Sul 9-2 del quinto game la prospettiva di diventare il secondo pongista non asiatico della storia a vincere una medaglia d’oro alle Olimpiadi è già sfumata. A Fan Zhendong bastano due punti per assicurarsela e nessuno pensa seriamente che possa non farli, anche perché poi ci sarebbe comunque un altro game da recuperare. Un pongista cinese, uno forte come Fan Zhendong (già medaglia d’argento a Tokyo 2020), semplicemente non si lascia sfuggire un’occasione simile dalle mani. Non sembra crederci nemmeno il suo stesso avversario, lo svedese Truls Moregard, che ha già rilasciato quella tensione su cui si poggia la folle disciplina tecnica e psico-fisica senza cui è impossibile competere a questi livelli.
Moregard ha la rilassatezza di chi ha già perso quello che poteva perdere e questo per paradosso potrebbe farlo entrare in uno spazio sconosciuto al suo avversario, in cui i colpi rimbalzano in maniera inaspettata, suonano in modo nuovo. Moregard batte una prima palla forte sul rovescio dell’avversario, poi sulla risposta fa un rovescio non convenzionale, sembra uno schiaffo dato col dorso della mano. La palla arriva senza peso dopo la linea di fondo, con una lentezza strana per questi livelli, e Fan Zhendong, forse sorpreso, è costretto ad alzarla leggermente, costringendosi a questo strano ritmo ubriaco imposto dal suo avversario. Le sorprese, però, non sono finite. Moregard rompe ancora lo spartito con una palla tagliata verso l’esterno e apparentemente troppo alta. Zhendong sembra non avere più le coordinate: potrebbe accelerare, forse addirittura schiacciare, ma anche lui, come contagiato da questa imprevedibilità, opta per una palla corta e tagliata, piegandosi molto in avanti per rimandarla nel campo avversario. Moregard, che si era allontanato molto dal tavolo per assorbire il possibile colpo offensivo del suo avversario, è costretto a recuperare colpendo la palla molto in basso, quasi al livello del terreno. Da lì è difficile inventarsi qualcosa di diverso da una palla alta e difensiva, ma il corpo di Moregard sembra preannunciare qualcosa di diverso. La racchetta scava la pallina molto in basso, come una vanga nel terreno, poi lo svedese la agita in aria come una bacchetta magica, come se potesse muovere l’aria del palazzetto, costruito per l’occasione dentro il Paris Expo Porte de Versailles.
Il risultato è un colpo che qualsiasi giocatore amatoriale ha sognato di fare almeno una volta nella vita. Una palla alta che sembra un invito alla schiacciata ma che, dopo il rimbalzo, torna indietro verso la propria metà campo senza che l’avversario possa toccarla.
Fan Zhendong si accascia sul tavolo a guardare la pallina tornare verso il suo avversario come un cagnolino obbediente. È un momento da manga: Zhendong, sudato e stanco dopo un’altra partita massacrante, che alza lo sguardo verso il suo avversario, di cui immaginiamo il sorriso beffardo. Quando si ricompone, però, capiamo il vero senso di questo punto. Zhendong guarda Moregard quasi ridendo, e dopo il replay ci rendiamo conto che anche lo svedese sta facendo lo stesso, guardandosi intorno sorridente come un bambino che l’ha appena fatta grossa. Il ping pong, che nella sua dimensione competitiva del tennis tavolo disdegna le sue origini da passatempo da spiaggia, è tornato per un attimo ad essere un gioco. Nel pubblico in molti si scambiano occhiate complici, risatine, qualcuno si alza in piedi ad applaudire come se si fosse appena esibito il primo violino.
È stata la degna conclusione di un torneo olimpico (che in realtà sta ancora andando avanti con le competizioni a squadre) in cui è successo di tutto. È vero, la Cina ha dominato il medagliere come ci si attendeva, ma sotto le bandiere che si sono alzate sopra il podio le notizie sono state una marea. Nella finale dell’individuale femminile per la seconda Olimpiade di fila Chen Meng ha battuto il pronostico e soprattutto Sun Yingsha, numero uno al mondo e idolo della Gen Z cinese. Nel doppio misto, dopo la finale vinta dalla Cina, i giocatori della Corea del Nord e quelli della Corea del Sud (rispettivamente medaglia d’argento e bronzo), in un contesto politico di tensione rinnovata tra i due Paesi, si sono mischiati sul podio per farsi un selfie che ha fatto grande scalpore. Nell’individuale maschile per la prima volta nella storia ha raggiunto le semifinali un giocatore che non veniva né dall’Asia né dall’Europa, cioè il brasiliano Hugo Calderano (forse l’unica persona al mondo a battere Rafa Nadal per numero di tic in uno sport con la racchetta). Calderano, però, ha perso a sorpresa la propria semifinale con Truls Moregard, e poi anche la finale terzo-quarto posto con Felix Lebrun, francese che deve compiere ancora 18 anni, grande speranza del tennis tavolo transalpino, che ha così completato un podio per due terzi europeo come si era visto soltanto un’altra volta in tutta la storia delle Olimpiadi: nel 1992, a Barcellona. Per una coincidenza piuttosto notevole anche allora due gradini su tre furono occupati da un francese (Jean-Philippe Gatien) e da uno svedese (Jan-Ove Waldner, allora però addirittura medaglia d’oro).
Il ping pong vive quasi da sempre questa condizione paradossale in cui l’ossessione di un singolo Paese ha portato il livello tecnico per competere a un’altezza che sembra irraggiungibile per tutto il resto del mondo. In Cina il ping pong è un riflesso della fedeltà del Paese al comunismo, ma in quasi tutto il resto del mondo in pochi gli concedono anche solo la dignità minima che andrebbe riconosciuta a uno sport olimpico. La somma di queste due cose ha creato un dominio soffocante, che lo rende poco attraente a chi ci si approccia da fuori e che ormai è considerato un pericolo per il suo sviluppo persino nella stessa Cina. In un video prodotto dal sito delle Olimpiadi, per esempio, vengono interpellati degli allenatori secondo cui la Cina dovrebbe adottare una cultura simile a quella della NBA, una lega in grado di far salire di livello i migliori giocatori del mondo rendendo così le competizioni internazionali più equilibrate (cosa che comunque non è ancora riuscita nemmeno al basket). «Per fare in modo che la Cina sia davvero integrata con il mondo», dice l’allenatore della squadra maschile ai Giochi di Atlanta del 1996, Liu Guoliang «Deve prendere i suoi ottimi giocatori, allenatori, e la sua cultura del tennis tavolo, e condividerli con il mondo».
Le parole di Guoliang sembrano risuonare nella storia di Truls Moregard, che dopo gli inizi da prodigio del tennis tavolo in Svezia, dal 2023 si è trasferito in Cina per giocare. Detta così, il suo argento sembra il naturale esito di un normale percorso di crescita, ma in realtà il suo percorso di avvicinamento a queste Olimpiadi era stato terribile. Dopo l’esplosione tra il 2021 e il 2022, in cui per un breve periodo a vent’anni era riuscito addirittura a diventare il numero tre del ranking mondiale, Moregard è incappato in un lungo periodo di appannamento in cui faceva fatica persino a superare i primi turni. «Truls ha vissuto momenti difficili negli ultimi sei mesi», ha detto suo fratello Malte, che è anche suo allenatore, «la sua fiducia era ai minimi storici». Ai Mondiali del 2023, per dire, Moregard era uscito al primo turno proprio contro Fan Zhendong e si era presentato a questo torneo olimpico al posto 26 del ranking mondiale, non essendo più nemmeno il miglior giocatore svedese della classifica. Sembrava già passata una vita da quando in Svezia era considerato la più grande promessa del tennis tavolo da decenni. Aspettative talmente alte che la Stiga - storico brand scandinavo di prodotti per il tennis tavolo - aveva deciso di abbinare a lui il suo ultimo modello di racchetta, la Cybershape. Una racchetta che, invece di essere tonda come tutte le altre, è ottagonale, aumentando la superficie d'impatto.
Il suo percorso in queste Olimpiadi, in quasi tutti gli universi possibili, sarebbe dovuto fermarsi il 31 luglio, quando ai sedicesimi di finale ha incontrato il numero uno al mondo Wang Chuqin. È difficile restituire quanto biblica sia stata la notizia della sua vittoria: Wang ha quasi otto volte i suoi punti di ranking e aveva vinto tutti e sette i precedenti, concedendo appena tre game (e vincendone 24). Secondo Jan-Ove Waldner, che ha vinto un oro olimpico, è stata «una delle più grandi vittorie alle Olimpiadi di sempre».
Dopo la vittoria, Moregard ha lasciato cadere la racchetta dalle mani, si è disteso a terra e ha iniziato a rotolarsi con il viso tra le mani, gli occhi lucidi. «Non penso che giocherò mai più così bene per il resto della mia vita», ha detto scherzando, ma forse non troppo. Oltre al livello del suo gioco, la serie di dettagli che si sono dovuti incastrare per favorire la sua vittoria ha del paranormale. Wang costretto a cambiare racchetta il giorno prima della partita, dopo che la sua era stata danneggiata dai fotografi nella calca del podio per il doppio misto. Le due palle game annullate nel primo, che hanno iniziato a far pensare che l’impresa potesse essere possibile. Il tifo da stadio dentro il Paris Expo Porte de Versailles, che ha iniziato a soffiare alle sue spalle. «Ho giocato dei tornei in cui sugli spalti non c’era nessuno e in quella situazione sono sempre molto nervoso», ha dichiarato Moregard. «Questa atmosfera è fantastica».
Moregard, in effetti, è sembrato l’unico a provare ad assorbire, anziché isolarsi dall’energia del pubblico, come se il suo gioco irregolare avesse bisogno del rumore. E in questo contesto i suoi tentativi di rompere il ritmo, anziché assecondarlo, hanno pagato più del previsto. Nel tennis tavolo il rapporto tra prevedibile e imprevedibile è talmente sottile da sparire spesso. In uno sport in cui anche solo pochi millimetri di inclinazione della racchetta verso il basso o verso l’alto fanno la differenza tra una palla in campo e una fuori, le differenze tecniche tendono ad assottigliarsi e i giocatori sembrano spesso trascendere dai propri corpi, dalle proprie scelte, essere “giocati” dallo sport, più che giocarlo loro stessi. In uno sport così, la solidità nei fondamentali data dalla scuola cinese fa quasi sempre la differenza, ma in questo torneo, dopo la vittoria di Moregard, per un attimo è sembrato che le cose potessero cambiare per sempre.
Uscito Wang Chuqin, la Cina è rimasta nel torneo individuale maschile, già priva della leggenda Ma Long (due volte medaglia d’oro tra Rio e Tokyo), con il solo Fan Zhedong, “appena” numero quattro nel ranking mondiale - di fronte alla prospettiva spaventosa di non salire nemmeno sul podio, qualcosa che alle Olimpiadi è successo solo una volta nel 1988, la prima edizione in cui il tennis tavolo è diventato sport olimpico. Con questa pressione Zhedong ha affrontato il turno successivo, che per di più lo vedeva affrontare il giapponese Tomokazu Harimoto. Non solo quindi rischiava di essere la faccia del peggior torneo olimpico cinese da quasi quarant’anni, ma anche di esserlo venendo sconfitto da un giocatore giapponese, che in Cina forse è il disonore più grande. Pechino ha infatti assorbito la sua ossessione per il ping pong proprio dal Giappone, in un momento in cui usciva dai terribili patimenti sofferti per la guerra civile che aveva visto trionfare il comunismo e cercava di emularne la grandezza imperiale in Asia. Cosa avrebbe significato, oggi che la Cina è la potenza asiatica dominante, se fosse stata cancellata dal tabellone olimpico da un giocatore giapponese?
Solo partendo da questa domanda si può dare il giusto peso alla medaglia d’oro di Zhendong. Il giocatore cinese è uscito vincente con Harimoto in una partita drammatica, che lo ha visto partire con due game di svantaggio e che complessivamente lo ha visto prevalere con un solo punto in più rispetto all’avversario (dopo la partita, con una sportività aliena, Harimoto gli ha augurato di vincere la medaglia d’oro, «così potrò consolarmi della mia sconfitta di oggi»). Poi in semifinale ha regolato in quattro game il peggior avversario possibile tra quelli rimasti, cioè quel Felix Lebrun che veniva sostenuto da un palazzetto in grado di competere a rumore prodotto con i migliori (o peggiori a seconda dei punti di vista) stadi della Ligue 1.
Zhendong ha attraversato tutte queste prove con una forza d’animo disumana, e con una consapevolezza tale da fare il segno di calmarsi al pubblico dopo aver battuto in scioltezza il suo paladino. Infine, come detto, è riuscito a battere un giocatore che era stato baciato da qualche divinità per questo torneo, nonostante avesse perso il primo game.
Certo, Moregard si è tolto lo sfizio di farlo sembrare per un attimo un amatore, consolandosi così di una sconfitta piuttosto netta. Zhendong però ha avuto la vittoria più importante, rassicurando la Cina che il suo dominio è ancora intatto. Forse ci sono cose che sono destinate a non cambiare mai.