autentici appassionati delle arti marziali miste.
Con l’evento di sabato notte, il numero 217 dell’UFC, le mma hanno vissuto finalmente un’altra notte storica. Non solo perché, se è vero quanto dichiarato dal presidente dell’organizzazione Dana White, ha superato il milione di pay per view. White ha detto anche che il 2017 è stato l’anno migliore dal punto di vista economico per l’organizzazione e che tutto quello che sanno i giornalisti del settore è quello che dice lui, che “non c’è niente di fattuale” negli articoli che mettevano in questione il successo di quest’ultimo evento. Ma il lato economico e quello strettamente sportivo non corrispondono esattamente e sabato notte verrà ricordata soprattutto perché c’erano tre cinture in palio e ogni incontro, anche quelli di contorno, persino i preliminari, erano estremamente interessanti da un punto di vista sportivo ma anche narrativo. E se le tre cinture in palio sono una rarità, tre sfidanti che sconfiggono tre campioni in una sola serata, andando contro (chi più chi meno) le previsioni, non era semplicemente mai successo prima.
Le mma oggi vivono con la necessità di aumentare la propria popolarità e al tempo stesso non perdere l’autenticità al cuore di una disciplina su cui ci sono ancora molti pregiudizi. Lo spettacolo è una componente fondamentale, ma ci vogliono anche grandi atleti, grandi incontri, di quelli per cui vale la pena spendere soldi e, nel caso di tutto il pubblico europeo, svegliarsi la notte. Penso di poter dire senza timore di essere smentito che UFC 217 è valso la pena di alzarsi nel cuore della notte (o tirare per le lunghe il sabato sera e mettersi poi davanti allo schermo alle 3). Personalmente, anzi, ho avuto problemi a ri-addormentarmi (più o meno alle 6).
“Nottate come questa ci ricordano perché amiamo questo sport”, ha scritto uno dei commentatori più influenti nel mondo delle mma americane, Ariel Helwani.
A livello narrativo c’erano in gioco sì le cinture, ma anche l’imbattibilità di Joanna Jedrzejczyk, campionessa strawweight che saliva sull’ottagono con un record di 14-0; e quella di Cody Garbrandt, diventato campione neanche un anno fa, a sorpresa (quanto meno per il modo in cui ha battuto Dominick Cruz, leggenda dei bantamweight: in grande stile e persino con arroganza) che arrivava all’incontro con un record impressionante di 11-0, di cui solo tre incontri erano andati oltre il primo round, per merito del suo “knock-out power” (raro nella sua categoria di peso). Jedrzejczyk e Garbrandt sono anche campioni dello "shit-talking", ed entrambi affrontavano avversari con un approccio quasi del tutto opposto.
Sia Rose Namajunas che TJ Dillashaw (i rispettivi avversari) arrivavano all'incontro con una narrativa particolare, che andava oltre quella dell’underdog su cui difficilmente avremmo scommesso alla vigilia. Rose Namajunas, con un passato di violenze alle spalle che contrasta con i lineamenti delicati del suo volto, aveva speso le settimane precedenti all’incontro a parlare di un problema poco dibattuto come la salute mentale dei fighter. Sono usciti video in cui suonava il piano e mentre Jedrzejczyk si auto-definiva “the boogywoman” minacciando di “rubarle l’anima”, Rose recitava il Padre Nostro.
Tj Dillashaw, invece, è entrato nell’ottagono tra i fischi del Madison Square Garden, con la narrativa del traditore che aveva lasciato la palestra d’origine e combatte contro i suoi ex-compagni, tra cui, appunto, l’enfant-prodige Garbrandt. Una narrativa a dir la verità portata allo sfinimento da Garbrandt durante tutto The Ultimate Fighter (il reality in cui Dillashaw e Garbrandt hanno fatto da allenatori) e protratta fino a pochi giorni dall’evento, in cui ha postato il video di un knockdown risalente ai tempi in cui si allenavano insieme.
Forse, però, le aspettative più grandi della serata, almeno dal punto di vista emotivo, erano riposte nel ritorno della leggenda George St-Pierre. Dopo quattro anni di pausa, dopo aver dichiarato che la competizione di alto livello era diventata troppo stressante, GSP ha deciso di tornare salendo di categoria. L’UFC gli ha proposto di competere subito per la cintura dei pesi medi, contro l’inglese Michael Bisping, veterano con un suo posto già scritto nella storia dello sport (con un record ridicolo di 30-8 a alcune vittorie prestigiose come quella contro un’altra leggenda come Anderson Silva). Bisping anche per promuovere l'incontro e il suo personaggio, poco carismatico per i canoni contemporanei, è ricorso allo "shit-talking", senza trovare appiglio in GSP, forse l'artista marziale misto meglio educato dell'intera organizzazione (dopo l'incontro si è lasciato sfuggire un "oh, fuck" di rilassamento, chiedendo prontamente scusa: "Non voglio dire parolacce in tv").
Questi erano solo i tre incontri principali, come detto anche nel resto della card c’erano atleti fenomenali che meritavano la nostra attenzione. Ovviamente, il successo di una card dipende anche dallo svolgimento degli incontri. E difficilmente si sarebbe potuto chiedere di più a una notte ricca di upset, in cui hanno quasi sempre avuto la meglio gli sfavoriti in incontri spettacolari e tecnici. Non solo tre cinture hanno cambiato di proprietario, ma tutti e tre gli "shit-talker" hanno perso, mostrando una dignità e un rispetto per il proprio avversario nella sconfitta che non solo è il lato più nobile di questo sport, ma è forse anche quello più sincero.
Insomma, UFC 217 ha ricaricato le batterie dei fan di vecchia data, attirando magari qualche nuovo appassionato, ricordando a tutti che le mma possono arrivare a livelli altissimi sia sportivi che narrativi, confermando l’imprevedibilità come una delle sue caratteristiche fondamentali.
Il bello dei preliminari
di Gianluca Faelutti
Una card preliminare non ha soltanto il pregio di avvicinarci in un crescendo rossiniano ai match che attendiamo con maggiore ansia, ma può anche regalare accoppiamenti così azzeccati da generare incontri incredibilmente spettacolari. Oppure, magari, ospitare i campioni di domani. In alcuni casi, come quello di UFC 217, ci si possono trovare anche match che avrebbero meritato un posto nella card principale, ma che sono stati dirottati in quella preliminare per elevare il prestigio della card stessa.
Aiemann Zahabi vs Ricardo Ramos
UFC 217 si è aperto con un incontro interessantissimo fra Aiemann Zahabi - fratello minore di Firas Zahabi, head coach della Tristar gym e dunque prodotto di quella fucina di talenti nella quale spicca proprio il nome di Georges St. Pierre - e un fighter giovane e talentuoso come il brasiliano Ricardo Ramos. Nella fase iniziale dell’incontro Zahabi è finito schiena a terra durante ma ha fatto vedere di aver ereditato uno dei marchi di fabbrica della sua scuola d’appartenenza, ovvero un utilizzo sistematico e tecnicamente eccezionale del jab. Pesante come un martello è andato a bersaglio con grande precisione segnando sempre più il volto di Ramos, che sembrava lentamente soccombere ai colpi più puliti del suo avversario.
Nella terza ripresa, però, proprio quando Ramos sembrava in grande difficoltà su un’offensiva di Zahabi, ha inventato uno spinning back first che ha impattato la mandibola dell’avversario con una violenza impressionante, mandandolo a terra privo di coscienza. Un lampo geniale di Ramos ha risolto un match di altissimo livello sia tecnico che agonistico. Zahabi aveva esaltato le sue qualità ma si è fatto sorprendere da un colpo che il suo avversario aveva tentato pochi istanti prima.
Curtis Blaydes vs Aleksei Oleinik
Foto di Mike Stobe / Stringer
Il match successivo è stato quello tra i pesi massimi Aleksei “The boa constrictor” Oleinik, veterano russo con un record maestoso di 52 vittorie e 10 sconfitte, di cui 45 sottomissioni (alcune delle quali davvero singolari come la Ezekiel Choke), e Curtis Blaydes, molto più giovane (26 anni) e stilisticamente all’opposto, che fa del wrestling, ma soprattutto di una straordinaria potenza da KO, i propri punti di forza. Blaydes è partito molto aggressivo, arrivando a segno con colpi davvero pesanti che Olenik ha incassato in modo sbalorditivo.
La lentezza dei movimenti di corpo e di testa del russo lo rendevano un facile bersaglio per le mani veloci di Blaydes, che però si è esposto a qualche scambio selvaggio dando la possibilità anche a Olenik di mettere qualche buon colpo. Tutto sommato, però, Blaydes è stato dominante e a un minuto dalla fine del primo round ha messo a segno un montante spaventoso che ha piegato le gambe a Olenik, chiudendo la ripresa con una raffica di pugni a due mani che Olenik ha assorbito, sopravvivendo fino al suono della campana, alzandosi però evidentemente stordito.
Nella seconda ripresa Blaydes ha trovato subito una atterramento, senza però ottenere molto, e rialzandosi d’istinto ha calciato alla testa Olenik, mentre ancora aveva entrambe le ginocchia a terra. Ovviamente, il colpo non è consentito dal nuovo regolamento (ma non lo sarebbe stato neanche con il vecchio) e quando il russo ha detto al medico di non poter continuare l’incontro si è dovuto interrempere. Il replay, però, ha evidenziato che il calcio di Blaydes ha soltanto sfiorato l'orecchio di Olenik, i giudici quindi hanno dovuto considerare che la sua impossibilità a continuare fosse dovuta piuttosto ai colpi subiti in precedenza, assegnando la vittoria all’americano. Blaydes si è confermato come un talento interessante, in una categoria piuttosto povera da questo punto di vista.
Randy Brown vs Mickey Gall
Subito dopo, nei pesi welter, si sono affrontati il jamaicano Randy Brown e l’americano Mickey Gall, diventato celebre per aver dato il benvenuto nel mondo delle mma alla star del WWE, CM Punk, sottomettendolo dopo pochi secondi. Se Brown è un fighter di cui si conoscono pregi e difetti, lo stesso non si può dire di Gall, che dopo aver sconfitto Cm Punk e Sage Northcutt, con un record minimale in UFC, 2-0, non ha ancora scoperto del tutto le sue carte.
Insomma, questo si presentava come il primo vero e proprio test attendibile per Gall e il fatto che di fronte avesse un fighter di tutt’altro livello rispetto a quelli affrontati fin lì è divenuto chiaro fin dai primi scampoli di match, quando Brown ha manifestato una netta superiorità nelle fasi di striking, portandolo anche a terra e controllando per quasi quattro minuti la prima ripresa, segnando pesantemente al volto Gall. Il match però ha avuto un andamento speculare nel secondo round, quando Gall ha trovato il takedown ad inizio ripresa e ha controllato addirittura per 4:16 secondi, ma la sua azione è molto meno efficace e i colpi significativi sono soltanto 5, contro i 23 messi a segno da Brown nella prima. Nel terzo però, Brown è tornato dominante, portando a casa un incontro svoltosi quasi esclusivamente a terra. Brown ha rilanciato le proprie ambizioni ridimensionando quelle di Gall. Come si dice, vince solo il 50% dei fighter.
Corey Anderson vs Ovince St Preux
Corey Anderson e Ovince St Preux, rispettivamente numeri 7 e 6 del ranking dei pesi massimi leggeri, hanno dato vita a un match interessante e sorprendente per il contrasto tra i rispettivi stili di combattimento. Ovince St Preux è un fighter dal passato importante, completo, con una certa prevalenza per le fasi di stand up ma anche che ha rinominato con il proprio nome il Von Flue Choke, tecnica di sottomissione che aveva preso il suo nome dall’inventore Jason Von Flue (che riuscì ad eseguirla una volta soltanto, mentre OSP l’ha già eseguita tre volte), che consiste nel soffocare l’avversario con la spalla da posizione laterale. OSP ha sprazzi di grandissimo talento accompagnati da cali di concentrazione frequenti e un’endemica indolenza (una caratteristica insolita per un combattente) che in carriera lo hanno penalizzato non poco. Anderson, invece, è un power wrestler solido, esplosivo e sorretto da una forza fisica davvero impressionante.
Anderson è partito bene accorciando la distanza, imponendo il suo wrestling e mandando a bersaglio anche colpi potenti, ma quando mancavano soltanto una decina di secondi alla fine del primo round Ovince Saint Preux è riuscito a interrompere l'incessante lavoro a parete di Anderson con una combinazione di ganci in avanzamento e poi con uno splendido montante sul quale Anderson ha perso l’equilibrio. Nella seconda ripresa, Anderson è torna a dominare, con quasi quattro minuti di controllo e un grappling asfissiante, e così sembrava dover andare anche la terza ripresa, se un calcio di Saint Preux, imprevisto e brutale, non si fosse schiantato sulla mascella di Corey Anderson, facendolo svenire all’istante in modo così plateale da rendere palesemente inutile il ground and pound.
È stato uno di quei match in cui entrambi i fighter hanno combattuto bene da ogni punto di vista in cui la contrapposizione di stili genera un andamento rapsodico, risoltosi con il colpo estemporaneo e geniale del fighter che in quel momento si trovava più in difficoltà.
Harris vs Goodbeer
È seguito un altro match tra pesi massimi, Walt “The Big Ticket” Harris contro Mark Goodbeer, un match che era già stato programmato per UFC 216, saltato per il forfait di Goodbeer a poche ore dall’incontro (a cui era subentrato Fabricio Werdum, che si è sbarazzato con facilità di Harris sottomettendolo con un armbar al primo round). Non sono due fighter particolarmente tecnici e l’incontro non avrebbe meritato molto interesse, ma nella notte di follia di sabato anche loro hanno dato vita a qualcosa senza precedenti: Harris ha prima colpito Goodbeer con un colpo basso, inavvertitamente, poi senza accorgersi dell’arbitro che per tre volte gli ha urlato di fermarsi, ha sferrato un high kick mentre l'inglese si stava allontanando senza difesa, convinto a ragione che il gioco fosse interrotto. Dopo qualche consultazione, è diventato inevitabile sancire la vittoria di Goodber per squalifica di Harris.
Joe Duffy vs James Vick
L’ultimo match tra i preliminari, che come detto è quasi sempre di grande importanza, in questo caso vedeva di fronte Joe Duffy e James Vick. Il primo (celebre anche per aver sconfitto agli albori il connazionale Conor McGregor) ha un record da professionista di 16 vittorie e 3 sconfitte; il secondo aveva un record UFC di 7 vittorie e 1 sola sconfitta (12-1 da professionista). Vick, con il suo metro e novanta di altezza, è semplicemente enorme rispetto agli altri pesi leggeri, con una naturale differenza di allungo su tutti. Il match si è svolto in piedi praticamente nella sua totalità, e inizialmente è stato molto chiuso. Nella seconda ripresa, però, la supremazia di Vick si è fatta più netta, e il suo pugilato sempre più incisivo, finché proprio allo scadere della ripresa un montante destro spaventoso ha mandato KO Duffy, finalizzato pochi istanti dopo.
UFC 217 farà storia anche per una delle card preliminari più spettacolari mai viste, conclusa con una splendida finalizzazione che legittima ambizioni importanti per Vick, fighter in costante evoluzione con qualità per entrare tra i migliori.
Una main card difficile da ripetere
di Giovanni Bongiorno
Costa vs Hendricks
Ricorderemo a lungo gli ultimi cinque incontri di UFC 217, quelli più importanti. Il primo è stato quello tra i due pesi medi Paulo Costa (che prima di questo incontro si faceva chiamare Borrachinha) e Johny Hendricks, ex campione pesi welter UFC, l’ultimo a combattere con Georges St-Pierre quattro anni fa, un match così duro da spingere GSP a prendersi una pausa. Negli ultimi anni, però Hendrick ha avuto un crollo inaspettato e vertiginoso, che lo ha visto cadere contro Stephen Thompson, Kelvin Gastelum e Neil Magny, prima di decidere di passare ai pesi medi, dove ha battuto un attempato Hector Lombard prima di cedere il passo a Tim Boetsch.
Hendricks ha dovuto affrontare la dura realtà, contro uno dei migliori prospetti che il Brasile oggi possa offrire: Paulo Costa è un bronzo di Riace imbattuto con solo finalizzazioni nelle 10 vittorie accumulate fin qui. Forte nello striking e dotato di grande tenacia, Costa ha sfruttato il grande vantaggio fisico colpendo con precisione chirurgica corpo e volto di Hendricks, con diretti e ganci. Hendricks è sembrato in difficoltà nel trovare le misure e ha presto iniziato a costeggiare la gabbia per provare a sfuggire a Costa. Durante il secondo round il pressing del brasiliano si è fatto asfissiante e in brevissimo tempo si è arrivati al KO.
“Wonderboy” Thompson vs Masvidal
Stephen “Wonderboy” Thompson, ex contendente al titolo dei pesi welter, è un fenomeno del karate (disciplina di solito sottovalutata dai fan di mma) mentre Jorge “Gamebred” Masvidal è il fighter old school probabilmente più completo ancora in circolazione. Masvidal ha preso l’abitudine di presentarsi come un heel, un cattivo pronto a confrontarsi con chiunque, in qualunque momento. Ha vinto incontri in tre categorie diverse (leggeri, medi, welter) e fra le sue vittorie spiccano nomi quali Donald Cerrone, Jake Ellenberger, Cezar Ferreira e Michael Chiesa. Dopo la vittoria su “Cowboy” Cerrone, Masvidal è entrato prepotentemente nella Top 5 di categoria, puntando al titolo.
Prima della chance titolata, però, Masvidal doveva superare Stephen Thompson, con un record di 13 vittorie, 2 sconfitte e 1 pareggio, ottenuto nel primo match contro l’attuale campione Tyron Woodley. Il secondo match contro Woodley è stato uno dei più noiosi mai avvenuti, per via dell’eccessivo rispetto delle qualità tecniche reciproche e per l’incompatibilità dei due stili: Woodley è un power wrestler con grande potenza da KO ma portata ridotta; Thompson è un karateka che combatte dalla distanza e difende il takedown per tenere il match sui binari dello striking. Per legittimare la sua posizione in classifica, Thompson doveva battere Masvidal.
La chiave di Masvidal sarebbe stata quella di “sporcare” il match, accorciare le distanze e colpire dal clinch, non lasciando spazio di manovra a quello che probabilmente è lo striker puro più pericoloso dell’intera divisione. Sicuro delle proprie capacità nella boxe e nella muay thai, Masvidal ha invece deciso di tenere la distanza di Thompson, soffrendo la grande differenza di tempismo, velocità e, soprattutto, creatività. Thompson è stato sempre a suo agio: ha tagliato le distanze diagonalmente, mettendo colpi che hanno più volte sorpreso Masvidal. “Gamebreed” ha cercato di rispondere, trovando solo raramente e in maniera pulita il volto del suo avversario. Thompson ha fatto assaggiare anche il suolo a Masvidal, colpendolo prima con un calcio all’addome in counterstriking, con un timing eccelso, e tentando un knockdown con un diretto al mento. Al termine dei tre round i giudici sono stati impietosi: uno ha dato il 30-26, gli altri due 30-27, tutti a favore di Thompson che conserva la sua posizione nei piani alti della classifica.
Joanna Jedrzejczyk vs Rose Namajunas
Il primo match titolato sembrava il più ovvio, il più scontato. Come detto, Joanna Jedrzejczyk non era solo la campionessa dei pesi paglia, ma anche la fighter donna più dominante in circolazione. E imbattuta, a un passo dal record di Ronda Rousey: sei difese consecutive del titolo. Per questo c’erano pochissime possibilità che la numero quattro di categoria, cresciuta molto negli ultimi match, potesse sconfiggerla.
Il match è durato poco più di tre minuti, Namajunas, più grande fisicamente e con una guardia aperta, ha sfidato Jedrzejczyk a colpirla, per rientrare poi con i suoi colpi counter. Il suo footwork era eccellente, andava in verticale alla ricerca del blitz. La polacca ha accettato di scambiare dalla corta distanza, ma è da un po’ più lontano che è partita una combinazione di Rose che l’ha raggiunta col diretto, stordendola e mandandola a terra. Il ground and pound è durato poco, Joanna si è rialzata quasi subito ma il colpo l’aveva accusato. Poco dopo è arrivato il gancio sinistro che mette fine all’incontro.
Una ragazzina che sembra uscita da Stranger Things ha messo a segno una prestazione sfavillante contro una delle campionesse più dominanti delle MMA moderne e dopo l’incontro si è detta stanca Rose dell’odio e della rabbia che inquinano il mondo delle mma. «Le arti marziali sono onore e rispetto», ha detto nella conferenza post-evento «Serve molto coraggio per entrare in gabbia, non importa chi tu sia. Voglio solo provare a essere un buon esempio in questo senso. Voglio solo essere positiva. Neanch’io sono perfetta, ma forse possiamo rendere questo mondo un posto migliore».
Cody Garbrandt vs TJ Dillashaw
Foto di Mike Stobe / Stringer
Nel co-main event della serata, per molti l’evento sportivamente più interessante, UFC metteva in palio il titolo dei pesi gallo. La questione tra Dillashaw e Garbrandt, come accennato, era personale, una storia di lealtà e tradimenti (veri o presunti). TJ Dillashaw, in ogni caso, combatteva per riconquistare la cintura che gli aveva tolto Dominick Cruz, che a sua volta ha ceduto il passo a Cody Garbrandt. La stagione di The Ultimate Fighter è servita a far crescere la tensione, forse troppo, con Garbrandt che ha cercato in più occasioni la rissa con Dillashaw. Forse la tensione sarebbe stata più autentica e accettabile se l’incontro fosse andato in scena mesi fa, come previsto se Garbrandt non si fosse infortunato alla schiena.
Due anni fa Dillashaw è stato protagonista di uno dei più grandi upset nella storia delle MMA, battendo Renan Barao (che arrivava con un record di 33-2) e non era particolarmente simpatico a nessuno all’inizio. Col tempo, però, si è fatto apprezzare per l’indubbia qualità tecnica e la pacatezza fuori dalla gabbia. Anche se sono circolate voci che provavano a sminuirne il valore umano (la peggiore quella secondo cui avrebbe infortunato e compromesso la carriera di un compagno durante uno sparring in cui non erano previsti colpi) ha subito un attacco che è sembrato ingiustificato almeno nell’intensità, da parte del suo ex team (Alpha Male), nei confronti del quale ha avuto un comportamento, anzi, piuttosto signorile.
Cody Garbrandt arrivava al match da imbattuto, ma una cosa è conquistare la vetta, un’altra è restarci. L’incontro è iniziato con scambi rapidi e molto movimento, entrambi i fighter sono dotati di un footwork fenomenale e il match sembrava meglio gestito da Garbrandt, che ha una velocità di braccia sorprendente. Inizialmente Dillashaw ha preso l’iniziativa, stando al gioco del counterstriking di Garbrandt: chi parte per primo non vince. Dillashaw ha più armi nel suo repertorio, ma se si parla di boxe, Garbrandt la fa da padrone.
TJ non sembrava totalmente sveglio finché non è stato raggiunto dalle pesantissime mani di Garbrandt, andato a segno con buoni overhand e diretti che partono dal basso molto veloci. Al termine del primo round, quando un paio di scambi selvaggi sembravano essergli favorevoli, Dillashaw è incappato in un violentissimo e preciso gancio destro di Garbrandt, che ha atteso il momento buono per sganciare il colpo singolo, indietreggiando. Il finale di round è stato concitato e Dillashaw è stato salvato dalla campana, bravo però a aggrapparsi alla gamba dell’avversario evitando i colpi più pesanti.
Dillashaw a quel punto ha capito che doveva essere più intelligente. In apertura del secondo round Garbrandt ha schivato un headkick e subito dopo ha provocato Dillashaw, ma TJ stava lavorando maggiormente coi calci, medi e bassi, e poco dopo ha colpito Garbrandt in pieno, con un headkick che lo ha messo a sedere. Garbrandt è un duro e si è rialzato subito, ma poco dopo in uno scambio ravvicinato è stato centrato alla mandibola da un gancio violentissimo.
Dillashaw ha messo una pietra tombale sulla faida con Cody Garbrandt e il Team Alpha Male, vincendo il titolo e distruggendo l’imbattibilità del maggior rappresentante del team di Sacramento. Nel post-match ha fatto il nome di Demetrius Johnson, per un super-fight tra campioni di categorie diverse che sarebbe la scelta preferita dei fan. Garbrandt non esce troppo diminuito dal match, che stava combattendo bene prima farsi cogliere impreparato da un calcio, ma adesso deve rimettersi al lavoro e ricostruire, incontro dopo incontro, la propria reputazione da contender.
Michael Bisping vs George St-Pierre
Il main event aveva un gusto retrò, con due leggende finalmente al confronto, dopo ripetuti rinvii a causa dell’infortunio al ginocchio del campione inglese Michael Bisping, prima, e della condizione atletica del canadese GSP, poi. È stato lo scontro fra due mondi: quello di Bisping è il mondo del trash talking, quello di un fighter a cui è sempre mancato il passo decisivo per essere campione, prima di riuscire in un imprevedibile upset contro Luke Rockhold; l’altro mondo è quello di George St-Pierre, samurai occidentale che fa della filosofia marziale una ragione di vita, corretto e gentile fino all’eccesso, la faccia il più pulita possibile di uno sport durissimo.
Ad accomunarli c’è il culto del lavoro: Bisping ha subito parecchi infortuni in carriera, alcuni anche gravi, come quello all’occhio occorso a causa della brutale finalizzazione subita tramite headkick da Vitor Belfort a UFC on FX 7, nel gennaio 2015; GSP invece è uno dei più grandi mixed martial artist di sempre, se non il più grande, un nerd amante di dinosauri ed alieni divenuto guerriero d’altissimo rango, una vita trascorsa a combattere i migliori, in un crescendo di prestazioni. Fino alle ultime un po’ sottotono e all’ultima in assoluto, quella contro il miglior Johny Hendricks, battuto sul filo del rasoio grazie a una decisione non unanime.
Dopo quattro anni GSP è tornato nell’ottagono per conquistare il titolo dei medi, in una nuova divisione di peso nella quale non aveva mai combattuto prima, lui che sarebbe piccolo anche nei pesi welter. La ruggine accumulata in quattro anni si è vista all’inizio: GSP non si muoveva come al suo solito, era più macchinoso forse anche per il peso aggiuntivo che ha dovuto portarsi dietro. I suoi colpi, però, sono come macigni; colpisce con una frequenza minore, ma quando lo fa si fa sentire: passa poco tempo prima che si notino i primi segni sul volto del campione in carica.
Dove però GSP è sembrato più cambiato è nella resistenza, che compensa grazie alla sua intelligenza sportiva e a uno spirito d’adattamento più unico che raro, oltre a un arsenale che farebbe invidia a qualsiasi altro fighter. Il suo jab è stato potente e preciso ed è andato a segno spesso sul volto di Bisping. Anche i suoi atterramenti sono andat a segno, ma Bisping è riuscito a rialzarsi, uscendo lateralmente e trovando l’appoggio. Da terra, anzi, l’inglese ha messo ottimi colpi di gomito, aprendo un vistoso taglio sulla fronte del canadese.
Al termine del secondo round GSP sembrava esausto, ma senza nessuna intenzione di mollare. Nel terzo ha eseguito un altro ottimo takedown, dal quale l’inglese si è divincolato coi piedi sui fianchi, riuscendo a rialzarsi. Bisping dalla fase in piedi sembrava essere in totale controllo, ma l’imprevedibilità e la copertura delle distanze di GSP sono davvero perfette: con appena un minuto e dodici secondi rimanenti sul cronometro, GSP si è mosso lateralmente e ha schiacciato Bisping con un poderoso gancio sinistro. Da lì, lo ha inseguito nel ground and pound, con colpi furiosi di gomito.
Bisping ha subito molto, troppo, ma non voleva arrendersi. A GSP però è bastato aggiustare la posizione e cercare la schiena per trovarla, da lì ha messo una rear-naked choke chiusa immediatamente. Bisping non ha battuto, preferendo svenire. Al termine di un bellissimo match, è stato GSP ad uscire con la cintura alla vita, dopo quattro anni di inattività. Le leggende, come si dice, non muoiono mai.
UFC 217 ci ha lasciato bellissimi incontri, tre nuovi campioni e nuove strade da tracciare. Che farà St-Pierre? Continuerà nei medi oppure (come sembra dalle sue dichiarazioni post-match) tornerà nei welter? Joanna Jedrzejczyk tornerà subito competitiva per la cintura? Quanto ancora sarà campionessa Namajunas? Dillashaw incontrerà veramente Johnson? Garbrandt si rimetterà subito in corsa? Come dicevamo all’inizio, anche la narrativa vuole la sua parte.