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Uno dei tanti, intervista Pierluigi Basile
05 set 2025
Una chiacchierata con uno dei giovani più belli del tennis italiano.
(articolo)
10 min
(copertina)
Foto IMAGO / IPA Sport
(copertina) Foto IMAGO / IPA Sport
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Milano 2 è stata l’utopia residenziale del giovane imprenditore edile Silvio Berlusconi. Oggi è un quartiere a nord-est di Milano, vicino alla tangenziale e all’autostrada, non troppo lontano dalla primissima periferia milanese e con una stazione della metropolitana abbastanza vicina da permettere di raggiungere il centro città. È comoda per gli spostamenti, ma lontana da molti dei principali punti di riferimento della vita diurna e notturna milanese. 

Milano 2 come utopia fatta di servizi: centri commerciali, cinema, campi sportivi, molto verde, qualche corso di pilates a buon prezzo e alcune piazzette artificiali pensate per radunare i giovani della zona.

Incontro Pierluigi Basile nel cuore di Milano 2, allo Sporting Club Milano 2, un luogo rimasto fermo ai fasti degli anni ’80. Dovrebbero essere giornate di sole, eppure il cielo nuvoloso rende la piscina, riservata ai soci, piuttosto vuota. Lo Sporting Club ha due piscine, entrambe molto grandi: una all’interno di una struttura che sembra inagibile da diversi anni, l’altra all’aperto, suddivisa in tre aree all’interno del parco. Le strutture sono un po’ obsolete, figlie di un modello architettonico che non ha il fascino severo del brutalismo sovietico, ma piuttosto un tono malinconico e decadente, da Truman Show. Tutto appare ordinato: i movimenti delle persone sono lineari e predefiniti, le auto fuori sono parcheggiate nel punto giusto.

All’interno, le persone somigliano spesso ad Antonio Tajani o Marina Berlusconi: giovani Tajani con figli piccoli, Tajani un po’ più adulti con una seconda moglie più giovane, Tajani con la primissima e unica moglie e un figlio che ha studiato economia e finanza in qualche università estera. Le signore sono tutte ben curate: piega fatta, trucco sobrio, borsa firmata ma non dell’ultimissimo modello, e un ordine quasi metodico nel gestire conversazioni e bisogni.

Pierluigi Basile è un giovane ragazzo di appena 18 anni, reduce dall’esperienza a Wimbledon Juniores, ed è attualmente tra i primi 30 giocatori al mondo nella categoria. La sua breve carriera ha già vissuto momenti di adrenalina: circa un anno fa, proprio in questo periodo, sorprendeva tutti ottenendo la sua prima vittoria in un main draw di un torneo Challenger, partendo dalle qualificazioni, a Todi, nella sua “Umbria”.

Originario di Martina Franca, in Puglia, Pierluigi si è trasferito a 14 anni a Foligno, dove si allena con Alessio Torresi presso il Tennis Training Foligno. Campione italiano under 16, ci incontriamo al bar dello Sporting Club Milano 2, mentre è in corso un torneo ITF da 15.000 dollari. In questo torneo ha partecipato solo al doppio, in coppia con Andrea De Marchi, perdendo al primo turno. Contemporaneamente si sta svolgendo un piccolo raduno della squadra che ha poi preso parte alle qualificazioni della Summer Cup under 18 in Croazia. Per dovere di cronaca, Pierluigi ha vinto entrambi i suoi incontri in singolare e anche un doppio, ma purtroppo non è stato sufficiente per garantire l’accesso dell’Italia alle finali, che si terranno proprio a Roma.

Mentre sui campi i giocatori professionisti provenienti da tutto il mondo cercano di ottenere i primi punti ATP, o quelli necessari per scalare la classifica, io e Pierluigi ci incontriamo dopo il suo allenamento.

A Wimbledon sei stato avvistato durante la partita di Cobolli mentre guardavi il cellulare, tutto preso da qualcosa. Posso chiederti cosa stavi guardando?

Stavo rosicando perché ero a Londra e c’era appena stato il concerto degli Oasis. Era il giorno dopo il primo concerto del tour, a Cardiff. Niente, avrei voluto esserci, ma proprio non potevo.

Allora qual è la tua canzone preferita degli Oasis?

Married With Children, sicuramente. È quella che ascolto di più ultimamente.

In generale ascolti molta musica. Fammi un power ranking delle tre band che ascolti di più e che ti piacciono davvero.

Te le dico anche in ordine di importanza, perché le ascolto sempre e fanno parte della mia quotidianità. Al primo posto metto i Radiohead, perché riescono sempre a sorprendermi, anche dopo tanti ascolti. Poi ci sono i The Smiths, che mi piacciono per l’atmosfera e i testi malinconici ma intelligenti. Infine, gli Oasis, che sono quelli che ascolto più per energia, nostalgia e legame emotivo.

Venendo qui mi hai invitato a vedere il film dei Fantastici 4. Tu sei un appassionato, ma una cosa ci accomuna: Batman, che è molto intergenerazionale. Per certi versi. Chi è il “Batman” del tennis e chi è il “Robin”?

Il Batman del tennis è chiaramente Roger Federer. Vestito di nero era incredibile, non diceva mai una parola, e poi fuori dal campo sempre elegante, tipo Bruce Wayne. In campo è Batman, fuori è Bruce Wayne. Perfetto. Il Robin del tennis? Io ce l’ho con Andy Murray, ma se dobbiamo escludere quelli che hanno vinto Slam, allora direi David Ferrer. Era piccolino, velocissimo, umile proprio come Robin.

Parliamo di tennis. Da Todi a Todi: in un anno, cos’è cambiato nel tuo gioco o nel tuo percorso personale?

Mi sento un giocatore molto più calmo, soprattutto nei momenti importanti. Riesco a gestire meglio i punti decisivi e anche i tempi tra uno scambio e l’altro. Tecnicamente ho migliorato il dritto, con il servizio faccio molti più ace, e penso che anche l’intensità del mio gioco sia cresciuta: ora riesco a imporre un po’ di più il mio ritmo.

Un anno fa non avresti mai pensato di essere a Wimbledon ad allenarti con Sinner. Vuoi raccontarci qualcosa?

Sapevo che avrei potuto andare a Wimbledon, ma non avrei mai immaginato di potermi allenare con Sinner. È successo totalmente per caso. Ogni tanto scherzavo col mio maestro dicendo: «Ma quando lo facciamo un allenamento con Sinner?», ovviamente per ridere… e invece poi è successo davvero! Quando me lo hanno proposto ho detto subito sì, anche rischiando di perdere l’aereo.

Toglimi una curiosità: sei riuscito a fare un punto a Sinner durante il vostro allenamento?

Sì, un punto a Sinner sono riuscito a farlo. In totale ne abbiamo giocati quattro. Ero molto teso, più che altro perché sapevo che non è una cosa che capita tutti i giorni. Me li volevo vivere quei punti, me li volevo giocare, ma l’agitazione era tanta. Mi ricordo benissimo il primo: entro con la battuta, lui risponde — e già lì ti rovescia addosso — perché risponde sempre sulla riga. Io sbaglio subito il colpo, ho tirato un dritto diretto sul telone. Poi ho fatto un doppio fallo, dopo ancora ho messo una seconda e lui mi ha tirato un vincente di risposta. Ragazzi, vi giuro: ti rovescia, tocca la palla e ti spara un missile sulla riga.

All’ultimo punto l’ho chiamato a rete con una palla abbastanza stretta: è molto probabile che mi abbia fatto il favore di lasciarmelo, però io me lo tengo stretto e va bene così. E dopo quell’ultimo scambio l’allenamento è finito.

Che rapporto hai con il tuo coach e le persone con cui lavori ogni giorno? Sono le stesse di quando avevi 14 anni?

Con il mio coach e con il mio team ho un bellissimo rapporto: siamo molto affiatati e ci divertiamo tanto insieme, soprattutto quando andiamo ai tornei. Mi piacciono molto i momenti di viaggio, quando siamo in macchina e scegliamo la musica tutti insieme: sono attimi semplici ma speciali, che ci fanno sentire davvero uniti. Con loro mi sento sempre a mio agio, anche al di fuori del campo: c’è fiducia reciproca e questo per me è fondamentale.

Rispetto a quando avevo 14 anni, il mio coach tecnico è sempre Alessio Torresi, una presenza costante nel mio percorso. Accanto a lui c’è Fabio Corietti, che negli anni è diventato ancora più presente. Con il tempo si sono aggiunte nuove figure importanti, come un preparatore atletico e un preparatore mentale, che mi hanno aiutato a crescere sia a livello sportivo sia personale.

Come vivi, soprattutto avendo giocato nel circuito Challenger e ITF, gli haters o, meglio, tutte quelle persone che scelgono di scrivere a tennisti di tutto il mondo messaggi poco carini sui profili social personali?

Onestamente, non ci do molto peso. Se vinci, si arrabbiano perché hai vinto; se perdi, si arrabbiano perché hai perso. Non c’è molto da dire. Alcuni messaggi sono addirittura creativi e fanno anche sorridere, altri invece sono puro odio gratuito, rivolto a me e a tanti altri. Per quanto riguarda invece chi si lamenta del mio temperamento in campo, perché a volte mi arrabbio o mi dispiaccio per qualcosa, penso sia del tutto naturale. Al momento è semplicemente il segno che tengo davvero a quello che sto facendo.

Senti la pressione del movimento tennistico italiano? In modo positivo o negativo?

No, non la sento proprio. In Italia ci sono così tanti tennisti forti che mi sento uno dei tanti ragazzi che giocano a tennis. Magari si parla un pochino di me, ma sono cose normali. Da quando il tennis italiano ha iniziato a vincere tanto, il pubblico si è allargato molto. C’è tanta gente che viene da altri sport e non sempre capisce come funziona, come si segue un giocatore, o quando si può davvero parlare di “prospetto”. Io sto nel mio e mi concentro su di me.

Ti fa paura che il tennis stia diventando una battaglia brutale fatta di colpi pesanti da fondo campo, dove ormai è sempre più raro variare nel gioco? Per non parlare di arrivare a rete, che viene visto quasi come un rischio?

Paura è un termine esagerato, però sì, non sono un grandissimo fan del tennis moderno. È vero che le velocità sono spettacolari e che da spettatore può essere divertente, ma ho la sensazione che una volta fosse più giocabile e soprattutto più vario. Penso, per esempio, a quando c’era Federer: il suo stile elegante e creativo rendeva ogni punto diverso. Ormai quel tennis non c’è più, ma resterà sempre una piccola freccia nel mio cuore.

Il rovescio a una mano sta sparendo. Ti intimorisce questa cosa? Hai mai pensato di cambiarlo?

In un certo senso sì, mi dispiace vederlo sempre meno. Però non per me: io trovo che sia un colpo bellissimo, se fatto bene. Magari chi non lo conosce lo guarda e pensa che siano tutti uguali, ma per me resta affascinante. Io sono un po’ perfezionista, quindi quando guardo un rovescio a una mano cerco sempre il dettaglio, il pelo nell’uovo; ma no, non mi verrebbe mai in mente di cambiarlo.

Quando trovi gioia nel giocare a tennis? C’è un momento particolare in cui senti davvero soddisfazione?

Quando sento il colpo pieno. La sensazione dell’impatto, il suono della palla è una cosa che mi piace tantissimo. Mi diverte giocare con le rotazioni, provare colpi strani, trovare angoli particolari, anche solo per il gusto di colpire come voglio io.Mi piace scambiare, sentire il ritmo.Infatti, quando gioco sulla terra, mi arrabbio se ci sono buche. Ma non perché perdo il punto: è perché mi tolgono quella sensazione, quel piacere di giocare “bene” e divertirmi davvero.

*

Con Pierluigi ci salutiamo mangiando un toast come aperitivo: lui deve andare a cena con i compagni di squadra, ragazzi con cui ha condiviso tanti momenti dell’adolescenza e con cui, si spera, in un futuro prossimo vivrà trasferte epiche e stadi pieni di appassionati.

Nessuno lo accompagnerà a vedere I Fantastici 4, perché, come dice lui, «non capirebbero, dovrei spiegare ogni cosa dal minuto zero, e non mi va». Ma soprattutto — ammette — fare cinque chilometri a piedi, di sera, per arrivare al cinema vicino al centro commerciale, durante una preparazione atletica, non è proprio il massimo. «Ci mangeremo un gelato qua vicino», dice onestamente, «poi andrò in camera a guardare qualche video di concerti che non sono riuscito a vedere».

Mi racconta del tema che ha scritto alla maturità, mi spiega brevemente la sua idea, e mi confida che gli piace molto scrivere, perché lo aiuta a mettere ordine nei pensieri. Sono chiacchiere informali, piacevoli, leggere, senza sovrastrutture. Chiacchiere da bar, tipo discutere se fosse meglio il Batman di Nolan o quello super emo di Pattinson.

Sullo sfondo, Milano 2 appare opaca, con un cielo a metà tra un acquazzone estivo che non arriverà nemmeno a singhiozzo e un sole offuscato dal verde — ma anche dal cemento — di un’utopia mai del tutto realizzata. Il circolo si svuota, finiscono le ultime partite del torneo. Le zanzare banchettano sui presenti, le abitazioni si riempiono di persone, luci e consumo. Si cenerà davanti alla televisione. Qualcuno, forse, uscirà dopo.

Noi risaliamo sull’astronave e guardiamo tutto questo da lontano, proprio come alieni, l’utopia ha bisogno di bei sogni: lasciamola riposare.

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Uno dei tanti, intervista a Pierluigi Basile