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Masinga ha reso felice una città intera
14 gen 2019
Ricordo dell'epoca del Bari di Phil Masinga.
(articolo)
9 min
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In questi casi si finisce a dipingere il passato sempre meglio di com'era davvero, e cedere alla tentazione di descrivere la serie A 1997-1998 come una belle époque di serenità, divertimento e buon gusto è facile e gratuito. Siamo certi, per esempio, che sarete in tanti dietro gli smartphone a sospirare con nostalgia al ricordo di quei minuscoli album di figurine dell'epoca, idea commerciale di un'azienda che produceva chewing-gum, in cui mancavano sempre Sergio Volpi del Bari e Paolo Poggi dell'Udinese - album in verità piuttosto bruttini, senza un briciolo del fascino delle Figurine Panini. E allo stesso modo è giusto precisare che Phil Masinga non era certo Batistuta o Weah, e non valeva neanche Hubner o Suazo, per citare dei suoi contemporanei. Eppure la cronaca e l'oggettività sfumano lentamente nel ricordo e nella gratitudine, perché per almeno un paio d'anni Masinga ha reso felice una città intera, la nona più popolosa d'Italia.

Il Bari di Fascetti

Con i suoi circa 320mila abitanti, Bari è la più grande città italiana a non aver mai disputato neanche uno straccio di coppa europea, neanche l'Intertoto, e sospettiamo che sia molto in alto anche allargando questa classifica all'intero continente. In quel decennio estremamente felice per tutto il nostro calcio, la piazza era sempre molto malmostosa verso la proprietà Matarrese, rimproverandole di non tirare fuori “l trrìs”. Mentre il fratellino Tonino scalava i vertici della Federcalcio, dell'UEFA e della FIFA e dava lustro a Bari portando nello stadio-astronave progettato da Renzo Piano una finale mondiale per il terzo posto e una finale di Coppa Campioni (Stella Rossa-Olympique Marsiglia 1991, probabilmente la più brutta della storia del torneo), il fratellone Vincenzo predicava calma e prudenza nella gestione finanziaria del club, probabilmente scottato dagli esborsi dell'estate 1991 per provare ad andare in coppa UEFA: il croato Jarni, l'australiano Frank Farina e i dodici miliardi spesi per David Platt, in una stagione conclusa con la retrocessione.

Così i “colpi” dell'estate 1997, seguente al ritorno in A con Eugenio Fascetti in panchina, erano stati in linea con le grame aspettative della tifoseria: il portiere Mancini dal Foggia, Sordo dalla Reggiana e poi gli sconosciuti Marcolini dal Sora e Zambrotta dal Como, mentre in attacco – a sostituire i deludenti Flachi e Di Vaio – il solo Masinga, arrivato sotto traccia da Salerno in prestito con diritto di riscatto fissato a un miliardo e ottocento milioni di lire. Aveva alle spalle due stagioni da 5 gol con il Leeds in una Premier League molto più casereccia di quella attuale (qui a 1:18 il suo primo gol a Elland Road contro il Chelsea), e aveva anche segnato a Wembley in un'amichevole Inghilterra-Sudafrica. Soprattutto, aveva segnato al Congo il grandissimo gol della prima storica qualificazione dei Bafana Bafana ai Mondiali. Iniziò da centravanti di riserva della Grande Speranza Bianca del calcio italiano di fine anni Novanta, quel Nicola Ventola che qualcuno riteneva allo stesso livello di Vieri, e iniziò non benissimo con tre espulsioni nelle prime nove giornate contro Fiorentina, Lazio e Sampdoria.

A 0:43 di quest'avvincente sintesi di Empoli-Bari del 1997, la classica posa alla Spalletti di Spalletti – solo, con divise sociali molto meno stilose.

Ma Ventola si fece malissimo a Empoli in uno scontro con il ruvido capitano Daniele Baldini, rompendosi menisco, collaterale e crociato anteriore del ginocchio destro, e Masinga colse subito l'occasione con una doppietta, entrando nella piccola mitologia della bassa e orgogliosa Serie A con quel cognome da cartone animato delle seguitissime tv locali pugliesi, dove dominava un duo comico che, nella memoria di chi scrive, ha avuto pochissimi rivali all'altezza.

In quell'estate del 1997, che per Bari coincideva con un'occasione di lustro come i Giochi del Mediterraneo - probabilmente l'unica settimana in cui è stata sfruttata la pista di atletica dello stadio San Nicola -, Toti e Tata (il barese Emilio Solfrizzi e il napoletano Antonio Stornaiolo) erano i mattatori di una striscia comica intitolata “A Bari nessuno è straniero... nemmeno Guerrero”, satira politica e di costume sulla città scritta e diretta insieme al loro pard Gennaro Nunziante – che oggi è sicuramente benestante, grazie agli incassi dei film di Checco Zalone. Il Guerrero del titolo era Miguel Angel Guerrero, attaccante colombiano di non primissimo livello, benvoluto e sopportato dal pubblico barese oltre l'umana pazienza. Quella frase, subito citata in uno striscione al San Nicola, diventò il simbolo fedele dello spirito mercantile di una città che aveva, e ha ancora, la bella abitudine di accogliere tutti a braccia aperte, purché sappiano rendersi utili.

Quello sullo sfondo è il famigerato ecomostro di Punta Perotti, “fiore all'occhiello” della Matarrese Costruzioni, demolito nel 2006.

Masinga l'eroe

Perciò non fu straniero nemmeno Masinga, il cui primo soprannome che scendeva dagli spalti - “u gniùr” - era solamente una dimostrazione d'affetto. L'affetto diventò amore e idolatria – alla maniera disincantata dei baresi, ovviamente – quando il Bari di Fascetti andò clamorosamente a sbancare San Siro nel gennaio del 1998 vincendo 1-0 in casa della prima Inter di Ronaldo, con il marocchino Neqrouz in feroce marcatura sul Fenomeno nonostante fosse in pieno Ramadan e il portierone Franco Mancini a tappare le rimanenti falle. Il gol partita fu molto brutto, il che era un'altra delle caratteristiche tipiche di Masinga. Goffo e scoordinato, regolarmente fuori tempo quando veniva chiamato a saltare sui rinvii dei portieri, a volte appariva sprovvisto anche dei fondamentali minimi per un attaccante, ma 24 gol in 75 partite in Serie A senza punizioni e rigori non si segnano per caso: e quindi sul cross di Volpi, sfuggito al controllo di Galante proprio come se fosse la suddetta figurina, Masinga seppe scappare dalla marcatura di West e andare al tiro due volte, sfruttando l'incertezza di Pagliuca.

Pur veleggiando sempre a debita distanza dalla zona UEFA – e anche qui i baresi amavano malignare su Matarrese, “quello in Europa non ci vuole andare perché poi per rinforzare la squadra deve cacciare i tirrisi” - il Bari di Fascetti si pose e si propose come un'imbarcazione piratesca, pericolosissima soprattutto nelle grandi trasferte dove poteva imbastire il suo catenaccione senza badare alla forma. Pareggiò una volta in casa della Juventus, una volta in casa della Lazio e due volte in casa della Roma, mise paura al Milan scudettato di Zaccheroni facendosi raggiungere solo al 93', trovò punti-salvezza importanti a Firenze, Cagliari, Verona, spesso imprecando verso questa o quella decisione arbitrale che aveva impedito al pareggio di diventare vittoria – come questo 1-1 all'Olimpico in cui uno svenimento di Totti punito col rigore evitò alla Roma di Zeman un'imbarazzante sconfitta contro il Bari di Masinga.

Di cinque partite di campionato tra il 1998 e il 1999 contro varie versioni di Inter, da Ronaldo a Vieri passando per Baggio e Djorkaeff, i biancorossi le vinsero tutte, passando dal gol di Masinga a quelli di Enyinnaya e Cassano in una delle notti più dolci della storia dell'AS Bari. Del tutto privo di orpelli stilistici da sfoderare e palati fini da accontentare, Masinga era il centravanti ideale di Fascetti, che non era certamente un lord dell'abbigliamento e del comportamento (famigerata una polemica con il senegalese Diawara del Torino, che gli procurò sdegno e ripugnanza generale in un Paese forse più civile di quello attuale).

Nelle notti invernali, dalla sua grossa testa liscia lucida di sudore si alzavano bizzarre volute di fumo che accentuarono la dimensione esotica, quasi mistica, attorno a questo omone venuto dall'Africa per castigare gli squadroni di Roma e Milano, che incoraggiava sketch alla Lino Banfi persino ai suoi stessi dirigenti. Piero Doronzo, segretario generale del club, raccontò un giorno che Masinga gli aveva telefonato per comunicare il suo rientro con un giorno di ritardo. «Io gli dissi: "Phil, guarda che Fascetti è incazzato nero per il tuo ritardo"». Lui, tranquillo, mi rispose: «No problema, Piero, perché anche io nero».

Nel curriculum di Masinga anche un gol a Buffon, in questo Bari-Parma del 1998. Anche questo un gol strampalato, con la palla colpita un po' di stinco un po' di ginocchio.

Se oggi a un attaccante di medio-bassa classifica basta un buon girone d'andata per ricevere subito le lusinghe dei grandi club, all'epoca Masinga passò tranquillamente inosservato, inattaccabile punto di riferimento offensivo di un Bari modellato, anche nel folklore, a immagine e somiglianza di una provinciale degli anni Ottanta, con tanto di libero – e in quanto tale il libero non poteva che essere elegantissimo e chiamarsi Gaetano, ovvero Gaetano De Rosa, che qualcuno provò anche a proporre in Nazionale.

Eppure aveva un'indubbia presenza scenica, movenze non scontate in area di rigore (come in questo gol segnato a Vicenza) e un approccio positivo alla vita e al mestiere del centravanti: nell'aprile 1998, contro l'ultimo decadente Milan di Capello messo assai male in arnese, passò 80 minuti a sbagliare gol dal limite dell'area piccola tra i brusii sempre più montanti del San Nicola stracolmo, prima di trovare la capocciata risolutiva, in tuffo, su splendido cross di Zambrotta dalla destra. E poi era anche capace di gol esteticamente notevolissimi, come questo qui sotto, alla Sampdoria (allenata da David Platt, corsi e ricorsi),

A 0:28 il gol di Masinga - “e pensare che Masinga proviene da quattro giorni di stop ed è privo di allenamento!”, esclama lo speaker della videocassetta LogosTV in questo tentativo ancora un po' pionieristico di generare entusiasmo attorno al prodotto Serie A.

Come detto, l'epoca di Masinga fu breve e non portò da nessuna parte, se non verso una classica stagione 2000/01 condotta all'ultimo posto da ottobre a maggio, caso ricorrente nella storia del Bari fatta di lunghi saliscendi. In ossequio al mito del “buon selvaggio” di cui il nostro lato oscuro più nazional-popolare è sempre stato golosissimo, circolarono aneddoti simpatici sul suo adattamento all'Italia di fine secolo. «Merita un premio, a fine stagione», raccontò una volta Diego De Ascentis. «Gli rifaremo il guardaroba, finalmente spariranno quei cappellini e vestiti di colori sgargianti che fanno girare tutti. Si vanta di indossare abiti firmati Armani, ma Phil ha bisogno di chi gli consigli i colori giusti».

Un grave infortunio al ginocchio sinistro lo tolse di mezzo per gran parte della stagione e portò appena tre giorni dopo proprio all'epifania della coppia Enyinnaya-Cassano, destinati a ballare insieme per una sola indimenticabile notte. Giunto a scadenza nel giugno 2001, l'ormai 32enne Masinga non fu rinnovato e scomparve immediatamente dalla circolazione, in un trasferimento negli Emirati Arabi che ancora oggi, sulla pagina Wikipedia, è racchiuso tra due punti interrogativi e qualche leggenda: «Per qualche mese Masinga disputa il campionato emiratino con l'Al-Wahda, squadra di Abu Dhabi, realizzando molti gol».

Molto difficile che abbia provato emozioni simili al pomeriggio di Ognissanti del 1998 quando aveva segnato due gol e un terzo gli era stato annullato sotto la Nord interista (l'Inter di Ventola!), mandando al manicomio gli almeno cinquemila tifosi del settore ospite. La scomparsa del gigante Phil ha rattristato tutta la città, ricordandole l'epoca in cui chiamava ancora la sua squadra “u 'Bbar” con l'articolo al maschile e amava ancora definirsi, con una punta di autoironia, “la Milano del sud”. Bari che anche per questo con San Siro ha sempre avuto un feeling particolare, anche se sta ancora aspettando la sua prima coppa europea.

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