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Pesce fuor d'acqua
26 set 2016
Il Dio Pallone è stato proprio crudele con Carlos “Pescadito” Ruiz, il più forte calciatore nella storia del Guatemala.
(articolo)
11 min
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Prologo dell’epilogo

2 Settembre 2016, Trinidad & Tobago-Guatemala 2-2.

Il centometrista Hasely Crawford è stato il primo atleta dei Caraibi a conquistare un oro olimpico, a Montreal, nel ‘76. Lo stadio di Port of Spain, la capitale di Trinidad&Tobago, è intitolato a lui, e mi sembra non ci sia posto migliore per una gara da dentro o fuori, in cui allungare o provare un sorpasso in curva, prima del rettilineo finale.

I trinidiani “Soca Warriors” e Guatemala si affrontano là per la penultima gara del primo turno di qualificazione ai Mondiali della zona CONCACAF. In ballo c’è il secondo posto del girone, dietro agli Stati Uniti, che vale l’accesso all’Hexagonal, il gruppone finale dal quale devono uscir fuori le tre rappresentati nordamericane a Russia 2018. Trinidad ai blocchi di partenza è avanti di un punto. Guatemala, per continuare a rincorrere il sogno di una prima storica qualificazione al Mondiale, avrebbe un solo risultato a disposizione. Che ovviamente non coglierà.

Carlos Humberto Ruiz Gutiérrez è il capitano del Guatemala, e a conti fatti il più grande calciatore della storia del calcio guatemalteco, il massimo goleador di tutti i tempi della sua Nazionale. Ma è anche qualcosa che va oltre: un simbolo, per il suo Paese e per l’intero subcontinente centroamericano. Kike Rodríguez, il radiocronista ufficiale delle gare del Guate, ogni volta che deve raccontare un gol di Ruiz parte dal dire che è un “gol de mi nación”.

La rete del pareggio finale arriva a pochi minuti dal novantesimo. Non è una rete bella, Ruiz sembra colpire la palla con il volto, o con il collo, né a conti fatti si rivelerà molto utile. Però è carica di emotività perché Guatemala dovrebbe segnarne ancora uno, e Ruiz (autore già di una doppietta) sembra essere l’unico a crederci.

La scena che preferisco di questa partita è quella in cui, poco prima di arrivare al centro del campo dopo il gol, Ruiz si scontra con Joevin Jones, che ha segnato due reti per T&T e quindi è la sua nemesi di serata: non riesco a capire da chi parta la provocazione, ma Ruiz sembra volerselo mangiare, guarda che pasticcio che hai combinato, Joevin. Jones non risponde, con il rispetto che si tributa ai saggi o agli anziani. Forse si sente anche un po’ in colpa.

Ruiz è conosciuto come “El Pescado”, il pesce, o più affettuosamente “El Pescadito”. È un soprannome stranamente poco aggressivo per gli standard di un calciatore, anche perché non lo sono né il suo stile di gioco né il profilo medio delle sue reti, che però, questo sì, sono tante: in quel momento, 63 in 135 gare.

Tra i calciatori in attività, Ruiz è in assoluto quello che ha segnato più reti per la sua Nazionale. Anche più di CR7.

Nonostante sia riuscito a mettere il suo nome sul cartellino di ben cinque edizioni dei tornei di qualificazione mondiale della CONCACAF, Ruiz può vantare un discreto credito con il Dio Pallone, che gli ha negato la soddisfazione di disputare almeno una rassegna iridata.

Quando alla fine della partita sarà chiaro che no, Guatemala non ci sarà neppure stavolta in Russia, in conferenza stampa annuncia il suo ritiro dalla Nazionale.

Quando facevo le medie, un giorno la nostra prof. di italiano ci fece un discorso sulle variabili di fronte alle quali ti mette la vita, sembrava si fosse presa qualche brutta malattia e invece era solo incinta. Ruiz, con i giornalisti, usa parole un po’ amare un po’ no, dice che sta «per dire di sì a un’offerta fuori dal Guatemala, dove mi hanno chiesto di non rispondere più alle convocazioni della Nazionale, perché sarebbe complicato far coincidere le due cose». Viene da pensare a una destinazione lontana, alla Cina, al Vietnam. Il giorno dopo verrà annunciato il suo ingaggio da parte del Dallas FC.

Da Dallas parte ogni giorno un volo dell’American Airlines per Guatemala City. Senza scali impiega poco più di tre ore.

Il discorso di commiato di Ruiz è poco coerente con il suo concetto di immedesimazione con la maglia bianca dalla banda celeste, suona quasi come un tradimento. Ma forse ci sta che il Pescadito sia solo stanco di lottare per un obiettivo che sembra maledetto, e che plausibilmente non raggiungerà mai più nella sua vita.

Portatore sano di rabbia

La mitopoiesi del “Pescadito” si costruisce anche sull’essere troppo più forte della media dei giocatori del loro Paese. Ogni volta che è sceso in campo con la “Sele” guatemalteca (136, in gare ufficiali, virtualmente poche se le consideriamo nell’arco della sua carriera più che decennale, relativamente tante se escludiamo praticamente ogni competizione internazionale che travalichi il localistico) sembrava stesse inscenando una specie di versione indigenista del concetto di fardello come lo intendeva Kipling, solo a parti invertite: la sua era una missione, avvertiva l’obbligo morale di operare una civilizzazione al contrario, nell’estremo tentativo di concentrare, in un soprannome incollato sulle spalle di un solo uomo, i destini di un intero movimento calcistico, intergenerazionale, internazionale, e portarlo alla ribalta.

A differenza di gente come Suazo o Pavón, o Dely Valdés, o più a ritroso “El Mágico” González, totem mesoamericani che non hanno patito più di tanto l’assoluta pochezza delle Nazionali che rappresentavano perché le loro soddisfazioni se le erano andate a togliere dall’altra parte dell’Oceano, “El Pescadito” ha vissuto veramente male, come una costante lacerazione, l’assenza del Guatemala dalla mappa del calcio mondiale.

Il significato di cui “El Pescadito” carica questi due rigori montati in sequenza dipende molto, più che dal come li calcia, dal perché, quando e dove. Il primo, contro Costarica, appartiene a una partita di Copa Uncaf; l’altro, con la maglia del Municipal, a una gara del campionato guatemalteco. La potenza è una delle maschere con le quali stizza, rabbia e disillusione scelgono spesso di mascherarsi. Anche noi, come Ruiz, finiamo per indignarci di più di fronte alle piccole scocciature che fanno parte del quotidiano, che non alle grandi questioni morali.

L’impressione è che il “Pescadito” abbia iniziato a soffrire il ruolo di capopopolo nel momento in cui ricoprirlo è diventato non tanto indispensabile, quanto scontato. Nel mezzo c’è stata una parentesi in cui ha imbracciato volentieri i panni del Masaniello indio.

Ruiz è l’uomo che critica la sua federcalcio se i biglietti d’ingresso per una partita sostanzialmente inutile, nella quale però si può celebrare l’orgoglio patriottico, hanno un prezzo troppo alto; è il calciatore-non-più-cittadino che alla manifestazione di protesta contro il Presidente della Repubblica che non ha votato sente il dovere di indossare la maglia della Sele. È l’uomo che sa di avere il peso specifico maggiore dal quartiere Colonia Bellos Horizontes fin dentro lo spogliatoio, a differenza di quel che vuole lasciare intendere il suo allenatore Miloc nel 2000 quando dice che la sua squadra è fondata su “hombres, no nombres”.

C’è un racconto di Augusto Monterroso che si chiama “La rana che voleva essere una vera rana”. Parla, appunto, di una rana che, in estrema sintesi, dopo aver scoperto che il tratto distintivo capace di renderla unica era l’atleticità e abilità che conservava nelle sue gambe, comincia a svilupparla nel disperato tentativo di riscontrare un’accettazione da parte degli altri che gli avrebbe saputo ritagliare il proprio posto nel mondo. Come va a finire quel racconto?

Due gol molto importanti (uno sarebbe potuto esserlo ancora di più)

La comunità guatemalteca costituisce quasi il 30% degli immigrati centramericani negli Stati Uniti d’America, seconda solo a quella salvadoregna. La concentrazione massima è in California, nell’area intorno a Los Angeles.

Nel 2002, lontani dai fasti della Becks Era, i Los Angeles Galaxy hanno vinto il loro primo titolo MLS grazie a un gol, anzi un golden gol, del “Pescadito” Ruiz: inutile sottolineare il moto d’orgoglio con il quale i cittadini guatemaltechi, dentro e fuori dai confini della loro Nazione, abbiano potuto accogliere un successo di quella portata. “Pescadito”, un guatemalteco sul trono più alto degli States.

Dopo aver tentato una sortita europea, in Grecia, senza particolare fortuna, Ruiz aveva scelto di mettersi alla prova su un palcoscenico in rapida crescita come quello statunitense, dove, lontano dall’emarginazione che l’Europa avrebbe finito per destinare al suo passaporto, avrebbe potuto rinvigorire un carisma che sarebbe stato utile per cercare di qualificarsi ai Mondiali di Germania del 2006. Si era rivelata una mossa giusta, e la prima parte del percorso di qualificazioni sembrava dargli ragione.

L’Hexagonal 2005 rimarrà per sempre come lo zenit, e al tempo stesso il nadir, toccato dalla Nazionale Guatemalteca, e forse anche dal “Pescadito”.

Nella gara contro Costarica segna questo gol che verrà votato come il migliore delle qualificazioni CONCACAF di quell’anno.

Non era la prima, né sarebbe stata l’ultima, volta che Ruiz segnava una rovesciata.

Nel suo bagaglio tecnico ci sono reti di ogni tipo: scavetti, fughe solitarie, colpi da calcetto, tiracci da fuori e tuffi che somigliano allo scodinzolio di un pesce quando affiora dall’acqua per afferrare una mollica di pane (tutti qua, sono 130).

Questa però è una rovesciata, in una partita importante. Dovrebbe vincerle tutte.

Nel montaggio che ho scelto la lingua delle immagini finisce per mettere in risalto, con la slow-motion, una preparazione al gesto assai eloquente delle abilità tecnica del “Pescadito”, ma anche la sensazione di procrastinabilità che ha tutto il resto. La qualificazione, a quel punto, sembra solo un corollario inevitabile. L’aspetto più importante è la bellezza di quel momento.

Finirà invece più o meno in tragedia, con Trinidad & Tobago che andrà a vincere, piuttosto a sorpresa, anche se il presidente attuale della CONCACAF era trinidiano, contro il Messico superando il Guatemala sul filo di lana. Lo spareggio con l’asiatico Bahrain spalancherà ai “Soca Warriors” un posto ai Mondiali che mai come in quell’occasione sarebbe dovuto essere appannagio del Guatemala.

La carriera di Ruiz crolla. LA lo scarica, perché Landon Donovan ha dichiarato di voler rientrare in patria e nel meccanismo dei Draft bisogna sbolognarsi uno dei MVP per trovarsi nelle prime posizioni di scelta. “El Pescadito” si trasferisce a Dallas, ma da quel momento in poi la sua ossessione perenne diventa quella di equilibrare la bilancia cosmica e portare il vessillo guatemalteco a sventolare sui cieli di qualsiasi nazione in cui i Mondiali, fin quando il fisico gli reggerà, decideranno di svolgersi.

Nell’universo concentrico della sua carriera, Ruiz tornerà anche a LA. Beckham disse «Se Carlos fosse stato europeo, tutti lo avrebbero riconosciuto come un crack di assoluto valore».

Nel racconto di Monterroso, quello sulla rana, alla fine l’anfibio decide di arrendersi al sacrificio di una cannibalizzazione necessaria, pur di veder riconosciuto il proprio valore.

Peccato che la rana, mentre le sgranocchiano le cosce, senta distintamente dire «ma senti che buona, sembra proprio pollo».

Epilogo

6 Settembre 2016, Guatemala - St. Vincent & Grenadines 9-3. Rete del 3-1.

“El Pescadito” ha scelto di far coincidere gli ultimi 90 minuti con la Nazionale chapín con la rincorsa a un record solo apparentemente frivolo. Prima della sfida alla rappresentativa antillana, solo l’iraniano Ali Daei poteva vantare più reti di lui nella speciale classifica dei gol segnati durante le qualificazioni ai tornei mondiali.

Guardare quella classifica mette addosso uno strano sentimento di nostalgia, per via dei nomi presenti, e suscita una grande ammirazione per Ruiz, perché nessuno dei calciatori ancora in attività che compare nella lista sembra plausibilmente poter raggiungere la cifra monstre di 35 gol.

El Pescadito ci riesce al 19’, stabilendo un record che se non glorifica la sua carriera gli rende, almeno parzialmente, giustizia.

Ne segnerà altre quattro, nel tentativo lodevole da una parte di staccare ogni altro contendente della classifica dei goleador di una lunghezza dopo l’altra, dall’altra di concentrare in una sola partita tutta la sua essenza; l’ultima rete la mette a segno con un colpo di tacco di un’eleganza tutta caraibica.

Finirà 9 a 3. Guatemala non segnava nove reti in una partita ufficiale dal 14 settembre del 1921, il suo debutto sugli scenari internazionali.

La prossima rete di Carlos Ruiz non sarà con la maglia della Nazionale. Giocherà fino al termine della stagione in MLS, quest’anno terreno fertile per i comebacks (per stagnazione o nostalgia, chi lo sa). La prossima rete del “Pescadito” non segnerà alcun record, ma contribuirà a perpetuare il mito di un calciatore troppo diverso da tutti gli altri della sua Nazione.

C’è un altro racconto di Monterroso, si intitola “La pecora nera”. È brevissimo, e fa così:

«In un lontano paese visse molti anni fa una Pecora nera. Fu fucilata.

Un secolo dopo, il gregge pentito le innalzò una statua equestre che stava molto bene nel parco.

Così, in seguito, ogni volta che apparivano pecore nere, esse venivano rapidamente passate per le armi, perché le future generazioni di pecore comuni potessero esercitarsi anche nella scultura».

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